OLIGARCHIA (dal gr. ὀλιγαρχία, da ὀλιγος "poco" e αρκη "comando")
I Greci chiamavano oligarchia un regime politico nel quale il potere fosse in mano di pochi. Tuttavia non sempre un governo di pochi risponde alla nozione greca di oligarchia: quando il governo è affidato a pochi che per nobiltà e ricchezza e per tradizionale esperienza politica siano atti e disposti a ben governare lo stato ed esercitino il potere nell'interesse pubblico e non nell'esclusivo interesse loro, si ha un'aristocrazia, governo utile e giusto.
Nelle fonti dottrinarie, per giungere alla definizione dell'oligarchia, si cerca di stabilire il criterio in base al quale l'oligarchia si distingue dall'aristocrazia. Tale criterio è variamente indicato e ora riguarda la forma, il modo cioè con cui il potere sovrano della πόλις si è costituito (con la violenza o col consenso), ovvero viene esercitato (senza leggi o secondo la legge); ora, invece, lo scopo che il potere ha di mira (l'interesse dei pochi che sono al potere o l'interesse dei consociati). Sempre, tuttavia, qualunque criterio si assuma, oligarchia è potere illegittimo e ingiusto, che si oppone ad aristocrazia, governo legittimo e giusto, come la monarchia (v.) si oppone alla tirannide e la retta democrazia (la πολιτεία di Aristotele) alla democrazia violenta, o demagogia.
D'altro lato, poiché gli scrittori greci classici osservano i problemi politici da un punto di vista prevalentemente economico, l'oligarchia, governo di pochi, è il governo dei ricchi, come la democrazia, governo di moltitudine, è il governo dei poveri. Non è però oligarchico quel governo nel quale i ricchi siano bensì al potere, ma lo esercitino nell'interesse di tutti. Solo i sofisti, in quanto consideravano sempre il potere come il prevalere di una classe sulle altre e il diritto come la norma che l'uomo o la classe che predomina impone ai soggetti, toglievano ogni importanza, anche teorica, alla differenza fra oligarchia e aristocrazia.
Considerata, dunque, da un punto di vista economico, l'oligarchia è governo che i ricchi esercitano nel proprio interesse; da un punto di vista morale, è un governo ingiusto. Meno facile, ma più ricco di risultati per l'interpretazione della storia politica greca, è lo stabilire quale fosse presso i Greci la nozione di oligarchia da una visuale giuridico-politica. Su questo punto meglio delle fonti dottrinarie c'informano gli storici. Carattere essenziale dell'oligarchia è l'esclusione dei più dalla piena partecipazione alla πόλις. La nozione di oligarchia non si esaurisce tutta nel privilegio di un numero ristretto di cittadini, che si riservano il governo della πόλις, bensì nel fatto che con l'oligarchia si creano due classi di cittadini, quelli che, siano o no al governo, sono πολῖται optimo iure (5000 nell'oligarchia ateniese del 411, 3000 in quella costituitasi sotto i Trenta nel 403) e quelli, piuttosto sudditi che cittadini, i quali, oltre a essere esclusi dal governo, sono anche minorati delle garanzie personali che i Greci consideravano proprie del πολίτης: garanzie di rispetto alla dignità individuale e alla libertà. Si tengano presenti i diritti del cittadino greco: oltre alla partecipazione al potere sovrano della città (ἄρχειν in senso lato), corrispondente al triplice diritto pubblico di essere magistrati (ἄρχειν in senso specifico) e giudici (δικάζειν) e di prender parte alle deliberazioni dell'assemblea e darvi il proprio voto (ἐκκλησιάζειν), il cittadino ha il diritto di sospendere mediante impugnativa giudiziaria (γραϕὴ παρανόμων) l'entrata in vigore di un decreto contrario alle leggi, di sostituirsi al magistrato, quando questi sia assente, di obbligarlo ad agire, quando sia negligente, di costringerlo a render conto dell'inosservanza delle leggi (εὔϑυναι) e di appellarsi (ἔϕεσις) ai tribunali cittadini contro il provvedimento illegale del magistrato che lo colpisca (v. anche città, X, p. 479). Orbene, questi diritti pubblici che fanno di ogni cittadino greco il custode della legge, e che gli consentono di tutelare la sua libertà individuale contro ogni arbitrio, mentre dalla democrazia sono riconosciuti in massima - a parte le restrizioni e le difficoltà di esercizio in concreto - a tutti gli appartenenti alla πόλις, sono ristretti dall'oligarchia a pochi cittadini.
