ESSENZIALI, OLÎ
. Si dà questo nome, ed anche quelli di essenze, olî eterei, olî volatili (fr. huiles essentielles, essence;. spagnolo, aceites esenciales, esencia; ted. ätherische Öle; ingl. essential oils) a certe sostanze odorose che si ricavano quasi tutte da organismi vegetali oppure da secrezioni di piante; qualcuna da secrezioni animali. A 15° gli olî sono quasi tutti liquidi e di aspetto oleoso; raffreddati, se ne separa una parte solida. Esposti all'aria si ossidano resinificandosi e lasciano precipitare sostanze solide. Sono poco solubili nell'acqua; solubili nell'alcool, nell'etere e nei solventi organici in genere; essi stessi funzionano da solventi per le resine, le cere, ecc. Sono infiammabili. Normalmente hanno un peso specifico inferiore a quello dell'acqua.
Gli olî essenziali di origine animale sono pochissimi: muschio zibetto, ambra grigia, castoro. Numerosissimi, invece, quelli di origine vegetale, ai quali si riferiscono le notizie che seguono. Essi si trovano in tutte le parti della pianta (radici, rizomi, legno, scorza, foglie, fiori, frutti); ed anche nelle secrezioni delle piante stesse (p. es., nelle resine); in qualche caso l'olio essenziale è presente in quei composti inodori, che sono i glucosidi. L'olio essenziale estratto da un organo di una stessa pianta differisce da quello degli altri organi: p. es., quello delle radici di cannella ha composizione diversa da quello della scorza e da quello delle foglie; quello di fior d'arancio è molto diverso da quello dei frutti ed anche da quello delle fronde. Inoltre, gli olî essenziali provenienti dagli stessi organi, della medesima varietà, di una pianta variano secondo il terreno, le stagioni, le condizioni atmosferiche e principalmente secondo le condizioni fisiologiche della pianta.
Ancora non è accertato quale funzione abbiano gli olî essenziali nella vita delle piante. Secondo Charabot, essi si formano nelle parti verdi di esse, come risultato di processi patologici oppure come sottoprodotti del loro metabolismo. Man mano che il tessuto invecchia, migrano in altri tessuti e principalmente nei rami fioriti, nei quali possono modificarsi per ossidazione, esterificazione, ecc. Il consumo che se ne fa durante la fecondazione può far pensare ad una possibile loro funzione nutritiva. Spesso essi compiono un importante ufficio nei riguardi degli insetti, attirando quelli che debbono cooperare alla fecondazione, allontanando quelli dannosi.
Dal punto di vista chimico, gli olî essenziali sono miscugli di numerosi composti organici, i quali concorrono più o meno a formarne il profumo, alcuni fornendone le note caratteristiche, altri fondendole o attenuandole. Molta importanza, a questo riguardo, hanno i costituenti secondarî, i quali non sono tutti conosciuti. Mescolando, per es., i costituenti conosciuti dell'essenza di rosa nelle stesse proporzioni in cui si trovano nel prodotto naturale, si ottiene un prodotto che ha l'odore, ma non la finezza del profumo della rosa. In certi casi, però, uno dei costituenti ha profumo più fine che non l'essenza naturale; come accade, p. es., dell'anetolo rispetto a certi olî essenziali di anice dai quali proviene.
Come costituenti degli olî essenziali si trovano: 1. idrocarburi: aciclici, ciclici, aliciclici (terpeni, sequisterpeni); 2. alcoli, dai più semplici ai più complessi, sia allo stato libero sia combinati in eteri composti (p. es.: linalolo, geraniolo, nerolo, citronellolo, farnesolo, mentolo, cedrolo, ecc.); 3. aldeidi (p. es., citrale, citronellale, cinnamica, anisica, vaniglina, eliotropina, ecc.); 4. chetoni (p. es., carvone, pulegone, mentone, canfora, ecc.); 5. fenoli ed eteri fenolici (p. es., timolo, carvacrolo, anetolo, eugenolo, safrolo, apiolo, ecc.); 6. acidi; 7. eteri composti (esteri) (p. es., acetati di citronellile, di geranile, di linalile, di mentile, di terpenile, ecc.; cinnamati; formiati, salicilato di metile, ecc.); 8. lattoni; 9. ossidi (p. es., cineolo, ecc.); 10. composti azotati (p. es., acido cianidrico, antranilato di metile, ecc.); 11. composti solforati (solfuro dimetilico, isosolfocianato di allile, ecc.). Molte essenze sono formate principalmente di terpeni che, però, contribuiscono pochissimo al loro profumo.
Storia. - La storia degli olî essenziali, quali noi li conosciamo, si confonde con quella della distillazione, che è il metodo normale di estrazione della maggior parte di essi. Tutti i popoli antichi, fino ai Greci e ai Romani, invece degli olî essenziali, usavano direttamente le sostanze vegetali che li contengono, oppure olî e grassi solidi nei quali erano stati posti a macerare fiori o erbe odorose. Erano molto pregiate e formavano oggetto di un ricco commercio, al pari delle spezie, quelle sostanze facili a conservare e trasportare allo stato secco, che, bruciando, dànno un fumo odoroso e che specialmente servivano al culto. Così la mirra e l'incenso e il legno di sandalo, menzionato nella più antica letteratura sanscrita, noto agli antichi Egiziani dal sec. XVII a. C., e usato per le statue e le decorazioni interne dei templi buddhisti.
Lo σχοῖνος dei Greci e lo Juncus e il Nardus dei Romani (probabilmente forniti dalle diverse specie di Andropogon) erano anche usati per aromatizzare il vino. Gli olî profumati servivano alla toletta delle classi ricche e anche a onorare i morti, come quello profumato di rosa col quale Omero (Il., XXIII) fa ungere da Afrodite il cadavere di Ettore; la parte degli olî e degli unguenti nei riti funebri greci ci è attestata anche dalla presenza delle ampolle (λήκυϑοι) nelle tombe di epoca classica. Ad alcuni unguenti si attribuivano anche proprietà medicamentose. Dioscuride e Plinio (Nat. Hist., I, 53) descrivono la preparazione dell'olio di rosa. L'olio profumato per macerazione, è chiamato olio distillato. In realtà, fino alla fine del Medioevo si comprendevano sotto il nome di distillazione le diverse operazioni con le quali si preparavano estratti vegetali e animali; così anche la macerazione, la spremitura, la filtrazione; in qualche caso anche la fermentazione e perfino la putrefazione. Perciò è difficile dire se quelli, che nei più antichi testi sono indicati come olî distillati, erano veramente tali nel senso moderno della parola o non, piuttosto, olî grassi profumati.
La scoperta della distillazione, nel senso moderno della parola, risale certamente a tempi remotissimi. I Babilonesi la conoscevano, al pari degli Egiziani, i quali sapevano distillare il vino e, secondo Erodoto e Diodoro, usavano nell'imbalsamazione dei cadaveri un olio di cedro, che non si può dire se fosse ottenuto dal cedro del Libano oppure da altre conifere, ma era certamente un olio essenziale distillato. Siccome i Cinesi e i Giapponesi usavano largamente, fin da tempi molto antichi, lacche e vernici, è probabile che abbiano appreso presto a distillare gli olî essenziali di conifere, che servono per prepararle. Erodoto, Dioscuride e Plinio ci forniscono le prime descrizioni del metodo di distillazione, quanto mai primitivo, che era usato ai loro tempi. Il πισσέλαιον di Erodoto corrisponde, forse, all'essenza di trementina di diverse specie di Abietine. L'arte della distillazione continuò a progredire nell'Impero romano d'Oriente. Nel sec. V Zosimo descrive alambicchi e cucurbite. Nel Liber ignium ad comburendum hostes, scritto nel sec. VIII e attribuito a Marco Greco, è descritta la distillazione dell'essenza di trementina. Ulteriori progressi compì la tecnica della distillazione per opera degli Arabi, ai quali l'avevano insegnata i Greci e specialmente quelli dell'Egitto. Geber nel sec. VIII descrive degli alambicchi. Le prime precise indicazioni sulla distillazione delle rose si trovano in Ibn Khaldūn. Per molto tempo si usò non essenza, ma acqua di rose, che nei secoli VIII e IX si produceva in grande quantità nella Persia e di là si esportava fino nell'India e nella Cina. Dalla Persia la coltura e la distillazione delle rose si estesero a tutto il mondo musulmano. Non si sa quando si scoprì l'olio essenziale; se ne ha la prima notizia nel 961.
