MANCINI, Olimpia
Nacque a Roma l'11 luglio 1637 da Lorenzo, nobile romano di famiglia di antica nobiltà municipale, e Geronima Mazzarino, sorella del futuro cardinale Giulio. Crebbe a Roma, dove rimase fino al 1648, quando lo zio la chiamò in Francia, insieme con due dei suoi fratelli, Laura Vittoria e Paolo, e la cugina Anna Maria Martinozzi, figlia di un'altra sorella del Mazzarino.
La prima fase della vita della M. in Francia fu abbastanza turbolenta. La situazione politica era ancora travagliata e, nel corso del 1650, il Mazzarino fu costretto a lasciare Parigi per l'opposizione della cosiddetta Fronda dei principi, ritirandosi a Saint-Germain. Le sue nipoti restarono in città e nel convento di Val-de-Grâce che godeva della speciale protezione della reggente di Francia, Anna d'Austria. Nel febbraio 1651 il Mazzarino dovette abbandonare nuovamente Parigi. La M. condivise la sorte dello zio, trovando asilo prima a Péronne e poi a Brühl, presso Colonia, dove si era rifugiato il cardinale.
Nel gennaio 1652 il Mazzarino rientrò in Francia dal suo provvisorio esilio e, approfittando delle divisioni tra i frondisti, tentò di sconfiggerli sul piano militare. La vittoria del cardinale consentì alla M. di rientrare a Parigi, all'inizio del 1653, ma in una situazione profondamente cambiata, anche sul piano familiare. Suo fratello Paolo era morto in seguito alle ferite riportate nella battaglia contro i frondisti di porte St-Antoine (2 luglio 1652), mentre sua sorella Laura Vittoria aveva sposato Louis de Bourbon, duca de Mercoeur. In compenso, proprio in quell'anno, giunsero in Francia la madre, il fratello Filippo Giuliano e le sorelle minori della Mancini.
Alla corte francese la M. si segnalò quasi immediatamente partecipando ai balletti reali. Non bella, ma "capable de plaire", secondo Marie-Madeleine Pioche de La Vergne, madame de La Fayette (p. 31), la M. era caratterizzata da una forte ambizione, che trovava alimento anche nell'attaccamento dimostratole dal giovane Luigi XIV. I legami della M. con Luigi XIV furono talvolta molto stretti, ma non le garantirono mai un posto di amante ufficiale del sovrano e tanto meno la prospettiva di un matrimonio reale. Sono infatti da ritenersi prive di fondamento le illazioni di alcuni contemporanei, come madame de La Fayette, a proposito delle aspirazioni del Mazzarino a combinare un matrimonio tra la M. e Luigi XIV. La M. rimaneva peraltro un ottimo partito e furono intavolate trattative per un matrimonio con Armand de Bourbon, principe de Conti, che invece sposò sua cugina Anna Maria Martinozzi, e con C.-A. de la Porte marchese de Meilleraye, che preferì la sorella della M., Ortensia. Il 20 febbr. 1657 la M. sposò Eugenio di Savoia Carignano, che per parte di madre discendeva dai Borbone del ramo di Soissons.
Eugenio di Savoia conte de Soissons era un personaggio di non grande rilievo alla corte di Francia. Valente soldato, era spesso lontano da Parigi e assecondò i desideri della moglie di conquistare, con la sua avvenenza e il suo spirito, un posto di rilievo a corte. La M., da parte sua, non gli fece mai mancare il suo affetto e gli diede numerosi figli, tra cui Luigi Tommaso (1657-1702), Filippo (1659-93), Emanuele Filiberto (1662-76), Eugenio (1663-1736), Maria Giovanna Battista (1665-1705), Luisa Filiberta (1667-1726) e Francesca (1668-71).
Tutti crebbero sotto la tutela della nonna, Marie de Bourbon Soissons, mentre la M. mantenne una vita sociale intensa. Il matrimonio non interruppe le frequentazioni di Luigi XIV a palazzo Soissons, ma, nel 1658, il sovrano si innamorò della sorella della M., Maria, che gli impose di cessare i suoi incontri con la sorella maggiore, la quale del resto era incinta. La relazione di Luigi XIV con Maria Mancini divenne però ben presto una scottante questione politica, che minacciava di far saltare gli equilibri pazientemente costruiti dal Mazzarino negli ultimi anni. Quando Maria Mancini fu costretta a un esilio forzato a Brouage, presso La Rochelle, insieme con le sue sorelle nubili, il cardinale favorì un riavvicinamento della M. al sovrano, in modo da offrire a Luigi XIV una qualche consolazione.
