Olimpiadi invernali: Cortina d'Ampezzo 1956
Numero Olimpiade: VII
Data: 26 gennaio-5 febbraio
Nazioni partecipanti: 32
Numero atleti: 821 (687 uomini, 134 donne)
Numero atleti italiani: 65 (53 uomini, 12 donne)
Discipline: Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico
Numero gare: 24
Ultimo tedoforo: Guido Caroli
Giuramento olimpico: Giuliana Minuzzo Chenal
La vicenda della candidatura di Cortina d'Ampezzo a ospitare i Giochi invernali si collega con quella degli sport invernali in Italia, soprattutto dello sci alpino, quello di slalom e discesa. La storia per la verità non certifica con esattezza quando, come e dove ebbe inizio l'attività sciatoria italiana. Il primo paio di sci fu portato in Italia nel 1670 da un parroco di Ravenna, don Francesco Negri, alla fine di un suo viaggio, per quei tempi coraggioso, a Capo Nord. Per trovare quattro paia di sci da discesa, peraltro cauta, più adatti a una passeggiata alla maniera nordica, bisogna aspettare il 1896: li esibì a Torino un ingegnere svizzero, Paul Kind, che andò anche a provarli sulle nevi di Sauze d'Oulx nell'Alta Valle di Susa. Lo Ski Club Torino fu fondato nel 1899 e nel 1905 la Valle di Susa ospitò i primi corsi di sci, sia pure riservati ai militari. Nell'inverno di quell'anno sulla strada da Pocol a Cortina alcuni giovanotti ampezzani provarono uno slittino a due e anche a quattro posti, e nacque così, almeno per l'Italia, il bob, che proprio a Cortina ebbe la sua prima pista nel 1923. Quanto al pattinaggio, bisogna tornare a Torino, per la nascita nel 1911 di una pista sul ghiaccio di un laghetto nel parco del Valentino. Una nazionale italiana di hockey venne messa insieme soltanto nel 1924 a Milano, affrontò la Francia e fu sconfitta per 12-0.
L'approdo a Cortina della massima manifestazione di sport invernale si deve al conte Alberto Bonacossa. Di nobile famiglia milanese, fu tra i primi praticanti in Italia del pattinaggio artistico, disciplina in cui fu dal 1914 al 1928 campione nazionale; per tre anni detenne anche il titolo della specialità a coppie, con la moglie Marisa, a sua volta campionessa nazionale individuale dal 1920 al 1928. Bonacossa praticò anche il bob, contribuendo alla creazione di un equipaggio italiano per i primi ancorché non subito ufficializzati Giochi invernali, quelli del 1924 a Chamonix, e fu pure alpinista e sciatore di fondo e di discesa. Membro del CIO dal 1925, fu il presentatore ufficiale davanti al consesso olimpico della candidatura di Cortina, la località dolomitica preferita per le sue pratiche sportive, a organizzare i Giochi del 1944. Cortina - quota 1224 m, in una splendida conca circondata da montagne quanto mai adatte allo sci alpino, dotata di molte piste per lo sci di fondo e il pattinaggio di velocità, nonché di alcuni impianti già validi per gli sport del ghiaccio, anche se lo stadio per pattinaggio artistico e hockey era ancora un puro progetto - ebbe 16 voti nella prima e nella seconda decisiva votazione, e furono più che sufficienti per battere Montreal che non superò i 12 e Oslo che ne ebbe 7. Ma era il 1939 e la guerra bloccò anche tutte le grandi iniziative dello sport mondiale. L'Italia ritrovò una federazione dello sci funzionante nel 1946, sotto la presidenza di Giovanni Nasi (sindaco del Sestriere, appartenente alla grande famiglia Agnelli). Nel 1947 - i Giochi dell'anno seguente erano stati già assegnati a St. Moritz, che offriva le garanzie di tranquillità e organizzazione di una Svizzera rimasta estranea al conflitto mondiale - Cortina si ripropose per il 1952, ma nella sessione del CIO di Stoccolma ebbe soltanto 9 voti, la metà di quelli che raccolse Oslo. Gli ampezzani tornarono all'attacco nella sessione del CIO che si tenne a Roma nel 1949 e, sfruttando anche il fattore-campo, con un CONI forte pure sul piano diplomatico, vinsero a larga maggioranza raccogliendo 31 voti contro i 7 di Montreal. Naturalmente il conte Alberto Bonacossa, insieme con il conte Paolo Thaon di Revel, membro del CIO, fu uno dei nostri attivisti più impegnati. Sarebbe morto il 30 gennaio 1953, a 70 anni, tre anni prima dei 'suoi' Giochi di Cortina.
