Olimpiadi invernali: Grenoble 1968
Numero Olimpiade: X
Data: 6 febbraio-18 febbraio
Nazioni partecipanti: 37
Numero atleti: 1158 (947 uomini, 211 donne)
Numero atleti italiani: 52 (44 uomini, 8 donne)
Discipline: Biathlon, Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico, Slittino
Numero gare: 35
Ultimo tedoforo: Alain Calmat
Giuramento olimpico: Leo Lacroix
Grenoble, città francese della Val d'Isère, vicina alle Alpi, ma non molto montanara, si guadagnò i Giochi invernali del 1968 quarantaquattro anni dopo i primi della serie, nonché gli unici fino a quel momento assegnati alla Francia, quelli di Chamonix 1924, battendo di misura ‒ per tre voti ‒ Calgary, candidata di quel Canada che aspettava la manifestazione da sempre e sempre invano (e che avrebbe dovuto aspettare altri venti anni). Grenoble si trova a 200 m sul livello del mare e per questo ospitò solo gli sport del ghiaccio, e neanche tutti, mentre per le altre gare si resero necessari lunghi trasferimenti dal villaggio olimpico situato in città. Le gare di fondo furono disputate ad Autrans, quelle di slittino a Villard-de-Lans, quelle di sci alpino a Chamrousse e quelle di bob all'Alpe d'Huez (località nota per una tappa importante del Tour de France, capace di oscurare, negli anni, la fama del Galibier e dell'Izoard). Si inaugurò dunque un nuovo modello di Olimpiade invernale, che aveva lasciato il centro turistico diciamo classico per centralizzarsi come comunicazioni e villaggio principale nella città e da lì diramarsi nelle valli.
I francesi non mancarono di esibire la loro grandeur già nella spettacolare cerimonia di apertura, dove fra l'altro l'ascesa al tripode dell'ultimo tedoforo, il pattinatore dell'artistico Alain Calmat, fu accompagnata dal sonoro dell'amplificazione dei battiti del suo cuore. I Giochi furono aperti dal generale De Gaulle, che volle apportare una variante personale e solenne alla formula tradizionale: "io proclamo l'apertura dei Giochi Olimpici invernali di Grenoble", anziché il codificato "dichiaro aperti i Giochi".
Le aspettative francesi furono abbondantemente ripagate dalle imprese di Jean-Claude Killy, il venticinquenne campione che da tre anni dominava la scena dello sci alpino. Killy era un parigino di origini irlandesi, residente in Val d'Isère dove, formalmente, faceva il doganiere. Ragazzo prodigio, era cresciuto nel culto del campione francese di discesa Henri Oreiller, olimpionico a St. Moritz 1948, morto in un incidente d'auto (lasciate le competizioni dello sci era diventato bravo pilota di automobilismo) quando Killy, lui pure voglioso di provare l'automobilismo di competizione, aveva vent'anni. Campione mondiale di discesa nel 1966 e vincitore della Coppa del Mondo alla sua prima edizione, nel 1967, quando si era aggiudicato anche le tre classifiche di specialità, dovette accantonare diversi accordi pubblicitari prima dell'Olimpiade per evitare una squalifica da parte del CIO. Il suo massimo rivale era l'austiaco Karl Schranz, di St. Anton, come Killy forte sia nella discesa sia negli slalom.
Killy vinse la gara di discesa osando molto per arrivare a dare otto centesimi di secondo di distacco al connazionale Guy Périllat. La gara era già stata rinviata di un giorno, la pista non era in buone condizioni, tirava un forte vento e per giunta Killy, che scese per quattordicesimo, andando al via era passato sopra una lastra di ghiaccio vicina alla garitta delle partenze e gran parte della sciolina era stata grattata via dai suoi sci. Vana la ricerca, con pochissimo tempo a disposizione, di uno skiman per ovviare all'inconveniente, e dunque partenza sotto handicap e vittoria quasi rocambolesca, quando già Périllat, sceso con il pettorale numero 4, era certo di avere vinto.
