Olimpiadi invernali: Innsbruck 1976
Numero Olimpiade: XII
Data: 4 febbraio-15 febbraio
Nazioni partecipanti: 37
Numero atleti: 1123 (892 uomini, 231 donne)
Numero atleti italiani: 60 (49 uomini, 11 donne)
Discipline: Biathlon, Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico, Slittino
Numero di gare: 37
Ultimi tedofori: Christl Haas e Josef Feistmantl
Giuramento olimpico: Werner Delle-Karth
I Giochi invernali del 1976 furono attribuiti alla città tirolese, peraltro felicissima di ciò, un po' inaspettatamente, appena tre anni prima della cerimonia inaugurale. Alla fine del 1972 era ormai definitiva la rinuncia di Denver (Colorado, USA), dopo un referendum popolare indetto e vinto dagli ecologisti contrari a qualsiasi intervento sull'ambiente, e nel febbraio del 1973 il CIO decise di spostare la manifestazione in Austria. Innsbruck, che aveva mantenuto in funzione gli impianti dei Giochi del 1964 e aveva continuato a ospitare grandi manifestazioni sportive, fu quanto mai disposta ad accogliere i Giochi e si confermò una delle grandi capitali mondiali degli sport invernali, che tornavano alle origini europee dopo la comunque interessante digressione in Asia. Il sindaco di Innsbruck, Alois Lunger, divenne il primo nella storia a ricevere due volte personalmente la bandiera con i cinque cerchi (anche St. Moritz 'raddoppiò' come Innsbruck, ma fra le due edizioni era cambiato il sindaco).
La XII Olimpiade invernale servì anche a sfatare molti preconcetti sulle difficoltà organizzative e sul lavoro di preparazione dell'evento. Furono Giochi essenziali, organizzati semplicemente, con poco tempo a disposizione e, naturalmente, giovarono l'esperienza e l'amore degli austriaci, e in particolare dei tirolesi, per lo sport bianco. Insomma tutto andò bene. Fra l'altro a molti austriaci la nuova assegnazione a Innsbruck apparve quasi come un atto di contrizione e di riparazione del CIO per l'affronto fatto a Sapporo 1972 a Karl Schranz, estromesso dai Giochi con l'accusa di professionismo e considerato a Vienna e un po' in tutto il paese come un 'eroe-martire'.
Innsbruck si permise di ospitare, nello stadio della cerimonia inaugurale, due tripodi dove bruciava il fuoco olimpico: uno a ricordare i Giochi di dodici anni prima, riaccesi nei cuori e nei ricordi, l'altro a celebrare i Giochi in corso. E furono due i tedofori finali, il pattinatore Josef Feistmantl e la sciatrice Christl Haas (per lei il podio del passato, di Innsbruck 1964). Il tutto si svolse sotto la guida dell'irlandese Michael Morris, terzo barone di Killanin, alla sua prima inaugurazione dei Giochi come presidente del CIO.
Gli italiani vinsero poco, ma quel poco fu importante: l'oro di Piero Gros nello slalom speciale, l'argento di Claudia Giordani nella stessa prova. Gros si piazzò davanti al connazionale Gustav Thoeni, che riuscì ancora a vincere il titolo mondiale della combinata, Giordani dietro alla tedesca Rosi Mittermaier che rifiniva al meglio una carriera strepitosa. Il positivo bilancio italiano nello sci alpino fu arricchito dal terzo posto di Herbert Plank nella discesa, dietro a campioni come Franz Klammer, l'austriaco trionfante in quegli anni su quasi tutte le piste, e Bernhard Russi, svizzero, medaglia d'oro a Sapporo quattro anni prima. Tuttavia, almeno nel settore maschile, ci si attendeva molto di più. Nelle ultime due stagioni mai c'era stata una gara di slalom gigante di Coppa del Mondo in cui almeno un azzurro non fosse salito sul podio. Ai Mondiali di due anni prima Thoeni aveva vinto, Gros era arrivato terzo, e per l'Italia c'erano stati anche il quarto posto di Helmuth Schmalzl e il sesto di Erwin Stricker, mentre lo svedese Ingemar Stenmark, che cominciava a rivelare le sue doti di campione, si era classificato soltanto nono.
