Olimpiadi invernali: Calgary 1988
Numero Olimpiade: XV
Data: 13 febbraio-28 febbraio
Nazioni partecipanti: 57
Numero atleti: 1423 (1122 uomini, 301 donne)
Numero atleti italiani: 77 (55 uomini, 22 donne)
Discipline: Biathlon, Bob, Hockey su ghiaccio, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico, Slittino
Numero di gare: 46
Ultimo tedoforo: Robyn Perry
Giuramento olimpico: Pierre Harvey
Calgary, il cui nome in lingua indiana vuol dire 'acqua che scorre', città di 650.000 abitanti situata fra grandi distese con scarsa densità di popolazione, capoluogo dell'Alberta, ricca provincia del Canada anglofono, ottenne i Giochi invernali anche per una sorta di maturazione del diritto della sua nazione a ospitare i molti suoi sport della neve e del ghiaccio. Prima si erano candidate invano Montreal (poi quasi punita dall'assegnazione di Giochi estivi che avevano comportato un enorme deficit finanziario), Vancouver e Banff. Per darsi un cuore olimpico speciale Calgary si inventò nel suo centro, un downtown tipico del Nordamerica con i grattacieli e i posti per lo shopping e il divertimento, l'Olympic Plaza, dove si tenevano le premiazioni, si ballava e si cantava trascinati da orchestre a ciclo continuo, e si potevano comprare i ricordini olimpici naturalmente tutti ispirati alle usanze locali: e cioè i cinque cerchi sul cappello da cowboy, il tripode con il sacro fuoco saltato da un cavallo da rodeo (composizione in plastica), le spille, le cravatte e persino gli speroni, sempre con i cinque cerchi.
Quelli di Calgary furono dei bei Giochi per partecipazione popolare (nonostante il fatto che anche in questa edizione, così come accaduto a Montreal nel 1976, il paese ospitante non abbia vinto neanche una medaglia d'oro). Tuttavia i capricci del vento locale, il cheenox (nome indiano), che portava abitualmente polvere e terriccio sulla città, trasformarono le piste del bob e dello slittino in sentieri di sabbia, con rinvio e cancellazione di molte prove. Le piste dello sci alpino e nordico erano invece a un centinaio di chilometri, e godettero quasi sempre di neve buona e abbondante. Le installazioni coperte furono inappuntabili e molto affollate. Il rodeo, la massima festa locale, non fu penalizzato dai Giochi: e fu legittimo pensare che un plurivincitore di medaglie d'oro avrebbe lì a Calgary goduto di fama minore rispetto a chi era capace di restare per dieci secondi in groppa a un cavallo selvaggio, ovviamente senza sella. Soltanto le gare di hockey su ghiaccio godettero del pieno inserimento nelle usanze locali, anche se il Canada non si comportò brillantemente: certe cariche del gioco ricordavano ai locali lo stampede, il carosello di cavalli, bufali e bisonti (ormai rari) conclusivo del rodeo. Nel torneo di hockey ‒ che doveva essere per i canadesi quello che era stato a Lake Placid, otto anni prima, per gli statunitensi, ossia il trionfo della squadra di casa, dei valori nazionali, l'epicentro della manifestazione ‒ il Canada finì appena quarto dietro a URSS, Finlandia e Svezia. Ci fu comunque una tranquilla accettazione della crisi da parte di un pubblico davvero molto corretto, capace di rimanere sempre olimpico anche nel senso della tranquillità e della sportività. Da ricordare pure la remissività dei sovietici, ormai sicuri del titolo, nell'incontro con i finlandesi, che così pervennero all'argento.
Calgary, all'apparenza costruita tutta un mese prima dei Giochi, ricca per il petrolio della sua provincia, gratificata anche dai 200 milioni di dollari di diritti televisivi (molti per i Giochi d'inverno), nella cerimonia inaugurale un po' in stile 'far west' raccontò le sue fresche radici (la città nacque da un forte eretto dalle Giubbe rosse, la guardia a cavallo famosa nel mondo, nel 1897) e si concesse due primati speciali: quello del più vecchio portatore di fiaccola, un ultracentenario, e quello della più giovane tedofora per l'ultimo tratto, una pattinatrice dodicenne.
