OLÎ (fr. huile; sp. aceite; ted. Âl; ingl. oil)
Gli olî sono sostanze grasse (v. grassi), liquide a temperatura ordinaria. Tuttavia si chiamano olî anche sostanze grasse (come, per es., l'olio di palma e quello di cocco) che nei paesi della zona temperata hanno consistenza butirrosa, ma sono liquide nei paesi tropicali che forniscono la materia prima. Gli olî sono più o meno colorati, infiammabili e untuosi; macchiano la carta in modo persistente e la rendono trasparente. Hanno peso specifico inferiore a quello dell'acqua, nella quale sono insolubili o pochissimo solubili; sono quasi tutti insolubili nell'alcool. Sono composti di gliceridi degli acidi grassi e specialmente dell'acido oleico, nel quale generalmente si trovano sciolti gliceridi degli acidi stearico e palmitico, che sono solidi a temperatura ordinaria e precipitano col raffreddamento. Gli olî trattati con alcali formano dei saponi. Con l'idrogenazione (v.) si trasformano in grassi solidi. Gli olî vegetali vengono estratti per la massima parte dai semi delle piante oleifere; qualcuno dai loro frutti. Quasi tutti gli olî d'origine animale vengono estratti dai pesci. Per gli olî minerali, v. petrolio.
Cenno storico. - Fino dai tempi più antichi l'uomo ha usato gli olî per alimentarsene, per arderli nelle lampade e per ungersi il corpo. L'olio d'oliva e l'olio di palma, che possono essere estratti con una debole pressione dai frutti fermentati, probabilmente furono utilizzati dai popoli più primitivi. Tuttavia, sembra che gli Egiziani usassero gli olî di sesamo, di lino e di ricino prima dell'olio d'oliva. Non è escluso che nella stessa epoca, e forse anche prima, i popoli dell'Estremo Oriente cominciassero a usare gli olî di sesamo e di soia. I Fenici e gl'Israeliti avrebbero appreso dagli Egiziani a estrarre gli olî per pressione. Nel Pentateuco (Ex., XXVII, 20) si parla della macinazione come operazione preparatoria alla spremitura dell'olio. Nell'Odissea ne parla anche Omero il quale inoltre accenna all'uso dell'olio nella tessitura. Mentre nei paesi tropicali s'usavano gli oli di palma e di cocco, gli abitanti della zona artica dovettero apprendere presto a usare il grasso e l'olio degli animali marini, che hanno tanta parte nella loro alimentazione e con i quali essi provvedono al riscaldamento e all'illuminazione.
La tecnica dell'estrazione degli olî fece pochissimi progressi dal tempo dei Romani al 1752, quando J. Smeaton usò il frantoio a cilindri per una macinazione preliminare dei semi, alla quale faceva seguire la macinazione con l'antico frantoio a molazze. Al principio del sec. XIX si diffusero i frantoi a cilindri e fu introdotta la pressa idraulica, inventata nel 1795 da J. Bramah, il cui funzionamento fu migliorato nel 1843, con l'accumulatore di W. G. Armstrong. Verso la metà del secolo s'introdusse l'estrazione coi solventi; nel 1843 Jesse di Birmingham e nel 1856 E. Deiss, usarono il solfuro di carbonio; l'anno dopo A. Seiffer applicò la prima batteria di estrattori; nel 1864 Irwine, Richardson e Lundy usarono come solvente la benzina. Nella seconda metà del secolo il macchinario e i metodi americani, introdotti in Europa nel 1874, permisero di abbassare il costo della macinazione e della spremitura dei semi.
In seguito a questi progressi tecnici, in Europa e nell'America Settentrionale, si sviluppò fortemente l'uso dei semi di cotone e quello delle materie oleose importate dai paesi tropicali. Molti di questi olî furono dapprima utilizzati nella fabbricazione dei saponi e in altre industrie; a poco a poco però, perfezionati i processi di depurazione e di raffinazione, parecchi finirono per essere usati come olî commestibili, sia allo stato naturale, sia come materia prima per la fabbricazione del burro artificiale. Un grande progresso si ebbe dopo che, nel 1902, W. Norman applicò industrialmente l'idrogenazione. In tal modo, ai grassi usati fino a un secolo fa per l'alimentazione dei popoli di razza bianca si sono aggiunte grandissime quantità di olî di semi e di altri grassi, inferiori per gusto, ma più a buon mercato dell'olio d'oliva e del burro, i quali, in diversi paesi, sono stati difesi da questa concorrenza con provvedimenti legislativi.
Estrazione degli olî vegetali. - Fra gli olî vegetali ha particolare importanza quello di oliva. Gli altri vengono ordinariamente raggruppati sotto il nome di oli di semi. Alcuni di essi, come l'olio di cotone, sono in gran parte estratti negli stessi paesi produttori della materia prima; altri invece, e specialmente quelli provenienti da materie prime tropicali, vengono estratti nei mercati di consumo. La materia prima è generalmente importata allo stato naturale; in qualche caso, invece, subisce una prima lavorazione nei luoghi d'origine: così, p. es., dalla noce di cocco si prepara il copra.
Negli stabilimenti industriali, il processo d'estrazione dell'olio s'inizia con la pulitura della materia prima, la quale viene poi sottoposta alla macinazione e trasformata in farina. Prima della macinazione, alcuni semi vengono sgusciati. L'estrazione dell'olio dalla farina può compiersi secondo due processi completamente diversi:1. per pressione; 2. con i solventi volatili. Col primo, si sottopone la farina a una forte pressione in presse idrauliche oppure in torchi continui; col secondo la si tratta in appositi apparecchi, con sostanze che sciolgono l'olio e poi si fanno evaporare, finché lasciano come residuo l'olio. L'estrazione per pressione si può compiere a freddo oppure a caldo, cioè dopo avere riscaldato e inumidito la farina. In certi casi la farina è sottoposta una sola volta alla pressione; in altri, dopo la prima spremitura, la farina, che forma una focaccia compatta, detta panello, viene rimacinata e spremuta nuovamente; in qualche caso si rimacina ancora e si sottopone una terza volta alla pressione. Talvolta la prima spremitura si compie a freddo, le altre spremiture a caldo.