Negli annali dell'imperatore Akbar, scritti verso la fine del sec. XVI da Abū 'l-Faḍl ‛Allāmī, la scoperta dell'essenza di rose è attribuita a una moglie dell'imperatore Giahāngīr, la quale avrebbe osservato e fatto raccogliere il velo grasso che galleggiava nei canali dei giardini imperiali, alimentati con acqua di rose: era l'essenza, che ella chiamò, con forma persiana, ‛Aṭar-i giahāngīrī (il profumo di Giahāngīr), in onore del marito (da ciò in inglese attar per l'essenza di rose).
Con l'arte della distillazione, passarono nell'Europa medievale anche le prime notizie sugli olî essenziali: limitate dapprima agli alchimisti. L'oleum mirabile di Arnaldo da Villanova consisteva principalmente in una soluzione alcoolica di essenza di trementina e di rosmarino: esso fu usato come medicinale per uso esterno ma poi, lasciata da parte la trementina, servì come profumo sotto il nome di acqua d'Ungheria. A quei tempi i vegetali da distillare erano spesso bagnati con acquavite, oppure fatti fermentare; gli olî essenziali che se ne ottenevano erano, perciò, sciolti nell'alcool e la loro separazione riusciva difficile. Tuttavia Arnaldo e Raimondo Lullo descrissero la distillazione delle essenze di trementina, di rosmarino e di salvia; Jean de Saint-Amand quella delle essenze di mandorla amara, di ruta e di cannella; Saladino d'Ascoli nel suo Compendium aromatarium alla metà del sec. XV descriveva la distillazione delle rose e del legno di sandalo. Nei più antichi libri sulla distillazione - primo fra tutti quello di Girolamo Brunschwig (1450-1534), seguito da quelli di Filippo Ulstad e di Walter Hermann Ryff - è menzionato un numero sempre maggiore di olî essenziali.
Le essenze di agrumi sembra siano state conosciute, senz'essere utilizzate, fin da quandn si conobbero i frutti. Le essenze distillate di limone e di arancio sono menzionate per la prima volta da Konrad Gesner nel 1555 e poi da Jacques Besson nel 1571. G. B. della Porta, nella sua Magia naturalis, descrive la distillazione di queste due essenze dalla buccia sminuzzata dei frutti. Il metodo di estrazione per trattamento meccanico della scorza (v.) fu descritto per la prima volta da Cl. J. Geoffroy all'Académie des sciences di Parigi nel 1721, quando, verosimilmente, era già in uso da tempo. L'essenza di fior d'arancio era conosciuta fin dal sec. XVI e la sua distillazione è descritta da G. B. della Porta. Essa divenne di moda quando fu introdotta in Francia, verso il 1680, da Anna Maria de la Tremoïlle de Noirmoutier, moglie di Flavio Orsini duca di Bracciano e principe di Nerola; donde il nome di Nerolì che ancora conserva. L'essenza di bergamotto figura per la prima volta nel 1688, in un inventario di farmacia della città di Giessen. Mentre in Europa le acque distillate erano principalmente usate come medicinali, in Asia le droghe odorose d'origine vegetale e animale, le acque, e i grassi profumati con esse e le essenze stesse servivano invece alla toletta. Il grande sviluppo della produzione degli olî essenziali, però, risale soltanto al principio del sec. XIX.
Processi di estrazione. - Gli olî essenziali si estraggono industrialmente con diversi processi: 1. per distillazione in corrente di vapore; 2. per infusione nei grassi, a caldo; 3. per assorbimento, a freddo, nei grassi o in altre sostanze; 4. per soluzione in solventi volatili; 5. per spremitura e, in generale, per trattamento meccanico dei tessuti che li contengono.
La distillazione in corrente di vapore è tuttora usata per la massima parte degli olî essenziali, perché è il processo più economico e, con poche eccezioni, quello che li estrae più completamente e dà i prodotti più puri. Richiede poca mano d'opera e può essere applicato anche con apparecchi semplici e facili ad adoperarsi anche dai contadini che coltivano le piante da essenza. Parecchi olî essenziali, però, si alterano più o meno gravemente durante la distillazione (per azione sia del calore sia dell'acqua); quest'inconveniente si può attenuare, ma non eliminare, operando a pressione ridotta (come si usa, p. es., per le essenze di agrumi). Inoltre alcuni fiori non si prestano alla distillazione perché contengono olio essenziale in quantità relativamente piccola; tanto meno, poi, se quest'olio è facilmente solubile in acqua; in questi casi, dalla distillazione si ottiene un'acqua odorosa, dalla quale non si riesce a separare l'essenza neanche con la coobazione.
Gli altri processi d'estrazione sono usati quasi soltanto in quei casi nei quali la distillazione non dà buoni risultati. L'infusione nei grassi, a caldo, processo molto più antico della distillazione, ormai ha pochissima importanza. L'assorbimento nei grassi, a freddo, è un processo costoso; ma dà essenza dal profumo molto fine ed è preferito per quei fiori che non dànno essenza con la distillazione e che, invece, dopo parecchi raccolti continuano a vivere e a formare nuova essenza. L'estrazione coi solventi volatili si adatta a molte specie di fiori, dà una buona resa e fornisce essenza di buona qualità, è meno costosa dell'assorbimento nei grassi a freddo, ma non così economica come la distillazione; richiede notevoli spese d'impianto ed esperti tecnici. L'estrazione per spremitura e quella per trattamento meccanico dei tessuti che contengono l'olio essenziale si applicano ai frutti di alcune specie di agrumi; è molto meno economica della distillazione e richiede mano d'opera specializzata.
Distillazione in corrente di vapore (v. distillazione). - Si compie in apparecchi di diverso modello riscaldati sia a fuoco diretto, quando si bada all'economia e alla semplicità dell'impianto, sia indirettamente per mezzo del vapore fatto circolare in un doppio fondo, oppure entro serpentini o tubi immersi nel liquido da distillare, oppure fatto gorgogliare in seno al liquido stesso, se si vuole regolare più esattamente la temperatura allo scopo di danneggiare meno l'essenza. Quando si fa gorgogliare il vapore in seno al liquido si ha la distillazione a vapore diretto; negli altri casi, il vapore che trascina l'essenza è fornito dal liquido stesso e la distillazione si dice a vapore indiretto. In alcuni casi la distillazione si compie a pressione ridotta (o, come si dice, nel vuoto) estraendo l'aria dall'apparecchio con una pompa a vuoto. Oltre agli alambicchi a semplice effetto, eccezionalmente (p. es., nel caso dell'essenza di limone) si sono usati anche apparecchi a multiplo effetto e perfino colonne dello stesso tipo di quelle che servono alla distillazione dell'alcool. Gli apparecchi a multiplo effetto consentono una forte economia di combustibile; questa, però, compensa il maggior costo solo quando la lavorazione è continua per molti mesi dell'anno.