Fu tutto più facile nello slalom gigante con la vittoria sullo svizzero Willy Favre, mentre fu tutto assai più difficile nello slalom speciale che lasciò molti interrogativi. La prima manche fu a favore di Killy, ma con distacchi minimi nei confronti di diversi avversari; si vedeva poco o nulla per la nebbia, si scendeva con prudenza, in una visibilità non da gara. Nella seconda manche, tracciata dall'italiano Herman Nogler, allenatore degli azzurri, Killy scese per primo ma il suo tempo complessivo fu migliorato dal norvegese Hakon Mjöen, poi squalificato per salto di porta. Quindi successe qualcosa di molto strano. Era il turno di Schranz che però, secondo il suo racconto, dovette fermarsi dopo una ventina di porte perché in mezzo alla pista c'era un uomo in divisa nera, forse un gendarme. Schranz risalì al via, fu autorizzato a ripartire dal commissario inglese, il colonnello Robert Redhead, scese benissimo e fu primo nel tempo totale, con 51 centesimi di vantaggio su Killy, che avrebbe - dicono - accettato la sconfitta con queste parole: "Non è un disonore essere battuto da un simile campione". Dopo un'ora abbondante dalla fine della gara subentrarono le prime indiscrezioni su una riunione in corso della giuria: Schranz sarebbe stato squalificato perché uscito di pista seguendo nella nebbia le tracce degli sci di Mjöen. Il racconto dell'estraneo in pista sarebbe servito all'austriaco come pretesto per ripetere una gara che sapeva compromessa dal salto di una o due porte pochi secondi prima, pochi metri più in alto. La decisione ufficiale della giuria, dopo una riunione di cinque ore, per tre voti a due (due francesi e uno svizzero per Killy, un inglese, Redhead, e un norvegese per Schranz) assegnò la medaglia d'oro al francese su due austriaci, Herbert Huber e Alfred Matt, squalificando Schranz. Fra l'altro si appurò che in ogni caso l'austriaco non sarebbe dovuto scendere, per la seconda volta, secondo l'ordine di partenza della manche, costringendo all'attesa i concorrenti che lo seguivano, come ultimo della sua serie. Ovviamente gli austriaci parlarono di congiura francese a favore di Killy, per consentirgli di ripetere l'impresa delle tre medaglie di Toni Sailer a Cortina 1956, ma le polemiche finirono presto. Poco dopo i due campioni direttamente interessati presero, più o meno larvatamente, la strada del professionismo. Killy scelse gli Stati Uniti e i contratti ufficiali, i premi in denaro, girò dei film, fece molta pubblicità a prodotti tecnici e non solo, Schranz preferì restare in Europa, comunque sottoscrivendo accordi molto fruttiferi con industrie dello sci, tanto che quattro anni dopo il CIO gli vietò la partecipazione ai Giochi di Sapporo, impedendogli così definitivamente di mettere nel suo palmarès, degno comunque di un grande campione, anche un oro olimpico.
Fra le donne nella discesa si ripeté il duello franco-austriaco e l'austriaca Olga Pall sconfisse la francese dei Pirenei Isabelle Mir nella discesa. Nello speciale la francese Marielle Goitschel si impose alla canadese Nancy Greene e alla connazionale Annie Famose, mentre la stessa Greene vinse il gigante su Famose e sulla svizzera Fernande Bochatay.
Nell'alta classifica dei due slalom gli azzurri quasi non esistettero e il sesto posto di Ivo Mahlknecht nella discesa rimase il nostro miglior risultato nello sci alpino. In campo femminile Glorianda Cipolla, valdostana, conquistò un settimo posto assolutamente inatteso nello slalom speciale. Le prove dello sci alpino, però, interessarono relativamente poco gli italiani, molto più coinvolti nello sci nordico, che vide la vittoria, il primo giorno di gara, dell'azzurro Franco Nones nella 30 km di fondo. Un evento clamoroso, che provocò addirittura un'interrogazione parlamentare in Svezia, da parte di un deputato che invitava il governo suo e quelli delle nazioni scandinave sorelle a porre rimedio all'evidente e umiliante livellamento di valori nei loro sport storicamente più importanti.
Nones, trentino della Val di Fiemme, ex ciclista dilettante di buon valore, aveva 27 anni e sin lì aveva raccolto soprattutto piazzamenti dignitosi. Nessuno si aspettava la sua vittoria, molto al di là anche delle speranze dei responsabili del nostro fondismo. La Federazione aveva affidato il settore a un commercialista milanese, Vittorio Strumolo, appassionato di sci di fondo ma dedito, nel mondo dello sport, soprattutto all'organizzazione di grandi eventi pugilistici e ciclistici. Strumolo aveva chiamato Bengt Nilsson, ufficiale svedese, ex istruttore di fondo presso la casa reale. I due avevano lavorato silenziosamente e bene.
