Olimpiadi estive: Anversa 1920
Numero Olimpiade VII
Data: 23 aprile-12 settembre
Nazioni partecipanti: 29
Numero atleti: 2664 (2587 uomini, 77 donne)
Numero atleti italiani: 162 (161 uomini, 1 donna)
Discipline: Atletica, Calcio, Canottaggio, Ciclismo, Equitazione, Ginnastica, Hockey su ghiaccio, Hockey su prato, Lotta greco-romana, Lotta libera, Nuoto, Pallanuoto, Pattinaggio artistico su ghiaccio, Pentathlon moderno, Polo, Pugilato, Rugby, Scherma, Sollevamento pesi, Tennis, Tiro, Tiro con l'arco, Tiro alla fune, Tuffi, Vela
Numero di gare: 155
Giuramento olimpico: Victor Boin
La VI Olimpiade programmata a Berlino nel 1916 resta nella numerazione ufficiale come uno dei Giochi non disputati, analogamente al 1940 e al 1944. La città tedesca aveva già chiesto l'Olimpiade 1908 ma si era ritirata a favore di Londra, che appariva chiara favorita dopo il no di Roma. Si era riproposta per il 1912, in alternativa a Stoccolma, ma proprio nella sessione berlinese del CIO del 1909 aveva rinunciato per l'impossibilità di allestire i Giochi. Tre anni dopo, durante l'Olimpiade di Stoccolma, vennero discusse le candidature per il 1916: con Berlino concorrevano Alessandria d'Egitto e Budapest, ma entrambe fecero cadere la richiesta durante la sessione e Berlino ricevette investitura unanime. La Germania affiancò al suo Comitato olimpico, che sotto il patronato del principe Guglielmo di Prussia era presieduto dal generale Victor von Podbielski con segretario Kurt Roesler, una struttura organizzativa per i Giochi 1916 di cui era segretario Carl Diem. La costruzione dello stadio ebbe inizio nel 1911, l'inaugurazione effettuata dal Kaiser Guglielmo II avvenne l'8 giugno 1913, 25° anniversario del suo regno. Lo stadio ricalcava White City di Londra, con una pista da atletica di 400 m, una per il ciclismo di 600 m, una piscina di 100 m e spazio per 30.000 spettatori a sedere. Fu elaborato un programma-gare provvisorio, con 20 sport: comprendeva il pentathlon moderno, che aveva debuttato a Stoccolma, e una corposa parte invernale, che al pattinaggio di figure affiancava quello di velocità, all'hockey ghiaccio due gare di sci di fondo, il salto e la combinata nordica. Tre giorni in febbraio erano destinati alle gare nordiche, dal 28 maggio vi sarebbe stato l'avvio con il golf, il nucleo centrale allo stadio si sarebbe tenuto dal 1° luglio, il canottaggio dal 18 al 20 agosto, a chiudere.
I preparativi continuarono anche durante la guerra, nonostante il CIO fosse animato da atteggiamenti non amichevoli nei confronti della Germania: il britannico Theodore Cook, argento nella spada a squadre ad Atene 1906, ne pretendeva l'espulsione e, al no dell'esecutivo, si dimise. James E. Sullivan, il capo dello sport americano, chiese a de Coubertin di attivarsi per spostare i Giochi negli USA o di nuovo in Scandinavia. Non è chiaro quando la decisione di rinunciare a Berlino divenne esecutiva: a metà del 1915 i tedeschi lavoravano ancora per i Giochi, dopo aver inviato in marzo un rapporto al CIO, che aggiunse altri turbamenti, poiché precisava che solo le nazioni alleate della Germania e i paesi neutrali sarebbero stati invitati. De Coubertin, che aveva lasciato il suo incarico a favore del barone svizzero Godefroy de Blonay, "poiché un soldato non può presiedere il CIO", fece capire ai membri del comitato che Berlino non avrebbe avuto i Giochi.
La guerra costò molto allo sport. La maggioranza dei circa 6000 atleti che avevano gareggiato ai Giochi dal 1896 al 1912 fu impegnata nel conflitto. Di 115 si sa che caddero in guerra: nomi meno noti, tra cui l'astista italiano Manlio Legat e il ginnasta Guido Romano, ma anche famosissimi, come Wyndham Halswelle, l'unico concorrente dei 400 m di Londra 1908; uno dei primi vincitori nel ciclismo ad Atene 1896, il francese Léon Flameng; il nuotatore australiano Cecil Healy (1912); il francese Jean Bouin, che cadde, forse per fuoco amico, nel bosco d'Ailly; Tom Longboat, l'indiano-canadese fra i protagonisti della maratona londinese; Hanns Braun, tedesco, nel 1908 terzo dietro Lunghi negli 800 m, che morì il 9 ottobre 1918. Un mese dopo, l'11 novembre, fu firmato l'armistizio. Nel 1919 i trattati riscrissero l'Europa: il 28 giugno quello di Versailles, per i tedeschi; il 10 settembre quello di Saint-Germain-en-Laye per gli austriaci; il 27 novembre quello di Neuilly per i bulgari. Formalmente, l'Ungheria si arrese solo il 4 luglio 1920, quando firmò il trattato di Trianon.