In ogni caso, perché l'essenza non si alteri, è necessario che la temperatura non sia troppo alta in nessun punto dell'apparecchio ed è utile che l'operazione sia compiuta nel più breve tempo possibile. Il vapor d'acqua, che trascina l'olio essenziale, dall'apparecchio di distillazione passa in un condensatore (ordinariamente costituito da un serpentino immerso nell'acqua corrente) e di qui in un vaso fiorentino nel quale la massima parte dell'essenza si separa dall'acqua, mentre una parte rimane in essa disciolta. Se la distillazione si compie a pressione ridotta, l'essenza e l'acqua di condensa non defluiscono liberamente dal condensatore nel vaso fiorentino, ma si raccolgono in un recipiente a chiusura ermetica, nel quale si fa pure il vuoto. Facendovi rientrare l'aria, questo recipiente si scarica nel vaso fiorentino a distillazione finita; ma si può anche scaricarlo mentre la distillazione continua, se si dispone di un secondo recipiente eguale, che si riempie mettendolo in comunicazione con il condensatore e con la pompa a vuoto, mentre il primo si vuota.
Il vaso fiorentino è sostanzialmente costituito da due vasi comunicanti nella loro parte inferiore, per mezzo di un tubo; p. es. lo scarico del secondo vaso è a un livello inferiore a quello che il tubo può raggiungere nel primo vaso: sicché, quando si fa arrivare in questo una miscela di essenza e di acqua, l'essenza, che è più leggiera, si raccoglie nella parte superiore, mentre l'acqua va al fondo, passa nel secondo vaso e da questo si scarica. Nella fig. 1 è illustrato un vaso fiorentino del tipo più comune, costituito da un recipiente cilindrico nel quale arriva la miscela di acqua ed essenza e da un tubo T che parte da A a poca distanza dal fondo; l'acqua si scarica da T, l'essenza galleggia in A. Però il vaso fiorentino può assumere forme molto diverse e anche essere costituito da un recipiente diviso in due parti da un diaframma verticale, che porta un orificio nella parte inferiore. L'acqua di condensa, che si separa dall'essenza nel vaso fiorentino, è sempre più o meno intensamente profumata perché contiene disciolta una notevole percentuale dell'essenza. Dalla distillazione di 1000 kg. di fiori d'arancio, p. es., si ottengono 800 g. di essenza libera e 400 kg. di essenza sciolta nell'acqua. Quando certi fiori sono distillati da gente inesperta è facile ottenere soltanto acqua profumata, come appunto accadeva in Oriente ai più antichi distillatori di rose. In certi casi, l'acqua è rimessa in lavorazione con una nuova partita di materia prima. Spesso queste acque odorose costituiscono un sottoprodotto di un certo valore; ma non conviene venderle su mercati lontani, perché richiedono forti spese di trasporto; perciò il possedere oppur no un buon mercato di consumo nel centro stesso di produzione può, in certi casi, influire notevolmente sul costo dell'essenza. Distillando l'acqua odorosa e tornando a distillare ripetutamente il distillato si può, ma non sempre, separare una parte dell'essenza disciolta; però il processo (detto coobazione) è costoso. Recentemente sono stati introdotti processi più economici i quali consistono, fondamentalmente, nello sbattere l'acqua odorosa con un solvente dell'essenza, dal quale poi si ricupera l'essenza nel modo che si dirà più sotto. Il vapor d'acqua, alle basse pressioni alle quali si compie la distillazione, ha soltanto una debole azione disgregatrice sui tessuti vegetali; sicché, se non si provvede a sminuzzarli, spesso se ne ricavano soltanto tracce di essenza. Quest'operazione ha grandissima influenza sul rendimento. Essa si compie per mezzo di mole, di disintegratori oppure di molini a pestelli (v. macinazione) per i legni e i semi; di trinciaforaggi per le erbe; di laminatoi per alcuni frutti. Certi semi (p. es. quelli di mandorla amara e di senape) debbono esser posti a macerare nell'acqua perché si compia la scomposizione enzimatica del glucoside che fornisce l'olio essenziale. Quasi sempre, poi, la materia prima, dopo sminuzzata, si mescola a una forte quantità d'acqua (fino a 6 volte in peso). Fa eccezione l'essenza di limone la quale, quando è preparata col processo Peratoner, arriva all'apparecchio di distillazione mescolata a circa 100 parti di succo dà frutto per 1 parte di essenza. In certi casi, i fiori sono disposti entro l'apparecchio in un cesto metallico perforato oppure sopra una griglia, e vi si fa passare il vapore senza immergerli nell'acqua.
Infusione nei grassi a caldo, o macerazione (fr. enfleurage à chaud). - È ancora usata per le essenze di rosa, di violetta, di acacia farnesiana e di fiori d'arancio. Consiste nell'immergere i fiori, direttamente, oppure dentro un sacco di tela, in un grasso riscaldato a 50°-70°, per un tempo che varia con la specie dei fiori stessi e può arrivare a 48 ore; dopo di che il grasso si spreme dai fiori per mezzo di presse idrauliche oppure di idroestrattori (v. centrifugazione) e vi si mettono in infusione altri fiori freschi. L'operazione si ripete da 10 a 15 volte, finché il grasso ha profumo sufficientemente intenso; allora si chiama olio profumato oppure huile antique o huile française. Talvolta è messo in commercio tal quale; modernamente, però, se ne estrae l'olio essenziale con alcool ad alta gradazione, nel modo che si dirà più sotto. Il profumo dell'olio è tanto più fine, quanto più breve è stato il tempo per il quale i fiori sono rimasti in infusione. Il grasso che rimane dall'estrazione con alcool si chiama corps épuisé e trova impiego nella fabbricazione dei saponi. Si usa grasso di bue oppure grasso di maiale o olio d'oliva; in qualche caso anche olio di paraffina il quale, però, ha un potere assorbente minore. Si usa anche paraffina solida, che presenta il vantaggio di dare grassi profumati i quali restano solidi anche alle temperature delle regioni tropicali e non hanno bisogno di recipienti speciali per la spedizione.
Assorbimento a freddo nei grassi (fr. enfleurage à froid). - È usato per i fiori di gelsomino, tuberosa, giunchiglia, reseda e pochi altri.
