Olimpiadi invernali: Nagano 1998
Numero Olimpiade: XVIII
Data: 7 febbraio-22 febbraio
Nazioni partecipanti: 72
Numero atleti: 2176 (1389 uomini, 787 donne)
Numero atleti italiani: 125 (88 uomini, 37 donne)
Discipline: Biathlon, Bob, Curling, Freestyle, Hockey su ghiaccio, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico, Slittino, Snowboard
Numero di gare: 68
Ultimo tedoforo: Midori Ito
Giuramento olimpico: Kenji Ogiwara
Lo show di Nagano, 600 km da Tokyo, era cominciato nel 1991 a Birmingham, Gran Bretagna, quando il congresso del CIO decise fra la sede nipponica e la città statunitense di Salt Lake City, nello Stato dello Utah (gli americani sarebbero stati premiati per i Giochi successivi, quelli del 2002). Nagano aveva esibito un piano organizzativo generale perfetto. In quel congresso era candidata anche Aosta con pochissime speranze, perché dopo Albertville 1992 e Lillehammer 1994 era impensabile una terza edizione consecutiva in Europa. Aosta poi non insistette con una successiva candidatura e in qualche modo spianò indirettamente la via a Torino 2006.
Nagano, grosso centro urbano, non si era presentato come un tipico posto di montagna, anzi si parlava del lancio della stazione soprattutto per la pratica del golf. Comunque l'organizzazione funzionò e se la manifestazione nel suo complesso risultò piuttosto fredda questo in parte fu dovuto alla rigidità dei giapponesi, in parte fu colpa di Lillehammer 1994, nel senso che il paragone con la perfetta e appassionata località norvegese sarebbe stato pesante e penalizzante per qualsiasi posto del mondo. La cronaca dei giorni di Nagano, quindi, risultò meno intensa e meno interessante di quella dei giorni di Lillehammer. A questo indubbiamente contribuiva il fatto che la commercializzazione degli eventi sportivi, con la pubblicità e la ricerca del business a ogni costo, aveva trasformato i Giochi da una rappresentazione in qualche modo rituale in un semplice spettacolo.
Pesarono anche le condizioni meteorologiche, con grandi nevicate che tennero gli spettatori lontano dalle piste, resero difficoltosi gli allenamenti e costrinsero a rinviare diverse gare. Ancora, l'aggiunta al programma di curling, snowboard e hockey femminile, novità di cui non tutti sentivano la mancanza, fece sì che le gare e le medaglie divennero troppe, premiarono anche gesti piccoli, atti ridotti e ci si disperdeva già soltanto a leggere la sera i risultati del giorno. Inoltre non si capiva bene quali medaglie valessero davvero, quali fossero frutto della casualità, quali fossero legate alla supervalutazione di questa o quella disciplina, di questa o quella specialità. Lo sci alpino prevedeva ormai anche freestyle e snowboard, lo sci nordico era intasato e intanto corroso da troppe classifiche speciali, nel salto, nel biathlon, con la tecnica classica e la tecnica libera nello stesso sci di fondo a incrementare il groviglio. Nagano non fu dunque Lillehammer per tante ragioni e non lo fu soprattutto per l'Italia che patì il posto e anche quella zavorra che è spesso la gloria pregressa.
Gli ecologisti giapponesi si dissero soddisfatti per come i lavori olimpici erano stati rispettosi della natura. Si raccontò che la pista del biathlon fosse stata spostata, spendendo dieci milioni di dollari in più per la sua costruzione, solamente per non disturbare un falco che aveva fatto il suo nido su un albero vicino al poligono di tiro. La stessa cerimonia inaugurale si ispirò all'ecologia, con un simbolismo mai sfarzoso. La musica preminente fu italiana, quella della Madama Butterfly di Puccini. Parteciparono 72 nazioni, ovviamente un record, anche se alcune mandarono un solo atleta. Portabandiera per l'Italia fu Gerda Weissensteiner, l'altoatesina dello slittino, il rappresentante del governo fu Gianni Rivera, sottosegretario al Ministero della Difesa, meglio noto come ex calciatore, fra l'altro uno degli azzurri della nazionale ai Giochi di Roma 1960.