La selezione di Anversa come sede dei Giochi estivi del primo dopoguerra fu sicuramente fra le più sorprendenti assunte dal CIO. La città si stava riprendendo assai lentamente e faticosamente, come del resto tutto il Belgio, dalle profonde ferite provocate dal conflitto e la scelta assunse un meritorio valore simbolico, pur rimettendo in marcia il Movimento olimpico con molte incertezze. In realtà, la decisione di coinvolgere il piccolo paese era maturata ben prima dell'inizio delle ostilità, risalendo in effetti a Stoccolma e alla sessione del Comitato olimpico internazionale che vi si svolse dal 4 al 17 luglio 1912. In quella sede si discussero le candidature per il 1920 e le città che le presentarono furono Budapest, Amsterdam e Bruxelles. L'idea di aggiungere Anversa a Bruxelles venne al presidente del circolo della spada della città, Charles Cnoops.
Per una fortunata coincidenza nella sessione dell'aprile dell'anno successivo, quando Anversa non era pronta, non si trattò delle candidature 1920. Questo consentì la formazione, il 9 agosto 1913, presso il Reale Yacht Club di Anversa, di un comitato per la candidatura costituito dal conte Henri de Baillet-Latour, dal barone Édouard-Émile de Laveleye, da Robert Osterrieth e da Cnoops. Il comitato chiese l'alto patronato del re e della regina e il duca di Brabante accettò la presidenza onoraria. Si fece vivo anche de Coubertin, che in settembre fu accompagnato dal comitato a visitare lo stadio Beerschot e lo ritenne soddisfacente. Lo Stato, la provincia e la città appoggiarono ufficialmente una candidatura che dunque aveva il sostegno politico e la copertura organizzativa. Nel 1914 de Coubertin approfittò del 6° congresso, associato alla XV sessione, alla Sorbona, per condurre una sorta di sondaggio informale fra i membri del CIO quanto alle candidature per il 1920. Si tenne per sé il risultato, che vide comunque Budapest in leggero vantaggio su Amsterdam e Anversa, che ormai aveva sostituito Bruxelles. La decisione si sarebbe dovuta prendere, comunque, a Berlino nel congresso programmato durante i VI Giochi, nel 1916.
Da quel momento in poi ‒ la sessione si chiuse il 23 giugno ‒ la situazione precipitò: il 28 Gavrilo Princip assassinò l'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando a Sarajevo; un mese dopo l'Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia ed ebbe inizio la Prima guerra mondiale. Non ci furono dunque né Olimpiade né Congresso a Berlino. Il CIO non si incontrò, formalmente, prima del 1919. La guerra era la principale preoccupazione del mondo, anche se ciò non impedì a qualche città di candidarsi per quando tutto fosse finito. Fra quelle che espressero un'intenzione spuntò anche Lione, per bocca del sindaco Édouard Herriot, per il 1920 o il 1924: bastò che sui giornali uscisse la notizia perché subito Anversa ribadisse, in piena guerra e a Belgio invaso, con una lettera del conte d'Assche a de Coubertin, che la città era sempre interessata. Herriot e d'Assche firmarono un mutuo protocollo secondo il quale Lione avrebbe chiesto il 1920, ma in caso Anversa fosse ancora in lizza avrebbe spostato la sua richiesta al 1924. Era evidente il dubbio che il Belgio potesse essere stremato dal conflitto. Intanto apparvero altre candidate a mezzo stampa e il sindaco dell'Avana inviò un telegramma a de Coubertin.
Quando fu chiaro che la guerra stava per finire, il barone analizzò la situazione delle città in lizza per i Giochi. Amsterdam fece sapere di voler cedere il passo all'eroico Belgio e ad Anversa. Budapest era fuori discussione come esponente di un paese aggressore che difficilmente sarebbe stato invitato ai Giochi. Restavano Anversa e Lione, ma spuntò d'improvviso Cleveland, cui si aggiunsero Filadelfia e Atlanta. Sul New York Times apparve una citazione di de Coubertin che suggeriva Roma. La cosa morì lì, ma intanto de Baillet-Latour dovette muoversi per ravvivare gli entusiasmi di Anversa, fiaccati dalla guerra. Alla fine nella sessione del CIO tenuta a Losanna fra il 5 e l'8 aprile 1919 la scelta per i Giochi 1920 fu fra Anversa e Lione e il voto a favore della città fiamminga fu unanime.
Nei quattro anni di guerra gran parte del Belgio, terreno di scontro aspro e cruento, era stato distrutto. Tuttavia Anversa risulta la città che ha ospitato i Giochi organizzandoli nel minor tempo possibile dall'investitura, un intervallo di tempo fra l'8 aprile 1919 e il 23 aprile 1920, quando con il match fra Svezia e Belgio ebbe inizio il torneo di hockey su ghiaccio, per la prima e unica volta inserito nel programma di un'edizione estiva.
L'anno prima si erano svolti, su idea dell'americano Elwood Brown, i Giochi Interalleati: gli inviti, firmati dal generale John J. Pershing, furono estesi a 29 realtà nazionali, tra cui Hedjaz (Arabia Saudita occidentale), Montenegro e Serbia, Terranova che era indipendente dal Canada, e il Siam (Thailandia). Risposero positivamente in 18, una delle squadre si chiamava 'Armata britannica del Reno'; 18 furono anche gli sport, lo stadio, intitolato a Pershing, era stato costruito in due mesi. I Giochi durarono due settimane, dal 22 giugno al 6 luglio, le gare furono disputate a Parigi, tranne il tiro che finì a Le Mans. Si segnalarono molti dei protagonisti successivi di Anversa: l'Italia vinse nella boxe (sergente Erminio Spalla, massimi leggeri), nell'equitazione (GP delle Nazioni individuale e a coppie con i maggiori Ruggero Ubertalli e Giacomo Antonelli e il capitano Alessandro Alvisi), nella scherma con il sottotenente Nedo Nadi nel fioretto individuale e nella spada a squadre.