Il Comitato organizzatore fu presieduto da Thaon di Revel, il Comitato esecutivo da Giulio Onesti, presidente del CONI, con alla vicepresidenza Ottorino Barassi, il presidente della FIGC, che grazie agli incassi del Totocalcio garantiva al CONI stesso un flusso di denaro in continuo aumento. Il primo grosso problema fu la scelta della data dei Giochi, tenendo conto della situazione meteorologica abituale della zona. Si optò per il 26 gennaio come data di apertura e il 5 febbraio per la chiusura.
Nella cerimonia inaugurale il pattinatore Guido Caroli, scelto come tedoforo per l'ultima frazione, sul ghiaccio dello stadio costruito ad hoc per quei Giochi, incespicò in un cavo e cadde, riprendendosi ovviamente subito. Qualcuno disse che il cavo serviva all'amplificazione sonora dei discorsi delle autorità, ma secondo la tesi più accreditata si trattava di un cavo per la televisione, che proprio in quell'occasione dava inizio alle sue riprese sportive su tutto il territorio nazionale. Se è vero, si può ravvisare nell'accaduto un forte valore emblematico: il nuovo mezzo prendeva possesso dello sport 'sottomettendolo', facendo cioè cadere un protagonista. In ogni caso Cortina 1956 ha rappresentato per l'Italia del video un momento della massima importanza: riprese dirette di un evento disputato nei confini nazionali - dopo il battesimo televisivo internazionale di due anni prima con le dirette dei campionati mondiali di calcio in Svizzera -, dibattiti, persino imitazioni da parte di attori comici famosi di atleti e addirittura di commentatori. Su tutto però prevalse il felice stupore per le immagini delle gare.
L'Olimpiade invernale certificò fra l'altro il buon diritto di Roma all'organizzazione dei Giochi 1960. L'Urbe infatti ebbe l'assenso del CIO nel 1955, quando i lavori organizzativi a Cortina erano già in fase di ultimazione. L'Italia aveva passato esami anche pignoli, superando prevenzioni assai forti. Anche nei giorni delle gare Cortina lavorò per offrire a Roma fiducia indiretta, 'di rimbalzo'.
Nelle gare, che furono di buon livello, mancò la grande vittoria italiana capace di suscitare l'entusiasmo popolare. Nello sci alpino infatti non c'era nessun erede di Zeno Colò. Un oro comunque arrivò e fu quello conquistato nel bob a due da Lamberto Dalla Costa e Giacomo Luigi Conti, nonostante i favoriti dai pronostici fossero Eugenio Monti e Renzo Alverà, i due atleti cresciuti sulla pista cortinese, che arrivarono secondi. L'altro argento di Monti, quello del bob a quattro (l'equipaggio era formato da Alverà, Ulrico Girardi e Renato Mocellini), sembrò una mezza beffa nei riguardi del 'rosso volante' che dopo l'incidente che lo aveva distolto dallo sci aveva fatto in fretta a dimostrarsi il migliore del mondo nelle prove iridate. In quella gara cortinese e olimpica di bob a quattro l'Italia di Monti fu battuta dall'equipaggio svizzero di Franz Kapus, Gottfried Diener, Robert Alt e Heinrich Angst. La doppia sconfitta di Monti fu difficile da digerire, ma fu ugualmente ingiusto che non fosse adeguatamente festeggiata la vittoria di Dalla Costa e Conti. Il loro fu invece un successo di grande valore sportivo, destinato peraltro a rimanere isolato nel nostro palmarès. Si sapeva già che nei Giochi invernali successivi, quelli di Squaw Valley in California (USA), il bob non avrebbe trovato posto nel programma, per ragioni economiche.
