Olimpiadi invernali: Lake Placid 1980
Numero Olimpiade: XIII
Data: 13 febbraio-24 febbraio
Nazioni partecipanti: 37
Numero atleti: 1072 (840 uomini, 232 donne)
Numero atleti italiani: 49 (37 uomini, 12 donne)
Discipline: Biathlon, Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico, Slittino
Numero gare: 38
Ultimo tedoforo: Charles Morgan Kerr
Giuramento olimpico: Eric Heiden
Lake Placid 1980 per noi italiani è soprattutto legato al ricordo dall'incidente di Leonardo David. Una gara preolimpica all'inizio del 1979 ‒ sulla pista di discesa che un anno dopo avrebbe ospitato la prova dei Giochi Olimpici invernali ‒ chiamò alla partenza anche il giovane valdostano di Gressoney, che era già riuscito, appena diciottenne, a stupire positivamente tutti vincendo una prova di slalom speciale in Coppa del Mondo ed era quindi considerato un potenziale patrimonio tecnico del massimo sci azzurro. David, in non buone condizioni fisiche, fu schierato al via nell'intento di recuperarlo all'agonismo. Cadde alla fine della discesa: non sembrava un incidente grave ma il ragazzo entrò in coma e non si chiarì mai se fosse stata la caduta a determinare il coma o, viceversa, un malore precedente a farlo cadere. Cominciò da quel giorno il pellegrinaggio di Leo, completamente privo di conoscenza e di riflessi, attraverso ospedali famosi e cliniche sofisticate e iniziò anche la grande battaglia fra la sua famiglia e la Federazione italiana sport invernali, fra il padre di Leo, Davide David, in gioventù anch'egli slalomista di valore, e Arrigo Gattai, il presidente della FISI. L'accusa era quella di avere portato negli Stati Uniti un atleta che accusava emicranie inquietanti e che non pareva avere smaltito le conseguenze di una brutta caduta, occorsagli dieci giorni prima, sempre in discesa libera, a Cortina. La difesa era quella di avere adempiuto al rituale, pienamente rassicurante, delle visite mediche. Fu una battaglia acre, senza esclusione di colpi, con indiscrezioni, rivelazioni, denunce, accuse anche pesanti, combattuta intorno a un corpo vivo di vita vegetativa pura e semplice, un ragazzo che fissava il vuoto e non rispondeva a nessun tipo di appello. Era una battaglia che nessuna sentenza della magistratura poteva risolvere, destinata ad avere soltanto degli sconfitti. Dopo quasi sei anni di coma David si spense il 26 febbraio 1985. La spedizione azzurra a Lake Placid avvenne comunque sotto il segno del dolore, più che della paura: la tragedia di Leo era stata così anomala da ingenerare tristezza più che allarme.
Lake Placid, località dello Stato di New York, nel cuore della catena degli Adirondacks, che già aveva ospitato i Giochi del 1932, si presentava senza un vero e proprio cuore urbano. Il paese era piccolo, gli impianti sparpagliati nei monti e nelle valli vicine. La distribuzione delle gare nei tempi e soprattutto negli spazi creò numerosi problemi logistici, che si aggiunsero alle difficoltà organizzative degli spostamenti su strada e alle alterne condizioni meteorologiche. Furono insomma Giochi di alto disagio generale. Qualche sorriso venne dalla pubblicazione di giornaletti locali, di stampo goliardico, dove si parlava di Lake Panic, di Fake ("fasullo") Placid, e dove, parodiando il titolo di un film importante uscito in quei mesi, si definivano i Giochi come Apocolympics Now.
L'atmosfera era anche aggravata da questioni politiche. Cominciava a diffondersi, sia pure senza alcuna ufficializzazione, il timore che gli Stati Uniti mettessero in atto il proposito di disertare i Giochi estivi in programma a Mosca pochi mesi dopo, per protestare contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Il successo assolutamente non previsto nel torneo di hockey su ghiaccio della squadra statunitense ‒ una formazione di giovanotti sostanzialmente estranei al grande mondo professionistico del loro sport ‒ proprio sui favoritissimi sovietici ebbe un rilievo speciale anche in quell'ottica politica. L'autore del gol decisivo per il 4-3 sull'URSS (che era arrivata a condurre per 3-2), nonché capitano della giovane squadra, fu Mike Eruzione, un oriundo italiano. Per la precisione la squadra statunitense di hockey raccolse l'oro ufficialmente soltanto con una successiva e neanche troppo facile vittoria sulla Finlandia, per 4-2, ma proprio l'enfatizzazione del successo sull'URSS, che da un po' di tempo dominava tutte le massime gare di hockey, fu il sintomo della politicizzazione dei Giochi di Lake Placid in chiave antisovietica. Chiamati alla Casa Bianca dal presidente Jimmy Carter, orgogliosissimo di loro, gli hockeysti statunitensi furono i testimoni della prima dichiarazione formale concernente il boicottaggio.