Era evidente che il CIO e Anversa non avrebbero potuto accogliere tutto il mondo alla VII Olimpiade. La questione dell'invito a Germania, Austria-Ungheria, Bulgaria e Turchia fu affrontata nella sessione di Losanna del 1919, che la risolse affermando che solo i paesi che avevano almeno un membro nel CIO avrebbero potuto inviare rappresentative ai Giochi. I membri dei paesi dell'Asse erano stati sospesi: assenti a Losanna, non ebbero voce in capitolo e subirono la decisione. In realtà l'Ungheria fu esclusa nonostante avesse ancora due membri nel CIO "né morti, né dimissionari", come commentò amaro de Coubertin stesso. Eccezionalmente, furono accettate nazioni extraeuropee 'non ancora entrate nel CIO'.
Al programma base con l'hockey su ghiaccio furono aggiunti diversi sport, quali hockey su prato, pattinaggio di velocità su ghiaccio, più lo sci di fondo, che non fu poi organizzato, e il golf, cui si rinunciò in extremis. Dopo molte esitazioni, per via degli incidenti di Pietri nel 1908 e di Lazáro nel 1912, si decise di mantenere nel programma la maratona. Esorbitante risultò il programma del tiro, che comprese 21 gare, record assoluto per l'Olimpiade, e richiamò almeno 234 tiratori al Beverloo Camp, a 75 km da Anversa, che aveva ospitato i soldati belgi durante la guerra. "Ad Anversa si è sparato più che a Verdun", commentò qualcuno. Anche la vela, in programma a Ostenda come il polo, fu assai ricca di gare, 13. Per una controversia fra i due soli equipaggi iscritti alla prova per dinghy 12 piedi, dopo la prima sfida il 7 luglio, la seconda fu sospesa per lo spostamento di una boa che aveva mutato il percorso e fu organizzata dal Comitato olimpico olandese a Buiten-IJ, un bacino nei pressi di Amsterdam, il 3 settembre, un mese e mezzo dopo. Questo rese Anversa la prima sede olimpica ad allestire almeno un evento in due nazioni diverse.
La partecipazione, ancorché limitata, vide 29 paesi in gara, un numero di concorrenti che ‒ a parte un paio di incertezze nel tiro ‒ si fissa a 2664 atleti, di cui 77 donne, per 155 gare in 25 sport. La cerimonia d'apertura si svolse nello stadio Beerschot, preceduta da un'omelia del cardinale Mercier, prelato del Belgio, nella Cattedrale di Notre Dame. Re Alberto I entrò alle 14.30, con la regina e i figli, accolto da de Coubertin e de Baillet-Latour; suonò l'inno nazionale, cantato da un coro svedese, un colpo di cannone diede inizio alla parata delle nazioni, in ordine alfabetico secondo la lingua francese. Aprì l'Australia, l'Italia, portabandiera Nedo Nadi, era fra l'Olanda e il Giappone, chiuse il Belgio. La cerimonia introdusse l'impiego dell'alfiere locale, con il nome del paese, davanti al rappresentante designato della nazione, che imbracciava la sua bandiera. Dopo la dichiarazione d'apertura del re, due novità: salì sul pennone la bandiera olimpica e il volo di colombe e la benedizione del cardinale fecero da preludio al giuramento, letto da Victor Boin, schermidore in questa Olimpiade, pallanuotista nel 1908 e nel 1912.
Lo stadio, rinnovato con una spesa di 2.300.000 franchi belgi (3,5 milioni di euro di oggi), creò il principale deficit agli organizzatori, che chiusero con circa un milione di euro odierni di passivo, anche a causa del fallimento della Fiera di Anversa, che fece mancare il suo contributo. Per l'alloggio ci si arrangiò: gli USA, arrivati con una nave funeraria, la Princess Matoika, le cui stive puzzavano di formaldeide, erano reduci da ammutinamenti durante il viaggio, né andò meglio nella scuola dove la delegazione, formata da quasi 300 persone, fu ospitata. Chi poté scappò, come il triplista Dan Ahearn che andò a dormire in albergo nella stanza del lanciatore Pat Ryan e fu escluso dalle gare; fu riammesso dopo la minaccia di diserzione in massa dei compagni, che ottennero comunque il cambio della nave per il ritorno.