Innsbruck avrebbe dovuto certificare anche nello slalom gigante una grossa supremazia italiana, e invece il podio olimpico fu occupato nei primi due posti dal ventisettenne Heini Hemmi, uno svizzero piccolo e agilissimo, che prima di quel giorno non aveva mai vinto una grande prova, e dal ventiseienne Ernst Good, altro svizzero che sin lì in Coppa del Mondo aveva raccolto appena un secondo posto. Sul terzo gradino salì, unico giovane ad arrivare in zona medaglia, con una gran rimonta nella seconda manche, lo svedese Stenmark. Thoeni, campione olimpico uscente e favorito automatico, fu primo nella prima manche, ma la sua prestazione risultò insolitamente scadente nella seconda e alla fine arrivò quarto davanti allo statunitense Phil Mahre (il gemello Steve arrivò tredicesimo). Fausto Radici settimo e Franco Bieler ottavo furono abbastanza bravi, mentre Piero Gros uscì nella seconda manche, bloccato a tradimento da un avvallamento non visto in tempo.
Claudia Giordani, romana residente a Milano e cresciuta sulle nevi piemontesi del Sestriere, arrivò seconda nello slalom speciale, dietro Rosi Mittermaier, forse a causa di un piccolo errore compiuto verso la fine della prima manche, forse a causa della sorte che l'aveva costretta a partire con il numero 1 nella prima manche, su neve ancora fresca, e con il numero 11 nella seconda, su neve già un po' guastata dai passaggi delle apripista e di dieci concorrenti, o forse anche per via del berretto troppo calcato che le era sceso quasi sugli occhi, togliendole un poco di visuale della pista. Tuttavia Giordani fu soddisfatta di quel bellissimo secondo posto e decise che Mittermaier, arrivata ai Giochi in stato di grazia, era probabilmente imbattibile. Vi fu una gran festa in famiglia, con il padre Aldo, che era stato un ottimo ex giocatore di basket e poi tra i primi telecronisti in Italia di quello sport, e con la madre, Franca Cipriani, che vantava un passato di azzurra nella pallacanestro.
La vittoria di Piero Gros ('Pierino'), piemontese di Sauze d'Oulx, nello slalom speciale fu grandissima. Nel 1974 Gros aveva vinto la Coppa del Mondo (la classifica generale, non solo quella di specialità) a soli 19 anni, registrando un record tecnico, agonistico e anagrafico. Non aveva neppure patito troppo la grandezza di Thoeni, che fra l'altro in quello stesso 1974 ai Mondiali di St. Moritz aveva conquistato il primo posto nello slalom speciale con una seconda manche che per alcuni rimane la massima prova tecnico-atletica di tutti i tempi nella specialità. Pierino nella stagione delle Olimpiadi non aveva ancora vinto, pur essendo arrivato più volte vicino al successo e quel giorno dello speciale, sotto la neve cadente e con Stenmark che incombeva, si sentiva in un certo senso in credito con la sorte. Lo svedese nella prima manche commise due errori e rimediò con alta acrobazia, nel senso che evitò di uscire di gara. Ma si trovò con una classifica pesante, al nono posto, e nella seconda manche scelse la via della reazione forte, spericolata, uscendo definitivamente di gara. Gros si amministrò saggiamente, persino troppo, e dopo la prima manche era piazzato al quinto posto, dietro a Willy Frommelt del Liechtenstein, l'unico sotto il minuto, a Thoeni, allo svizzero Walter Tresch e a Bieler. La seconda manche fu davvero fondamentale per Gros: diede tutto il meglio di sé, più di 1″ a Thoeni, più di 2″ a Frommelt e quasi 4″ a Tresch. Vinse benissimo e il podio, con lui sul primo gradino e Thoeni sul secondo, fu un vero trionfo per gli azzurri, nonostante Bieler si fosse perso per strada.
Il terzo posto di Herbert Plank, carabiniere altoatesino, nella discesa libera fu un successo personale di un atleta regolare e forte, privo però del guizzo da fuoriclasse che invece possedeva Klammer. L'austriaco nelle ultime due stagioni aveva vinto 14 discese sulle 19 disputate ed era l'erede più che legittimo di Karl Schranz. Emozionatissimo, per poco non mancò la prova davanti ai suoi connazionali e lo svizzero Russi, il vincitore di Sapporo, arrivò secondo con una differenza di appena 33 centesimi. Russi possedeva la tecnica dello scivolamento, l'arte dello 'sposare' la neve, mentre Klammer, che in quella prova olimpica venne fuori nella parte finale del percorso, era dotato di una strepitosa forza fisica e la scaricava tutta sugli sci. In quella classifica, con Plank a 86 centesimi dal vincitore, compare anche Roland Thoeni, al quattordicesimo posto. Gustav fu ventiseiesimo: scendendo con calma e anche con classe riuscì a fare presenza utile per il punteggio finale della combinata mondiale. La natura di discesista, anche di discesista, del grande Gustav venne fuori pure in quell'occasione di ordinaria amministrazione del proprio talento per conseguire il massimo dei risultati (nella fattispecie la classifica della combinata) con il minimo dei rischi.