Nell'ottobre del 1659 il monarca riprese a corteggiare la M. e ciò provocò un litigio tra costei e la sorella Maria. I rapporti della M. con Luigi XIV non cessarono a seguito del matrimonio del sovrano con l'infanta Maria Teresa (1660), ma nel corso dei primi anni '60 cominciarono lentamente a raffreddarsi.
La M. si stava rivelando una personalità eccessivamente forte, a tratti capricciosa, e comunque in grado di creare, con i suoi intrighi, situazioni incresciose per il sovrano. Quando la M. fu nominata sovrintendente della casa della regina, una carica importante nell'organigramma della corte, esercitò troppo energicamente le sue prerogative sì da provocare, nella primavera del 1661, la reazione di madame de Navailles, Suzanne de Beaudéau-Parabère. Nel conflitto la M., grazie all'appoggio di J.-B. Colbert, ottenne un primo rescritto a lei favorevole, che fu però corretto da un successivo regolamento, emanato da Luigi XIV su richiesta della regina. A questo punto, il marito della M. sfidò a duello il marito della duchessa de Navailles, Philippe, violando gli editti reali che vietavano il duello e fu perciò esiliato per qualche tempo dalla corte.
Dal 1663 Luigi XIV ebbe un'amante ufficiale, Louise-Françoise de la Baume Le Blanc, duchessa de La Vallière, mentre la M. fu spinta, forse su impulso dello stesso Luigi XIV, verso il non più giovanissimo, ma affascinante, F.-R. du Bec-Crespin, marchese de Vardes. In un contesto di continui intrighi, la M. fu coinvolta, insieme con lo stesso Vardes, con Enrichetta d'Inghilterra, moglie di Philippe d'Orléans, fratello di Luigi XIV, e vecchia fiamma del re, e con A. de Gramont conte de Guiche, legato sentimentalmente a Enrichetta, in un intrigo contro la favorita. Si cercò di far pervenire alla regina Maria Teresa una lettera in spagnolo che denunciava gli amori di Luigi XIV e de La Vallière. Per una serie di circostanze la lettera fu però letta da Luigi XIV, anche se i colpevoli rimasero a lungo ignoti.
Non ammaestrata da questa esperienza, la M. continuò a intrigare con Vardes e con il conte di Guiche, ma ben presto il terzetto si divise. Vardes cercò di prendere il posto di Guiche nel cuore di Enrichetta e ottenne l'allontanamento del rivale dalla corte. Alla fine del 1664 Enrichetta d'Inghilterra, colpita dalle manovre della M. e di Vardes, finì per svelare al sovrano buona parte dei retroscena. Vardes fu inviato alla Bastiglia e poi esiliato a Montpellier. Anche la M. ebbe però i suoi problemi. Avendo finalmente ricostruito il filo di queste vicende, nel marzo 1665 Luigi XIV le impose di ritirarsi con l'ignaro marito nella Champagne.
L'esilio della M. fu di breve durata e già nell'ottobre del 1666 ella poté rientrare a Parigi, ma non riprese un posto di primo piano a corte. Del resto, le sue frequenti gravidanze le imponevano forti limitazioni. Il nome della M. ricorre tuttavia abbondantemente nelle cronache mondane della capitale e tale era la sua notorietà da essere evocata semplicemente con l'appellativo di "Madame la Comtesse".
Nel giugno 1673, improvvisamente, la M. rimase vedova. La morte del marito la privò di un compagno fedele e disposto a tollerare i suoi amori e i suoi intrighi, indebolendo la sua posizione negli equilibri di corte. Così nel 1679 la M. dovette abbandonare la sua carica nella casa della regina, che fu ceduta a Françoise-Athénais de Rochechouart, madame de Montespan, ottenendo in cambio un generoso dono monetario.