L'Italia aveva un Comitato olimpico, una commissione selezionatrice che inviò 162 atleti, alloggiandoli in una scuola di Avenue de Belgique, camerate a più letti, cibo scarso, nessuna diaria; in albergo solo il tecnico dell'atletica Platt Adams, olimpionico di alto da fermo a Stoccolma 1912, che era stato ingaggiato per 40.000 lire. C'era anche la prima donna, la tennista Rosa Gagliardi, che il 18 agosto segnò una tappa della storia olimpica nazionale, entrando al Beertodt LTC di Anversa per affrontare la svedese Maggie Lindberg. Nata a Milano il 9 febbraio 1895, figlia di un medico, Gagliardi amava oltre al tennis il pattinaggio e la scherma: al Veloce Club milanese si impostò da sola, creandosi uno stile con palla a traiettoria molto alta, ma carica d'effetto, che metteva in crisi le avversarie. Amica della famiglia Bonacossa, in particolare dello sportivissimo conte Alberto e di sua moglie, conosciuti frequentando il Tennis Club Milano, fu convinta da questi a partecipare ai Giochi di Anversa, dove gareggiò nel tennis anche Bonacossa. Il conte uscì al primo turno, Gagliardi dopo Lindberg (6-0, rit.) si ritrovò contro l'inglese Kathleen McKane, poi bronzo in singolare, oro in doppio e argento nel doppio misto. L'avventura individuale della Gagliardi si fermò lì; né andò meglio nel doppio misto con il conte Mino Balbi di Robecco: i due furono subito eliminati dai campioni belgi. Gagliardi fu presente a Parigi nel 1924, arrivando agli ottavi in singolare e ai quarti in doppio con Giulia Perelli, un po' poco per una pluricampionessa nazionale (cinque titoli fra il 1919 e il 1924, due nel doppio, quattro nel doppio misto). Sposata con Giorgio Prouse, praticò il tennis fino a tarda età, morendo in Svizzera a 78 anni.
Ma se Gagliardi fu una curiosità, Nedo Nadi fu uno dei grandissimi che l'Italia ha consegnato alla storia olimpica. Nato il 9 giugno 1894 a Livorno, era cresciuto assieme al fratello minore Aldo, più giovane di cinque anni, nella sala di scherma del padre, allievo della scuola di Eugenio Pini. Nel Circolo Fides, fondato nel 1892 dal brigadiere dei pompieri pistoiese Beppe Nadi, eccelleva in tutte e tre le armi, pur preferendo il fioretto; per la spada, bandita dal padre nella sala perché "arma priva di disciplina", fu costretto ad allenarsi di nascosto. La sede, situata in via della Posta, la strada delle case di tolleranza di Livorno, era modesta e di-sagiata, senza docce né elettricità. Si migliorò qualche anno dopo, con lo spostamento della sede in via dei Lanzi. Nedo e Aldo erano diversissimi nel carattere: il primo chiuso, lavoratore metodico e con volontà ferrea, sensibile e ragionatore; il secondo estroverso e incostante, tutto brio e fantasia, irresistibilmente attratto dal gioco e dalle belle donne. Dopo i fratelli Nadi, altri grandi campioni resero famoso il nome della Fides, facendone uno dei circoli più medagliati del mondo; per citarne alcuni si ricordino Bino Bini, Oreste Puliti, Giorgio Chiavacci, Gustavo Marzi, Manlio e Livio Di Rosa, Athos Tanzini, oltre a Giosué Borsi, che si vendicava delle stoccate di Nedo prendendolo a pugni.
A sei anni, Nedo, forgiato dal padre a colpi di fioretto usato come un frustino, era già in pedana, nel 1907 vinse a Vigevano il primo scontro, l'anno dopo si segnalò nel torneo dell'Imperatore a Vienna. Il successo di Stoccolma, ottenuto a 18 anni e con la febbre davanti a Pietro Speciale, gli diede la prima consacrazione. La guerra lo vide promosso da sottotenente a capitano, con due decorazioni, nell''Alessandria Cavalleria'. Fu il primo ufficiale di cavalleria a entrare a Trento, il 3 novembre 1918. Aveva tale carisma che a lui furono in pratica affidate la selezione e la guida della squadra di scherma per il Belgio. Nadi la riempì di livornesi, cinque su diciotto, compreso il fratello Aldo, ma la condusse a un successo globale senza precedenti: sfuggì agli italiani una sola medaglia d'oro.
Il 15 e 16 agosto, nel giardino del Palazzo di Egmont, vi fu la gara di fioretto a squadre. Nella finale contro la Francia Aldo Nadi batté il francese Lucien Gaudin, già mondiale di fioretto nel 1904 a 18 anni. Gaudin portò gli scontri sull'8 pari piegando Nedo Nadi, ma alla fine Puliti sconfisse Roger Ducret e si aggiudicò l'oro, rovesciando il verdetto dei Giochi Interalleati 1919, dove la Francia si era affermata per 18-18, 127 stoccate a 125. La scherma all'epoca era così popolare, che nella 'rivincita' fra Aldo Nadi e Gaudin a Parigi nel 1922, con 50.000 franchi in palio, 7000 persone si assieparono sugli spalti del Circo di Parigi, altre 3000 restarono fuori.