Gli italiani furono più che altro spettatori della manifestazione olimpica, raccogliendo appena due medaglie d'argento, entrambe nello slittino. Vi fu poi un quarto posto nello slalom speciale, a opera di Maria Rosa Quario, a soli 3 centesimi dal bronzo, e davanti per 1,20″ a Claudia Giordani, che era stata medaglia d'argento quattro anni prima. Non mancarono le recriminazioni, e soprattutto le tante confessioni di debolezza, di ritardo nello stare al passo con i tempi che sempre più chiedevano ricerca scientifica, impegno tecnologico, coltivazione ottimale degli eventuali talenti e non permettevano nessun adagiamento sui cosiddetti allori. Ci furono anche delle polemiche interne, coperte a stento dai dirigenti federali. Brigitte Fink, commissario tecnico degli slittinisti azzurri, rimproverò Mario Cotelli, che era stato fra gli artefici della 'valanga azzurra' quando Thoeni era ai massimi livelli, di avere permesso una fornitura di nostri tessuti speciali da discesisti (molto validi ai fini aerodinamici) agli slittinisti tedeschi orientali.
Tra gli atleti altoatesini dello slittino e quelli appunto della Germania Orientale ci furono, nella lingua tedesca comune, litigi anche aspri, culminati nella prova individuale maschile, alla quarta e ultima manche, quando era in pieno svolgimento il duello tecnico fra Bernhard Glass e il nostro Ernst Haspinger, sin lì leader della classifica. Glass partì subito, mentre Haspinger dovette aspettare due ore al freddo, a ‒20 °C, prima che la pista fosse dichiarata di nuovo agibile. Quando finalmente arrivò il suo turno sembra che Glass, poco simpaticamente, gli abbia detto: "Adesso vado alla curva numero 12 a vedere come cadi". Era la curva detta 'omega', che aveva già fatto uscire un altro italiano favorito, Karl Brunner, e che aveva pure punito altri concorrenti, tedeschi orientali compresi. Haspinger la temeva con buone ragioni, e infatti una sbandata proprio lì gli costò il successo e gli tolse i 454 millesimi di secondo sin lì guadagnati su Glass. Doveva ancora scendere l'italiano Paul Hildgartner, staccato da Glass di appena 46 millesimi, ma proprio mentre stava prendendo il via lesse sul tabellone luminoso dell'incidente di curva al numero 81, quello del suo amico Haspinger. Dispiaciuto e forse deconcentrato, Hildgartner partì egualmente, protesse il suo secondo posto, niente di più, per timore di uscire di pista se avesse forzato. Disse subito dopo la gara che avrebbe dato la sua medaglia d'argento in cambio della possibilità per Haspinger di ripetere la prova e di prendersi quell'oro che secondo lui avrebbe certamente meritato.
L'altro argento dell'Italia a Lake Placid fu quello nello slittino biposto: Peter Gschnitzer e Karl Brunner fecero, nei confronti dei tedeschi orientali Hans Rinn e Norbert Hahn, una gara a inseguimento, nel corso della quale andarono vicini alla possibilità di vincere ma anche a quella di dover lasciare il secondo posto agli austriaci, che comunque furono assai meno bravi nell'ultima discesa. Da segnalare un lavorio forse eccessivo nelle operazioni di cambio dei pattini da parte degli azzurri, dovuto alle bizzarrie meteorologiche della località e alle variazioni di temperatura della pista. Fra le donne grande sorpresa: prima la sovietica Vera Zozulya, terza Ingrida Amantova, anche lei sovietica, soltanto seconda la tedesca orientale Melitta Sollmann, data per favorita dopo un suo eclatante successo nel Campionato Europeo. Aukenthaler, undicesima, fu la migliore italiana.
Il bob obbligò gli italiani ancora di più al ruolo di spettatori, stavolta senza possibilità di divagazioni polemiche. Tedeschi orientali e svizzeri dominarono, l'Italia aveva nomi nuovi che però non servirono a colmare un gap creatosi dai tempi gloriosissimi di Monti fra gli azzurri e le classifiche alte.