L'estrazione con i solventi volatili si può compiere con diversi solventi fra i quali i più usati sono il solfuro di carbonio, la benzina, il benzolo, il tetracloruro di carbonio (detto ordinariamente tetra) il tricloroetilene (detto trielina). I residui dell'estrazione per pressione contengono ancora dal 4 al 12% di sostanze grasse, quelli dell'estrazione con i solventi, invece, ne contengono soltanto 0,5-2%. E siccome, insieme con le sostanze grasse, contengono tutte le proteine dei semi dai quali provengono, i panelli hanno un notevole valore nutritivo e sono prevalentemente usati come mangime per il bestiame; quelli che non vengono utilizzati in tale modo trovano impiego come concime.
L'olio estratto per pressione, e specialmente per pressione a freddo, è di qualità migliore di quello estratto con i solventi. A caldo le sostanze albuminoidi vengono coagulate e quelle mucillaginose precipitano: ciò facilita l'uscita dell'olio dai tessuti e, per conseguenza, l'estrazione riesce meno incompleta; però l'olio scioglie facilmente delle sostanze, esistenti nei tessuti stessi, che gl'impartiscono odori e sapori sgradevoli. I solventi ne sciolgono una porzione ancora maggiore. Nella pressione a freddo questo fenomeno si verifica in misura molto minore; perciò l'olio può essere usato per l'alimentazione senza ulteriori trattamenti e conserva il suo aroma naturale.
Anticamente molti olî si estraevano col processo per fusione, del quale si fa cenno a proposito degli olî d'origine animale (v. sotto). Per quanto riguarda gli olî vegetali, tale processo è stato abbandonato da lungo tempo: è ancora usato solo da qualche popolo primitivo.
Qualunque sia il processo d'estrazione, gli olî appena estratti sono più o meno torbidi e contengono sostanze estranee provenienti dalla materia prima, oppure pervenutevi durante l'estrazione: acqua, proteine, sostanze mucillaginose, fermenti, acidi liberi, glicerina, saponi, lecitina, sostanze coloranti (clorofilla, xantofilla, eritrofilla) e sostanze che impartiscono loro odori e sapori sgradevoli; col tempo poi, essi subiscono alterazioni (irrancidimento, ecc.) per effetto delle quali questi caratteri sgradevoli si accentuano. Per renderli più adatti all'uso cui sono destinati essi vengono liberati dall'acqua e dalle sostanze che li intorbidano e, in molti casi, sottoposti a un'ulteriore lavorazione. Gli olî commestibili vengono depurati in modo da togliere loro odori o sapori sgradevoli; gli olî da ardere e gli olî per vernici vengono liberati dalle mucillagini e dalle proteine; gli olî lubrificanti, dagli acidi grassi e dalle sostanze resinificabili; certi olî, infine, debbono essere liberati da quei loro componenti che passerebbero allo stato solido alle temperature invernali. Questi diversi trattamenti si comprendono sotto i nomi di depurazione e raffinazione.
Materie prime. - Oltre alle olive le materie prime più usate per la produzione degli olî sono: i semi di cotone, di lino, di soia, di arachide, di girasole, di colza, di ravizzone, di sesamo, di papavero, di ricino, le noci di cocco e il copra che se ne ricava, i frutti e i semi della palma da olio. Inoltre si estraggono olî dalle mandorle, dalle nocciuole, dalle noci, dai semi di canapa, di kapok, di zucca, da quelli di senapa e di parecchie altre Crocifere, dai vinaccioli, dai semi di pomodoro, di tabacco, di tè, dalle noci para (semi di Bertholletia excelsa), dai semi di faggio e da quelli di alcune conifere, dai frutti della Guizotia oleifera D.C. (che dànno l'olio del Niger), dai semi di parecchie Euforbiacee, fra le quali vanno notate l'Hevea brasiliensis (albero della gomma) e diverse Aleurites come l'A. montana, e l'A. cordata (che dànno l'olio Tung e gli altri olî di legno di Cina), l'A. moluccana (albero della lacca), dalle bacche d'alloro e da moltissimi altri semi e frutti.
Forniscono olio anche i tubercoli radicali del Cyperus esculentus, unico esempio di organi sotterranei delle piante utilizzati a questo scopo. (V. oleifere, piante).
Il contenuto percentuale in olio delle più importanti materie prime è:
Pulitura. - I semi oleosi arrivano alle fabbriche misti al 2-5% di materie estranee: polvere, terra, sabbia, pagliuzze e altri detriti vegetali, pezzi di ferro, semi di altre piante. Queste impurità si eliminano in modo analogo a quanto si fa per i grani (v. molino, XXIII, p. 571 segg.) e cioè per mezzo di buratti rotativi o buratti piani a scotimento (figg. 1 e 2), che separano la polvere e le impurità minute, di selezionatori che trattengono i grani di determinate forme, lasciando passare gli altri, di apparecchi magnetici che separano i pezzetti di ferro. La crivellatura è preferibilmente seguita dalla ventilazione e anche dalla spazzolatura dei semi.
Sgusciatura. - I semi dal guscio legnoso, come le mandorle, i noccioli di pesca, di prugna, ecc., vengono sgusciati prima di sottoporli alla macinazione. Normalmente si sgusciano anche i semi di cotone e quelli di arachide, di girasole, di ricino, ecc. Le macchine sgusciatrici sostanzialmente consistono, alcune in una coppia di cilindri rigati, altre in un cilindro munito di scanalature, o comunque di sporgenze a spigoli vivi, che gira entro un mantello pure cilindrico e anch'esso munito di sporgenze simili, trascinando i semi, i cui gusci vengono rotti nel passaggio fra cilindro e mantello. Dopo la rottura, i mandorli vengono più o meno completamente separati, vagliandoli, dai frammenti del guscio e dalle pellicole che li rivestono. Per i semi di cotone si usano sgusciatrici speciali (hullers).
Macinazione. - La macinazione non serve soltanto a ridurre i semi in farina, ma anche a sminuzzare i panelli prima di sottoporli nuovamente all'estrazione dell'olio. Negl'impianti moderni essa si compie in molini a cilindri (laminatoi) di diversi tipi oppure in molazze; in qualche caso con molini a palmenti. Per i panelli si usano macchine a cilindri dentati (fig. 3) e anche disintegratori, molini Excelsior, molini centrifughi (v. molino).
I laminatoi sono costituiti da una o più coppie di cilindri orizzontali disposte l'una sull'altra nella medesima incastellatura, oppure da singoli cilindri sovrapposti, in modo che ciascuno di quelli intermedî formi coppia con quello che gli sta al disopra e con quello che gli sta al disotto: i laminatoi del secondo tipo sono detti anglo-americani. Per semi lisci e per semi grossi i cilindri hanno superficie rugosa, oppure sono rigati o anche dentati: questi ultimi servono specialmente per i panelli e, in generale, per materiale in grossi pezzi. A eccezione di quelli per grani fini, uno stesso laminatoio è fornito di cilindri dei diversi tipi accennati.