Vi era molta attesa dei giapponesi per Alberto Tomba, ormai vicino alla fine della carriera (32 anni), ma popolarissimo da quelle parti, nonostante le nevi locali gli fossero sempre state ostili: dodici anni prima a Furano, aveva fatto la sua unica esibizione in Coppa del Mondo di discesa, finendo quarantottesimo; ai Mondiali 1993 di Morioka un virus intestinale gli aveva impedito di prendere il via nel gigante e lo aveva portato a sbagliare nello speciale per un'inforcata di paletto dopo appena 17 secondi; nel 1995, di nuovo a Furano, Tomba, imbattibile sulle piste di tutto il mondo, aveva inforcato nei due slalom; infine nel 1997 sulle piste di Shiga Kogen, quelle di Nagano olimpica, subito dopo i Mondiali del Sestriere aveva conseguito il peggior risultato della sua carriera nello slalom gigante: trentottesimo nella prima manche e squalificato nella seconda.
Le prime gare videro subito un argento per l'Italia, con Thomas 'Tommy' Prugger nello slalom gigante dello snowboard, dietro al canadese Ross Rebagliati, di chiara ancorché lontana origine italiana, e davanti allo svizzero Ueli Kestenholz. Lo strumento, relativamente nuovo (le prime tavole erano apparse trent'anni prima) che simula sulla neve gli spostamenti che si fanno sull'onda del mare, portò alla scoperta di atleti anomali, anche nell'aspetto, rispetto al tradizionale mondo dello sport: capelli lunghi, tatuaggi, orecchini, vestiti dalla moda più libera. Tommy, altoatesino della grande fucina di campioni che si chiama Val Pusteria, sportivo soprattutto per divertimento, proponeva a partire da nome e look una nota giovanile e vagamente hippy, e diventò un personaggio ideale per lo show-business dello sport che deve offrire sempre nuovi tipi di consumo. Si dimostrò comunque un ottimo atleta. La classifica sembrò doversi rivoluzionare quando arrivò la notizia della positività alla marijuana al controllo antidoping di Ross Rebagliati. Si pensava che lo spinello avrebbe comportato declassamento e titolo all'azzurro. La prima difesa del canadese, piuttosto risibile, fu che a un party dove tutti fumavano forte aveva inalato senza volerlo. Vi fu suspence nell'attesa finché il CIO decise che Rebagliati non era da squalificare, la cannabis non era inclusa nell'elenco delle sostanze proibite e a meno che non vi fosse una esplicita regola della sua Federazione l'atleta fumatore non era perseguibile.
Lo slalom gigante dello snowboard femminile premiò la francese Karine Ruby, quarta l'italiana Lidia Trettel. Nella specialità chiamata halfpipe ‒ dal tipo di pista su cui si svolge, costituita da due pareti verticali di neve dura che corrono parallele, arrotondate nella loro parte interna ‒ le medaglie d'oro andarono rispettivamente a Gian Simmen, svizzero, e Nicola Thost, tedesca.
Gli ori italiani a Nagano furono due. Il primo in ordine di tempo fu conquistato nel bob a due da Günther Huber, bronzo a Lillehammer, e dall'abruzzese Antonio Tartaglia, il quale sulla t-shirt che indossava sotto la tuta aveva il nome di Eugenio Monti, trionfatore di trent'anni prima con De Paolis. Da allora per l'Italia non vi erano più state nel bob medaglie d'oro. Come Monti-De Paolis, anche Huber-Tartaglia arrivarono ex aequo con un altro equipaggio, ma mentre i campioni del 1968 furono dichiarati primi perché il regolamento diceva che a parità di tempo fra due equipaggi vinceva il titolo olimpico quello che aveva i migliori tempi di manche, a Nagano questa norma non era più in vigore e vi fu quindi vittoria a pari merito fra i due azzurri e i canadesi Pierre Lueders e David MacEachern, che tenendo conto dei millesimi di secondo sarebbero stati i vincitori unici. Grande attenzione e curiosità i giapponesi tributarono ad Alberto di Monaco, che a 39 anni partecipò alla sua quarta Olimpiade nel bob, senza mai avere lasciato grandi segni nelle classifiche. Nel bob a quattro, vinto dai tedeschi, Huber e Tartaglia, insieme a Marco Menchini e Massimiliano Rota, arrivarono quattordicesimi.