Due grandi personaggi emersero a Calgary e uno dei due era italiano: Alberto Tomba, carabiniere bolognese, che prima di arrivare aveva riportato in tre mesi sette vittorie consecutive negli slalom di Coppa del Mondo, dopo che nella stagione precedente aveva appena fatto in tempo a segnalarsi con un bronzo mondiale. Tomba vinse i due slalom, come Stenmark a Lake Placid 1980, e alimentò le cronache con le sue gesta e la sua simpatia. L'altro personaggio era Katarina Witt, tedesca orientale, pattinatrice d'artistico di grande bellezza.
Tomba vinse le sue due gare con pieno merito, dominando lo slalom gigante ed effettuando nello slalom speciale un'emozionante rimonta nella seconda manche contro avversari che sembrarono patirlo anche psicologicamente. L'estrazione cittadina e la provenienza da una famiglia agiata gli davano sicurezza e persino spavalderia nei comportamenti. Lo sci alpino azzurro del momento era lui, che aveva fatto in fretta a prendere il comando, attirando sponsor e 'riempiendo' i teleschermi. Era l'opposto di Gustav Thoeni, come carattere e comportamenti, ma in pista era altrettanto valido. L'ideale confronto Thoeni-Tomba era anche quello del silenzio contro la voce alta, dell'introversione contro l'estroversione. Contrapposti nell'accostamento extratemporale fatto dall'opinione pubblica, i due finirono per incontrarsi completandosi, l'atleta con il tecnico. In seguito Thoeni avrebbe infatti seguito e allenato Tomba, molto contento di averlo accanto perché l'altoatesino riusciva sempre a insegnargli qualcosa senza togliergli nulla della sua libertà di apprendere e anche di non apprendere. A Calgary però l'assistenza di Thoeni ancora non c'era e l'atleta era seguito da Alberto Marchi; Tomba non solo vinse lo slalom gigante e lo slalom speciale, ma creò nuovo interesse negli appassionati, riempiendo prima di attese e poi di conferme la lunghissima edizione dei Giochi, passati a 16 giorni, dai 13 di Sarajevo, appunto per accogliere nuove specialità.
Oltre a Tomba e a Witt, ma per motivi opposti, divenne un personaggio amato e seguito dal pubblico il saltatore inglese Eddy Edwards, detto the Eagle, "l'Aquila". Edwards era un non vincente, finiva ultimissimo, ma la gente andava a vedere la gara anche per lui: 80.000 spettatori per applaudirlo, aspettando che cadesse. Edward non cadeva, piuttosto 'scendeva' dal dente del trampolino alla pista di atterraggio. Nella prova dal trampolino di 70 m saltò 55 m in ognuna delle due prove con un punteggio finale, tenuto anche conto dello stile approssimativo, di 69,2; dal trampolino di 90 m saltò 71 e 67 m, con punteggio 57,5. Il finlandese Matti Nykänen, vincitore in entrambi i casi, dal trampolino di 70 m saltò due volte 89,5 m e realizzò il punteggio di 229,1; da 90 m saltò prima 118,5 e poi 107 m per un totale di 224 punti. Matti Nykänen aveva vinto a Sarajevo la prova dal trampolino da 90 m, poi era sparito. Vinse anche, per la sua Finlandia, la prova a squadre e fu molto omaggiato dai vari eserciti della salvezza, che riempivano Calgary di canti e salmi, perché uscito dal tunnel dell'alcolismo. Grande saltatore, comunque, e si disse ovviamente che senza quei problemi chissà dove sarebbe arrivato. Ma lui precisò che senza l'alcol forse non avrebbe mai trovato la voglia e il coraggio di buttarsi giù dalla cima del trampolino. Nykänen occupò quasi tutti i giorni di Calgary perché la gara da 70 m si svolse a Giochi appena cominciati mentre quella da 90 m dovette aspettare il penultimo giorno per trovare un piccolo spazio di tempo non tormentato dal vento, che aveva provocato tanti rinvii.