Rosi Mittermaier fu dichiarata regina di quei Giochi, il personaggio numero 1, e il più diffuso quotidiano tedesco, la Bild Zeitung di Amburgo, celebrò grazie alle sue due vittorie (Mittermaier si impose in slalom speciale e nella discesa libera, oltre a prendere l'argento nel gigante e a vincere naturalmente la combinata per il titolo mondiale) il suo primato assoluto di tiratura, sfiorando i 2 milioni di copie. La discesa di Mittermaier, incredibilmente in forma, fu spettacolare e siglò grandiosamente una carriera molto bella anche se mai trionfale. 'Golden Rosie' diede 52 centesimi all'austriaca Brigitte Totschnig e soprattutto 1,34″ alla statunitense Cindy Nelson, che sembrava poter essere la nordamericana di turno per la sorpresa insieme grande e normale, stando alla storia dei Giochi. La vera sorpresa venne invece dallo slalom gigante, dove la canadese diciottenne Kathy Kreiner si impose già dalla prima manche, per resistere bene nella seconda all'attacco abbastanza scomposto di Mittermaier, che non arrivò a fare il 'grande slam' a imitazione di Sailer o di Killy, peraltro mai riuscito a nessuna donna alle Olimpiadi: per appena 12 centesimi di secondo, dopo due sbandate per eccesso di impegno, finì la gara al secondo posto. Wilma Gatta, per l'Italia, arrivò settima, cogliendo in quel gigante olimpico il miglior risultato della sua carriera azzurra.
Nelle gare di fondo alcuni personaggi destarono curiosità, come il norvegese di Oslo Ivar Formo, arrivato primo nella 50 km. Di famiglia borghese, indicato dai tecnici come il campione del futuro e però deciso a fare l'ingegnere, dopo i Giochi di Innsbruck diede l'addio alle gare e si dedicò completamente agli studi. L'italiano Willy Bertin, ancora una volta tradito dalle prove di tiro e arrivato quarto nella classifica finale del biathlon, dopo una gara fortemente handicappata da questa sua debolezza, scoppiò in lacrime, quasi realizzasse improvvisamente a 32 anni di aver fatto male ad abbandonare lo sci di fondo puro, dove eccelleva. Particolare anche la vicenda della sovietica Galina Kulakova che, arrivata terza nella 5 km, fu esclusa dalla classifica per doping ma venne autorizzata a proseguire le gare perché provò di aver in realtà fatto uso solo di abbondante spray nasale. Il farmaco, contenente anche efedrina ma non di per sé stesso prodotto dopante, era usato per facilitare la respirazione (a Lillehammer 1994 sarebbe stato lo stesso CIO ad autorizzare questo tipo di medicinale, considerata l'epidemia di riniti negli atleti sottoposti a temperature molto rigide).
L'Italia quasi non esistette nel panorama dello sci di fondo di Innsbruck. Ci furono, in quel settore, inconvenienti speciali, che pure si pensava di aver finalmente superato con la nuova organizzazione. Nella prova sui 50 km quattro fondisti italiani su quattro - Roberto Primus, Tonio Biondini, Carlo Favre e Ulrico Kostner - ebbero prestazioni inesistenti e la causa fu attribuita alla sciolina sbagliata, quindi a un errore clamoroso di natura tecnico-chimica. Le gare nordiche videro la tradizionale, decisa prevalenza di scandinavi e sovietici, con qualche novità. Due sovietici e un finlandese prevalsero nella 15 km, come da copione, e due sovietici si classificarono al primo e terzo posto nella 30 km, intercalati da William 'Billy' Koch, un diciannovenne statunitense davvero interessante con il suo procedere aggressivo, fuori dai canoni classici. Nella 50 km, dopo Ivar Formo, arrivò il tedesco dell'Est Gert Dietmar Klause, a sua volta davanti a uno svedese. Nella staffetta si distinsero Finlandia, Norvegia, URSS e Svezia nell'ordine, poi Svizzera e Stati Uniti davanti all'Italia. Il migliore degli italiani fu Giulio Capitanio, almeno capace di essere pari alle attese, peraltro non grandi. Nella combinata i tedeschi, dell'Est più che dell'Ovest, sfruttarono il salto per rimediare alle lacune nel fondo: oro e bronzo alla Germania dell'Est, argento alla Germania Ovest.
