Olimpiadi invernali: Lake Placid 1932
Numero Olimpiade: III
Data: 4 febbraio-15 febbraio
Nazioni partecipanti: 17
Numero atleti: 252 (231 uomini, 21 donne)
Numero atleti italiani: 12 (12 uomini)
Discipline: Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci nordico
Numero di gare: 14
Giuramento olimpico: John Shea
Il CIO, come era già avvenuto per la Francia nel 1924, assegnò i Giochi del 1932 a una sola nazione, gli Stati Uniti: estivi a Los Angeles, invernali a Lake Placid, nello Stato di New York, a quota piuttosto bassa sul livello del mare. Fu una scelta molto discussa, soprattutto dagli europei e particolarmente da finlandesi e scandinavi, a causa della distanza. Ma tant'era: l'olimpismo, anche quello della neve e del ghiaccio, doveva divenire universale e questo era lo spirito che animava i reggitori dello sport, fra i quali vi erano due italiani, Carlo Montù e Giorgio Guglielmi, membri del CIO. In realtà gli sport invernali andavano molto per conto loro, tanto che la FIS (Fédération internationale de ski) e le Federazioni nazionali europee sostenevano una loro strategia indipendente organizzando concorsi di prove alpine considerati campionati del mondo, ai quali partecipavano gli atleti più forti. Fra questi figurava l'italiana Paula Wiesinger, anche valente alpinista, che nel 1932 a Cortina d'Ampezzo si affermò nella discesa proprio nello stesso giorno in cui in America si inauguravano i Giochi Olimpici. Ma lo spirito olimpico cresceva e dopo altri quattro anni le prove alpine, discesa e slalom, sarebbero entrate anche nel programma dei Giochi.
In Italia poi lo spirito olimpico era tenuto in alta considerazione, anche perché nei Giochi estivi, nell'atletica, nella ginnastica, nella scherma, già vi erano campioni da medaglie d'oro. Nelle discipline invernali invece eravamo ancora 'sudditi' dei dominatori tradizionali per lo sci e anche di altre nazioni per tutte le diversificate sfide sul ghiaccio. Va del resto ricordato che chi governava allora l'Italia considerava lo sport uno strumento utile a coinvolgere, manovrare e attrarre i giovani all'idea fascista (chi scrive, chiamato a prendere parte a competizioni di atletica e di sci, ne ha un ricordo personale). Questo aveva riflessi evidenti anche sui giornali di allora, tutti antidemocraticamente controllati dal Partito. Nelle cronache sportive venivano trattati con maggiore attenzione e maggiore entusiasmo i Littoriali, i Campionati dello sci per universitari, o l'adunata dei dopolavoristi, o la Coppa del Re, sci di fondo a tre per squadre universitarie, che non le Olimpiadi, anche perché in queste i risultati dei nostri campioni erano obiettivamente mediocri. Spesso, inoltre, gli articoli di argomento non olimpico, invece di essere arricchiti dalla fotografia di uno o più vincitori, erano corredati dall'immagine fiera del segretario del PNF Achille Starace.
I Giochi Olimpici di Lake Placid furono molto penalizzati dal fatto di svolgersi così 'fuori dal mondo', oltre che dalle nuove regole imposte nel pattinaggio di velocità dagli statunitensi e assolutamente non gradite agli europei: per es. le partenze in linea, come nell'atletica, e non in corsia, come nel pattinaggio avviene ancora oggi. La nuova formula fu tanto avversata in Europa che il fuoriclasse Thunberg, plurivincitore a Chamonix e a St. Moritz, rifiutò la trasferta. Non vi fu lo skeleton e invece, novità interessante se pure dimostrativa, si ebbe il pattinaggio di velocità al femminile, su tre distanze, 500, 1000 e 1500 m, praticamente riservate a statunitensi e canadesi.
La sontuosa cerimonia di apertura si tenne nello stadio del ghiaccio in una giornata di sole e alla presenza del governatore dello Stato di New York, Franklin D. Roosevelt, che lesse il fervido augurio del presidente degli Stati Uniti Herbert Hoover. La rappresentativa italiana, maglione azzurro bordato in bianco-rosso-verde e pantaloni alla zuava blu, era guidata dal capospedizione Guido Alberto Rivetti, piemontese, affiancato dal fondista Erminio Sertorelli, alfiere del tricolore, seguiti dall'allenatore Kjelberg e dagli atleti, i fondisti e i bobbisti, due equipaggi per il due e uno per il quattro.