L'esame dei Giochi di Calgary condotto disciplina per disciplina propone, nello sci alpino, la grande attesa per lo svizzero Pirmin Zurbriggen, capace di fare bene nei due slalom e nella discesa, e arrivato lì con quattro titoli mondiali (le rassegne iridate intanto si erano infittite, svolgendosi ogni due anni, con frequenti proposte di nomi nuovi) e due successi nella classifica generale di Coppa del Mondo. Zurbriggen si era annunciato competitivo per cinque medaglie d'oro, dicendo che voleva approfittare dell'entrata nel programma olimpico del supergigante e che contava di eguagliare ciò che aveva fatto Eric Heiden nel pattinaggio di velocità a Lake Placid. Si impose nella discesa sul connazionale Peter Müller, che era il campione del mondo in carica, ma poi dovette inchinarsi a Tomba. Fallì anche la medaglia della combinata, cadendo a metà della prova di slalom e lasciando il successo all'austriaco Hubert Strolz. Da quella combinata il nostro Richard Pramotton, esperto slalomista, candidato al podio, si autoeliminò cadendo in allenamento proprio per lo slalom.
Nel supergigante il francese Franck Piccard riuscì a ridare al suo paese l'oro che mancava dai tempi di Killy (vincitore a Grenoble nei Giochi invernali di vent'anni prima). Marc Girardelli, che era uno dei favoriti, uscì alla quinta porta, Zurbriggen fece i suoi errori e fu appena quinto, alla fine la classifica alta vide personaggi relativamente insoliti. C'era pure Tomba al via, la tattica prevista era quella di una prima parte affrontata cautamente, su un tracciato quasi da discesa, per poi spendere tutto nella seconda metà del tracciato, più tecnica. Invece quando scattò al via Tomba spese subito tutto, dando l'impressione di voler aggredire la pista. Alla terza porta era fuori.
Ma le gare per Tomba erano i due slalom. Il gigante lo vide partire con il pettorale numero 1, fare una prima manche semplicemente perfetta, insomma chiudere lì la competizione. Nella seconda manche, di puro controllo, volle comunque ancora una volta primeggiare. Zurbriggen fu terzo, dietro a Hubert Strolz, e in pratica il suo sogno di diventare plurivincitore olimpico finì lì. Opposta alla vittoria di Tomba ci fu la delusione dell'azzurro Ivano Camozzi che, disputata un'ottima seconda manche, prima della discesa di Tomba era terzo, ma finì poi al quarto posto.
Nello slalom speciale, dopo la prima manche si trovava in testa un tedesco occidentale, Frank Wörndl, che l'anno prima aveva vinto titolo mondiale a Crans Montana, ma sino a quel momento non aveva ottenuto grosse vittorie. Subito alle sue spalle Jonas Nilsson, uno svedese che andava contro i paletti e li prendeva a spallate; Tomba aveva sei decimi di distacco. La seconda manche vide la riscossa di Paul Frommelt del Liechtenstein, che salì sino al bronzo, la rimonta di Ingemar Stenmark sino al quinto posto, la crisi di Nilsson ma anche e soprattutto l'impresa di Tomba, che recuperò i sei decimi e diede a Wörndl sei centesimi di distacco. Da segnalare anche l'ottavo posto dell'italiano Oswald Tötsch.
La Svizzera, delusa da Zurbriggen, rispettava invece i pronostici in campo femminile, con Vreni Schneider, grande slalomista. Suo il gigante, suo lo speciale, lasciando le avversarie lontanissime. Nello speciale l'azzurra Paoletta Magoni conquistò un accettabile settimo posto. La discesa e il supergigante promettevano una sorta di lotta in famiglia fra le svizzere Michela Figini e Maria Walliser, ma alla fine Figini prese un argento e Walliser niente. La discesa andò, abbastanza a sorpresa, alla tedesca occidentale Marina Kiehl, il supergigante all'austriaca Sigrid Wolf; in questa specialità un'azzurra, Michaela Marzola, giunse settima. La combinata infine fu austriaca con Anita Wachter.