In assenza di Colò (squalificato con l'accusa di professionismo, per aver prestato il suo nome a una marca di scarponi), il giuramento per la nostra squadra fu pronunciato da Giuliana Minuzzo, che nel quadriennio successivo a Oslo 1952 era diventata la signora Chenal. L'atleta di Marostica, terza a Oslo nella discesa, si era evoluta in slalomista: a Cortina fu quarta nello slalom speciale, oltre che nella discesa, e dodicesima nello slalom gigante. Dotata di molta tecnica, non si trovò bene sulle piste di Cortina, dove la poca neve aveva fatto salire i rischi e dove le doti atletiche spinte contavano moltissimo. Andò comunque peggio alla squadra azzurra maschile: il sesto posto di Gino Burrini nella discesa fu il risultato migliore.
L'erede di Colò, capace di suscitare l'entusiasmo anche degli italiani, fu Toni Sailer, discesista austriaco di Kitzbühel, vincitore di tutte e tre le prove dello sci alpino, come mai nessuno prima di lui aveva fatto e come dopo di lui, ma in circostanze abbastanza rocambolesche, soltanto il francese Jean-Claude Killy riuscì a fare, sfruttando il fattore-campo ai Giochi di Grenoble 1968. Sailer, 21 anni, era bello, alto, bruno, forte. Vinse tutto quello che c'era da vincere e qualcosa di più: nel senso che nella discesa libera, sulla tremenda pista delle Tofane, diede ben 3,5″ allo svizzero Raymond Fellay e 4″ al suo connazionale Andreas Molterer. La pista, ghiacciata, con poca neve, e per di più levigata e strapazzata da un forte vento, mise fuori gioco molti concorrenti, specialmente ai piani di Rumerlo, dove caddero in tanti. La metà degli iscritti sparì dalla classifica, molti peraltro avevano addirittura rinunciato a prendere il via. Dei primi venti partiti soltanto nove arrivarono al traguardo. Il sesto posto di Gino Burrini fu salutato come una performance d'eccezione (un solo altro nostro concorrente si classificò: Bruno Burrini cugino di Gino, nono).
Sailer vinse la discesa libera quando già era campione olimpico di slalom gigante. Qui la vittoria era stata molto facile, con 6,3″ su Molterer e 7,1″ su Walter Schuster, austriaci come lui. Superiorità schiacciante pure nello slalom speciale: 4,1″ sul giapponese Chiharu Igaya, e 5,5″ sullo svedese Stig Sollander. Sailer ebbe subito dalla sua parte anche il mondo extrasportivo: fu pressato da contratti per girare film e anche, nei limiti del dilettantismo, per reclamizzare prodotti. Le sue apparizioni cinematografiche, riservate a una platea di lingua tedesca e nelle quali rappresentò soprattutto sé stesso, non furono memorabili ma neanche indegne. Dopo Cortina fece ancora in tempo a dare allo sci alpino una colossale lezione di tecnica e coraggio, vincendo a Garmisch, nel 1957, una gara internazionale di discesa, nonostante il suo numero di partenza fosse il 22 e la pista fosse stata rovinata dalla pioggia e ridotta a un serpente nerastro, con pochissima neve. Ai Mondiali di Badgastein nel 1958 fu ancora primo nella discesa e nello slalom gigante, primo nella combinata e secondo nello slalom speciale con un distacco minimo dal connazionale Josl Rieder. Poi calò anche su di lui la scure dell'accertato professionismo. Divenne comunque allenatore della nazionale di sci alpino del suo paese e cercò di fare sciare i suoi ragazzi secondo il suo motto: "Il campione è colui che riesce a guadagnare tempo sui passaggi facili, non su quelli difficili".
Sailer occupò da solo quasi tutto il video di Cortina 1956, togliendo spazio sia agli atleti nordici impegnati nelle gare di fondo, sia a quelli della sua stessa disciplina. In confronto a lui ben poca attenzione attrassero le svizzere Madeleine Berthod e Renée Colliard, medaglie d'oro rispettivamente nella discesa e nello slalom speciale, e la tedesca Ossi Reichert vincitrice dello slalom gigante.