Il secondo oro per gli azzurri venne nello slalom gigante per merito di Deborah Compagnoni, prima sciatrice a vincere tre medaglie d'oro in tre edizioni consecutive. Più che una gara fu un dominio in entrambe le manche: la seconda arrivata, l'austriaca Alexandra Meissnitzer, giunse a 1,80″, il divario più alto in una gara olimpica femminile da Grenoble 1968. Terza Katja Seizinger, tedesca; per trovare un'altra italiana si scende al buon ottavo posto di Sabina Panzanini. Il giorno prima Compagnoni aveva preso l'argento nello slalom speciale, in cui nella ultime gare mai era andata sopra il settimo posto. La batté la tedesca Hilde Gerg, che la rimontò e la superò nella seconda manche, su una pista di neve resa più morbida dal sole forte. Nella prima manche, con il ghiaccio, Deborah aveva dato alla tedesca 60 centesimi, che le vennero tutti mangiati nella seconda prova: secondo alcuni fu tradita dal vantaggio eccessivo, secondo altri rimase scossa dalla notizia che Tomba era caduto durante lo slalom gigante. Morena Gallizio finì all'ottavo posto.
Rimanendo nello sci alpino femminile, il supergigante andò alla statunitense Picabo Street, atleta estrosa e stravagante e amatissima dai giapponesi, con un centesimo di secondo sull'austriaca Michaela Dorfmeister. L'italiana Isolde Kostner, undicesima, fu sfortunata anche nella discesa: saltato l'attacco dopo 15″, perso lo sci, finito tutto. Prima Katja Seizinger, poi Pernilla Wiberg, svedese, e Florence Masnada, francese. Molto indietro le altre italiane. Gallizio arrivò quinta nella combinata alpina, che sul podio vide solo tedesche: Katja Seizinger, Martina Ertl e Hilde Gerg.
In campo maschile, Kristian Ghedina, discesista di lungo corso e di buon palmarès, mancò la prova olimpica, una delle ultime grandi occasioni della sua carriera, e fu sesto. La pista era tremenda, lo spostamento in extremis di una porta, reso necessario da problemi di innevamento eccessivo, venne comunicato ai concorrenti poco prima del via. Senza verifiche valide, furono in tanti a cadere: l'austriaco Hermann Maier, gran favorito, patì la novità più di tutti, sbagliò un salto, il suo volo fu forse il più impressionante mai visto su una pista, 70 metri prima di schiacciarsi contro una rete di protezione. Tuttavia riportò solo una leggera commozione cerebrale. Andò peggio a Luca Cattaneo, italiano, che effettuò un volo meno spettacolare ma si procurò la frattura del perone e la rottura del tendine d'Achille della gamba sinistra. In quella discesa di sopravvivenza, se la cavò meglio di tutti Jean-Luc Crétier, francese, 31 anni, che mai prima aveva vinto una grande discesa: fece la gara della vita, dando 40 centesimi al norvegese Lasse Kjus e all'austriaco Hannes Trinkl. Lo stesso Kjus tre ore dopo prese un altro argento, nella combinata, vinta da Mario Reiter, austriaco, e disertata da Maier.
Nel gigante prima grande delusione di Alberto Tomba, uscito di gara nella prima manche, appena 17 secondi dopo il via: inforcò una porta e cadde, procurandosi un risentimento muscolare al gluteo. Vinse ancora Maier, ripresosi pienamente dalla caduta nella discesa, sul connazionale Stephan Eberharter e sullo svizzero Michael Von Grünigen. Maier vinse anche il supergigante, dove l'argento andò ex aequo a un altro austriaco, Hans Knauss, e allo svizzero Didier Cuche. L'azzurro Alessandro Fattori ottenne un buonissimo quarto posto, specie tenendo conto di come e quanto il pronostico lo aveva trascurato.
C'era ancora una possibilità per Tomba per tentare di divenire il primo al mondo capace di prendere una medaglia in quattro edizioni consecutive dei Giochi. Lo slalom doveva essere la sua gara, ma non fu così. Dolorante per l'incidente nel gigante, dopo la prima manche fu appena diciassettesimo e non prese neanche il via nella seconda prova; andò in albergo, incise per la stampa una cassetta con le sue spiegazioni, annunciò che comunque avrebbe continuato a gareggiare. Dominarono due norvegesi, Hans Petter Buraas su Ole Kristian Furuseth, poi Thomas Sykora, austriaco, primo italiano Matteo Nana, undicesimo.