Il principio sul quale si fonda è stato spiegato nel 1897 da J. Passy. I fiori si dividono in due categorie; quelli dell'una - alla quale appartengono, p. es., le rose e i fiori d'arancio - prima della raccolta hanno già formato tutto l'olio essenziale; quelli dell'altra al momento della raccolta contengono pochissimo olio essenziale, però continuano a produrne anche dopo staccati dalla pianta. Se si uccidono le cellule, immergendo il fiore in un grasso caldo oppure in un solvente volatile, naturalmente si arresta la formazione dell'olio. Se, invece, il fiore si lascia vivere, come accade nel processo per assorbimento, esso impregna l'aria di una quantità molto maggiore di olio essenziaie, che viene assorbito dal grasso. Hesse, verificando sperimentalmente l'ipotesi di Passy, trovò che, per assorbimento a freddo nel grasso, il gelsomino forniva 11 volte, la tuberosa 13 volte la quantità di essenza che si ottiene coi solventi volatili. Invece, i fiori d'arancio, che appartengono alla prima categoria del Passy, secondo Hesse e Zeitschel, per ogni 100 g. di olio essenziale che rendono con l'assorbimento a freddo nei grassi, ne rendono 400 con l'infusione nei grassi a caldo e 1200 con la distillazione in corrente di vapore. Il grasso che si usa generalmente è una miscela di grasso di rognone di bue e di maiale nelle proporzioni di 40 e di 60 parti rispettivamente; oppure di metà e metà, se si opera nei paesi caldi. Alcuni usano grasso di montone. L'assorbimento si compie in telai di legno (p. es., di 50 × 80 cm. e 5 cm. di spessore) che portano una lastra di vetro. Questa si spalma, dalle due parti, con uno strato di grasso dello spessore di circa 3 mm., lasciando libero un orlo di circa 4 cm. tutto intorno. Si dispone il telaio orizzontalmente e si spargono i fiori sullo strato di grasso; poi sul primo telaio se ne dispone un secondo e sulla faccia superiore di questo si spargono altri fiori. Così si formano delle pile di telai, nelle quali i fiori restano chiusi dentro camere d'aria, fra due strati di grasso. I fiori di gelsomino si lasciano nel telaio per 24 ore, quelli di giunchiglia per 48, quelli di tuberosa per 72; questi ultimi debbono esser messi nei telai quando sono ancora chiusi, altrimenti marciscono. I fiori sono poi tolti dal grasso e l'operazione si ripete con altri fiori, però rovesciando i telai e spargendo i fiori sul grasso che prima era rimasto libero. L'operazione si ripete fino a 30 volte con lo stesso grasso. Si ottiene una pomata (pommade française) il cui valore commerciale è proporzionato al numero delle operazioni che ha subito. La preparazione del grasso è un'operazione delicata. Lo si prende fresco dal macello, lo si taglia in pezzi, se ne tolgono le parti sporche o puzzolenti e lo si lava e lo si riduce in pasta, in una molazza, per liberarlo dal sangue, fino a tanto che l'acqua resta chiara. Quindi si fonde in una caldaia riscaldata con camicia di vapore e lo si fa bollire lentamente, con circa il 0,2% di allume che ne fa coagulare le impurità; si schiuma, si lascia riposare e, quando l'acqua si è separata, si passa attraverso una tela poco fitta, senza troppo spremere. Perché il grasso cosi purificato non irrancidisca, vi si mettono in fusione per un'ora fiori d'arancio (250 g. per 1 kg. di grasso) o, più raramente, vi si mescola acqua di rose (40 g. per kg.), aggiungendo contemporaneamente del benzoino (1-3 g. per kg.); si lascia in riposo per parecchie ore e poi si separa il grasso chiaro, liberandolo accuratamente dall'acqua. Così preparato si conserva per molto tempo. Dei grassi meno fini si preparano sostituendo al trattamento con fiori di arancio o acqua di rose un'aggiunta di balsamo di Tolù oppure di gemme di pioppo; però bisogna avvertire che il profumo dell'essenza dipende strettamente dalla bontà del grasso adoperato. In certi casi si usa olio d'oliva oppure olio di paraffina o vaselina puri, che non hanno bisogno di preparazione speciale. L'olio di paraffina offre il vantaggio di conservarsi indefinitamente senza alterarsi; però con esso si estrae poco più della metà dell'essenza che si ottiene con i grassi sopra descritti. Con gli olî si impregnano dei pezzi di lana, che si dispongono su reti metalliche nei telai. Un tempo in Francia si usava olio di Moringa pterygosperma Gärtn. La pomata profumata può essere usata tal quale; ordinariamente, però, se ne fanno estratti alcoolici spappolandola, in appositi apparecchi, con alcool, che scioglie quasi tutto l'olio essenziale. Il grasso così trattato (corps épuisé) ha perduto la proprietà assorbente e, come quello proveniente dall'infusione a caldo, viene utilizzato nell'industria dei saponi. Per separare dall'estratto alcoolico le tracce di grasso che contiene, lo si raffredda fortemente (a −18°) in un frigorifero: il grasso si solidifica e precipita; poi si filtra. Distillando l'estratto, resta come residuo l'olio essenziale puro. Il Passy aveva proposto di usare come mezzo assorbente l'acqua, immergendovi i fiori ed estraendone poi, con etere, l'olio essenziale. I progressi compiuti negli ultimi anni nello studio del fenomeno dell'assorbimento hanno fatto sorgere l'idea di sostituire ai grassi altre sostanze assorbenti. Dapprima sono stati provati il carbone vegetale e il carbone animale; recentemente, poi, la magnesia leggiera, che è a buon mercato e consente di ridurre l'impiego di mano d'opera.
Metodo pneumatico di Piver. - Secondo questo metodo, inventato da A. Piver nel 1859, i fiori non sono messi a contatto col grasso, ma disposti su telai di rete metallica, traverso i quali circola continuamente dell'aria, o dell'anidride carbonica, che poi lambisce il grasso disposto su altri telai e gli cede l'olio essenziale di cui si è impregnata nel suo passaggio sui fiori. Questo metodo fu applicato per qualche tempo, con successo, al gelsomino e alla tuberosa e si dice fornisse prodotti fini. Al grasso sono stati sostituiti olî e anche alcool assoluto. Il metodo è stato utilizzato - invertendo il senso della corrente gassosa e sostituendo con olio essenziale la sostanza assorbente - per profumare artificialmente i fiori.
Estrazione coi solventi volatili. - Si applica specialmente alle rose, alle violette, ai fiori d'arancio, al gelsomino, all'acacia farnesiana, alla reseda, alla tuberosa, alla giunchiglia. Come solvente si usa generalmente l'etere di petrolio, più raramente il benzolo; si possono anche usare l'etere etilico, l'acetone, l'alcool etilico, il toluolo che tutti, però, presentano serî svantaggi. I fiori si lavano ripetutamente col solvente il quale ne estrae, insieme con l'olio essenziale, cere e materie coloranti. Si distilla poi il solvente e si ottiene una sostanza solida a temperatura ordinaria, la cosiddetta essenza concreta. Sottoponendo questa a lavaggio non si scioglie; si scioglie, invece, l'olio essenziale e si ha il cosiddetto estratto di fiori dal quale, distillando l'alcool, si ottiene l'olio essenziale puro o essenza assoluta (fr. quintessence). L'estrazione coi solventi volatili fu proposta nel 1855 da Robiquet, il quale fece degli esperimenti sui fiori di giunchiglia, usando etere etilico come solvente. Vent'anni dopo, gli esperimenti furono ripresi da Millon il quale usò come solventi l'etere, il cloroformio, il solfuro di carbonio, l'alcool metilico e la frazione più volatile della benzina di petrolio. H. Hirzel, qualche anno più tardi, propose l'etere di petrolio e nel 1864 brevettò apparecchi appositi. Ma le difficoltà e i pericoli inerenti all'uso di questi solventi per molti anni scoraggiarono dall'applicare industrialmente il processo. A. Piver tornò a sperimentarlo, ma finì col preferire il suo metodo pneumatico. In quel torno di tempo L. Roure preparò degli estratti alcoolici di fiori e delle essenze concrete, le quali figurarono all'esposizione di Vienna nel 1873. Finalmente, nel 1875, L. Naudin brevettò un apparecchio che avrebbe permesso l'applicazione industriale del processo, se non fosse stato eccessivamente complicato. Qualche anno dopo il Massignon, imitando i diffusori usati nell'industria dello zucchero, costruì un apparecchio veramente pratico per l'estrazione con l'etere di petrolio; quest'apparecchio funzionò per molti anni in una sua fabbrica di Cannes, poi venduta a L. Chiris. Attualmente si usa etere di petrolio di densità 0,650 a 15°, purificato trattandolo con acido solforico e soluzione di soda caustica, lavandolo con acqua e rettificandolo su paraffina in una colonna (v. distillazione) per liberarlo tanto dalle frazioni più leggiere quanto dalle più pesanti. Gli apparecchi di estrazione sono generalmente costituiti di parecchi recipienti cilindrici, il cui coperchio si può togliere per introdurvi i fiori (che si dispongono dentro panieri metallici oppure su griglie) e poi si può richiudere a perfetta tenuta d'aria. Questi recipienti sono collegati da tubazioni per mezzo delle quali, con un opportuno giuoco di valvole, una pompa può far passare il solvente dall'uno all'altro. Per il primo lavaggio dei fiori freschi si usa solvente che ha già servito in operazioni precedenti; il solvente fresco si usa per l'ultimo lavaggio di una partita di fiori poi per il penultimo lavaggio di una seconda partita; poi per il terz'ultimo lavaggio di una terza partita e così via. Ciascuna partita di fiori normalmente è sottoposta a tre lavaggi; più raramente a due oppure a quattro; ciascun lavaggio dura parecchie ore, fino a 6 0 8 se si vuole che l'estrazione dell'olio essenziale sia completa. Dopo l'ultimo lavaggio, fatto colar via il solvente dai fiori esauriti, se ne ricupera quello che ancora li imbeve facendovi passare una corrente di vapore. La distillazione del solvente che ha servito ai lavaggi si compie a pressione ordinaria in una grande bolla: quando la temperatura sta per raggiungere il punto al quale l'essenza comincerebbe ad esser danneggiata, la distillazione si continua nel vuoto, in una bolla più piccola; infine, se occorre, si fa passare attraverso l'essenza una corrente di vapore d'alcool per trascinare le ultime tracce di solvente. Il solvente così ricuperato viene poi rettificato in un apposito apparecchio e adoperato di nuovo. Per mantener basso il costo dell'estrazione è necessario che le perdite di solvente siano ridotte al minimo; perciò si ha cura di far condensare tutti i vapori che escono dall'apparecchio, abbassando la temperatura nei condensatori anche con apparecchi frigoriferi. È questo uno dei lati più delicati della lavorazione.