Il 18 agosto Nedo trionfò nel fioretto individuale, 22 vittorie su 24 incontri, assente Gaudin, costretto al forfait per una contusione all'alluce destro rimediata nel torneo a squadre contro gli USA: perse solo un incontro, con Ducret. Il francese, a sua volta sconfitto dal connazionale Philippe Cattiau, già pregustava l'oro, avendo fra sé e il successo, per minor numero di stoccate, il solo Pietro Speciale, un palermitano di quasi 44 anni. Mentre Nedo piangeva in un angolo, Ducret scese in pedana contro Speciale, che fino a quel punto aveva perso tutti e dieci gli incontri e sembrava rassegnato; invece fu proprio lui a salvare Nedo. Re Alberto accolse Nadi alla premiazione con un "Ancora voi? Mi pare di avervi già visto!" e Nedo rispose: "Col permesso di Vostra Maestà, tornerò altre volte". Infatti, dal 19 al 21 agosto ci fu la spada a squadre: una sconfitta contro i portoghesi in qualificazione per troppa sicurezza, poi una finale immacolata, con un 12-3 ai portoghesi dopo il faticoso 8-7 agli svizzeri, infine 10-6 a francesi e belgi, guidati da Victor Boin, il lettore del giuramento, e la vittoria decisiva, al primo e unico assalto di Italia-USA, Nedo contro Arthur Lyon, che se lo issò sulle spalle.
Seguì la spada individuale, ma Nedo non si era iscritto, forse per rispetto all'editto paterno; e nemmeno Aldo. Un solo italiano andò in finale, Abelardo Olivier, sesto. Il 25 agosto partì il torneo di sciabola individuale, senza i campioni ungheresi, esclusi dai Giochi (con l'eccezione di Anversa vinsero il titolo olimpico dal 1908 fino al 1968). Nedo era febbricitante, ma disputò 23 combattimenti, perdendone uno solo nel primo turno; in finale 11 vittorie, due in più di Aldo, secondo, sconfitto dal fratello e dall'olandese Adrianus de Jong. Si chiuse con la sciabola a squadre, il 26, dopo 12 giornate di gare. L'Italia dominò la finale: 13-3 a Danimarca, Cecoslovacchia, USA e Francia, 12-4 a Olanda e Belgio, gli inglesi rinunciarono agli assalti.
Cinque ori nella stessa Olimpiade, come avrebbe fatto un altro grandissimo, nell'atletica, quattro anni più tardi: Paavo Nurmi. Nedo si era legato a Roma Ferralasco, che fu la donna della sua vita, religiosa come lui, ma continuò un'esistenza avventurosa. Andò un anno a Buenos Aires a dirigere la sezione scherma del Jockey Club, tornò e riprese i suoi incontri in giro per il mondo, risultando imbattuto in 72 tornei da professionista. Nel 1930 fu campione mondiale professionisti della spada. Chiuse le esibizioni il 4 febbraio 1931 al Lirico di Milano contro l'ungherese György Piller. Fu commissario tecnico della nazionale e presidente della Federscherma dal 1935 fino alla morte, avvenuta a Roma per emorragia cerebrale il 28 gennaio 1940. Sono rimaste famose alcune sue sfide a duello, come contro il giornalista della Gazzetta dello Sport Adolfo Cotronei, che si batté anche con Aldo.
Aldo, più irruento e impulsivo, passò professionista subito dopo Anversa, battendo tutti, da Gaudin a Ducret, a Cattiau, e guadagnando molto. Combatté fino al 1933, quando vinse la sfida 'dilettanti-professionisti' piegando il campione del mondo amateur René Lemoine. Nel 1935 Nedo e Aldo accettarono di sfidarsi in pubblico, ma "senza contare le stoccate", perché il padre Beppe assisteva. Gli osservatori notarono che Aldo vinse i primi 4 assalti, poi il conto si perse. Aldo emigrò a New York, dove insegnò scherma ai divi del cinema, nella casa di bellezza di Elizabeth Arden, e girò anche un film, Avere e non avere, dal romanzo di Ernest Hemingway, diretto da Howard Hawks, con Humphrey Bogart e Lauren Bacall, in cui ebbe il ruolo della guardia del corpo del capitano Renard, il rappresentante del governo fascista di Vichy in Martinica. Si trasferì a Hollywood, dove curò le scene di duello di diversi film. Morì a Los Angeles l'11 novembre 1965. Fu ritrovata un'autobiografia manoscritta, The living sword, un'esaltazione del suo ego e della sua vita.
Se Nadi fu la stella assoluta, Ugo Frigerio diventò nelle cronache il 'fanciullo d'oro' di Anversa. Milanese, figlio di fruttivendoli, apprendista tipografo alla Gazzetta dello Sport, non aveva ancora 19 anni. Nel 1919 aveva vinto il tricolore di marcia 10 km, che fu sempre suo fino al 1925. Ad Anversa, dopo aver prevalso nella sua batteria senza problemi, in finale partì cauto, poi dopo nove giri raggiunse l'americano Joseph Pearman e dopo un altro giro s'involò, mentre alle sue spalle infuriava una battaglia nella quale fu coinvolto fino alla squalifica Donato Pavesi, risalito al terzo posto. Frigerio restò senza avversari e trionfò. Il suo rapporto con il pubblico belga era ormai eccellente. In occasione dei 3 km di marcia si presentò in pista dopo aver consegnato al direttore della banda uno spartito: voleva che fosse suonata una marcetta che gli desse il ritmo in gara. Alle sue spalle vi fu il solito parapiglia con i giudici, con Pavesi ancora squalificato; dopo metà gara Frigerio si liberò di George Parker, passò davanti alla banda, sostò un attimo per precisare il ritmo al direttore, poi volò verso un secondo trionfo, sottolineato da un "Viva l'Italia!".