Nel salto sul trampolino da 70 m il grande Hans-Georg Aschenbach della Germania Est si affermò sul connazionale Jochen Danneberg. Gli scandinavi, o per essere più precisi i finlandesi e i norvegesi (la Svezia non aveva mai brillato in questa disciplina), subirono una disfatta. Nella graduatoria compaiono dunque tedeschi, austriaci, svizzeri, cecoslovacchi e finalmente, all'undicesimo posto, un finlandese, davanti a un sovietico. Nel salto dal trampolino da 90 m si classificarono due austriaci, due tedeschi dell'Est, e poi ancora due austriaci, due tedeschi dell'Est, in un'alternanza che continua fino al nono, uno svizzero, e al decimo, un finlandese.
Nel biathlon Bertin, di cui già si è detto, fu quarto nella gara in cui i sovietici vinsero l'oro e il bronzo e i finlandesi l'argento. URSS, Finlandia e Germania Est salirono sul podio della staffetta, mentre l'Italia di Lino Jordan, Pierantonio Clementi, Luigi Weiss e Willy Bertin fu sesta. Nelle gare femminili la vittoria netta ai punti andò all'Unione Sovietica sulla Finlandia e anche i piazzamenti sancirono la superiorità delle fondiste dell'URSS.
Il teatro del ghiaccio fu molto animato, con grandissimo afflusso di spettatori, ma l'Italia dovette constatare un deciso declino nel bob, nel pattinaggio, sia nella velocità sia nell'artistico, e nell'hockey. Il bob italiano, inizialmente imitato da tanti stranieri, era stato nettamente superato sia come tecnica sia come programmi e anche nella cura di tutti i piccoli dettagli. Sulla collina di Igls, dove si svolgevano le prove, per gli italiani esisteva solo la memoria di Eugenio Monti, del suo bel gesto di dodici anni prima e dei suoi successi. I due equipaggi azzurri del bob a due arrivarono ottavo e sedicesimo, quelli del bob a quattro undicesimo e dodicesimo, assistendo da lontano ai successi dei tedeschi orientali, ai piazzamenti dei tedeschi occidentali e degli svizzeri. Giorgio Alverà e Nevio De Zordo fecero il loro massimo, ma ormai l'evoluzione della specialità presso altri paesi li aveva lasciati indietro. Vi era anche un problema legato alle piste a disposizione: i tedeschi dell'Est si presentarono alle gare olimpiche con 600 discese di preparazione, contro le 86 degli equipaggi italiani. Inoltre gli atleti della Germania dell'Est avevano un altro livello di specializzazione e, a seconda delle necessità dell'equipaggio, erano meteorologi, ingegneri, oppure decathleti.
Non molto diversa fu la situazione relativa allo slittino, nonostante le grandi acrobazie fisiche e tecniche degli azzurri. L'Austria, la Germania Est e la Germania Ovest avevano a disposizione ciascuna una pista di neve artificiale per gli allenamenti, rispettivamente a Igls, Oberhof e Königssee, mentre gli atleti italiani poterono, a pagamento, allenarsi di tanto in tanto su una di quelle piste. Si rivelarono poi sostanziali alcune innovazioni tecniche, come quelle concernenti i tessuti delle tute (un gap che avevamo già avvertito pesantemente nelle prove di salto) o come la foggia dei caschi. La Germania Est, i cui atleti portavano caschi lunghi e sagomati ideali per lo scorrimento dell'aria ai lati, vinse tutto quel che c'era da vincere, lasciando soltanto ai tedeschi dell'Ovest un argento maschile e un bronzo femminile nelle prove individuali. Lo slittino biposto, per soli uomini, vide ai posti d'onore tedeschi occidentali e austriaci. In questa gara l'Italia fu settima, mentre nella prova individuale femminile Sara Felder arrivò undicesima, Marie-Luise Rainer sedicesima, in quella maschile Karl Brunner undicesimo e Peter Gschnitzer trentasettesimo. Paul Hildgartner, il campione di Sapporo 1972, fu costretto al ritiro dopo tre manche per un attacco febbrile. Davvero l'Italia fu svantaggiata dalla carenza di risorse, magari preesistente ma sin lì sempre ben mimetizzata da ingegno, fortuna, volontà.