Spremitura e trattamento meccanico dei tessuti. - Le essenze di limone, di arancio, di mandarino e di limetta, fino a qualche anno fa, si sono estratte dai frutti che le contengono, quasi esclusivamente coi due processi della scodella e della spugna. Invece, l'essenza di bergamotto, da una ottantina d'anni, si estrae dai frutti con una macchina speciale. Tutti e tre questi processi, originariamente, sostituirono la distillazione perché davano un prodotto dal profumo più gradevole; ma siccome sono costosi perché richiedono molta mano d'opera e - specialmente quello della spugna - mano d'opera altamente specializzata, dal 1910 sono stati introdotti dei processi meccanici che, recentemente perfezionati, quando sono ben condotti dànno essenza di qualità quasi eguale a quella della spugna. Una gran parte dell'essenza di limone s'estrae ormai con questi nuovi processi e con quello della distillazione nel vuoto.
Il processo della scodala pare fosse usato anche nell'Italia meridionale prima del 1800; si sostenne a lungo nella Francia meridionale; è ora usato quasi soltanto nelle isole di Giamaica, Dominica e altre delle Indie Occidentali, da operai negri. Consiste nello strofinare il frutto sulla cosiddetta scodella, rotolandolo in modo da esporre tutta la superficie della scorza all'azione delle punte di questa. La scodella (fig. 2) è un piatto di rame, del diametro di circa 25 cm., guarnito di chiodi di ottone a punta ottusa, che sporgono per circa 20 mm.; al centro porta un grosso manico cavo, che serve a tenerla ferma e dentro al quale si raccolgono l'essenza e il liquido acquoso che vengono fuori dalla scorza nella lavorazione; l'operaio lavora seduto, con la scodella sulle gambe.
Il processo della spugna è usato quasi esclusivamente in Sicilia e un poco anche in Calabria; le sole regioni che possiedono la mano d'opera specializzata. Un tempo si praticava col cosiddetto metodo della scorza in tre; cioè tagliando dal frutto tre pezzi di scorza (fig. 3); ma per le forti perdite di essenza, esso fu sostituito dal metodo della scorza in due o della scorzetta, secondo il quale i frutti sono dapprima tagliati in due metà (i limoni sono tagliati per il lungo, oppure per traverso, come si vede dalla fig. 4). Dai mezzi frutti si cava la polpa con uno speciale cucchiaio dall'orlo tagliente; dopo di che le scorze vengono immerse per parecchie ore nell'acqua, perché si inturgidiscano e sia facilitata l'operazione successiva, la sfumatura. Questa è la più delicata. Consiste nel far sprizzare l'essenza dalla scorza in una spugna, con ripetute, forti e rapide pressioni delle dita, dall'interno all'esterno della scorza stessa (fig. 4). Per esercitare la maggior pressione possibile, l'operaio siede su bassi sgabelli, nella scomoda posizione illustrata nella figura 5.
La grossa spugna nella quale si raccoglie l'essenza è fissata alla traversa di uno speciale recipiente di terracotta smaltata, detto concolina; ogni tanto l'operaio preme la spugna: ne cola una miscela di acqua e di olio essenziale, che poi si separa per decantazione. La spugna, oltre ad assorbire il liquido che sprizza dalla scorza, compie l'importantissimo ufficio di trattenere i detriti solidi e le sostanze colloidali che accompagnano l'essenza, sicché questa cola quasi perfettamente chiara, insieme con acqua pure chiara; le poche impurità che contiene ancora dopo separata dall'acqua della concolina si separano lentamente per decantazione. Gli operai hanno cura di lavare spesso le spugne e le concoline: precauzione necessaria per evitare l'alterazione dell'essenza. Un abile operaio sfuma le scorze di 1000 limoni in 2½-3 ore di lavoro.
In alcune parti della Sicilia orientale la sfumatura si compie con macchinette del tipo di quella illustrata alla fig. 6, nella quale le scorze sono strizzate entro un cappuccio di spugna e la pressione è applicata dall'esterno all'interno della scorza. Questa macchinetta consente all'operaio di lavorare in una posizione più comoda e di esercitare sforzi meno intensi; sicché l'operazione può essere compiuta da donne e da ragazzi. Dalla polpa dei limoni (in qualche caso anche da quella degli aranci) si torchia il succo, che serve alla fabbricazione del citrato di calcio (v. citrico, acido). Col processo della spugna non si estrae più del 70-80% dell'essenza contenuta nei frutti. Questa resa è di molto superata sia dalla distillazione nel vuoto, sia dai moderni processi meccanici. È caratteristico della vecchia lavorazione l'uso di provare se le scorze sono bene sfumate, strizzandone l'essenza sulla fiamma di una candela; una scorza vergine dà una fiammata; una scorza esaurita non dà che piccolissime fiammelline.
L'essenza di bergamotto a Reggio Calabria si estrae quasi tutta con una macchina inventata intorno al 1840 da Nicola Barillà e lentamente perfezionata in seguito. Essa (fig. 7) è sostanzialmente costituita da due coppe (fatte di una lega di zinco, stagno e piombo) delle quali quella inferiore (fig. 8, in basso) è fissa all'incastellatura della macchina; quella superiore (fig. 8, in alto) che differisce dall'altra perché ha la concavità volta verso il basso e porta delle alette di ottone, ruota intorno a un asse verticale. Il diametro esterno delle due coppe è di 30 cm. Nell'inferiore si dispongono contemporaneamente da 6 a 10 bergamotti di eguale grandezza; poi si abbassa la coppa superiore, la quale li trascina e, per la forma stessa del canale entro cui si muovono, li obbliga a compiere anche un moto di rotazione intorno a uno dei proprî assi, scorrendo sulle punte della coppa inferiore; sicché tutta la loro scorza è leggermente raschiata e ne sprizza l'olio essenziale, insieme con acqua, detriti dei tessuti e sostanze colloidali, che insieme colano in un recipiente sottostante, attraverso finestre praticate nella coppa inferiore. La lavorazione si compie sotto una pressione che varia secondo il grado di maturità dei frutti ed è regolata disponendo dischi di piombo sulla coppa superiore. Se i frutti non sono tutti di grandezza quasi eguale, parte dell'essenza va perduta, anche perché i più grossi sono schiacciati. La poltiglia, separata per decantazione dal liquido, è messa in sacchi che si spremono, dapprima sotto debole pressione, ottenendone acqua e poi sotto torchi; se ne ricava così l'olio essenziale misto a poca acqua e ad impurità che si separano lentamente per decantazione. Ciascuna operazione, fra caricamento, lavorazione e scarico dei frutti, dura in media 50 secondi; sicché la macchina può lavorare circa 65 kg. di bergamotti all'ora estraendone il 65-70% dell'essenza originaria. A ogni macchina sono addetti due operai, i quali provvedono anche a scegliere frutti di grandezza eguale e a tagliare, da quelli di forma irregolare, i pezzi di scorza non lavorati che trattano col processo della spugna; sicché occorrono operai specializzati e la lavorazione riesce poco meno costosa che col processo della spugna. La macchina non si presta affatto alla lavorazione dei frutti sferici; tanto meno, poi, dei limoni che hanno forma irregolare.