Quel mattino ad Autrans Nones passò in testa dopo i primi 10 km, quelli del primo dei tre anelli da coprire; dietro di lui il grande Eero Mäntyranta, il finlandese supermedagliato, e un altro dei favoriti, il sovietico Vladimir Voronkov: Nones sembrava una vittima sacrificale; dai 20″ di vantaggio scese a 4″ dopo 20 km, e qualcuno si aspettava il suo crollo. Crollarono invece Mäntyranta e Voronkov, mentre recuperò bene il norvegese Odd Martinsen. Nones, come sottolineavano felici e sbalorditi i tecnici azzurri dislocati sul percorso comunicando tra loro via radio, volava. Vinse davanti al norvegese per una cinquantina di secondi, terzo il finlandese. In chiave di superamento di pronostici, barriere, remore, tradizioni, quella di Nones ad Autrans è da collocare tra i successi più sorprendenti e prestigiosi, in assoluto, dello sport italiano.
Il quinto posto di Giulio De Florian in quella stessa gara, dietro a Voronkov, fu un ulteriore grandissimo risultato che fra l'altro segnalava il buon valore complessivo della squadra, non solo di un singolo componente; ma nel clan italiano quasi nessuno, sul traguardo, si accorse di lui. Dal giorno seguente la stampa italiana accreditata ai Giochi di Grenoble venne quasi tutta convogliata ad Autrans, per seguire i meravigliosi fondisti azzurri. Ma la vittoria di Nones era stata al tempo stesso dispendiosa e appagante, tanto è vero che Nones fu appena trentaseiesimo e ultimo degli azzurri nella successiva prova sui 15 km, vinta dal gigantesco norvegese Harald Grønningen, alto 1,92 m, preparato al grande sport dal fratello Johan, fondista lui pure. Harald si era visto imporre una condotta davvero spartana, anni di fatiche sulle nevi, vita e allenamenti nei boschi e ai bordi dei laghi, pescando e mangiando merluzzi e facendo bollire per il brodo muschi e licheni. Nones, ragazzo di grande simpatia, si era fra l'altro speso per raccontarsi a una impreparatissima stampa italiana, il che non giovò alla sua concentrazione.
Nella prova più devastante, quella sui 50 km, Mario Bacher diede all'Italia un ottimo dodicesimo posto, ad appena 2′48″ dal primo, il norvegese Ole Ellefsæter, un risultato comunque di rilievo, messo però in ombra dalla precedente vittoria di Nones. Il sovietico Vyacheslav Vedenin arrivò secondo, uno svizzero, Josef Haas, al terzo posto. Nella staffetta 4 x 10 km De Florian, Franco Nones, Palmiro Serafini e Aldo Stella furono sesti, un piazzamento discreto in assoluto, ma deludente dopo la prova dei 30 km che aveva fatto sperare in qualcosa di meglio. Invece furono preceduti, nell'ordine, non solo da Norvegia, Svezia, Finlandia e Unione Sovietica (sin qui la graduatoria sarebbe stata accettabile), ma anche dalla Svizzera, con un distacco di quasi 5″.
La Svizzera schierava Alois Kälin, che arrivò secondo nella combinata nordica, fondo più salto, dietro al tedesco occidentale Franz Keller e davanti al tedesco orientale Andreas Kunz (esponente di una squadra germanica ormai competitiva). La gara vide il tracollo dei nordici e dei sovietici: dopo Kunz si piazzarono Tomas Kucera, cecoslovacco, l'azzurro Ezio Damolin e il polacco Josef Gasienica. Il sovietico Robert Makara fu appena settimo.
Neanche il salto speciale fu scandinavo, anzi: dal trampolino da 70 m fu primo il cecoslovacco Jirí Raška davanti a due austriaci, da quello da 90 m lo stesso cecoslovacco fu secondo, piazzandosi fra il sovietico Vladimir Belousov e il norvegese Lars Grini. Nel biathlon il successo nella prova individuale del norvegese Magnar Solberg, premiato dall'aver eseguito le prove di tiro senza penalità, davanti a due sovietici, rispettò parzialmente il pronostico. URSS, Norvegia e Svezia si classificarono nell'ordine nella prova a squadre, entrata ufficialmente nel programma. Le medaglie furono per lo più acquisite mediante l'arte del tiro a segno.