I laminatoi anglo-americani (figg. 4 e 5) hanno 3, 5 o 7 cilindri; tutti dello stesso diametro oppure quelli di posto pari più piccoli degli altri. Il cilindro più basso gira in supporti fissi ed è comandato da pulegge alle due estremità dell'asse; gli altri sono comandati dal cilindro inferiore, per mezzo di cinghie oppure di ruote dentate, e girano in supporti spostabili, in modo che si possano sollevare quando passano fra loro corpi estranei oppure una quantità eccessiva di farina. La pressione è regolata da molle, il cui effetto si aggiunge al peso dei cilindri stessi. Il materiale da macinare dalla tramoggia T (fig. 4) cade sul piccolo cilindro rigato l che regola l'alimentazione, poi cade sulla lamiera Z la quale lo guida fra i primi due cilindri; uscita da questi esso, guidato dalle altre lamiere Z, passa fra tutti gli altri cilindri. I laminatoi a coppie di cilindri orizzontali possono essere costituiti da una, due o tre coppie sovrapposte. Generalmente uno dei cilindri ruota in supporti fissi, l'altro in supporti mobili; la pressione è regolata da molle. I cilindri possono portare delle punte, disposte in modo che quelle dell'uno enrino nei vuoti fra le punte dell'altro.
Riscaldamento e inumidimento della farina. - Queste operazioni si compiono in apparecchi costituiti da elementi cilindrici riscaldati con camicia di vapore e muniti di agitatore e di tubi per mezzo dei quali s'introduce il vapore che serve a inumidire la farina. Nella grande industria, s'usano apparecchi formati da 2 o più di tali elementi spesso montati l'uno sull'altro per economia di spazio e di calore (figg. 6 e 7), ma talvolta disposti uno accanto all'altro, a livelli diversi. Si usano apparecchi a un solo elemento soltanto quando la temperatura della farina non dev'essere elevata che di pochi gradi.
Questi apparecchi, sia semplici sia multipli, si scaricano attraverso un dispositivo (in basso, a destra dell'apparecchio in fig. 6) che misura la quantità di farina che deve costituire un panello e la versa nella gabbia delle presse a gabbia, oppure nell'apparecchio formatore delle presse angloamericane.
Spremitura. - Negl'impianti moderni la spremitura si compie per mezzo di presse idrauliche oppure di torchi continui, questi ultimi generalmente servono per la prima pressione. Sono stati ormai abbandonati i torchi a vite, i quali trovano ancora impiego nell'estrazione dell'olio di oliva.
Presse idrauliche. - Sono di diversi tipi, che differiscono l'uno dall'altro per quelle parti entro le quali viene spremuta la farina e possono essere divise in due categorie: 1. presse chiuse; 2. presse aperte. Hanno tutte incastellatura molto robusta; il cilindro idraulico è situato inferiormente e lo stantuffo è solidale col piatto.
Nei grandi impianti, le presse idrauliche sono riunite in gruppi e vengono servite da pompe le quali, ordinariamente, sono collegate con accumulatori idraulici: in questo modo si mantiene sulla farina una pressione costante sebbene, con l'uscita dell'olio, il suo volume si vada riducendo continuamente.
Tra le presse chiuse, attualmente sono preferite le presse a gabbia (figg. 8, 9, 10), nelle quali la farina c (fig. 14, a sinistra) viene disposta, in molti strati, entro una gabbia o vaso filtrante, interponendo fra l'uno e l'altro strato una lamiera d. Questa in generale è guarnita, superiormente e inferiormente, di panni filtranti e di crine, oppure di lana, di pelo di cammello o meglio ancora di capelli umani; in tal modo ciascuno strato lateralmente è a contatto con le pareti a della gabbia e superiormente e inferiormente coi panni i quali offrono all'olio che esce dalla farina una facile via per giungere ai fori della gabbia e colare all'esterno e, inoltre, agiscono da filtro. La lamiera serve a distribuire uniformemente la pressione. Le gabbie sono costruite in diversi modi: alcune sono formate da bacchette di ferro disposte verticalmente a piccola distanza l'una dall'altra e rinforzate con anelli (fig. 8, a sinistra); altre sono formate da lamiera forate (foratine) parimenti rinforzate con anelli, con l'interposizione di lungheroni di ferro (fig. 11); altre ancora sono costituite da un cilindro di acciaio fuso, completamente chiuso esternamente e internamente solcato da canali, che una lamiera forata separa dalla farina: la sezione della camera interna può anche essere quadrata (fig. 12). In alcune presse di questo tipo il cappello porta un cilindro fisso, il quale penetra nella gabbia e comprime la farina quando il piatto si solleva; in altre presse il piatto inferiore è diviso in un anello, fisso all'incastellatura, e in uno stantuffo che penetra dentro la gabbia comprimendo la farina; in altre ancora i due metodi sono combinati e la farina è compressa egualmente dalle due parti. Per utilizzare meglio il materiale, generalmente il numero delle gabbie è maggiore di quello delle presse sicché, mentre in alcune gabbie si compie la spremitura nelle presse normali, un'altra viene riempita e subisce una prima pressione entro una pressa preparatoria (fig. 9, A), dalla quale viene poi trasportata nelle presse normali per mezzo di un carrello trasbordatore. Per impianti più piccoli talvolta si usano presse doppie, che possono considerarsi come un gruppo di due sole presse, aventi in comune una colonna (fig. 13); siccome in questo caso il caricamento e lo scarico richiedono molto minor tempo della spremitura, la pressa preparatoria è costruita in modo da poter compiere una prima spremitura. La farina viene caricata entro le gabbie per mezzo di distributori già accennati a proposito degli apparecchi per il riscaldarnento della farina.
Nella pressa ad anelli, meno usata di quelle sopra descritte, la farina viene spremuta entro elementi formiati da un anello R (fig. 14 a destra) e da un piatto P, piano inferiormente e dalla parte superiore fornito di una sporgenza cilindrica che penetra come uno stantuffo entro l'anello che sta sopra al piatto stesso. La faccia superiore del piatto è scanalata e guarnita di un disco filtrante S, sopra il quale si dispone un panno D, poi uno strato di farina C e poi un secondo panno filtrante. I piatti possono scorrere su guide orizzontali e ogni pressa è fornita di due serie degli elementi sopra descritti sicché, mentre una è sottoposta alla pressione, l'altra serie viene vuotata e riempita con nuova farina.