Nello sci alpino l'Italia doveva difendere le grandi memorie di Thoeni e di Gros, di Sapporo 1972 e di Innsbruck 1976. C'era Gros ancora in età per fare belle cose, ma nella gara di slalom gigante si fece male nella prima manche: spalla sinistra troppo vicina a un paletto, torsione del ginocchio sinistro per rimediare allo sbilanciamento e una lesione non grave, ma tale da costringerlo al ritiro nella seconda manche e da pregiudicargli lo slalom speciale. In quel gigante vinse, con una seconda manche superba dopo essere arrivato terzo nella prima, lo svedese Ingemar Stenmark, davanti ad Andreas Wenzel del Liechtenstein e all'austriaco Hans Enn. Da notare che prima di quella gara Stenmark aveva vinto quattordici slalom giganti consecutivi di Coppa del Mondo. Il primo degli italiani fu Bruno Nöckler, sesto. Oltre a Gros si ritirò anche Alex Giorgi, che fra l'altro ebbe problemi con il berrettino e gli occhiali.
Italia da sesto posto, con Herbert Plank, anche nella discesa libera, dove l'Austria seppe mettere fuori squadra il grande Franz Klammer e il campione del mondo in carica Joseph Walcher, entrambi non al massimo della condizione, per fare posto a Leonhard Stock e Peter Wirnsberger, che presero l'oro e l'argento (bronzo all'audacissimo canadese Steve Podborski). Nello slalom speciale vinse ancora Stenmark, con Gros impossibilitato, dopo l'infortunio nel gigante, a difendere il suo oro di quattro anni prima. Stavolta lo svedese dovette inventarsi una rimonta ancora più sensazionale di quella dello slalom gigante. La classifica finale lo vide primo su Phil Mahre, statunitense di gran classe, sullo svizzero Jacques Lüthy, e su Hans Enn, che avevano fatto tutti meglio di lui nella prima manche: Mahre di oltre mezzo secondo, gli altri due di 19 centesimi. Nel tempo totale Stenmark staccò Mahre di 50 centesimi. Ci furono molte discussioni e diverse critiche all'organizzazione: paletti piantati male, facili da abbattere, e troppa gente inesperta negli immediati dintorni della pista. Uscirono di gara Mauro Bernardi, Paolo De Chiesa e Nöckler.
L'Austria fu grande anche con le sue discesiste, in particolare con Annemarie Pröll-Moser, un'altra in credito con i Giochi, capace di battere, otto anni dopo Sapporo, la svizzera Marie Thérèse Nadig che le aveva tolto a sorpresa l'oro sulle nevi giapponesi. Fra le due, nell'ordine d'arrivo, Hanni Wenzel, sorella di Andreas, del Liechtenstein. Quindicesima per l'Italia Cristina Gravina. Hanni Wenzel a Lake Placid fu la migliore espressione dello sci alpino femminile e riuscì persino a farsi capire e ammirare dagli statunitensi, a colpi di medaglie d'oro. Fu prima quasi senza problemi nello slalom speciale, davanti alla tedesca occidentale Christa Kinshofer e alla svizzera Erika Hess. Una teorica classifica a squadre avrebbe premiato l'Italia, con quattro sciatrici fra le prime dieci. Abbiamo già citato il quarto posto di Maria Rosa Quario, a 3 centesimi dal podio (e aveva trovato posto in squadra all'ultimo, per sostituire Wanda Bieler indisposta) e il quinto di Claudia Giordani; ci furono anche il settimo di Daniela Zini e il decimo di Wilma Gatta. Soltanto un decimo posto invece per Giordani nello slalom gigante, altra gara vinta da Hanni Wenzel, che dominò ambedue le manche, precedendo la tedesca occidentale Irene Epple e la francese Perrine Pelen. Bieler e Daniela Zini andarono fuori nella prima manche e Quario nella seconda.
Nello sci nordico, deluse lo statunitense Bill Koch che pure aveva rivoluzionato il modo di sciare con una tecnica aggressiva, di pattinaggio, che avrebbe nel futuro comportato una revisione dello stile di tutti. Vi furono invece ancora importanti affermazioni degli atleti sovietici, nonostante lo scarso entusiasmo che li circondava a causa delle vicende politiche legate all'invasione dell'Afghanistan da parte dell'URSS. Lasciati i 15 km allo svedese Thomas Wassberg, sul traguardo con un centesimo di secondo appena di vantaggio sul finlandese Juha Mieto, i sovietici vinsero col grande Nikolay Zimyatov sui 30 e sui 50 km (diciannovesimo Giulio Capitanio). Fu la prima vittoria dell'URSS nella prova maratona e i sovietici esaltatissimi vinsero poi anche la staffetta 4 x 10 km, davanti a norvegesi e finlandesi. In questa prova gli italiani fecero un'ottima prima frazione con Maurilio De Zolt, che era arrivato trentunesimo nella 15 km e ventesimo nella 30 km, e rimasero per un po' al quarto posto, per finire al sesto; le altre frazioni furono coperte da Benedetto Carrara, Capitanio, Giorgio Vanzetta. Fra le donne il fondismo sovietico vinse con Raisa Smetanina sui 5 km, ma non salì sul podio della 10 km: l'oro andò alla tedesca orientale Barbara Petzold, che prevalse su una finlandese e una cecoslovacca. Anche la staffetta fu della Germania Orientale, con Petzold contro Smetanina nella terza e ultima frazione.