Per finire con lo sci alpino, nel freestyle lo statunitense Johnny Moseley per gli uomini e la giapponese Tae Satoya per le donne presero l'oro sulle gobbe. Nel salto vinsero Eric Bergoust e Nikki Stone, ambedue degli USA.
Protagonista del fondo femminile fu Stefania Belmondo. Arrivò ottava nella 15 km, vinta da Olga Danilova, russa come la seconda, Larisa Lazutina. Al terzo posto si piazzò una norvegese, Anita Moen. Di Centa, appena arrivata a Nagano, non era in gara. Sui 5 km, vinti per la Russia da Lazutina, Belmondo cadde a 800 m dalla fine, quando era quarta, incollata quasi alla norvegese Bente Martinsen; perse oltre 40″, finì dodicesima, un handicap per la prova a inseguimento sui 10 km che 'nasce' da questa gara sui 5 km. Migliore azzurra Gabriella Paruzzi, nona. Nell'inseguimento Belmondo recuperò tre posti, fu quinta, poco per lei, ma molto meglio di Di Centa, ventitreesima.
Nella staffetta 4 x 5 km a squadre, l'Italia si aggiudicò il bronzo, non ci fu nulla da fare contro Russia e Norvegia, rispettivamente prima e seconda. Belmondo, con una grandissima ultima frazione, prendendo il cambio proprio da Manuela Di Centa (finalmente un contatto fra le due, un tocco leggero alla spalla da chi arriva a chi parte) effettuò un recupero impressionante in appena 5 km: furono raggiunte e superate la svizzera Natascia Leonardi, la tedesca Anke Schulze e la ceca Zuzana Kocumova. Dopo la partenza poco felice di Karin Moroder, che aveva sostituito Sabina Valbusa indisposta, e il recupero parziale di Di Centa, ecco il miracolo di Belmondo, che offrì una medaglia in più alla rivale, giunta alla sua ultima gara. Fra le due atlete vi fu persino un abbozzo di abbraccio.
Infine Belmondo fu seconda nella 30 km a tecnica libera femminile, ma arrivò triste dopo una gara splendida: la neve trasformata in pioggia le aveva causato dei problemi con gli occhiali. Eppure su 30 km aveva ceduto appena 10 secondi alla russa Yuliya Tchepalova, precedendo Lazutina. Stefania pianse di rabbia per aver visto sfumare il possibile oro, ma così si caricò e si proiettò già sui Giochi 2002 di Salt Lake City. Nella stessa gara Paruzzi giunse decima.
Fra gli uomini Silvio Fauner ebbe il bronzo nella prova dei 30 km, corsa sotto la tormenta, con seri problemi di sciolinatura per via delle pazzie della neve, che ora ricordava la farina ora la pioggia. Vinse il finlandese Mika Myllylä, prevalendo sul norvegese Erling Jevne; la classifica parlò poi ancora italiano con il quinto posto di Fulvio Valbusa, il settimo di Marco Albarello e l'ottavo di Giorgio Di Centa, fratello di Manuela. Sui 10 km maschili Fauner fu decimo nella gara vinta da Bjørn Daehlie, norvegese, su Markus Gandler, outsider austriaco. Da ricordare la performance di Philip Boyt, del Kenya, parente di un mezzofondista di classe mondiale, che partecipò a quella gara spinto dallo sponsor che lo usava come testimonial televisivo di suoi prodotti assortiti. Boyt arrivò al traguardo quando Daehlie scese dal podio della premiazione, distrutto: la sua tecnica elementare lo aveva costretto a uno spaventoso lavoro di braccia per spingersi, ma le televisioni giapponesi se lo contesero.
Nella prova di inseguimento sui 15 km, vinse Thomas Alsgaard, norvegese, sul connazionale Daehlie e sul kazako Vladimir Smirnov. Fauner fu quarto davanti a Valbusa, ma la festa fu per Daehlie, che diventò l'atleta con il maggior numero di medaglie della storia olimpica invernale: dieci trofei, a partire dal successo ad Albertville 1992 proprio nella 15 km. Superò la russa Liubov Yegorova, che a Nagano non c'era, fermata dall'antidoping dopo il controllo al Mondiale di Trondheim, in Norvegia, l'anno prima.