Un carattere dell'oligarchia strettamente connesso con l'esclusione dei più dal pieno diritto di cittadinanza è la debolezza della legge. Poiché la legge per i Greci è una norma superiore e fissa, non vi era la possibilità di sostituire fondamentalmente la legislazione tradizionale con una legislazione a tipo oligarchico, e sarebbe stata assurda e intollerabile la formale dichiarazione che il governo avrebbe agito contro le leggi; siccome d'altra parte il governo oligarchico è un governo arbitrario, si limitava nei cittadini, quando non si toglieva del tutto, il controllo sull'osservanza della legge. Il principio che le deliberazioni delle città debbano essere legali, cioè non contrarie alle leggi vigenti, e che l'azione dei magistrati debba svolgersi nei limiti segnati dalla legge, nelle oligarchie, ancorché non soppresso di diritto, in pratica è sistematicamente violato per la mancanza dell'azione popolare in difesa della legge, che la democrazia consente, invece, a ogni cittadino.
La coscienza politica dei Greci respingeva l'oligarchia come un regime che disconosce il fondamento etico della πόλις e offende la dignità dei singoli che della πόλις fanno parte. Platone, che pure è inimicissimo delle forme demagogiche, considera l'oligarchia come una situazione precaria che crea fra cittadini un rapporto simile a quello che si costituisce fra vincitori e vinti: i primi, minori di numero, si reggono sinché non venga meno la forza delle armi che li sostiene; Aristotele esclude dalla nozione di stato normale lo stato oligarchico.
Legislazione attica contro i tentativi di oligarchia. - Negli stati democratici si cercava di salvaguardare la costituzione dal pericolo che i ricchi e gli scontenti istituissero il regime oligarchico: la stessa libertà che la democrazia assicurava a tutti rendeva più facili le intese e più grave il pericolo. In Atene (l'unico stato della Grecia il cui diritto pubblico e privato possa essere ricostruito sistematicamente), ogni cittadino poteva iniziare un procedimento contro i sospetti di mene oligarchiche, esperendo l'azione popolare δήμον κατάλυσις (accusa di voler rovesciare la democrazia). La legge che consentiva tale azione si faceva risalire a Solone: in origine si applicava solo ai tentativi d'istituire la tirannide, ma nel 410 a. C., dopo la caduta dell'oligarchia dei Quattrocento, fu estesa ai tentativi d'istituire l'oligarchia. Con uguali sanzioni si dichiarava delitto contro il regime appartenere ad associazioni oligarchiche. L'accusa δήμου καταλύσεως poteva esser fatta per pubblica denuncia (εἰσαγγελία) al consiglio (βουλή) o all'assemblea (ἐκκλησία), ovvero esser presentata con procedura normale, mediante γραϕή, al foro dei Tesmoteti, magistratura competente ad accogliere le accuse di delitti contro lo stato. Contro chi avesse tentato di sovvertire gli ordinamenti democratici la legge comminava la pena di morte, la confisca dei beni, la perdita dei diritti dei cittadini, estesa anche ai consanguinei. In deroga, poi, a quanto si osservava normalmente nel processo attico, agl'imputati di δήμου καταλύσεων veniva tolta la libertà personale, ed essi attendevano in ceppi il giudizio.
Come gli altri concetti relativi alla forma di governo, così anche il concetto di oligarchia è passato, dal mondo greco, in quello medievale-moderno (v. governo), mantenendo il significato di governo di pochi, ricchi, i quali si valgono del potere nell'interesse proprio e a danno dei più.
Bibl.: G. Busolt, Griechische Staatskunde, I, Monaco 1920, p. 341 segg.; M. Pohlenz, Staatsgedanke u. Staatslehre der Griechen, Lipsia 1923, p. 13 segg.; J. H. Lipsius, Das attische Recht u. Rechtsverfahren, Lipsia 1905-15, II, ii, p. 374 segg.; U. E. Paoli, Studi di dir. att., Firenze 1930, p. 197 segg.