Nel quadriennio successivo, Frigerio batté l'Europa a caccia di titoli open. Sembrò intenzionato al ritiro dopo la vittoria nel Giro di Milano del 1923 ma in realtà stava trattando un lucroso e discusso passaggio all'Internazionale. Ripresi gli allenamenti, fu a Parigi, dove le polemiche ridussero la marcia alla sola gara sui 10 km. In batteria sia il nostro commissario tecnico Emilio Lunghi sia lo statunitense Hermann Obertubbesing cercarono di fermare lo scorrettissimo austriaco Rudolf Kühnel, ma questi fu riammesso, con dimissioni dei giudici, che dovettero essere sostituiti. Frigerio comunque vinse con un solo richiamo di stile e un tempo migliore di quello di Anversa. Dopo Parigi la marcia riapparve a Los Angeles 1932, solo in prova, con la 50 km su strada; Frigerio fu ancora in gara e ottenne un bronzo inatteso, che scontò con due settimane a letto con i piedi piagati.
Ma non ci fu solo la marcia nell'atletica azzurra. Alla selezione per la maratona, vinta a Sedriano da Augusto Persico davanti a Ettore Blasi, non si era presentato Valerio Arri. Nato in un paesino dell'astigiano, Portacomaro, il 22 giugno 1892, da famiglia di Castellammare di Stabia, estroverso, dotato di humour (amava esibirsi anche in teatro, come 'Titì'), Arri gareggiava con la US Barriera Nizza di Torino e si era rivelato a Torino vincendo il Giro della città a 20 anni. Bersagliere durante la guerra, era tornato a esibirsi nel 1919 in due maratone vinte a una settimana di distanza: la prima a Torino il 28 settembre, la seconda a Milano, valida per il tricolore. Ancora prima, il 17 luglio, aveva corso la maratona di Sporting Life a Londra, da Windsor a Stamford Bridge, dove aveva ceduto solo al britannico Robert Mills, un decorato di guerra all'esordio nella specialità. Mills ad Anversa fu 14°, Arri fu protagonista con i migliori. Il 22 agosto, alle 16.12, partirono 43 atleti di 17 nazioni per la più lunga corsa olimpica a piedi della storia, 42,75 km. Prese subito il comando l'argento di Stoccolma Christian Gitsham, davanti al belga Auguste Broos, poi Hannes Kolehmainen che correva con Blasi, e dietro un estone, Jüri Lossmann, un altro finlandese, Juho Tuomikoski, e Arri nono. Al 15° km Kolehmainen raggiunse Gitsham, a 48″ passarono Blasi e Broos, poi Lossmann con Arri e l'inglese Mills. Quando Kolehmainen piazzò l'affondo, al 27° km, Gitsham non rispose per un dolore alla gamba, mentre Blasi si ritirò; al 37° km Kolehmainen, Lossmann, Tuomikoski, Broos e lo stremato Gitsham che stava per ritirarsi precedevano Arri che si impegnò nello sforzo finale. Lossmann, fuorviato da un'interpretazione errata della distanza che mancava al traguardo, finì con un troppo tardivo sprint a soli 70 m da Kolehmainen, a 12″8, minimo distacco nella storia delle maratone olimpiche. A 4 minuti arrivò un raggiante Arri, che sul traguardo si esibì in tre capriole, deliziando de Coubertin. Il mezzofondo fu propizio agli italiani anche con il bronzo di Ernesto Ambrosini sulle siepi.
Ma fra le tante medaglie che l'Italia conquistò ad Anversa ‒ 13 ori, 5 argenti, altrettanti bronzi ‒ è addirittura difficile scegliere. A cominciare dall'equitazione, dove buoni piazzamenti erano attesi fin dai risultati dei Giochi Interalleati. Nella gara di salto a ostacoli (variamente chiamata GP delle Nazioni, show jumping, salto a ostacoli), 12 barriere su 1000 m, ci fu addirittura una doppietta: il tenente Tommaso Lequio di Assaba, sul baio irlandese Trebecco (sua scelta felice anche per il successivo argento a Parigi 1924), fu affiancato sul podio dal maggiore Alessandro Valerio, sul baio mantovano Cento. Lequio poi diventò generale e guidò la Federazione italiana sport equestri dal 1960 fino alla sua morte, avvenuta nel 1965.
Le medaglie dell'equitazione furono cinque. Due, ma importanti, quelle del canottaggio: l'argento per il doppio della Canottieri Milano, con Erminio Dones e Pietro Annoni, dietro una coppia di fuoriclasse composta da John Kelly (padre di Grace, principessa di Monaco) e da suo cugino Paul Costello. Kelly mezzora prima aveva vinto l'oro nel singolo davanti all'inglese Jack Beresford: una soddisfazione somma per un muratore che si era visto negare l'accesso alle regate di Henley perché "guadagnava", a differenza dei veri gentlemen. Quattro anni dopo, lo stesso equipaggio USA del Vesper di Filadelfia replicherà il successo olimpico, ma la famiglia Kelly avrebbe dovuto aspettare fino al 1948 per vincere, con il figlio di John Kelly senior, John Brenden junior, il Diamond Sculls di Henley. Tornando all'Italia, l'oro del canottaggio arrivò dalla Bucintoro, grazie a Ercole Olgeni, che aveva ormai 37 anni, e Giovanni Scatturin, di 10 anni più giovane. Olgeni era un veterano di successi internazionali, fin dalle regate di Pallanza del 1906, campione europeo quell'anno con Scipione del Giudice, nel 1911 con Enrico Bruna, ai Giochi Interalleati del 1919 vincitore con il quattro con della società veneta. Ad Anversa Olgeni e Scatturin affrontarono i campioni d'Europa francesi. La Svizzera sorprese tutti e con 44 colpi restò in testa fino ai 700 m, quando italiani e francesi la affiancarono e la scavalcarono. Sul traguardo, i francesi si arresero.