La Svezia nel settore maschile dello sci nordico fu la più deludente delle nazioni scandinave, ma si riprese nel settore femminile grazie a Toni Gustafsson, vincitrice delle prove sui 5 km e sui 10 km. Si trattava però di un'oriunda finlandese, fuggita bambina dalla sua patria, con i genitori, al tempo della guerra finno-russa. Gustafsson sconfisse due sovietiche sui 5 km, due norvegesi sui 10. Per la staffetta, entrata nel cartellone ufficiale, la 'svedese di Finlandia' non bastò: prima la Norvegia, seconda appunto la Svezia, poi URSS e Finlandia.
Nelle gare di slittino maschile a Villard-de-Lans le prove furono vinte dall'austriaco Manfred Schmid nel singolo (decimo l'italiano Emil Lechner, fratello di Erika) e dalla coppia di tedeschi dell'Est Klaus Bonsack e Thomas Köhler nel doppio. Fra le donne tre tedesche orientali, risultate rispettivamente prima, seconda e quarta al termine delle prime due manche, furono squalificate dopo che la giuria ravvisò una pesante irregolarità nei loro slittini: il riscaldamento artificiale della lamine dei pattini, sembra con pile mascherate. Nella terza manche l'italiana altoatesina Erika Lechner riuscì a difendere il primato in classifica conseguito dopo l'eliminazione delle concorrenti più temibili. La ragazza superò anche lo choc per la terribile, spettacolare uscita di pista della sua compagna di squadra e amica Cristina Pabst (frattura di femore e bacino). Prima dunque un'italiana, davanti a due tedesche occidentali rispettose del regolamento: un'altra autentica scoperta per lo sport azzurro, di una disciplina che in futuro avrebbe poi visto l'affermazione di molti atleti.
Erika Lechner raccontò nel suo italiano incerto la sua bella favola di quando, in Val Pusteria, usava lo slittino per portare da mangiare alla vecchia nonna isolata in un casolare: da lì la scoperta di una vocazione, la svolta agonistica, la medaglia d'oro. Molta semplicità da parte sua, molto stupore dei giornalisti italiani, che in maggioranza non sapevano dell'esistenza di questa specialità, e che ancora la confondevano con lo skeleton, la specialità del primo oro azzurro ai Giochi invernali (con Nino Bibbia nel 1948), poi sparito dal programma olimpico a favore appunto dello slittino, che voleva gli atleti sdraiati sul mezzo di schiena e non invece proni come nello skeleton.
Se lo slittino di Erika Lechner fu per l'Italia una rivelazione, con un entusiasmo limitato sia dalla scarsa conoscenza della specialità sia dalle particolari circostanze in cui Lechner era andata avanti in classifica, per il bob ci fu un vastissimo entusiasmo italiano. Le medaglie d'oro di Eugenio Monti erano attese da tutto il mondo del bob e dello sport: Monti aveva stravinto Campionati del Mondo e diverse altre competizioni, aveva 40 anni ed era dunque nel pieno della maturità agonistica. Le gare si svolsero di notte all'Alpe d'Huez, per la conservazione del ghiaccio naturale. Monti su Italia 1, con il frenatore Luciano De Paolis, fece segnare il miglior tempo in due prove, la prima e la quarta, il secondo miglior tempo nelle altre due. L'equipaggio che alla fine si trovò perfettamente alla pari, secondo il cronometro, con quello azzurro, cioè Germania (Occidentale) 1 con Horst Floth e Pepi Bader, fu quinto nella prima prova, primo nella seconda e nella terza, secondo nella quarta. Quando furono rifatte tutte le somme e venne accertata la perfetta eguaglianza dei due tempi complessivi (staccatissimi i terzi, i rumeni Ion Panturu e Nicolae Neagoe), si pensò a un destino ancora beffardo, capace di dare sì a Monti l'oro, ma con un ex aequo riduttivo. Fu Luciano De Paolis a scoprire il comma del regolamento che diceva che a parità di tempi sarebbe stato considerato vittorioso l'equipaggio che avesse fatto registrare la manche più veloce in assoluto: il caso appunto di Italia 1, che nella quarta discesa aveva segnato 1′10,5″, 10 centesimi di secondo meglio di Germania 1. Monti poi vinse anche nel bob a quattro, con lo stesso De Paolis e con Roberto Zandonella e Mario Armano, disputando appena due prove per problemi di tenuta della pista, schiacciata da bolidi troppo pesanti; alla fine l'equipaggio italiano registrò 11 centesimi di vantaggio su Austria 1 e 25 su Svizzera 1. Secondo alcuni era forse il nome di Monti a mancare, fino a quel momento, nell'albo d'oro dei vincitori olimpici perché questo fosse realmente rappresentativo dei massimi valori sportivi, tecnici e umani, e non il titolo dei Giochi a mancare a Monti. Si sono appassionati in molti alle vicende, non sempre fortunate, del 'Rosso Volante', che, malato e sofferente, si è tolto la vita alla fine del 2003.