Le macchine per la lavorazione dei limoni, che sono state introdotte nell'industria negli ultimi vent'anni, sono di disegno molto diverso l'una dall'altra. Tutte, però, si fondano sul principio di raschiare leggermente la scorza dei frutti, di far trascinare l'olio essenziale da una corrente d'acqua e poi di separarlo dall'acqua, dai detriti di tessuti e dalle sostanze colloidali ehe lo accompagnano, con due metodi diversi: per decantazione e successiva torchiatura traverso spugne o lana, oppure per centrifugazione.
Nelle macchine più moderne si caricano contemporaneamente un gran numero di frutti, i quali vengono continuamente rimescolati, così da presentare tutta la superficie della scorza all'azione degli organi abradenti. La macchina Speciale, che è una di queste, è costituita (fig. 9) da due camere A e B, molto più lunghe che larghe, separate da un diaframma F, mobile intorno all'asse G, il quale può mettere in comunicazione l'una o l'altra di esse col canale di scarico. Il fondo di ciascuna camera è costituito da due cilindri C, che girano nello stesso senso. Sia i cilindri che le pareti delle camere e del diaframma sono guarniti di punte; dai tubi forati L cade una pioggia d'acqua. Mentre una delle camere si vuota, i limoni sono caricati, alla rinfusa, entro l'altra e vengono trascinati dai cilindri e lanciati su per la parete del diaframma; di qui ricadono, mischiandosi; cosi la massa è energicamente rimescolata.
A lavorazione finita, si sposta il diaframma F e i frutti vengono lanciati nel canale per il quale escono dalla macchina. L'acqua di lavaggio, che trascina l'essenza, va in una serie di vasi fiorentini oppure in un separatore centrifugo e, ripresa da una pompa, torna nella macchina. Dal separatore centrifugo si ottiene direttamente l'essenza chiara; dai vasi fiorentini, invece, si raccoglie una poltiglia, con la quale si inzuppano delle spugne (oppure della lana) che, poste entro un sacco, sono spremute in una pressa idraulica. Con questo processo si estrae circa il 90% dell'essenza contenuta nei frutti.
Perché l'essenza riesca di buona qualità è necessario che la poltiglia non cominci a fermentare; perciò sarebbe necessario separarne l'essenza immediatamente dopo estratta dai frutti; ma questo è difficile quando ci si affida alla semplice decantazione nei vasi fiorentini. Di più, alcuni costituenti dell'essenza si trasformano in altri meno profumati, quando essa è agitata a lungo con acqua e aria, come avviene in talune macchine. Recentemente sono stati applicati metodi che consentono di separare l'essenza dalla poltiglia e dall'acqua quasi immediatamente dopo la sua uscita dalla macchina; con essi si ottiene essenza di ottima qualità con le stesse macchine che un tempo non ne davano che di pessima. In confronto al processo della spugna, con le macchine del tipo di quella sopra descritta il costo dell'estrazione è molto più basso e il rendimento in essenza piu elevato.
Per la lavorazione dei limoni sono stati pure introdotti dei processi che consistono nel triturare e torchiare i frutti e separare poi l'olio essenziale dal succo che viene estratto insieme con esso. Col più antico di questi processi, introdotto nell'industria siciliana dal prof. A. Peratoner, il succo di limone mescolato all'essenza viene distillato nel vuoto; si ottiene un'essenza molto migliore che non con la distillazione a pressione ordinaria, meno profumata, però, di quella ottenuta col processo della spugna e di prezzo più basso; sicché questo processo non ha avuto larga diffusione, malgrado il basso costo di lavorazione e l'alta resa in essenza. Con l'altro di questi processi, brevettato nel 1914 da A. H. Bennett di Messina, l'olio essenziale è separato dal succo di limone per mezzo di un separatore centrifugo il quale, però, ne lascia nel succo una frazione che deve essere ricuperata per distillazione; questa frazione è maggiore o minore secondo il modo in cui sono state condotte la torchiatura dei frutti e le successive operazioni. Se la lavorazione è ben condotta, l'essenza separata per centrifugazione risulta di ottima qualità.
Separazione dei costituenti degli olî essenziali. - Sebbene la separazione completa dei costituenti degli olî essenziali sia molto difficile, in parecchi casi se ne separano, anche industrialmente, allo stato più o meno puro, alcuni costituenti che servono da materia prima all'industria dei profumi sintetici, oppure alla sofisticazione di altri olî essenziali; oppure se ne separano delle miscele dei costituenti più pregiati, che servono sostanzialmente ai medesimi usi dell'essenza originaria. Per la separazione è spesso utilizzata la distillazione frazionata (v. distillazione) la quale, peraltro, serve male per quei costituenti che hanno tensione di vapore poco diversa. In certi casi, alcuni costituenti, p. es., il mentolo, l'anetolo, ecc., si separano per raffreddamento dalle essenze che ne sono ricche. In altri casi si procede per via chimica, utilizzando reazioni particolari.
Per es., le aldeidi e i chetoni si separano agitando l'essenza con bisolfito sodico, che si combina con esse. In qualche caso si distruggono le sostanze che accompagnano il costituente da separare, trattando con reattivi che non attaccano quest'ultimo. Spesso il processo è molto complesso e comprende ripetute distillazioni frazionate, estrazioni con solventi volatili, oltre a lavaggi, ecc. Malgrado ciò, difficilmente si riesce a ottenere un prodotto perfettamente puro; ché anzi, la presenza anche di tracce di costituenti secondarî ordinariamente permette agli esperti di riconoscere all'olfatto l'essenza dal quale proviene.
Deterpenazione. - Quest'operazione, che alcuni preferiscono chiamare concentrazione, consiste nella separazione dei costituenti più odorosi da essenze che sono formate per la massima parte di terpeni. Fu applicata industrialmente per la prima volta nel 1876 da H. Haensel e ha molta importanza per le essenze di limone, di arancio e di altri frutti degli agrumi. Si compie per distillazione frazionata nel vuoto. In qualche caso, invece, si tratta l'essenza con alcool a 60°-70° e così si separano i terpeni che in esso sono pochissimo solubili; distillando poi l'alcool, si ottiene l'essenza deterpenata. Spesso si combinano i due processi sopraccennati.
Le essenze deterpenate di agrumi sono molto più solubili che non l'essenza naturale; ma il loro profumo, sebbene intenso e gradevole, è meno vicino a quello del frutto fresco che non il profumo di quella.