Nelle gare di fondo c'era un'azzurra con forte personalità, Manuela Di Centa, sicura di sé al punto di mettere per iscritto i suoi rapporti speciali con la Federazione italiana: dopo Sarajevo aveva infatti detto di non voler più fare parte di una squadra nazionale che pretendeva di sottoporre i suoi atleti all'autoemoperfusione; la Federsci aveva provato a contrastarla ma alla fine si era rassegnata a un patto che lei aveva sollecitato, anzi imposto, secondo il quale l'amministrazione della propria salute toccava a lei e a nessun altro. Nella 10 km, che secondo alcuni doveva essere la sua gara, Di Centa deluse, finendo ventesima, dietro a due azzurre che si chiamavano Stefania Belmondo e Guidina Del Sasso. Sui 20 km Di Centa fu sesta, miglior risultato di sempre per il fondo femminile azzurro.
Furono gli uomini ad andare bene per l'Italia. Sui 30 km Giorgio Vanzetta fu quinto, Gianfranco Polvara settimo, Marco Albarello ottavo. Vinse il sovietico Aleksey Prokurorov su Vladimir Smirnov, del Kazakistan, ma si poteva addirittura scoprire, facendo le somme basate sui piazzamenti, un teorico successo italiano di squadra. Sui 15 km Albarello, campione mondiale in carica, fu nono in una gara ancora sovietica: primo Mikhail Deviatiarov, terzo Vladimir Smirnov, in mezzo ai due Pål Gunnar Mikkelsplass norvegese. Sesto fu Maurilio De Zolt, decimo Vanzetta, quattordicesimo Polvara: anche qui i piazzamenti indicavano una nostra forza complessiva, ancorché non espressa da un qualche acuto speciale. Nella staffetta gli italiani avevano buone speranze: Silvano Barco in prima frazione tentò addirittura il colpo della vita, andando in testa e restandoci per un bel po'; poi pagò negli ultimi due dei 10 km che doveva coprire. Albert Walder prese il cambio e scivolò anche lui indietro, Vanzetta e De Zolt rimontarono sino al quinto posto, dietro Svezia, URSS, Cecoslovacchia e Svizzera. De Zolt, campione del mondo sui 50 km, cercava anche l'oro olimpico, ma non ce la fece contro l'enorme Gunde Svan, svedese; espresse tutta la sua delusione anche a chi gli faceva presente che un secondo posto così, a 39 anni, era una impresa sensazionale, lo svedese era imbattibile, non c'erano stati errori di sciolinatura o incurie da parte dei tecnici. Magnifico De Zolt anche in questo suo rifiuto di tramontare, dopo una carriera splendida.
In campo femminile la 5 km fu vinta da una finlandese di nome Marjo Matikainen, la 10 km dalla sovietica Vida Venciené (undicesima Del Sasso, diciannovesima Belmondo), la 20 km dalla sua connazionale Tamara Tikhonova. Le donne dell'URSS comunque riempivano ogni volta il podio. La staffetta fu loro, su norvegesi e finlandesi.
Il resto dello sci nordico vide i salti di Nykänen, la combinata dello svizzero Hippolyt Kempf con la prova a squadre vinta dai tedeschi dell'Ovest, il biathlon del grande Frank-Peter Rötsch, tedesco dell'Est, sui 10 e sui 20 km. Nella prova a squadre però vinsero i sovietici sui tedeschi dell'Ovest e sugli italiani, che erano Werner Kiem, Gottlieb Taschler, Johann Passler e Andreas Zingerle e precedettero austriaci e tedeschi orientali. Passler, ottavo sui 10 km, fu il migliore in una rappresentativa comunque non squilibrata.
La Germania Orientale non lasciò spazi nelle prove dello slittino. Per gli italiani furono ottavo Hansjörg Raffl e decimo Paul Hildgartner, alla sua quinta Olimpiade e perciò scelto come alfiere della squadra azzurra.
Nel bob il podio sancì alcune novità: per la prova a due prima URSS, seconda e terza Germania Est, per la prova a quattro prima la Svizzera su Germania Est e di nuovo URSS. Equipaggi italiani da bassissima classifica.