I fondisti Gino Soldà, di Recoaro Terme, e Severino Menardi, cortinese, suscitarono particolare interesse fra i numerosi spettatori italiani presenti: il primo per il suo sguardo fiero e per una certa notorietà come scalatore (divenne famoso tre anni dopo per una nuova via sulla parete Sud della Marmolada che gli valse la medaglia d'oro al valore atletico conferitagli da Mussolini) e Menardi per il suo fascino e la sua polivalenza. Nato nel 1907, alto, longilineo, capelli neri e occhi celesti, era capace di emergere nelle specialità di fondo, discesa, slalom e salto; a Cortina fece a lungo il maestro di sci, oltre a essere noto come gran 'rubacuori'. A Lake Placid, tuttavia, i suoi risultati furono assolutamente mediocri: ventunesimo nella combinata fondo-salto, ventisettesimo nel salto, trentaquattresimo nella 18 km. Il migliore degli azzurri, fu Sertorelli, dodicesimo nella 50 km, prova che si rivelò davvero sfortunata perché Lorenzo Colturi dovette rinunciare per un'infezione e il campione italiano Francesco De Zulian, colpito da crampi alle gambe, fu costretto a malincuore a ritirarsi a metà gara. Ancora peggio andò a Giovanni Delago cui la sorte assegnò l'ultimo pettorale: proprio mentre stava avviandosi si scatenò una bufera che si protrasse per tutte le quattro e più ore della sua fatica; pare addirittura che mentre percorreva gli ultimi 10 km non abbia più trovato i rifornimenti perché tutti gli addetti avevano lasciato la pista. A causa del maltempo aveva abbandonato più di un terzo degli atleti. La prova fu vinta dal finlandese Veli Saarinen, in 4h28′. Saarinen in seguito fu eletto anche membro del Comitato olimpico, un amico dello sci che per una quarantina di anni si è sempre visto con il suo sguardo fiero a tutte le grandi competizioni dello sci nordico. I risultati degli altri italiani nelle prove di sci di Lake Placid non furono esaltanti, ma vanno comunque ricordati. L'ottimo Ernesto Zardini fu dodicesimo in combinata e quattordicesimo nel salto, e per il nostro livello fu un risultato apprezzato. Il gardenese Ino Dallago fu sedicesimo nel salto e diciassettesimo in combinata nordica. Andrea Vuerich arrivò venticinquesimo nella 18 km, davanti a Soldà. Non c'era ancora la staffetta.
Nel salto la Norvegia, senza sorpresa per alcuno, vinse ben tre medaglie. Meraviglia autentica suscitò il giovane vincitore Birger Ruud, fratello di Sigmund che aveva guadagnato l'argento quattro anni prima a St. Moritz. Birger si meritò l'oro per uno strepitoso secondo salto. Negli anni seguenti ebbe un successo unico: nella edizione dei Giochi del 1936, a Garmisch-Partenkirchen, conquistò ancora l'oro, saltando non più di tutti ma meglio sì, lieve e sicuro, e fu primo anche nella discesa della combinata di sci alpino (quarto nella classifica finale); nel 1948, alla ripresa olimpica dopo la guerra e i dolori patiti dal suo paese, si piazzò secondo nel salto, un argento felicissimo e irripetibile.
Per quanto riguarda il bob, nelle due prove, a due e a quattro, che si disputarono su una pista di neve compatta e ghiacciata, o addirittura su ghiaccio secondo le circostanze, il conte Theo Rossi di Montelera ebbe ottimi piazzamenti con i suoi compagni d'equipaggio, arrivando al quinto e sesto posto. Generoso, autentico sportivo, Rossi di Montelera era anche pilota di automobilismo (prese parte alla Mille Miglia e ad altre gare classiche su strada), di motonautica e di aeronautica; inoltre si dilettava di invenzioni, che fino agli anni Sessanta continuò a far collaudare a Cervinia dal suo amico Leo Gasperl, per es. il tirring-mantel, una sorta di spettacolare paracadute a farfalla che consentiva di sciare per pendii assai ripidi o quasi verticali. A Lake Placid le due sfide nel bob furono ambedue statunitensi, con guidatori diversi, Hubert Stevens e William Fiske.
Gli americani, anche e soprattutto quelli non presenti a Lake Placid, dopo un certo seguito riservato alla cerimonia d'apertura, attenuarono il loro interessamento per i Giochi. Allora non c'era la televisione e i giornali non bastavano a tenere alto l'interesse. Comunque i Giochi non facevano aumentare le vendite, nonostante le due vittorie degli USA nel bob e le quattro nel pattinaggio di velocità.
Si divisero le medaglie d'oro nel pattinaggio John Shea nei 500 e 1500 m, e Irving Jaffee nei 5000 e 10.000 m. Fatto curioso, anzi unico, il distacco degli atleti battuti fu misurato in metri, per cui le classifiche sui giornali riportavano, per es., secondo Bernt Evensen a 5 metri, terzo Alexander Hurd a 2 metri dal secondo. Le medaglie del pattinaggio andarono tutte a USA e Canada, con l'eccezione degli argenti nei 500 e nei 10.000 m, che furono appannaggio della Norvegia, rispettivamente con Evensen e Ivar Ballangrud. Nell'artistico le medaglie furono meglio distribuite, con l'austriaco Karl Schäfer nel singolo, Sonja Henie nell'individuale femminile, e i francesi Brunet-Brunet nella gara a coppie. Nessun italiano sulla pista.
Poco successo ebbe l'hockey, sport nazionale oltreoceano, perché le squadre furono soltanto quattro, suggerendo ai responsabili di introdurre due gironi, andata e ritorno. Vinse ancora il Canada davanti a Stati Uniti, Germania e Polonia. I risultati con maggiore e minore punteggio furono rispettivamente Canada-Polonia 10-0 e Canada-USA 2-1.
La cerimonia di chiusura avvenne allo stadio in un pittoresco scenario di luci e musiche solenni, varie e trascinanti. Anche in quell'edizione l'onore degli ultimi applausi fu donato dal Comitato alla pattinatrice Sonja Henie.