Per quanto riguarda gli altri sport del ghiaccio, il pattinaggio di velocità ricevette le attenzioni appassionate degli scandinavi, dei sovietici, degli olandesi e dei tedeschi e l'indifferenza di tutto il resto del mondo olimpico. Il ventiseiesimo classificato della prova maschile sui 500 m, l'italiano Elio Locatelli, divenne poi nome famoso nello sport come commissario tecnico dell'atletica azzurra. Quella prova fu vinta dal tedesco dell'Ovest Erhard Keller, sui 1500 m si impose l'olandese Kees Verkerk, sui 5000 m il norvegese Fred Anton Maier prevalse sullo stesso Verkerk. Sui 10.000 m vinse lo svedese Johnny Höglin. Fra le donne non ci fu l'atteso dominio sovietico, perché l'URSS vinse in effetti i 500 m con Lyudmila Titova, ma nelle altre gare prevalsero rispettivamente l'olandese Carry Geijssen nei 1000 m, la finlandese Kaija Mustonen nei 1500 m, un'altra olandese, Johanna 'Ans' Schut, nei 3000 m.
Nel pattinaggio artistico trionfarono tra le donne la statunitense Peggy Fleming e tra gli uomini l'austriaco Wolfgang Schwartz. Nella prova a coppie i sovietici si piazzarono ai primi due posti, rispettivamente con Lyudmila Belousova e Oleg Protopopov, oro, e Tatyana Zhuk e Aleksandr Gorelik, argento. Le gare si svolsero sempre di mattina, molto presto, con i primi concorrenti impegnati già intorno alle 6, per evitare che il ghiaccio si sciogliesse al sole. Furono anche organizzate competizioni di danza, in cartellone come sport dimostrativo.
Le gare di hockey al coperto non ebbero ovviamente nessun problema climatico. I francesi esordivano con la televisione a colori, che sarebbe diventata mondovisione proprio quell'anno, nei Giochi estivi di Città del Messico, e grande successo ebbero le riprese di questo sport dalle ottime possibilità spettacolari per l'equipaggiamento e le dinamiche del gioco. Vinsero i sovietici sui cecoslovacchi e sui canadesi, i tedeschi dell'Est riuscirono a entrare nel girone finale, da loro concluso all'ottavo posto, subito dietro ai tedeschi dell'Ovest. La Francia fu ultima del girone delle non finaliste, l'Italia non partecipò.
La rappresentativa azzurra con quattro medaglie d'oro affiancò la Francia, superata appena da Norvegia e URSS; ma calcolando anche argenti e bronzi fu soltanto dodicesima. Nessun azzurro salì sul podio se non da vincitore.
A Grenoble 1968 ci furono anche due passaggi politici delicati per la vita del CIO, ma l'eco fu minima. Prima del via alle gare il presidente Avery Brundage sollecitò dai membri del suo consesso un voto epistolare per la riammissione del Sudafrica, escluso per l'apartheid dopo Roma 1960. Il voto favorevole ci fu, Brundage annunciò il ritorno degli atleti di Pretoria ai Giochi, molti si accorsero di essere stati ingannati con una richiesta di voto consultivo, non decisionale, gli africani fecero sentire comunque la loro voce e Brundage dovette rapidamente recedere dal suo proposito. Poi ci fu qualche riserva di un alto dirigente dello sport sovietico sul fatto che gli Stati Uniti conducessero in Vietnam una guerra odiosa, e una richiesta di censura da parte del mondo olimpico nei riguardi di comportamenti contrari alla missione di pace dello sport. Non accadde nulla, ma forse furono quelli i prodromi dei boicottaggi politici che avrebbero in seguito stravolto più di un'edizione dei Giochi.