La M. rimase comunque un personaggio di rilievo e partecipò a numerosi circoli nobiliari, accomunati dalla propensione all'intrigo e dall'interesse per l'astrologia. Si trattava però di passioni che, negli anni Settanta, dopo lo scandalo del processo Brinvilliers (1676), cominciavano a essere pericolose. Non deve dunque stupire se la M. fu investita in pieno dal cosiddetto "affare dei veleni", uno dei più gravi scandali accaduti alla corte di Francia durante il regno di Luigi XIV.
L'affaire nacque tra il 1679 il 1680 da un'inchiesta sulle pratiche magiche che aveva portato all'arresto di una serie di loschi personaggi frequentati da esponenti della migliore nobiltà, come l'indovina Catherine Montvoisin, detta La Voisin, e Adam Coeuret, detto Le Sage. Nel corso degli interrogatori la Montvoisin denunciò, tra i propri frequentatori, anche la M. e sua sorella, la duchessa di Bouillon. Secondo le deposizioni, la M. avrebbe cercato di procurarsi del veleno per uccidere la duchessa di La Vallière e dei filtri per conquistare l'amore di Luigi XIV o, se necessario, per vendicarsi di lui.
La M. si trovava in buona compagnia. Anche l'antica amante del re, madame de Montespan fu in seguito accusata di aver ricorso alla Montvoisin per riconquistare i favori di Luigi XIV. Ma la Montespan aveva dato otto figli al sovrano ed era fuori discussione una sua condanna. La M., invece, si era già da tempo fatta numerosi e potenti nemici, dalla stessa Montespan al potente ministro F.-M. de Louvois.
L'affare dei veleni finì per imprimere una svolta decisiva alla vita della Mancini. Il 23 genn. 1680 fu spiccato un ordine di arresto contro la M. e la sua amica Beatrice de Fouilloux, marchesa d'Alluye. Il 25 gennaio, ancora ignara di questi sviluppi, la M. si trovava in casa, impegnata a giocare a carte con altri aristocratici, quando suo cognato G.-M. de Bouillon la trasse in disparte e la avvertì, forse per ordine dello stesso Luigi XIV, che, se non avesse lasciato immediatamente la Francia, sarebbe stata arrestata e processata. Nel giro di pochi minuti la M. prese la sua decisione e lasciò la Francia, in compagnia della marchesa di Alluye.
Le reali responsabilità della M. rimangono tuttavia oscure. La fuga della M. fu interpretata da molti contemporanei e dalla maggior parte degli storici successivi come un'implicita ammissione di responsabilità. E lo stesso Luigi XIV, parlando con la suocera della M., alluse apertamente alla colpevolezza di quest'ultima e osservò che forse un giorno egli avrebbe dovuto rendere conto a Dio e al suo popolo della sua decisione di lasciarla fuggire. Tuttavia, il processo non fece emergere evidenze probatorie decisive. Dai verbali risulta infatti che la M. frequentò la Montvoisin, ma le sue minacce alla La Vallière appaiono un puro sfogo verbale, a cui non seguì alcun atto concreto. Si può dunque ipotizzare che la M. sia fuggita per il timore di essere chiamata a rispondere dei suoi intrighi passati, più che per le sue reali responsabilità.
La fuga dalla Francia finì per rivelarsi un'arma a doppio taglio. Dopo l'esecuzione della Montvoisin, il processo si sgonfiò e molti imputati poterono tornare in libertà, mentre la M. continuò a subire le persecuzioni di Luigi XIV, che le impedì di tornare in Francia.
Dalla Francia, la M. raggiunse i Paesi Bassi spagnoli. Qui il suo soggiorno non fu facile. Il suo coinvolgimento nell'affare dei veleni indusse le autorità politiche di diverse città a dichiararla persona non gradita e, secondo una voce raccolta da madame de Sevigné, Marie de Rabutin-Chantal, a Bruxelles le fu addirittura impedito l'ingresso in chiesa. La M. non era però priva di risorse e in breve riuscì ad accattivarsi il favore di Alessandro Farnese, governatore del Belgio tra il 1678 e il 1682, che la protesse.