Poi ecco la staffetta del fondo (4x10 km) e sembrò che si tornasse indietro di quattro anni. Sempre Fauner nella volata finale, allora contro il norvegese Daehlie, stavolta contro il norvegese Thomas Alsgaard, specialista proprio dello sprint. Allora prevalse Fauner per 4 decimi, adesso fu secondo per 2 decimi. L'argento azzurro di Nagano fu comunque per noi molto più soddisfacente di quanto fosse stato il secondo posto per i norvegesi a Lillehammer. A 38 anni Albarello, primo frazionista, mise sotto il rivale norvegese, e Valbusa tenne poi la posizione. A metà gara l'Italia aveva 12″ sulla Norvegia, 14″ sulla Russia. Le prime due frazioni prevedevano il passo alternato, le altre due il passo pattinato, da noi teoricamente più amato. Fabio Maj partì tra qualche apprensione, era il meno esperto, però tenne a bada il grande Daehlie, e negli ultimi 10 km ci fu l'acceso duello finale Alsgaard-Fauner, che lasciarono indietro finlandesi e russi. In volata però Fauner non ripeté il miracolo di Lillehammer, Alsgaard, sia pure di poco, fu più forte.
Il fondo dei 50 km vide un'altra splendida affermazione di Daehlie, che così incrementò ancora il numero dei suoi riconoscimenti olimpici; dietro di lui Niklas Jonsson svedese e Christian Hoffmann austriaco. Valbusa fu quinto, Maurizio Pozzi nono, Fauner decimo. Pietro Piller Cottrer, indicato in qualche pronostico addirittura tra gli aspiranti al podio, patì la neve marcia e, anche a causa di una caduta al 19° chilometro, giunse appena sedicesimo.
Due olandesi e un belga (Gianni Romme, Rintje Ritsma e Bart Veldkamp) si affermarono nell'ordine nel pattinaggio di velocità sui 5000 m, dove giunse nono l'italiano Roberto Sighel: Romme, Ritsma e Veldkamp batterono tutti e tre il primato mondiale, Sighel migliorò quello nazionale di 5,5″. Il giapponese Hiroyasu Shimizu fu oro nel pattinaggio veloce sui 500 m, davanti a due canadesi. Per l'Italia un altro nono posto, con Ermanno Ioriatti. L'olandese Ids Postma vinse il titolo sui 1000 m, mentre nei 1500 m si impose il norvegese Ådne Søndrål. Tre olandesi nella prova di pattinaggio sui 10.000 m: Romme, Bob de Jong e Ritsma, con Sighel ancora nono.
Fra le donne la canadese Catriona LeMay Doan vinse la prova dei 500 m, l'olandese Marianne Timmer quella dei 1000 m e dei 1500 m, la tedesca Gunda Niemann, su due connazionali, quella dei 3000 m, con l'azzurra Elena Belci undicesima. Infine oro tedesco nei 5000 m con Claudia Pechstein.
Lo short track diventò sempre più interessante: in gara e anche sul podio ci furono nazioni nuove oltre a quelle tradizionali. Quarto posto italiano nella staffetta maschile vinta dal Canada, le due prove individuali, 500 e 1000 m, furono del giapponese Takafumi Nishitani e del sudcoreano Kim Dong-Sung; in quest'ultima gara giunse sesto l'italiano Fabio Carta. La Corea del Sud vinse la staffetta femminile di 3000 m su Cina e Canada, nelle prove individuali successi della canadese Annie Perreault nei 500 m e della sudcoreana Chun Lee-kyung nei 1000 m.
Nel pattinaggio artistico ci fu il tentativo di creare una rivalità come quella di quattro anni prima, quando il confronto finale fra Kerrigan e Harding aveva avuto indici di ascolto superati soltanto in tutta la storia dello sport alla televisione USA da quelli di due Superbowl del football americano. Si annunciò la sfida interna agli Stati Uniti fra Tara Lipinski e Michelle Kwan, rispettivamente di origine polacca e cinese, 15 anni la prima, 17 l'altra, entrambe con un titolo mondiale. Nel duello prevalse Lipinski. Terza la cinese Chen Lu. I russi Oksana Kazalova-Artur Dmitriev presero l'oro a coppie, il loro connazionale Ilya Kulik il titolo maschile. Ancora Russia nella danza, con la consegna dell'oro alla coppia formata da Oksana 'Pasha' Grishuk e Yevgeniy Platov, primi a vincere due titoli olimpici consecutivi.