Nello sci nordico le tre prove maschili di fondo videro una spartizione perfetta delle vittorie: Hallgeir Brenden per la Norvegia sui 15 km, Veikko Hakulinen per la Finlandia sui 30 km, e Sixten Jernberg per la Svezia sui 50 km. In una ideale classifica a punti Jernberg, medaglia d'argento nei 15 e nei 30 km, fu il primo, seguito da Hakulinen che arrivò secondo nella 30 km. Ma la novità grande fu il vento dell'Est: nella staffetta 4 x 10 km i sovietici, alla loro prima apparizione nei Giochi invernali, colsero una vittoria clamorosa, devastante per lo sci scandinavo. Finlandia, Svezia e Norvegia finirono nell'ordine seconda, terza e quarta. L'Italia fu quinta, con Pompeo Fattor, Ottavio Compagnoni, Innocenzo Chatrian e Federico De Florian. Anche nelle due gare femminili un duro colpo fu inferto dalle sovietiche al predominio scandinavo instaurato da quando il fondismo femminile era entrato ai Giochi, quattro anni prima a Oslo: vittoriosa sui 10 km la sovietica Lyubov Kozyreva, seconda e quarta due sue connazionali. Non dovevano esserci problemi per l'URSS nella staffetta 3 x 5 km e invece le atlete norvegesi, che si erano classificate quinta, sesta e ottava nella gara individuale, riuscirono a battere le sovietiche (l'Italia con una formazione praticamente di principianti fu ottava e certo nessuno allora avrebbe sospettato i futuri successi delle azzurre in questa specialità).
I nuovi impianti, come il trampolino Italia e lo stadio del ghiaccio, furono per il pubblico italiano e non solo occasioni di richiamo spettacolare, al di là della passione o della competenza per questa o quella specialità. Grande entusiasmo riscosse il finlandese Antti Hyvarinen, vincitore del salto. Più difficile da apprezzare il successo nella combinata fondo-salto del norvegese Sverre Stenersen. Il pubblico si appassionò anche al pattinaggio di velocità, che vide il dominio dei sovietici Yevgeniy Grishin (500 e 1500 m, qui ex aequo con il connazionale Yuriy Mikhailov) e Boris Shilkov (5000 m) sino ai 10.000 m, dove si impose invece uno svedese, Sigvard Ericsson. Le specialità femminili sul ghiaccio comprendevano solo il pattinaggio artistico, che fu appannaggio delle statunitensi. Tutto degli USA fu il podio dell'individuale maschile, mentre la gara a coppie fu vinta dagli austriaci Elisabeth Schwartz e Kurt Oppelt. I nomi italiani sono da rintracciare nella bassa classifica, a eccezione di Fiorella Negro, tredicesima.
Nell'hockey, sport che già prima dei Giochi godeva a Cortina di un gran seguito , la squadra sovietica infranse l'egemonia dei canadesi e degli statunitensi; l'Italia fu settima, con una compagine quasi tutta di bellunesi, trentini e bolzanini, senza che al tempo nessuno osasse pensare a grandi immissioni di oriundi specialmente canadesi, come divenne prassi di emergenza e intanto di sopravvivenza ai vertici con il passare degli anni. I sovietici vincitori costruirono il loro successo finale prima sconfiggendo per 4-0 gli statunitensi, poi per 2-0 i canadesi che anche in questa occasione avevano mandato una squadra di club (diversa da quella di quattro anni prima, però la stessa che l'anno precedente, ai campionati mondiali, si era aggiudicata il titolo battendo nettamente l'URSS con il punteggio di 5-0). A loro volta gli statunitensi avevano aiutato i sovietici sconfiggendo i canadesi.
Nella classifica per nazioni l'URSS figurò prima, come temuto (specialmente dagli scandinavi) più che previsto; l'Austria fu seconda grazie ai tre ori di Sailer e a quello della coppia di pattinatori: e questo successo della nazione del grande sci alpino diede un particolare rilievo all'appuntamento olimpico di Innsbruck 1964. Seguirono Finlandia, Svizzera, Svezia e USA. Settima la Norvegia, ottava l'Italia, la Germania nona. Il conteggio finale di partecipazione computò 821 atleti per 32 nazioni, non certamente tutto il mondo ma tanto mondo, con progressivo allargamento della geografia tradizionale dei paesi della neve e del ghiaccio. Alla cerimonia di chiusura si parlava soprattutto della 'valanga' di grande sport estivo che stava per calarsi su Roma 1960. Dopo Cortina 1956 l'idea era che il nostro paese avesse superato benissimo un esame, a sua volta servito per essere ammessi a sostenerne un altro, molto più grande e impegnativo.