Anche la famiglia non mancava di dare dispiaceri alla Mancini. Nell'ottobre 1680 il suo primogenito, Luigi Tommaso, sposò una donna di modeste origini, Uranie de la Cropte Beauvais, e perciò fu diseredato. Un altro figlio, Filippo, timido e maldestro, era lo zimbello della società aristocratica parigina. Pure i rapporti della M. con il più famoso dei suoi figli, il principe Eugenio di Savoia, non furono facili. Nel 1683 Eugenio, offeso dall'ostilità che gli dimostrava Luigi XIV, lasciò la Francia e passò al servizio degli Asburgo. Nel 1685 si recò a Bruxelles e visitò la madre. L'anno successivo, i due furono insieme in Spagna, ma ben presto madre e figlio si persero di vista, per lunghi anni.
Nel marzo del 1686 furono fatti alcuni passi per consentire alla M. di ottenere il perdono reale. Giacomo II d'Inghilterra scrisse una lettera in suo favore a Luigi XIV, ma il rappresentante inglese a Parigi, W. Thumbull, ritenne inopportuno presentarla. Proprio in quei mesi, infatti, la M. aveva preso una decisione che le chiuse definitivamente le porte della Francia, trasferendosi dai Paesi Bassi alla Spagna con l'intento, pubblicamente dichiarato, di manifestare al re di Spagna Carlo II d'Asburgo la propria devozione e la riconoscenza per i favori elargiti a suo figlio Eugenio.
La mossa della M. era probabilmente determinata solo dalla volontà di ricostruire una rete di protezioni per sé e la sua famiglia, ma essa si prestava anche a letture poco favorevoli. In quella fase i rapporti tra la Spagna e la Francia non erano pessimi, ma già si intravedeva l'adesione della Spagna alla grande alleanza antifrancese nota come Lega d'Augusta che si stabilizzò nel 1688. Perciò, come scriveva il Thumbull, l'azione della M. finì per essere considerata dal governo francese come un vero e proprio tradimento.
A Madrid la M. fu inizialmente bene accolta dalla regina Maria Luisa d'Orléans, ma ben presto su di lei si addensarono sospetti di ogni genere. Anche a Madrid, infatti, la M. si segnalò per il suo stile di vita eccentrico, riunendo intorno a sé una piccola corte di avventurieri.
Il suo coinvolgimento nell'affare dei veleni continuava in qualche modo a perseguitarla, perché Carlo II, tremebondo e superstizioso, temeva i suoi malefici e, stando all'ambasciatore francese, F. de Rebenac, si fece addirittura sottoporre a un esorcismo per evitarli. Alla M. fu perciò intimato, per ordine del re, l'allontanamento da Madrid. La M. non obbedì però all'invito, fidando nella protezione del suo amico, e forse amante, conte E. von Mansfeld, rappresentante dell'imperatore alla corte di Spagna.
Il 12 febbr. 1689 la regina Maria Luisa morì, probabilmente a causa di un'intossicazione alimentare, ma la repentina scomparsa fu da molti attribuita a un avvelenamento a opera del partito imperiale, che cercava di trascinare la Spagna in guerra contro la Francia ed era ostile alla regina, che sosteneva invece la neutralità. Dati i suoi precedenti e i suoi legami col Mansfeld, la M. temette di essere indiziata e nella primavera del 1689 lasciò la Spagna, riprendendo la sua vita errabonda.
Da allora, la M. visse prevalentemente nei Paesi Bassi e in Germania, cercando di giovare alla carriera di suo figlio Eugenio, che nel corso degli anni '90 aveva già dato prova del suo valore nelle campagne contro i Turchi. Fu anche per qualche tempo in Inghilterra, per visitare sua sorella Ortensia.
Furono comunque anni di ripiegamento, in cui il nome della M. non compare frequentemente nelle corrispondenze diplomatiche, anche se sembrano eccessive le considerazioni del duca de Saint-Simon, L. de Rouvroy, che la descrisse come povera e disprezzata da tutti, anche dai suoi figli. Ci sono infatti testimonianze del fatto che a Bruxelles la M. animò un ristretto circolo aristocratico e rimase un punto di riferimento per gli aristocratici francesi che si recavano nelle Fiandre.
L'8 luglio 1708 la M. ricevette una visita del principe Eugenio, che stava umiliando gli eserciti francesi sui campi di battaglia di mezza Europa. Poco dopo si ammalò e morì a Bruxelles il 10 ott. 1708.
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