Sofisticazione. - L'uso di mescolare ad un olio essenziale altri olî essenziali meno rari per ottenere con minore spesa un profumo egualmente intenso, sebbene meno fine, è poco meno antico della loro scoperta stessa. Una delle più antiche ricette conosciute, quella di Dioscuride (v. sopra) insegnava a preparare, sotto il nome di "olio di rose" una miscela di olio di rosa e di Inneus; cioè, quello che oggi si direbbe un olio di rose grossolanamente sofisticato. Questa sofisticazione non era fatta a scopo di lucro; ma non si può dire altrettanto delle molte, che fin dai tempi annchi si sono compiute sull'essenza distillata di rosa. Un viaggiatore europeo notava nel sec. XVII che in Persia si distillava legno di sandalo insieme con le rose; un secolo dopo, un altro europeo trovava che nel Kashmir si mescolava ad esse non solo essenza di legno di sandalo, ma anche di Andropogon schoenantus. Più recentemente, invece, si sono usate essenze di palmarosa e di geranio, alcool, ecc. Alcune essenze orientali non si conoscono allo stato puro.
Per frenare la sofisticazione, si è introdotto nel commercio l'uso di fare analizzare un campione di ogni partita di olio essenziale oggetto di compravendita. I metodi di analisi utilizzano il grande lavoro scientifico già compiuto sulla composizione delle essenze e sui caratteri fisici e chimici dei loro costituenti. L'analisi ha costretto ad abbandonare le sofisticazioni più facili, più grossolane e più dannose al profumo delle essenze per altre che ne alterano meno i caratteri e, per ciò stesso, sono più difficili a scoprirsi. Mentre un tempo l'essenza di limone era grossolanamente sofisticata con essenza di trementina; la più grave delle sofisticazioni che ora si pratica consiste nel diluirla con terpeni ottenuti dalla distillazione frazionata dell'essenza stessa, arricchiti con citral estratto dal lemongrass o da altra essenza, cioè con lo stesso individuo chimico che dà all'essenza di limone il suo profumo caratteristico; la differenza fra questa essenza sofisticata e l'essenza pura sta nella mancanza di alcuni dei costituenti secondari che contribuiscono a formare il profumo caratteristico dell'essenza di limone e nella presenza, invece, di costituenti secondarî meno gradevoli, provenienti dall'essenza di lemongrass. L'essenza di bergamotto, un tempo sofisticata semplicemente con essenza di limone (o, più grossolanamente, con essenza di trementina) più recentemente è stata addizionata di tutta una serie di eteri sintetici, che servono a nascondere la diminuzione nell'intensità del profumo, dovuta alle diluizioni.
L'uso delle analisi ha portato a un grandissimo miglioramento dell'essenza sofisticata rispetto a quella di un tempo. Inoltre si è ridotta fortemente la differenza di costo fra l'essenza pura e quella sofisticata e ciò scoraggia molti sofisticatori.
Analisi. - I lavori eseguiti in questi ultimi anni hanno fatto compiere ai chimici progressi enormi circa la conoscenza della composizione degli olî essenziali ed oggi si hanno metodi abbastanza efficaci per assicurarsi delle qualità di essi e riconoscerne le adulterazioni. L'analisi degli olî essenziali comprende anzitutto la determinazione delle proprietà fisiche che devono essere il punto di partenza per l'esame e lo studio delle essenze. I saggi da eseguirsi sono: 1. determinazione del peso specifico, P. S.; 2. determinazione del potere rotatorio, P. R. o aD; 3. determinazione dell'indice di rifrazione, I. R. o nD; 4. temperatura di ebollizione, T. E.; 5. punto di fusione e congelazione; 6. solubilità nell'alcool diluito. In commercio il valore di una essenza dipende specialmente dal costituente principale, che serve a caratterizzarne il profumo, sebbene vi siano altri componenti che, pur essendo in minima quantità, lo completano. L'analisi chimica serve principalmente a caratterizzare, isolare, dosare questi componenti del profumo. Le ricerche chimiche comuni e la determinazione dei costituenti principali che si fanno sulle essenze sono: 1. determinazione dell'indice di acidità, I. A.; 2. indice di saponificazione e indice di etere, I. S., I.E.; 3. indice di etere dopo acetilazione o indice di acetile, I. Ac.; 4. dosamento degli alcoli, delle aldeidi e dei chetoni; 5. dosamento dei fenoli, degli ossidi, dei composti azotati, dei composti solforati.
Usi. - Gli olî essenziali servono da materia prima principalmente all'industria dei profumi, ma anche a quelle dei liquori e delle bevande analcooliche; alcune forniscono la materia prima all'industria dei profumi sintetici. L'essenza di trementina è principalmente usata come solvente nelle vernici. Altre trovano uso in farmacia.
L'uso crescente dei profumi sintetici, se ha spostato alcune essenze naturali, ha giovato alla produzione di altre, dando modo ai profumieri di comporre nuovi bouquets, nei quali entrano sempre essenze naturali.
Produzione e commercio. - Gli olî essenziali, dal punto di vista economico, sono caratterizzati dall'essere merce molto ricca, paragonabile ai metalli preziosi (molti di essi, a pari peso, costano più dell'argento; qualcuno si avvicina al prezzo dell'oro) e perciò, come un tempo le spezie, sono fra le merci trasportate a grandissima distanza e superano facilmente le barriere doganali. Inoltre, essi possono essere prodotti anche in paesi sprovvisti di facili vie di comunicazione coi mercati di consumo e, perciò, anche in quei paesi tropicali dove terreni e mano d'opera sono più a buon mercato. Non possono però conservarsi inalterati che per un periodo relativamente breve; quindi l'equilibrio fra produzione e consumo deve essere ristabilito rapidamente tutte le volte che è rotto; ciò anche per il fatto che questa loro deperibilità li rende poco adatti a formare oggetto di quelle operazioni di credito con le quali ordinariamente si finanziano le operazioni di sostegno del mercato di molte merci. Altra caratteristica importante è che il processo di estrazione più diffuso - la distillazione - e alcuni degli altri possono essere applicati dalle piccole aziende come dalle grandi. D'altra parte, il fatto che la coltivazione delle piante da essenza e la raccolta di quelle selvatiche richiedono molta mano d'opera, porta anch'esso al frazionamento della produzione.
Di più, gli olî essenziali arrivano al consumatore definitivo dopo essere stati trasforrnati dai fabbricanti di profumeria e questi non comprano un solo olio essenziale, ma molti insieme e variano spesso la composizione dei loro acquisti. Il commerciante specializzato in una sola essenza si trova in posizione svantaggiosa rispetto a quello che può offrire al profumiere tutte le essenze delle quali può aver bisogno. D'altra parte, la piccola ditta che vuol offrire un assortimento completo è costretta a comprarne molte sulla piazza, lasciando un profitto al venditore; perciò anch'essa si trova in svantaggio rispetto a quella che le importa tutte direttamente dai luoghi di produzione.
Per queste caratteristiche degli olî essenziali, sebbene solo in rarissimi casi vi sia qualche rapporto fra la produzione di due essenze diverse, il commercio di tutte è dominato da un numero relativamente piccolo di grandi ditte, le quali li importano dai più lontani paesi e li riesportano nei più lontani mercati, attraverso una rete di filiali e di corrispondenti. Le maggiori di queste ditte si sono sviluppate nei centri maggiori dell'industria profumiera mondiale: Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti.
La loro presenza ha giovato moltissimo al sorgere di una produzione nazionale di quelle essenze che era economicamente possibile produrre, e anzi, non mancano esempî di coltivazioni delle quali si sono fatte esse stesse promotrici.