Il pattinaggio di velocità patì anch'esso venti e polveri, comunque riuscì a celebrare gare interessanti e campioni veri. Fra le donne una olandese, Yvonne van Gennip, prese i tre titoli delle distanze lunghe, sempre davanti a due tedesche orientali. Sui 1000 m due tedesche orientali, Christa Rothenburger e Karin Kania, precedettero la statunitense Bonnie Blair, sui 500 m la stessa Blair arrivò prima delle altre due atlete, una specie di simmetria nelle classifiche alte. Fra gli uomini l'eroe di turno fu uno svedese, Tomas Gustafson, che vinse le due prove più lunghe, stabilendo altrettanti primati del mondo; l'Olanda raccolse soltanto piazzamenti, come anche nelle altre prove, dove vinsero rispettivamente Uwe-Jens Mey della Germania Est sui 500 m, Nikolay Gulyayev dell'URSS sui 1000 m, André Hoffmann della Germania Est sui 1500 m.
Il pattinaggio artistico fu un momento alto dei Giochi di Calgary: anche la prova maschile entusiasmò, per via della lotta tra Brian Orser del Canada e Brian Boltano degli USA. Vinse lo statunitense e il pubblico fu così sportivo da dimenticare che se ne andava anche un'altra delle poche chance del Canada di prendere una medaglia d'oro a casa sua. I sovietici dominarono la prova a coppie e quella di danza, sempre vincendo oro e argento, e lasciando indietro lì gli statunitensi, qui i canadesi. Yekaterina Gordeyeva, la 'bambina' della prova a coppie, pesava 40 kg, era pura grazia calata sul ghiaccio con la dose giusta di atletismo: piacque molto.
Tutto comunque passò in subordine, quanto a fascino, alla prova delle donne, dove Katarina Witt venne inizialmente scelta dal pubblico sulla base della bellezza. Poi lo scorrere delle prove le mise davanti la canadese Elizabeth Manley e la statunitense di colore Debra Thomas, che l'anno prima aveva conquistato il titolo mondiale proprio a spese di Witt. Si arrivò così all'ultimo esercizio, quello 'lungo', in pratica l'esibizione che quasi sempre decide la graduatoria. Witt e Thomas si annunciavano entrambe impegnate con musiche della Carmen di Bizet. La tedesca orientale era sin lì terza in classifica e doveva cominciare lei la serie delle prove: giovandosi anche della bellissima presenza fu perfetta nella tecnica, nei tempi, nell'autorevolezza dell'esecuzione. I giudici le diedero un punteggio altissimo. Toccò poi alla canadese, ma dopo l'esibizione di Witt c'era poco da fare, il pubblico lo capì; infine la statunitense nel tentativo di forzare al massimo la qualità dell'esercizio collezionò due cadute e dovette accontentarsi del bronzo.
Dominati dalla televisione nordamericana, che poteva scegliere un qualsiasi personaggio e farne una stella indipendentemente dai suoi esiti sportivi, i Giochi di Calgary diedero l'idea, diversamente per es. da quelli di Grenoble, Sapporo e Sarajevo, di una intera comunità urbana al servizio della manifestazione. A Grenoble, a Sapporo e a Sarajevo era stato facile e persino interessante vedere, guardare, conoscere le tre città nella loro anima originale, nella loro estraneità, in molti posti e per molte situazioni, alla manifestazione (la casa della cultura a Grenoble, la quarta dimensione cioè il mondo sotterraneo intorno alla metropolitana a Sapporo, la grande zona tipicamente musulmana a Sarajevo). A Calgary ci fu invece una comunità tutta votata ai Giochi, tutta segnata dall'impegno di organizzarli, ospitarli, viverli intensamente. Per il Canada i Giochi portarono solo due medaglie d'argento e tre di bronzo, ma tanta felicità per la festa di sport organizzata e validamente ospitata.
Nel tabellone delle medaglie fu prima l'URSS, davanti alla Germania Est, alla Svizzera e alla Finlandia. Per trovare gli USA bisogna scendere al nono posto: un disastro, una consolazione per i canadesi, tredicesimi. L'Italia fu decima, davanti alla Francia. Ma, al di là delle graduatorie, per l'afflusso di specialità e genti nuove si avvertì proprio una evoluzione del concetto di Giochi invernali: non più solo saghe di sport antico e di valori nuovi a esso ispirati, ma produzione di spettacoli assortitissimi per la televisione. L'appuntamento successivo ad Albertville, Francia, preannunciava, almeno per lo sci alpino, un'affermazione forte dei poteri mediatici e una riconquista della scena, nonché il ritrovato primato della neve anche grazie allo sci nordico.