Il ciclismo ci aveva dato soddisfazioni ad Atene 1906: quella di Anversa fu la prima spedizione importante dopo di allora, nonostante fosse segnata da polemiche per le scelte del commissario tecnico Eberardo Pavesi. Inoltre, il Ministero della Guerra richiamò in Italia uno dei selezionati, Federico Gay, che non rispose all'ordine, gareggiò anche se turbato e finì sedicesimo sui 175 km (in realtà meno di 160) a cronometro individuale. Ma fu in pista che arrivarono le soddisfazioni: il quartetto italiano dell'inseguimento aprì un lungo e fecondo capitolo. Tutti giovanissimi, tranne Ruggero Ferrario che aveva 23 anni: dai 17 anni di Franco Giorgetti ai 18 di Arnaldo Carli e Primo Magnani. Superata la Francia e il Sudafrica, in finale ci fu la Gran Bretagna; l'inglese Albert White cercò di rompere i cambi italiani, la cosa indispettì uno spettatore francese, Huot, che balzò in pista e colpì White con un pugno. All'arrivo un giudice agli italiani prese il tempo sul quarto, un altro agli inglesi sul terzo, com'è giusto, e gli azzurri risultarono perdenti; ma il reclamo contro la scorrettezza di White fu accolto e Giorgetti, ragazzino di Mombello, diventò il più giovane vincitore olimpico di una medaglia nel ciclismo. In seguito fu popolarissimo stayer e seigiornista (14 vittorie negli USA).
La scuola della ginnastica dopo Braglia e Stoccolma non aveva esaurito la sua spinta. Salì alla ribalta Giorgio Zampori, orfano cresciuto nei Martinitt milanesi, che insegnava ginnastica dopo essersi segnalato come mitragliere sul Carso. Era stato già oro a Stoccolma con la squadra, ma ad Anversa fu impareggiabile e imitò nel risultato Braglia, con due successi, individuale e con il team. A Parigi quattro anni dopo fu ancora il più bravo nel concorso, oltre che bronzo nelle parallele. Nel 1926 affrontò lo scoglio più difficile: la discussione della tesi di laurea a Bologna in educazione fisica, che insegnò a Brescia fino al 1965, anno della sua scomparsa. Ci fu posto per un oro anche nei pesi con il massimo Filippo Bottino, trentunenne, che collezionò 270 kg nelle tre alzate. Bottino amava scherzare: un epiteto un po' pesante provocò, nella scuola dove gli azzurri alloggiavano, una lite con Aldo Nadi, risolta con un singolare duello, Aldo con il frustino, Bottino con una trave. Al via, un grido di dolore, Bottino lasciò cadere la trave fra gli applausi degli azzurri presenti.
Gli italiani furono bravi quasi dappertutto, ma non piacque ai dirigenti la rivolta dei pallanuotisti: finiti sull'1-1 i tempi regolamentari contro la Spagna, la squadra azzurra, dopo il primo overtime di tre minuti, si rifiutò di scendere in acqua nel secondo perché la temperatura era di soli 12 gradi. Alla fine tornarono a gareggiare solo Amilcare Beretta e Mario ed Ercole Boero, troppo tardi Umberto Lungavia e il portiere Salvatore Cabella, non Luigi Burlando che era assiderato né Achille Olivari, anch'egli fuori combattimento; intanto era stato dichiarato il successo iberico (5-0) per forfait. L'Italia poi subì un pesante 5-1 dalla Grecia nei playoff per il bronzo. In settembre la Federazione italiana squalificò Cabella e Lungavia, imponendo loro il bando dalla nazionale, che per Cabella fu rimosso nel 1923, quando l'Italia debuttò, Olimpiade a parte, perdendo 6-2 contro gli ungheresi a Pavia.
L'atletica, fra i personaggi di rilievo, presentò Charles Paddock, campione dei Giochi Interalleati 1919, che al via della finale dei 100 m si vide fortunosamente privato di un pericoloso rivale grazie a un equivoco: Loren Murchison, che aveva battuto Paddock ai Trials, dopo aver atteso che i giudici sistemassero correttamente al connazionale le mani dietro la linea di partenza, quando lo starter sparò non partì aspettandosi che l'intera procedura fosse ripetuta. Così Murchison fu ultimo e Paddock primo con il famoso 'saltino' sul traguardo che esibiva di solito. Nei 200 m era il favorito, ma ai 20 m finali fu superato dal connazionale Allen Woodring, che era andato ad Anversa come sostituto dell'ultima ora e aveva rimediato un paio di scarpe da un altro americano, visto che le sue si erano rotte. La doppietta nel mezzofondo di Albert Hill, trentunenne segnalatore della Marina inglese, fu inattesa. Nei 1500 m all'argento arrivò un futuro famoso uomo politico britannico, Philip Noel-Baker, un pacifista quacchero che fu tra i fondatori della Società delle Nazioni e parlamentare per 36 anni, e ottenne nel 1959 il Nobel per la pace. Il mezzofondo lungo vide la nascita della stella di Paavo Nurmi, il finlandese che avrebbe trionfato con cinque ori a Parigi nel 1924. Ad Anversa si 'accontentò' di tre ori e un argento, quest'ultimo nei 500 m, al termine di una sorta di rivincita del duello Kolehmainen-Bouin di Stoccolma. Il francese Joseph Guillemot, che durante la guerra aveva subito gli effetti del gas venefico e al quale era stato predetto che non avrebbe più corso, seguì Nurmi come un'ombra e lo piantò in asso ai 200 m finali, precedendolo di quasi 5″. Nurmi si consolò con i 10.000 m tre giorni dopo, dove ebbe ragione di Guillemot con una volata lunga un giro, e con la doppietta nel cross individuale e a squadre, 8 km vinti senza problemi dopo il ritiro di Guillemot per una distorsione al ginocchio, e dominati a squadre dai finlandesi.