Fra i centri di produzione delle essenze occupa un posto importantissimo quella zona costiera della Francia meridionale che ha per centro Grasse e si stende dal confine italiano fino a una trentina di km. a occidente di Cannes, comprendendo Nizza. L'industria dispone di stabilimenti benissimo attrezzati dal punto di vista tecnico e, utilizzando i processi di estrazione più difficili (assorbimento a freddo nei grassi, estrazione coi solventi volatili), mira a dar prodotti che, per la loro qualità superiore, possano vendersi in concorrenza di esigenze estere dal costo di produzione minore. La coltivazione dell'arancio amaro, del gelsomino, dell'acacia farnesiana, della rosa, della tuberosa e, insieme, di altre piante - che per il piccolo consumo della loro essenza non potrebbero essere utilizzate dove le spese generali degli stabilimenti di estrazione non fossero in gran parte pagate da lavorazioni più importanti - costituisce un ramo di una floricoltura intensiva e ad alto reddito, che spedisce fiori recisi e piante nei più ricchi mercati europei. Inoltre si distillano le essenze di lavanda (produz. annua 140.000 kg.), di timo, ecc.
L'Italia, dopo la guerra, ha creato un'industria che produce le stesse essenze di quella francese, che le è servita da modello. I suoi centri principali sono quelli stessi della floricoltuta nella Riviera di Ponente e, inoltre, la Sicilia orientale, le coste della provincia di Reggio Calabria e la zona di Fondi (prov. di Roma). Quest'industria, che si va irrobustendo a poco a poco, rispetto alla francese è favorita dal clima e dal minor costo della mano d'opera italiana, alla quale i coltivatori francesi non possono più attingere così facilmente come un tempo.
In Italia si producono pure alcune essenze che formano oggetto di industrie specializzate e, per la maggior parte, utilizzano un'apparecchiatura di tipo agricolo: essiccazione di bacche di ginepro (Toscana e Appennino emiliano); di lavanda (prov. di Cuneo e Imperia: prod. annua 6000 kg.); di menta piperita (Polonghera, Vigone in Piemonte e Codigoro prov. di Ferrara: prod. annua 40.000 kg.); di salvia sclarea (Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria), di anice verde, di carvi, ecc. Inoltre si producono materie prime, che per la maggior parte sono esportate, come i rizomi d'Iris florentina in Toscana (prod. annua 1.200.000 kg.) e i semi di senape e si estrae l'essenza da materie prime estere (chiodi di garofano, ecc.).
L'Italia occupa un posto di prim'ordine nell'industria delle essenze, specialmente per la produzione di quelle di limone, di bergamotto, di arancio dolce, di arancio amaro e di mandarino nelle sue zone agrumarie della Sicilia e della Calabria (v. arancio; bergamotto; citrico, acido; limone). La graduale scomparsa del processo della spugna - che per la grande difficoltà di controllare seriamente il lavoro dei salariati, faceva sì che fosse economicamente più vantaggiosa una piccola industria molto simile al lavoro a domicilio - consente ora di andar concentrando la produzione in stabilimenti sempre più grandi, che utilizzano i processi meccanici. Dall'Italia si esportano annualmente circa 650.000 kg. di essenza di limone, 170.000 kg. di essenza di bergamotto, 150.000 kg. di essenza di arancio, 7000 kg. di essenza di mandarino. Fuori d'Italia si estraggono essenze dai frutti degli agrumi in California (limone e arancio dolce), alla Giamaica e in Spagna (arancio), nelle isole di Dominica e viciniori (limetta); da qualche anno anche in Australia, nell'Africa meridionale e orientale, nella Guinea Francese e in Palestina. Lo sviluppo della produzione di questi paesi costituisce una minaccia per la supremazia di cui tuttora gode il mercato di Messina.
La principale produttrice di essenza di rosa è la Bulgaria, che ne produce 2000 kg. all'anno; segue la Francia meridionale con 400 kg.; vi sono anche delle piantagioni in Germania (Militz presso Lipsia) e in Italia. È caratteristico che il passaggio di questa industria dalla Persia alla Bulgaria e la sua recente introduzione nei paesi sopraccennati, sono stati determinati specialmente dall'abuso che si è fatto delle sofisticazioni nei paesi che credevano di essersene assicurato il monopolio.
In Europa si producono molte altre essenze, fra le quali vanno ricordate quelle di angelica, di anice verde, di basilico, di camomilla, di carvi, di coriandolo, di finocchio, di bacche di ginepro, di menta Mitcham, di rosmarino, di senape, di spigo, di timo. L'essenza di geranio si produce principalmente in Algeria, nel Marocco e alla Réunion e poi in Provenza, in Corsica e in Spagna. Le varie essenze di Andropogon (o Cymbopogon) sono prodotte quasi soltanto nelle Indie inglesi e olandesi: così l'essenza di citronella, l'essenza di lemongrass, le essenze di palmarosa e di gingergrass; l'essenza di vetiver, invece, è distillata specialmente in Europa dalle radici secche importate. L'India inglese fornisce, inoltre, legno di sandalo, del quale parte è distillato sul posto, parte in Europa. Le essenze di ylang-ylang e di cananga provengono dalle Filippine, dalla Réunion, da Giava e dal Madagascar. L'essenza di cannella di Ceylon è estratta dai detriti delle scorze secche esportate in grande quantità specialmente da quell'isola. Si produce, invece, nella Cina una essenza diversa detta appunto di cannella di Cina, oppure olio di Cassia. L'essenza di linaloe di Caienna (bois-de-rose) viene dalla Guiana francese. Il Messico produce pure essenza di linaloe, da un'altra specie di alberi. L'essenza di petit-grain, distillata dalle fronde e dai frutti maturi dell'arancio amaro, è prodotta principalmente al Paraguay da alberi selvatici (produzione annua 60.000 kg.); in quantità relativamente modesta è prodotta anche nella Francia meridionale e in Italia. La maggiore produzione di essenza di trementina è quella degli Stati Uniti. Concentrata fino al 1870 nelle due Caroline, si è poi spostata verso le foci del Mississippi. Insieme all'essenza normale, distillata dalla resina, si distilla dalle radici degli alberi tagliati la cosiddetta steamed wood turpentine, meno pregiata. La Francia provvede al proprio consumo con l'essenza delle Lande e della Gironda, più pregiata di quella americana; anche la Grecia e la Spagna producono essenze di trementina, però in quantità limitata. L'essenza di legno di cedro è distillata dallo Iuniperus virginiana principalmente nel Tennessee; in parte anche in Europa, dai trucioli del legno adoperato nella fabbricazione delle matite. Gli Stati Uniti hanno una forte produzione di essenza di menta piperita (120.000 kg. all'anno). L'essenza di ambretta viene dalla Martinica, dall'India, da Giava, da Madagascar e dalle Comore; quella d'ajowan dall'India, dall'Afghanistan, dalla Persia e dall'Egitto; quella di basilico specialmente dalla Réunion e da Giava; quella di anice stellato (o badiana) dalla Cina, dal Tonchino e dal Giappone; quella di cajeput da Celebes, dalle Molucche e dall'Australia; quella di eucaliptus specialmente dall'Australia; quella di garofano è distillata dai chiodi sul luogo di consumo.
Bibl.: E. Gildemeister e F. Hoffmann, Die äther. Öle, 3ª ed., Miltitz presso Lipsia 1928; E. J. Parry, The Chemistry of Essential Oils and Artificial Perfumes, 4ª ed., Londra 1922; M. P. Otto, L'industrie des parfums, 2ª ed., Parigi 1924; E. T. Charabot, Les principes odorants des végétaux, parigi 1922; C. Craveri, Le essenze naturali, 2ª ed., Milano 1927; C. Rodanò, Industria e commerci dei derivati agrumari, Milano 1930; F. La Face, Processi meccanici di estrazione dell'essenza di limone, Reggio Calabria 1930. Riviste: Berichte di Schimmel, Lipsia; Perfumery and Essential Oil Record, Londra; Rivista italiana delle essenze e profumi, Milano.