Nella pressa a truogoli la farina è disposta entro cassette a pianta rettangolare e di sezione tale che, sotto la pressione, il fondo dell'una penetra, come uno stantuffo, nella cassetta inferiore, spremendo la farina contenutavi.
Fra le presse aperte, le moderne sono quelle angloamericane; però è ancora usata la pressa marsigliese (corrispondente al tipo primitivo delle presse idrauliche) nella quale la farina viene spremuta entro fiscoli che vengono disposti l'uno sopra l'altro, interponendo delle lamiere, sul piatto della pressa.
La pressa angloamericana a ripiani (fig. 15) porta 15 o più piatti d (fig. 16) di lamiera, a superficie ondulata e rigata trasversalmente, fra l'uno e l'altro dei quali si dispone la farina avvolta in un panno filtrante o stoino rettangolare S, che viene ripiegato al disopra della farina stessa, sovrapponendo i bordi, i quali restano chiusi per effetto della pressione esercitata dal piatto superiore sicché la farina resta libera da due lati. La focaccia viene preparata in una apposita macchina formatrice (fig. 7, in basso), la quale misura la farina e la comprime leggermente; poi viene collocata a mano sui piatti della pressa. Dopo avvenuta la spremitura, il panello lungo gli orli risulta molto più ricco d'olio, perciò, appena viene tolto dalla pressa (per non dar tempo all'olio di diffondersi verso l'interno) si provvede a tagliarne gli orli i quali si torchiano nuovamente. L, operazione si compie entro macchine speciali (fig. 17), alcune delle quali, inoltre, spazzolano il panello per dargli un'apparenza migliore.
La pressa angloamericana a scatole (box press, fig. 18) differisce dalla precedente perché non è aperta, ma semi-aperta. Il fondo dei piatti è forato (p. es., nel modo illustrato alla fig. 19) e anche le pareti laterali possono essere forate; in tal modo il percorso dell'olio è più breve che nella pressa aperta e le focacce riescono bene pressate anche sui lati.
Il più noto fra i torchi continui per olî è la pressa Anderson (figg. 20, 21), nella quale l'organo che esercita la pressione e, insieme, provvede all'alimentazione della farina è una vite d'Archimede, che gira dentro un cilindro forato e rinforzato da anelli, attraverso il quale cola l'olio. La farina viene alimentata da e e si scarica dalla luce anulare compresa fra il cono h e il cilindro forato; il cono h può essere spostato assialmente, in modo da far variare la sezione della luce di scarico e, con essa, la pressione sulla farina. La vite d'Archimede è divisa in due sezioni: la più vicina al cono h è comandata dalle ruote dentate r, r1 ed esercita la pressione sulla farina; l'altra, che è montata sull'albero cavo che gira sull'asse principale, serve all'alimentazione della farina ed è comandata da una cinghia per mezzo della puleggia m: quando la pressione entro il torchio supera un certo limite, la cinghia scorre sulla puleggia, l'elica resta ferma e non alimenta nuova farina finché la pressione non torna ad abbassarsi. Sopra la pressa è disposto un canale di lamiera con camicia di vapore, nel quale la farina viene riscaldata mentre una vite di Archimede la fa avanzare verso e.
La pressa automatica Schneider (fig. 22) è sostanzialmente costituita da un pistone anulare, il quale preme intermittentemente la farina contenuta in una camera pure anulare, la cui sezione si va restringendo verso lo scarico. La camera è compresa fra i due filtri cilindro-conici e ed f. Il filtro interno e può essere spostato assialmente, in modo da allargare o restringere la luce di scarico della farina spremuta. Lo stantuffo è comandato idraulicamente: esso è cavo e la farina viene alimentata per mezzo del tubo che corre lungo il suo asse. La farina spremuta viene tagliata da un coltello rotante i e trasportata dall'anello rotante k a una finestra praticata nella parte inferiore della pressa. Un'altra pressa del medesimo tipo, è dotata di un secondo stantuffo, il quale chiude la luce di scarico quando lo stantuffo principale esercita la sua pressione che, in tal modo, riesce più efficace.
La pressa automatica Meinberg è costituita sostanzialmente da una camera filtrante ad asse orizzontale, le cui pareti superiore e inferiore sono mobili ed entro la quale la pressione viene esercitata da uno stantuffo. Dapprima si solleva la parete superiore e una carica di farina entra nella camera; poi la parete superiore torna al suo posto, lo stantuffo penetra nella camera e comprime la farina; infine si abbassa la parete inferiore, lo stantuffo si ritira e il panello cade fuori della camera.
Estrazione con i solventi volatili. - L'estrazione con i solventi si compie sia a freddo sia a caldo, su farina macinata meno finemente di quella che serve all'estrazione per pressione; spesso anche sui panelli residuati dall'estrazione per pressione, dopo averli rimacinati. È necessario che la farina dentro l'estrattore lasci dei meati liberi per la circolazione del solvente. Quando si opera a caldo, si riscalda indirettamente la farina riscaldando il solvente. L'essiccazione della farina facilita l'estrazione.
Gli elementi principali degli apparecchi di estrazione sono: 1. l'estrattore; 2. il distillatore; 3. il condensatore; 4. il serbatoio del solvente. In alcuni apparecchi questi elementi sono ridotti a tre e anche a due, per la riunione dei primi due e degli ultimi due. Gli estrattori sono fissi oppure rotativi. Quelli fissi sono vasi muniti di un doppio fondo forato, sul quale riposa la farina che viene introdotta da una larga apertura chiusa da uno sportello, riscaldati per mezzo di un serpentino di vapore (in qualche caso anche da una camicia di vapore) e provvisti di un tubo che serve a introdurvi del vapore diretto. Il solvente dentro di essi circola dal basso all'alto se è più pesante dell'olio (perché, in questo caso, la soluzione più ricca d'olio tende a portarsi in alto) e dall'alto al basso nel caso contrario. Il distillatore è anch'esso un vaso chiuso, riscaldato mediante un serpentino di vapore e provvisto di uno scarico per l'olio, di uno sportello per la pulizia e di un tubo per l'ammissione del vapore diretto. Il condensatore è costituito da un serpentino immerso nel refrigerante. Delle tubazioni collegano l'estrattore col serbatoio del solvente, col distillatore e col condensatore e il distillatore col condensatore. Rubinetti e valvole permettono d'isolare ciascun elemento dell'apparecchio, oppure di metterlo in comunicazione con gli altri elementi e con l'esterno. Tutto l'apparecchio, valvole e tubazioni comprese, dev'essere a perfetta tenuta per evitare perdite di solvente, che hanno sempre molta importanza economica e nel caso di qualche solvente, sono pericolose per gli operai (p. es., il solfuro di carbonio è velenoso).