Si era pensato anche a una nostra possibile sorpresa positiva nel pattinaggio artistico femminile con l'azzurra Susanna Driano (Susan o Susy), nata in Canada da genitori calabresi e diventata buona atleta grazie alla grande disponibilità di impianti nel suo paese di elezione. Driano, che era preparata dall'italiano Carlo Fassi - campione europeo nel 1953, era poi emigrato ed era diventato con il suo centro a Denver un punto di riferimento didattico per tanti campioni o aspiranti tali - arrivò settima nella prova individuale vinta dalla statunitense Dorothy Hamill, ugualmente allieva di Fassi. Tra le curiosità, il britannico John Curry, altro allievo di Fassi, una volta alla settimana durante il periodo pieno degli allenamenti volava da Londra a Denver per ricevere gli ultimi consigli per la migliore riuscita tecnica e agonistica delle sue prestazioni. Nella gara a coppie si imposero due tedeschi dell'Est davanti a due coppie sovietiche, anche in questo caso un ribaltamento rispetto alle previsioni. Nella prova ritmica di danza, appena introdotta, si classificarono due coppie sovietiche davanti a quella statunitense; per l'Italia vi fu il buon sesto posto di Matilde Ciccia e Lamberto Ceserani, con un programma musicale molto ampio, da Rossini a Chopin a Offenbach con il suo can-can. Lo statunitense Terry Kubicka, settimo nella prova individuale, fu il primo al mondo a eseguire un salto mortale. L'esercizio non risultò perfetto, ma per i cultori di questo durissimo balletto sul ghiaccio il momento fu autenticamente epocale.
Anche il pattinaggio di velocità ‒ disciplina in cui proprio a Innsbruck 1976 si annunciarono, senza vincere ma cominciando a gareggiare bene, i sudcoreani, destinati a far belle cose nei Giochi futuri ‒ ebbe le sue stelle: atlete fortissime come, per es., la statunitense Sheila Young, campionessa del mondo di ciclismo su pista (inseguimento), che vinse i 500 m, fu terza sui 1000 m e seconda sui 1500 m. Young tolse molte attenzioni alle sovietiche, specialmente a Tatyana Averina bronzo sui 500 m, oro sui 1000 m, bronzo sui 1500 m e oro sui 3000 m, complessivamente la più brava di tutte, e a Galina Stepanskaya oro sui 1500 m. Fra gli uomini vi fu maggiore spartizione di successi: vinsero il sovietico Yevgeniy Kulikov sui 500 m, lo statunitense Peter Mueller sui 1000 m, i norvegesi Jan Egil Storholt e Sten Stensen sui 1500 m e sui 5000 m, Piet Kleine, olandese, sui 10.000 m. Fra i pochi italiani vanno comunque ricordati Bruno Toniolli e Floriano Martelli per quello che fu un loro sofferto atto di partecipazione, e non solo di presenza.
Le gare del pattinaggio di velocità furono sottomesse ai capricci del vento, che talora penalizzava i concorrenti specialmente se era a favore, perché causava repentine accelerazioni che potevano significare la perdita di controllo e l'uscita dalla traiettoria giusta se la curva era prossima. Inoltre il sole che spesso arrivava d'improvviso ed era subito caldo poteva far sciogliere in pochi secondi il ghiaccio, così che i concorrenti che avevano la sfortuna di trovarsi in gara su quel fondo compromesso rischiavano di far segnare tempi molto scarsi. Neanche il vento e il sole comunque compromisero la bella prestazione dello svizzero Franz Krienbuhel che a 47 anni fu ventisettesimo sui 1500 m, diciassettesimo sui 5000 m e ottavo sui 10.000 m.
L'hockey fu disertato dai canadesi e dagli svedesi, forti con squadre professionistiche ma incapaci di mettere insieme, come invece gli statunitensi, una decorosa compagine studentesca, di giovani almeno teoricamente dilettanti. La vittoria andò ai sovietici sui cecoslovacchi e uno speciale premio fair play fu dato all'URSS che non si oppose perché la squadra ceca, decimata da attacchi influenzali, potesse schierare nello scontro decisivo un portiere inizialmente non compreso nella lista dei partecipanti. Gli stessi cecoslovacchi patirono un caso di doping quando il loro capitano, Frantisek Pospisil, fu sospeso per assunzione di codeina. Tutti convennero però che si trattava di un medicamento contro gli attacchi influenzali, dovuti agli sbalzi di temperatura cui si aggiungeva il disagio creato dal föhn, e così non vi furono scandali né penalizzazioni in un torneo che vide un bronzo abbastanza sensazionale dei tedeschi dell'Ovest, davanti a finlandesi e statunitensi.