Olimpiadi invernali: i primordi
La prima medaglia d'oro dei Giochi invernali vinta da un atleta italiano risale al 5 febbraio 1948 e fu Nino Bibbia a meritarla nella specialità dello skeleton. Il calendario olimpico del febbraio 1952 riporta il nome di Zeno Colò, premiato nella sua discesa, chiamata anche 'libera' come allora realmente era. Lo sci di fondo e tiro a segno, una primizia peraltro riservata a sole pattuglie militari, aveva esaltato i nostri alpini a Garmisch-Partenkirchen nel 1936. è doveroso far iniziare con il ricordo dei primi olimpionici azzurri questa storia dei Giochi Olimpici invernali, la cui la data di nascita secondo una diffusa e acquisita opinione è il 25 gennaio 1924 e il luogo Chamonix, nella Alpi di Francia. Una data che in parte può essere accettata, perché le prove sulla neve e lo sci risalgono indubbiamente a quel tempo, tuttavia non si deve omettere di ricordare che in epoca precedente e in altre zone vi erano state gare su ghiaccio.
Quando il barone francese Pierre de Coubertin nel 1896 promosse le Olimpiadi estive affidandole per rispetto storico ad Atene, lo sci, anche quello agonistico, esisteva già e ne erano legittimi padroni gli scandinavi e i confinanti finlandesi, che con amore e legittimo orgoglio si cimentavano in contese supreme di sci di fondo ma anche di salto. Rientravano nella categoria di sport dell'inverno anche altre attività, praticate con gran successo non soltanto sul ghiaccio del Nord ma anche in Gran Bretagna, in Germania e, oltreoceano in Canada e Stati Uniti. Erano il pattinaggio, artistico e di velocità, e l'hockey, discipline che coinvolgevano principi e regnanti, persone di un certo livello sociale e talvolta anche un po' snob, ma anche sportivi di razza senza patenti nobiliari, che si entusiasmavano, e folle di ogni età, praticanti e spettatori.
De Coubertin non li trascurava, anzi! Ad Atene, certo, non aveva pensato di ammetterli, ma era solo questione di tempo. I norvegesi, più dei confinanti, si opponevano, non soltanto alla neve ma anche al ghiaccio. E per 'difendersi' avevano creato un centro, su una collina prossima alla capitale Oslo, Holmenkollen il suo nome, mitico ancora oggi. Era la mecca dello sci, fulcro magico e potente, utile a mantenere una forte avversità alle eventuali Olimpiadi invernali. Per difendere il privilegio avevano anche inventato i Giochi nordici, un successo, e il fatto non stupì più di tanto. Nel frattempo i greci, felici e orgogliosi dei loro Giochi estivi chiamati 'olimpici' in onore e rispetto ai fasti antichi, li avrebbero voluti perenni, ma de Coubertin e i suoi colleghi del Comitato internazionale olimpico (il CIO, tra cui l'italiano conte Eugenio Brunetta d'Useaux, che ne fece parte dal 1897 al 1919) pensavano piuttosto all'universalità non soltanto delle partecipazioni ma anche delle sedi, e tenacemente si opposero.
I norvegesi avrebbero preteso altrettanto, ovverosia di fare intanto i loro Giochi nordici, mantenendone l'appannaggio anche se si fossero estesi a una più ampia compagine di partecipanti. Ma così non fu. E dopo dodici anni de Coubertin riuscì a inserire nelle Olimpiadi estive di Londra del 1908 il pattinaggio artistico, maschile e femminile, singolo e a coppie. Le prove furono quattro, tre a figure obbligate e l'altra a figure speciali, antesignane delle attuali 'libere'. Le sfide avvennero nel mese di ottobre e non è dato sapere se il luogo delle contese fosse una stadio coperto o un campo ghiacciato all'aria libera. Le pattinatrici, affascinanti nei loro abiti con gonne ampie, morbide e lunghe fino a sfiorare il parterre, furono molto acclamate. Le medaglie d'oro vennero equamente divise: il singolare maschile allo svedese Ulrich Salchow, il femminile all'inglese Florence Syers, la coppia ai tedeschi Anna Hübler - Heinrich Burger e lo speciale al russo Nikolay Panin.
In quell'ottobre le discipline invernali entrarono ufficialmente nel regno delle contese olimpiche, ma non per restarvi. Benché le successive Olimpiadi del 1912 fossero privilegio degli svedesi, nella capitale Stoccolma, paese della neve e del gelo, gli sport del ghiaccio non trovarono spazio. L'ipotesi più accreditata è che ciò accadde per la mancanza di un adeguato palazzo del ghiaccio, tuttavia sono in molti a supporre che vi fosse una sorta di ferrea alleanza scandinava nel tentativo di scongiurare il costituirsi dei Giochi Olimpici invernali, sempre fortemente avversati dai norvegesi. Comunque, de Coubertin e i suoi alleati restarono tenacemente fedeli alle loro convinzioni e ai successivi Giochi, dopo la Prima guerra mondiale, nel 1920 ad Anversa, riapparve il pattinaggio affiancato per la prima volta dall'hockey, disciplina già diffusa in Europa ma dominata da canadesi e da statunitensi. L'interesse per questo nuovo sport, quasi sconosciuto in Italia, fu eccezionale, soprattutto per la facilità con la quale gli americani ebbero la meglio sugli europei. Un risultato su tutti ebbe clamore: USA-Svizzera 29-0. Il torneo fu però vinto dai canadesi sugli statunitensi per 2-0. Al contrario, nel pattinaggio ebbero soddisfazione gli svedesi con due medaglie d'oro nel singolo e grandi acclamazioni per Gillis Grafström, fuoriclasse che si ripeté poi a Chamonix nel 1924 e a St. Moritz quattro anni dopo. Nel pattinaggio a coppie si imposero i coniugi finlandesi Ludovika e Walter Jakobsson; marito e moglie erano pure i norvegesi Alexia e Yngvar Bryn, che vinsero l'argento. Nessun italiano prese parte a queste contese.
Il successo del 'ghiaccio' fu notevole e vigoroso alleato di de Coubertin il quale, pochi mesi dopo Anversa, riuscì a far votare nel congresso del CIO il lasciapassare per i primi Giochi d'inverno, da tenersi nel 1924. I nordici riuscirono soltanto a tenere fuori campo il nome 'Olimpici', definizione che fu ufficializzata a posteriori, un anno dopo, nel Congresso CIO di Praga.