Negli apparecchi più semplici l'estrattore è uno solo. Il solvente scorre dal serbatoio nell'estrattore, dove resta per un certo tempo a contatto con la farina, sciogliendo l'olio contenutovi; la soluzione passa nel distillatore, dove viene riscaldata, facendo evaporare il solvente; i vapori passano nel condensatore, dove vengono raffreddati e tornano allo stato liquido, passando infine nel serbatoio del solvente; mentre nel distillatore restano, come residuo, l'olio e le impurità non volatili. Il solvente liberato dall'olio nel distillatore si rimanda nell'estrattore dove scioglie altro olio, finché la farina non è esaurita. Allora si scarica tutta la soluzione dall'estrattore nel distillatore, si chiude la comunicazione con questo e si fa evaporare il solvente rimasto nella farina, riscaldandola e facendovi circolare del vapore diretto: i vapori si mandano al condensatore. Il solvente rimasto nell'olio si fa evaporare allo stesso modo, riscaldandolo col serpentino e facendovi circolare del vapore diretto. Un apparecchio di questo tipo è quello di Wegelin e Hübner, illustrato alla fig. 23. In esso i vapori di solvente dal distillatore possono anche essere mandati direttamente nell'estrattore, perché si condensino più o meno completamente, riscaldando la farina.
Altri apparecchi, oltre agli elementi accennati, posseggono un rettificatore del solvente, che permette di liberarlo dalle impurità che vi si accumulano durante il lavoro, e dei riscaldatori per il solvente stesso.
Negl'impianti si preferiscono gli apparecchi con più di un estrattore, costruiti in modo che il solvente circoli successivamente nei diversi estrattori arricchendosi di olio: il solvente puro arriva nell'estrattore che contiene farina già quasi esausta e poi passa negli estrattori contenenti farina meno impoverita, passando per ultimo in quello che contiene farina fresca. Quando l'esaurimento di un estrattore è completo, lo si isola, si distilla il solvente rimasto nella farina e infine si scarica questa, mentre il solvente inizia la sua circolazione dall'estrattore successivo. In tal modo l'apparecchio viene meglio utilizzato e le soluzioni riescono più ricche d'olio che negli apparecchi semplici; per quest'ultima ragione, anche il consumo di vapore è minore.
In alcuni apparecchi moderni, prima di far passare la soluzione di olio nel distillatore, la si fa evaporare parzialmente in un preriscaldatore, e la farina viene alternativamente riscaldata con questo vapore e lavata col solvente; inoltre la soluzione viene filtrata. In altri apparecchi moderni si usano estrattori rotativi.
Estrazione degli olî animali. - La massima parte di questi olî sono, come si è detto, forniti dagli animali marini e principalmente dalle balene e dagli altri cetacei e dalle foche; ma se ne estraggono anche da alcuni pesci poco pregiati e pescati lontano dai mercati, come le menadi della costa atlantica dell'America Settentrionale, le sardine del Pacifico settentrionale e, inoltre, dai residui della preparazione del salmone e delle sardine in scatola, dal fegato dei pescicani del Pacifico, ecc. Particolare importanza per il suo valore medicinale ha l'olio di fegato di merluzzo. Gli olî di animali terrestri si riducono all'olio di piedi di bovini, ovini e cavalli, all'olio di crisalidi del baco da seta e a pochissimi altri.
Un tempo gli olî di animali marini erano di pessima qualità: alcuni venivano estratti a terra, da pesce già mezzo putrefatto; altri, come per es., quelli di balena e di foca, si estraevano accatastando e abbandonando a sé i tessuti adiposi degli animali finché, dopo qualche mese, cominciavano a putrefarsi e il peso della catasta bastava a farne colare l'olio.
Tale stato di cose negli ultimi decennî si è mutato in meglio. Da una parte sono stati notevolmente perfezionati i metodi di raffinazione ed è stata largamente applicata l'idrogenazione; dall'altra, l'aumentata velocità dei battelli da pesca ha consentito di fare arrivare il pesce a terra in buone condizioni; dove questo non sarebbe possibile, come nel caso della balena, l'estrazione viene compiuta in mare, immediatamente dopo la fattura dell'animale, in navi-officine attrezzate all'uopo come grandi fabbriche.
Come tutti grassi di origine animale, questi olî si estraggono principalmente per fusione, facendo cuocere i tessuti nell'acqua oppure nel vapore o anche senz'acqua, in caldaie riscaldate a fuoco diretto. Però s'impiegano anche i processi già descritti per gli olî vegetali e cioè quello per pressione e quello con i solventi volatili.
L'olio di balena in certi casi si estrae fondendo il grasso in caldaie a fuoco diretto. Sulle grandi navi-officina, invece, la fusione si compie con vapore sotto pressione, talvolta in autoclavi simili a quelli che servono per estrarre íl grasso dalle carogne; poi l'olio si cuoce sotto pressione; spremendo i residui se ne estrae l'acqua e altro olio e poi si essiccano.
L'olio di foca, oltre che con l'antico processo sopra accennato, e per pressione, si estrae anche per fusione a vapore, dopo avere tagliato il grasso in piccoli pezzi. Con quest'ultimo metodo di estrae anche l'olio dal fegato dei pescicani del Pacifico. L'olio di menadi e quello di sardine si estraggono facendo cuocere i pesci e poi torchiandoli. Dopo l'estrazione dell'olio, i residui dei pesci vengono ridotti in farina e usati come mangime, oppure come concime (col nome di guano di pesce). Talvolta, dopo averli essiccati, si trattano con i solventi volatili per estrarne l'olio che ancora contengono; dopo questo trattamento, sono meglio utilizzabili come mangime.
L'olio di fegato di merluzzo con i moderni processi si estrae per pressione a freddo o meglio ancora, fondendolo fuori del contatto dell'aria, in atmosfera di anidride carbonica. Con quest'ultimo metodo, partendo esclusivamente da fegati freschi di Gadus morrhua L. e di Gadus callarias L., si ottiene un olio esente dal sapore e dall'odore caratteristici e molto ricco di vitamine A e D.