Le gare di nuoto si tennero in un fangoso canale. "Maestà, abbiamo nuotato nella mota, non nell'acqua", disse alla regina Ethelda Bleibtrey, mentre riceveva i complimenti per i suoi tre ori. Ethelda faceva l'infermiera a New York, anche lei aveva subito un fermo di polizia per 'nudità' sulla spiaggia di Manhattan. In Belgio indossò casti costumi e trionfò sotto la guida di Louis de Breda Handley.
Uno straordinario personaggio tornò ad animare il nuoto maschile dopo l'impresa compiuta a Stoccolma: l'hawaiiano Duke Kahanamoku, il cui nome derivava da una visita a Honolulu del duca di Edimburgo. A Stoccolma aveva avuto problemi, essendo arrivato in ritardo alla semifinale; lo avevano atteso poiché il suo grande rivale, l'australiano Cecil Healy, non aveva voluto che si partisse senza di lui e Kahanamoku aveva potuto così conquistare il suo primo successo. Compiva 30 anni il 24 agosto, quando ad Anversa nella prima finale dei 100 m stile libero, dopo aver migliorato il mondiale in semifinale con 1′01,2″, si affermò davanti al corregionale Pua Kealoha in 1′00,4″. La gara fu però ripetuta per il reclamo presentato dall'australiano William Herald, che si era visto tagliare la strada e quasi colpire con un pugno dall'americano Norman Ross. Fu l'ultima volta che si nuotò senza corsie. Kahanamoku comunque vinse di nuovo, senza record, cinque giorni dopo. Vissuto in mare e sulla spiaggia di Honolulu, Duke aveva lasciato le Hawaii nel 1911 per una lunga tournée che lo trasformò in ambasciatore mondiale del surf, sport per il quale si era costruito un'enorme tavola in legno, lunga quasi 3 m, che nessuno sapeva governare come lui. Intanto si era trasferito a San Francisco, dove il suo stile, un crawl istintivo, impressionò i tecnici. Si presentò ad Anversa dopo che un lungo giro del mondo come surfista lo aveva portato perfino in Australia. Gli hawaiiani in squadra furono quattro: c'era il fratello di Duke, Sam, oro in staffetta 4 x 200 m, il già citato Pua (Kela) Kealoha, anch'egli oro in staffetta, e Warren Kealoha, sedicenne, che piazzò la prima delle sue due vittorie olimpiche consecutive nei 100 m dorso. Kahanamoku non solo gareggiò a Parigi nel 1924, ottenendo l'argento a 34 anni nei 100 m stile libero, ma risultò l'unico grande avversario di Johnny Weissmuller, il futuro Tarzan, con il quale interpretò diversi film.
Da ricordare ancora Aileen Riggin, morta a 96 anni nell'ottobre 2002, dopo aver detenuto a lungo il primato di longevità fra le olimpioniche. Andò ad Anversa quasi per scommessa, uno scricciolo alto 1,37 m e del peso di soli 32 kg, che aveva da poco compiuto 14 anni. Nata a Newport, Rhode Island, aveva viaggiato molto con il padre, ufficiale pagatore in Marina, e aveva imparato a nuotare nella baia di Manila, nelle Filippine, e a tuffarsi a Long Island. Con lei in squadra c'era Helen Wainwright, di pochi giorni più grande, che l'aveva preceduta ai Trials. I dirigenti non volevano due ragazzine così giovani, ma de Breda insistette e convinse tutti. Nei tuffi da 1 metro gareggiarono solo quattro ragazze americane. Riggin batté Wainwright e restò la più giovane vincitrice olimpica fino a quando a Berlino nel 1936 non conquistò l'oro un'altra teenager americana, Marjorie Gestring, tre mesi prima di compiere 14 anni. A Parigi 1924 Riggin ottenne un bronzo nei 100 m dorso.
Nelle prove di tiro emerse una coppia americana che accumulò 14 medaglie: Willis Lee cinque d'oro su sette, Lloyd Spooner quattro, ma grazie alla gran quantità di prove a squadre. A livello individuale, Spooner ottenne solo un bronzo. Ma di spari, ai Giochi, se ne erano sentiti troppi: si tennero 21 gare di tiro, con la partecipazione di 234 concorrenti, mentre a pochi km l'esercito belga faceva ancora brillare le granate tedesche inesplose.