Soddisfazione per gli italiani per l'argento di Armin Zoeggeler nello slittino. L'altoatesino cedette soltanto al fuoriclasse tedesco Georg Hackl, e precedette l'altro tedesco Jens Müller. E di nuovo si parlò di atleti italiani coraggiosi, trascurati, costretti per allenarsi a comprarsi le discese sulle piste artificiali all'estero, pagando noleggi salati. Niente podio, invece, per Gerda Weissensteiner, largamente superata già nelle prime due manche: nona; vinse Silke Kraushaar, tedesca; si accusò il nostro materiale scarso e risultò inutile fare cambi di lamine sperando nel miracolo. Gli azzurri non vinsero neppure nella prova maschile biposto, che andò alla Germania.
Ci fu un argento italiano da una zona piuttosto inattesa, il biathlon degli uomini, sui 20 km. Vinse il norvegese Harald Hanevold con 5 secondi su Pieralberto Carrara, che a 32 anni era andato vicino al risultato massimo, superato nel finale solo da un avversario realmente più forte di lui nel fondo. Carrara era un buon cecchino, come fondista valeva meno, comunque conquistò una bella medaglia, difesa sino all'ultimo contro il bielorusso Aleksey Aidarov che vinse il bronzo. La staffetta andò alla Germania (italiani noni).
Nel biathlon delle donne, sui 15 km una bulgara, Ekaterina Dafovska, vinse su una ucraina, poi una tedesca, ancora una bulgara, una slovena. Arrivavano paesi nuovi a ribaltare valori vecchi. L'italiana Nathalie Santer si emozionò, sparò male, arrivò diciottesima. La russa Galina Koukleva fu prima sui 7,5 km, in cui Santer fu decima. Anche la staffetta femminile fu tedesca.
La disciplina più attesa dai giapponesi era il salto: supercandidato alla vittoria era Masahiko Harada, ma patì lo stress e fu quarto nella prova da 90 m vinta dal finlandese Jani Soininen; un altro giapponese, Kazuyoshi Funaki, arrivò secondo, ma il pubblicò locale quasi gli rimproverò di aver superato il campione preferito. Funaki, finalmente omaggiato dai suoi connazionali, diede al Giappone l'oro del salto dal grande trampolino, mentre Harada arrivò al gradino più alto del podio grazie alla prova a squadre, con altri tre giapponesi, Funaki, Takanobu Okabe e Hiroya Saito, battute Germania e Austria. Il norvegese Bjarte Engen Vik vinse nella combinata nordica individuale, la Norvegia davanti a Finlandia e Francia in quella a squadre.
Personaggio dell'hockey fu il canadese trentasettenne Wayne Gretzky, ritenuto il più grande giocatore di tutti i tempi, che accettò di fare l'olimpico con la squadra del suo paese, gratis, lui che negli anni migliori guadagnava circa 400.000 dollari a stagione. La nazionale azzurra di hockey uscì presto dalla zona sogni dei Giochi, sconfitta dalla Slovacchia dopo avere perso anche contro il Kazakistan. La novità maggiore del torneo fu l'eliminazione degli statunitensi da parte dei giocatori della Repubblica Ceca: un brutto colpo per gli americani che per poter mandare a Nagano uno squadrone con i migliori professionisti avevano interrotto il loro campionato, nel quale militavano con profitto numerosi giocatori cechi. Questi poterono a loro volta giovarsi della pausa e partecipare, per la rappresentativa del paese in cui erano nati, all'Olimpiade. Il 4-1 sugli statunitensi li lanciò verso al titolo, conquistato davanti alla Russia, avversario storico, e alla Finlandia.
Il torneo di hockey delle donne fu vinto dagli USA, vittoriosi sul Canada per 3-1, poi la Finlandia prevalse sulla Cina per il terzo posto. La Cina si infiltrava pian piano in tante discipline, in tante classifiche anche alte.
Svizzera e Canada vinsero rispettivamente nel curling maschile e femminile.
Con 10 medaglie (2 ori, 6 argenti, 2 bronzi) l'Italia si pose al decimo posto della classifica per nazioni guidata dai tedeschi sui norvegesi e sui russi. La sensazione in Italia era quella di un pesante cambio generazionale in atto e di una crisi che sarebbe stata ancora lunga.