Depurazione e raffinazione degli olî. - Chiarificazione. - Il metodo più semplice di chiarificazione è quello naturale. Quando si lascia in riposo l'olio, l'acqua e le sostanze solide si depositano al fondo del recipiente. Questo metodo è abbastanza efficace per gli olî di prima pressione, ma non per gli altri. Se l'olio è viscoso, oppure contiene gliceridi solidi a temperatura ordinaria, i recipienti debbono essere riscaldati artificialmente o, quanto meno, tenuti in ambiente caldo. In certi casi, per accelerare la separazione, si aggiunge sale da cucina, oppure solfato di sodio, cloruro di calcio o altri agenti chiarificatori e anche carbone decolorante. Col tempo precipitano anche le mucillaggini, le materie proteiche, ecc.
La centrifugazione serve a riprodurre molto rapidamente il lento processo sopra accennato. Essa viene effettuata in separatori e chiarificatori De Laval, Sharples e simili.
La filtrazione si compie su feltro o su tessuti di diverse fibre, su stoppa, su segatura di legno, su sabbia, su diversi materiali porosi e anche su carta. Si usano filtri a sacco, filtripresse, filtri Kelly, Sweetland, ecc.; si filtra a caldo quando non sono presenti mucillaggini o gliceridi solubili a caldo.
Raffinazione con mezzi chimici. - La raffinazione con acido solforico si compie in tini foderati di piombo, aggiungendo lentamente all'olio, alla temperatura di 15-20°, il 0,5-1% in peso di acido solforico a 66° Bé e agitando; eventualmente riscaldando fino a 60-70°. Quando si formano dei flocculi nerastri, si lascia in riposo e, quando l'olio torbido si è raccolto al fondo del tino, si sifona quello chiaro e in altro tino lo si lava col 25-30% di acqua; infine si neutralizza l'acidità, se è eccessiva. In certi casi, appena avvenuta la flocculazione, si diluisce l'acido in seno all'olio con acqua calda oppure con vapore. L'acido solforico concentrato che, a temperatura più alta, attacca i gliceridi liberando gli acidi grassi, nelle condizioni descritte non li attacca quasi affatto, mentre invece carbonizza le mucillagini e altre impurità organiche, scinde i saponi, si combina con le sostanze alcaline e in tal modo libera l'olio da sostanze che ostacolano la sedimentazione.
La saponificazione si compie in recipienti muniti di agitatore, aggiungendo all'olio potassa caustica, oppure ammoniaca, soda o altre sostanze alcaline, sciolte oppure sospese nell'acqua, nella quantità necessaria per neutralizzare gli acidi liberi, più un eccesso del 5-25%. Si riscalda fino a 50-60°, agitando. Appena si comincia ad aggiungere alcali si forma sapone che intorbida l'olio e si raccoglie in fiocchi; quando l'olio fra questi fiocchi è chiaro si sospende l'agitazione e il riscaldamento e si lascia in riposo finché tutto il sapone si è raccolto sul fondo; poi si sifona l'olio chiaro in un altro recipiente e lo si lava, oppure lo si filtra dopo averv aggiunto terra decolorante. Il residuo del trattamento (pasta d'olio, pasta di raffinazione) insieme con i saponi contiene olio neutro, che in parte può essere eliminato per centrifugazione, in parte è assorbito dal sapone e non può essere eliminato meccanicamente. Questo residuo viene usato nella fabbricazione del sapone; in qualche caso lo si tratta con acidi concentrati, ottenendo una miscela di acidi grassi e di grassi neutri, molto impura perché contiene tutte le sostanze dalle quali era stato liberato l'olio originario.
Decolorazione. - Le sostanze coloranti possono essere eliminate dagli olî o con processi chimici e cioè scomponendole o trasformandole, o con processi fisici e cioè per adsorbimento (v. colloidi). Nei trattamenti con acido solforico e con alcali viene eliminata una parte delle sostanze coloranti, anche perché esse sono assorbite e trascinate via sia dagli albuminoidi e dalle sostanze carbonizzate dall'acido solforico, sia dai saponi formati dagli alcali.
Questa prima decolorazione viene completata trattando l'olio con carbone vegetale o animale, con terra della Florida, con argilla smettica e, meglio ancora, con carbone attivato e terre decoloranti attivate. Tali decoloranti agiscono favorevolmente anche su altre sostanze che impartiscono all'olio odore e sapore sgradevoli.
La decolorazione si compie in recipienti, generalmente chiusi, collegati a una pompa e muniti di agitatore. Dapprima si eliminano dall'olio le tracce d'acqua; poi lo si tratta per 20-60 minuti con la sostanza decolorante, a 70-90° o a temperatura maggiore; infine si filtra in filtripresse, nei quali si fa passare del vapore oppure dell'aria per eliminare quanto più è possibile l'olio dalle focacce. Ciò malgrado, queste ne contengono dal 18 al 40% in peso, che si estrae coi solventi oppure trattando in autoclave con soluzioni alcaline.
In certi rari casi gli olî si decolorano ossidandoli con aria (talvolta con ozono) che vi si fa gorgogliare per 5 ore o più. Ma questo processo non è applicato che all'olio di palma e a qualche altro, perché provoca l'irrancidimento degli olî e trasforma quelli essiccativi o semi-essiccativi in olî ossidati o soffiati, densi e bruni.
Distillazione degli acidi grassi liberi. - Serve a liberare rapidamente dagli acidi grassi anche gli olî che ne sono molto ricchi, con perdite molto minori di quelle che si hanno con la saponificazione e ottenendo, separati, gli acidi grassi in uno stato di notevole purezza. La distillazione si compie in corrente di vapore (oppure in un gas che non reagisca con l'olio) di preferenza in colonne di distillazione. Secondo il processo Wecker, l'olio viene riscaldato a 220-280° a pressione ridotta; poi, per mezzo di vapore surriscaldato o di altro gas, vi si inietta dell'acqua la quale in seno all'olio passa allo stato di vapore, si surriscalda e trascina con sé gli acidi grassi.
Destearinizzazione (demargarinizzazione). - Serve a liberare alcuni olî, specialmente l'olio di cotone, dai gliceridi a basso punto di fusione. Si esegue raffreddando l'olio al disotto di tale temperatura (p. es., l'olio di cotone si porta a temperatura inferiore agli 8°) e poi filtrando o centrifugando, sempre a freddo, per separarne quei componenti che si sono solidificati. In tal modo si ottengono gli oli d'inverno (winter oils).