La classifica finale della combinata nordica tradì completamente la tradizione scandinava: primo e terzo posto per la Germania Orientale, rispettivamente con Ulrich Wehling e Konrad Winkler, fra i due il finlandese Jouko Karjalainen. Il salto da 70 m fu vinto dall'austriaco Toni Innauer su Manfred Deckert, tedesco orientale, alla pari, quest'ultimo, con il giapponese Hirokazu Yagi (argento per entrambi). Il salto da 90 m vide sul podio due finlandesi, Jouko Törmänen e Jari Puikkonen, rispettivamente primo e terzo; in mezzo a loro l'austriaco Hubert Neuper. Infine la staffetta 4 x 7,5 km del biathlon premiò l'URSS su Germania Est e Germania Ovest (Italia nona con Arduino Tiraboschi, Adriano Darioli, Celestino Midali e Weiss), mentre le prove individuali sui 10 e sui 20 km furono della Germania Orientale con Frank Ullrich e dell'URSS con Anatoliy Alyabyev.
Il generale orientamento del poco pubblico gratificò soprattutto le prove tradizionali sul ghiaccio, cioè pattinaggio e hockey. Nel pattinaggio di velocità si impose lo statunitense Eric Heiden, vincitore di tutte le medaglie d'oro, cinque, e autore anche di un sensazionale primato mondiale sui 10.000 m. Prima di lui il massimo bottino olimpico per un solo pattinatore in una sola edizione era stato di tre medaglie d'oro. Heiden aveva esordito quattro anni prima a Innsbruck con il settimo posto sui 1500 m e il diciannovesimo sui 5000 m. Il ventiduenne del Wisconsin di origini scandinave, dotato di un gran fisico, a Lake Placid vinse con facilità irrisoria tutte le gare, trovando qualche difficoltà solo nella prova sui 1500 m. La sorella Elizabeth conquistò in quei Giochi invernali il bronzo nella gara più lunga del pattinaggio femminile di velocità, quella sui 3000 m vinta dalla norvegese Biørg Eva Jensen, ma in quello stesso 1980, a sei mesi dai Giochi, si propose in tutt'altra disciplina, il ciclismo su strada, arrivando al titolo mondiale sul circuito alpino di Sallanches, in Francia. Anche Eric Heiden passò al ciclismo professionistico su strada, fra l'altro esordendo nelle grandi competizioni internazionali in Italia, dove disputò anche il Giro, senza ottenere prestazioni di particolare rilievo.
Nel pattinaggio di velocità si alternarono, per le piazze d'onore, sovietici, canadesi, norvegesi, olandesi; più o meno le stesse nazioni nel settore femminile, dove però la medaglia d'oro dello sprint, sui 500 m, andò a una tedesca orientale, Karin Enke. Qui l'Italia schierava la più giovane concorrente dei Giochi, la torinese Marzia Peretti, figlia di un pioniere in Piemonte del pattinaggio di velocità e hockey su ghiaccio, Impero Romano Littorio Peretti. La ragazza, presa dall'emozione, si bloccò nella prova sui 1500 m. Anche lei in seguito si sarebbe dedicata al ciclismo con qualche buon risultato.
Il pattinaggio artistico vide invece la sorprendente sottrazione di tutte le medaglie d'oro al peso del fattore campo, importantissimo in uno sport di giuria, dunque di persone in qualche misura condizionabili. La prova a coppie fu vinta dai sovietici Irina Rodnina e Aleksandr Zaitsev, quella di danza da Marina Cherkasova e Sergey Shakrai, sempre sovietici, mentre la gara individuale premiò l'inglese Robin Cousins in campo maschile e la tedesca orientale Anett Pötzsch in ambito femminile, dove arrivò ottava l'azzurra Susanna Driano. Seconda fu la statunitense Linda Fratianne, che aveva già firmato lucrosi contratti per dopo i Giochi, nella rivista itinerante nota in tutto il mondo con il nome di 'Holiday on ice'.
Nel bob, come si è detto, prevalsero svizzeri e tedeschi orientali: nel bob a due Svizzera 2 su Germania Est 1 e Germania Est 2; nel bob a quattro Germania Est 1 su Svizzera 1 e Germania Est 2, con Austria 1 e 2 al quarto e quinto posto. L'Italia conquistò solo un quattordicesimo e un sedicesimo posto nel bob a due e un undicesimo posto nel bob a quattro.