Usi degli olî. - La maggior parte degli olî serve per l'alimentazione umana, sia allo stato naturale sia dopo una raffinazione più o meno complessa e, spesso, dopo essere stati trasformati in burro artificiale. Sono utilizzati a questo scopo principalmente gli olî di oliva, di cotone, di soia, di arachide, di sesamo, di girasole, di palma, di palmisti, di cocco e quelli di pesce, preferibilmente idrogenati. Grandi quantità di olî vengono consumati nella fabbricazione dei saponi: olî di oliva, di arachide, di cotone, di sesamo, di cocco, di palmisti, di lino, di canapa, e quelli di pesce. Per la fabbricazione della stearina e dell'oleina, usate la prima nella fabbricazione delle candele e la seconda nell'industria tessile, oltre che in quella dei saponi, si usano l'olio di palma, gli olî di pesce idrogenati, ecc. Nell'industria tessile si usano anche gli olî di oliva e di ricino. Nell'industria della conceria si usano gli olî di pesce; nella fabbricazione delle vernici e delle lacche, gli olî di lino, di legno di Cina, di papavero, ecc.; per la fabbricazione del linoleum specialmente l'olio di lino; come lubrificanti, gli olî di ricino, di oliva, di colza (spesso miscelati a olî minerali); nella fabbricazione di surrogati della gomma gli olî di colza e di ricino. Per l'illuminazione si usano ancora gli olî di foca e di balena e quelli di colza e di oliva. Per uso farmaceutico trovano impiego gli olî di ricino, di mandorla, di fegato di merluzzo, di chaulmoogra, ecc.
Produzione e commercio. - L'industria dell'olio di cotone sorse naturalmente negli stati cotonieri dell'America Settentrionale; la moderna industria europea degli olî di seme cominciò a svilupparsi nei porti dove faceva capo il traffico marittimo coi paesi produttori della materia prima. Mentre il commercio di determinati semi acquistava particolare importanza in determinati porti (p. es., quello delle arachidi a Bordeaux), le industrie della spremitura e della raffinazione trovarono condizioni particolarmente favorevoli dove già era forte e aveva un buon avviamento commerciale l'industria dell'olio di oliva: a ciò si deve lo sviluppo dell'industria marsigliese nel sec. XIX.
A poco a poco, il fatto di appartenere oppur no a un grande paese consumatore esercitò un'influenza sempre maggiore sullo sviluppo dell'industria. Elevatesi tutte le barriere doganali dopo la guerra mondiale, tale influenza divenne decisiva.
I progressi teenici che consentivano di trasformare in surrogati del burro parecchi oli esotici, fra i meno graditi ai consumatori europei, hanno determinato una tendenza alla riduzione del consumo dei grassi di origine animale e un grande sviluppo nella produzione degli olî di semi. Frattanto la produzione della materia prima cresceva, specialmente nei paesi tropicali, e s'imparava a usare semi fino allora consumati solo nei paesi di origine come quelli di soia, che gli Europei apprezzarono nella guerra russo-giapponese e che dopo di allora sono stati prodotti in grandissima quantità nella Manciuria. In questa industria, in continuo sviluppo, è stata possibile la formazione di giganteschi gruppi industriali, che la dominano in molti paesi. Basta ricordare il gruppo anglo-continentale Unilever, sorto nel 1929 dalla fusione della società inglese Lever Bros. e della Margarine Unië, alla sua volta risultata dalla fusione delle due ditte Anton Jurgens e Van der Bergh. L'attività della Unilever si estende dal commercio della materia prima nei luoghi di origine, alla produzione degli olî, dei saponi, della margarina e al dominio di catene di negozî di vendita al minuto.
La produzione media delle più importanti materie prime negli ultimi anni viene calcolata approssimativamente come nella tabella della colonna precedente.
La distribuzione e l'importanza relativa della produzione dei diversi olî di seme nei principali paesi europei, esclusa l'Italia, si può desumere dalle cifre riguardanti l'importazione di materie prime, che nel 1927 fu (in migliaia di tonn.):
In Italia, dove era sviluppata fino dall'antichità la produzione dell'olio d'oliva, quella degli olî di seme cominciò a prendere il carattere di grande industria negli ultimi anni del sec. XIX. Attualmente essa possiede impianti fra i più cospicui di Europa. Esclusi i frantoi da olive, nel 1929 contava circa 600 impianti per la spremitura dei semi, 50 raffinerie di olî vegetali e 1 impianto d'idrogenazione, e impiegava complessivamente circa 5000 persone. I maggiori impianti sono nella Liguria e nella Venezia Giulia; ma l'industria è sviluppata anche nel Piemonte, nella Lombardia e nel Veneto dove esistono, insieme alle grandi, anche piccole fabbriche; queste ultime producono principalmente olio di lino. Ha assunto una certa importanza la produzione dell'olio di vinaccioli; nel Bergamasco si produce olio di granturco, nel Veronese olio di ricino. L'importazione annua di semi oleosi nel triennio 1931-33 in media fu:
A questa importazione si contrappone quasi soltanto l'esportazione di semi di senapa per circa 3000 tonn.
Nello stesso periodo, l'importazione e l'esportazione annue di olî furono:
Bibl.: L. Ubbelohde, F. Goldschmidt e H. Heller, Handbuch der Chemie und Technologie der Öle und Fette, IV, Lipsia 1929-33; J. Fritsch, Fabrication et raffinage des huiles végétales, 3ª ed., Parigi 1932; id., Fabrication et raffinage des huiles et graisses d'origine, Parigi 1927; H. Marcelet, Les huiles d'animaux marins, Parigi 1924; K. H. Bauer, Chemische Technologie der Fette und Öle, Berlino 1928; G. D. Elsdon, Edible Oils and Fats, Londra 1926; P. Pollatschek, Die Raffination der Öle und Fette, Stoccarda 1927; G. Fabris, Olii e grassi vegetali ed animali, Milano 1923.
Farmacologia.
Si chiamano olî medicati (oleoliti) alcune preparazioni farmaceutiche ottenute sciogliendo nell'olio di oliva sostanze di natura diversa (vegetale, minerale, animale). La Farmacopea ufficiale italiana (1929) registra: l'olio canforato (oleum camphoratum: canfora grammi 1, olio di oliva 9), l'olio cantaridato (oleum cantharidatum: polvere di cantaridi 1, olio 9), l'olio di camomilla (oleium chamomillae infusum: fiori freschi di camomilla parti 1, olio 4); l'olio di giusquiamo (oleum hyoscyami infusum: foglie di giusquiamo secche polverizzate gr. 100, alcool 10, ammoniaca [D. 0,920] 3, olio 1000, etere quanto basta) e l'olio fosforato (oleum phosphoratum: olio gr. 999, fosforo 1). L'olio di oliva, inoltre, entra nella composizione di alcuni linimenti (v.), quale il linimento ammoniacale o linimento volatile (linimentum ammoniatum: ammoniaca al 10% [D. 0,96] parti 1, olio 3), il linimento ammoniacale canforato (linimentum ammoniatum camphoratum: ammoniaca al 10% [D. 0,96] p.1, olio canforato 3), il linimento di calce o linimento calcare (linimentum calcariae: acqua di calce p.1, olio1); e di alcuni empiastri, come l'empiastro vescicatorio o cerotto vescicatorio (emplastrum cantharidum: olio di oliva p. 4, trementina 18, cera gialla 18, colofonia 14, cantaridi polverate 35), l'empiastro diachilon o cerotto diachilon semplice o sapone di piombo (emplastrum diachylon); nonché di alcuni unguenti, come l'unguento diachilon di Hebra (unguentum diachylon: empiastro diachilon semplice gr. 100, olio di oliva 96, essenza di lavanda 4), l'unguento o pomata di trementina semplice (unguentum terebinthinae simplex: olio di oliva 3, trementina 2, cera bianca 2).
Secondo la Farmacopea ufficiale italiana l'olio di oliva (oleum olivarum) è l'olio estratto dalle drupe dell'Olea europaea L., della densità a 15° di 0,916-918, con numero di iodio 79-88, numero di saponificazione 188-196. Quello destinato alla preparazione di soluzioni per uso ipodermico deve essere limpido e neutro: determinato su 5 cmc. di olio il numero di acidità calcolata in acido oleico con una soluzione decinormale d'idrato sodico (un cmc. di questa soluzione corrisponde a gr. 0,02823 di acido oleico) si deacidifica l'olio agitandolo con una soluzione normale di carbonato sodico (un cmc. corrisponde a gr. o,2823 di acido oleico), lavando poi con acqua fino a reazione neutra; per ultimo si scalda a bagno maria bollente e si filtra.
L'olio di oliva è adoperato come lassativo nella stitichezza cronica (usato anche per clistere), come colagogo nella litiasi biliare, come emolliente e protettivo nelle infiammazioni del tubo gastroenterico e negli avvelenamenti per corrosivi o per caustici; fu iniettato (20-30 cmc. pro die) nei muscoli come mezzo sussidiario di alimentazione negli stati di notevole deperimento organico. A stomaco vuoto l'olio - come i grassi in genere - ha azione inibitrice sulla secrezione gastrica.
Anche altri olî hanno azione medicinale e sono registrati nella Farmacopea ufficiale italiana: l'olio di alloro o di lauro nobile o burro di lauro (oleum lauri), l'olio di crotontiglio (oleum crotonis), l'olio di lino (oleum lini), l'olio di fegato di merluzzo (oleum jecoris aselli), l'olio di vaselina (paraffinum liquidum), l'olio di mandorle dolci (oleum amygdalarum), l'olio di ricino (oleum ricini).
Con il nome di oli eterei od olî essenziali, o volatili (olea aetherea), la Farmacopea registra numerose essenze: l'essenza di anice (oleum anisi), l'essenza di garofani (o. caryophylli), l'essenza di cannella (o. cinnamomi), l'essenza di cedro (o. citri medicae), l'essenza di eucalipto (o. eucalypti), l'essenza di fiori d'arancio amaro o essenza di neroli (o. florum aurantii), l'essenza di finocchio (o. foeniculi), l'essenza di ginepro (o. juniperi), l'essenza di lavanda (o. lavandulae), l'essenza di limone (o. limonum), l'essenza di menta (o. menthae piperitae), l'essenza di rosmarino (o. rosmarini), l'essenza di sandalo (o. santali), l'essenza di senape o isosolfocianato di allile (o. sinapis), l'essenza di trementina o acqua ragia depurata (o. terebinthinae).
Olî Sacri.
Così si chiamano gli olî benedetti o consacrati che la Chiesa adopera nell'amministrazione di alcuni sacramenti o in certe cerimonie liturgiche. Antichissimo è il loro uso come segno del conferimento o del rinvigorimento della grazia, secondo pratiche già in uso presso gli Ebrei (v. messianismo). Vi sono tre specie di olî sacri: l'olio degl'inferi (oleum infirmorum), usato nell'estrema unzione (v.); l'olio dei catecumeni (oleum catechumenorum o exorcizatum), con cui si ungono il petto e il collo dei battezzandi nel rito latino (le principali parti del corpo nei riti orientali, escluso l'armeno che non ne usa affatto), le mani degli ordinandi al sacerdozio e l'avambraccio destro dei re nella loro coronazione: con esso si ungono anche le mense degli altari nella cerimonia della loro consacrazione; il crisma (v.), ch'è il principale degli olî sacri e serve a ungere la fronte nel conferimento della cresima, la sommità del capo nel battesimo, il capo e le mani dei vescovi, le mense degli altari, i calici, le patene, le campane, nelle varie cerimonie della consacrazione di queste persone od oggetti. Tra gl'ingredienti che compongono l'acqua battesimale entrano anche l'olio dei catecumeni e il crisma.
La materia di tutti questi olî è l'olio puro (tresampullas oleo mundissimo plenas dice la rubrica), al quale nel crisma viene mescolato (dal sec. VI) un po' di balsamo (preponderante nei riti orientali). La benedizione delle tre specie di olio si compie, nella Chiesa latina, durante la messa del giovedì santo da un vescovo assistito da 7 diaconi e 7 suddiaconi: l'olio degl'infermi si benedice verso la fine del canone, il crisma e l'olio dei catecumeni dopo la comunione. Nelle chiese orientali la benedizione può farsi da un semplice sacerdote e in qualunque tempo. Inoltre nel rito latino un altro olio (oleum simplex), che ogni sacerdote può benedire secondo una formula (del sec. VI) riportata dal Rituale romanum, si usa come semplice sacramentale nelle malattie (cfr. Marco, VI, 13) fino dai primi tempi del cristianesimo (Tertulliano). Vige inoltre in molti luoghi la consuetudine di ungersi per divozione con l'olio delle lampade che ardono in santuarî celebri, o anche dinnanzi al SS. Sacramento o ad immagini insigni.