Olimpiadi invernali: Squaw Valley 1960
Numero Olimpiade: VIII
Data: 18 febbraio-28 febbraio
Nazioni partecipanti: 30
Numero atleti: 665 (521 uomini, 144 donne)
Numero atleti italiani: 28 (21 uomini, 7 donne)
Discipline: Biathlon, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico
Numero gare: 27
Ultimo tedoforo: Kenneth Charles 'Ken' Henry
Giuramento olimpico: Carol Heiss
L'assegnazione dei Giochi invernali del 1960 a una stazione invernale statunitense, a 28 anni di distanza dall'edizione di Lake Placid 1932, sembrò un torto al Canada, che tuttavia dopo la sconfitta di Montreal contro Cortina sembrava essersi rassegnato ad attendere tempi (lunghi) migliori. La scelta di Squaw Valley, in California, sul lato est della Sierra Nevada, a 320 km da San Francisco e a 1900 m sul livello del mare, lasciò perplessi quelli che legavano l'immagine dello Stato americano al vicino Oceano Pacifico con le sue celebri spiagge piene di sole. Invece a Squaw Valley il problema fu a un certo punto la troppa neve.
L'edizione si caratterizzò per un'organizzazione sommaria, diremmo elementare: impianti essenziali, disponibilità alberghiera inesistente. Gran parte dello staff che si spostava al seguito della manifestazione trovò rimedi di fortuna o si adattò a lunghe trasferte dalla zona turistica di Lake Tahoe, dove passava il confine con il Nevada e sorgevano le prime case da gioco, legali in quello Stato.
Squaw Valley aveva vinto di misura nella votazione al CIO per la scelta della località: 32 voti contro i 30 di Innsbruck, Austria. Era stato decisivo un giro per l'Europa, a contattare i membri del CIO più sensibili alle tematiche degli sport invernali e proprio per questo a priori diffidenti verso una proposta californiana, di Alexander Cushing, il capo del comitato per la candidatura, uomo d'affari con interessi edilizi nella zona.
La votazione avvenne nel 1955: all'epoca Squaw Valley esisteva soltanto sulla carta, l'unica installazione era un piccolo albergo per turisti avventurosi, di proprietà dello stesso Cushing. Due anni dopo, quando un gruppo di sciatori alpini europei, guidati dal grande Toni Sailer, tre volte medaglia d'oro a Cortina 1956, andò sul posto a collaudare una pista, la prima pista olimpica della zona dotata di un solo impianto di risalita, la località era ancora nelle stesse condizioni o poco più. Conoscendo la mole di impegni che un'organizzazione olimpica porta con sé, è difficile e quasi impossibile immaginare che nel 1960 fosse ammessa una tale provvisorietà, una tale precarietà. Eppure Squaw Valley fu proprio questo: una serie di 'pacche sulle spalle' per garantire che tutto sarebbe andato bene, per tranquillizzare chi aveva votato la località californiana preferendola sulla carta alla titolatissima Innsbruck, capitale di un Tirolo da sempre votato allo sci e al turismo invernale. Un'organizzazione simile a quella di Squaw Valley sarebbe stata possibile, quasi un quarto di secolo dopo, sempre in California, per i Giochi estivi di Los Angeles 1984. Quest'ultima edizione aveva però l'alibi di tre boicottaggi consecutivi e dunque poteva chiedere carta bianca per mettere comunque in piedi qualcosa di valido, mentre Squaw Valley cronologicamente era situata tra Cortina e Innsbruck, località togate, pesantissime in chiave di paragone. Fra l'altro Cushing a un certo punto fece sapere che, nonostante gli impegni presi, la pista del bob non sarebbe stata costruita e che dunque le gare di questa specialità non avrebbero avuto luogo; del resto - sostenne sulla base di quanto appurato da una sua ricerca - appena nove paesi erano interessati a questa competizione mentre il regolamento olimpico prevedeva almeno 30 federazioni nazionali impegnate in uno sport, per ammetterlo ai Giochi. Naturalmente il CIO protestò formalmente e le federazioni del bob, furibonde, organizzarono proprio per il febbraio del 1960 i loro polemicissimi campionati del mondo sulla pista olimpica di Cortina 1956; ma Cushing alla fine la spuntò ed Eugenio Monti dovette rinunciare al tentativo di vincere quella medaglia d'oro olimpica verso la quale nutriva grandi aspettative, essendo il dominatore della specialità.
A Squaw Valley furono presenti soltanto 665 concorrenti contro gli 821 di Cortina. E 30 furono i paesi rappresentati, contro i 32 della località ampezzana. Però il programma, nonostante la mancanza del bob, era più ricco, perché divennero discipline ufficiali dei Giochi il pattinaggio di velocità femminile e il biathlon, una prova di fondo sui 20 km inframmezzata da quattro prove di tiro, con cinque colpi a disposizione ogni volta per centrare un bersaglio e ripartire evitando penalizzazioni. Prova, questa del biathlon, di carattere tipicamente militare (e infatti sostituì nel programma una corsa per pattuglie militari che non aveva peraltro mai avuto piena ufficialità olimpica), eppure destinata nel futuro a prevedere anche gare per donne.
Nonostante l'inadeguatezza delle attrezzature, le gare di Squaw Valley furono molto belle, comprese quelle dello sci nordico, smentendo le perplessità degli scandinavi abituati al livello del mare o poco più e lì chiamati a gareggiare a quasi 2000 m di quota, con grossi problemi di respirazione, nell'aria rarefatta per carenza di ossigeno. I Giochi furono fortunati anche dal punto di vista del tempo, quasi ogni giorno bello. Soltanto la cerimonia di apertura, con coreografie povere ma firmate da Walt Disney, dovette patire neve e anche pioggia, ma per pochi minuti; c'era il sole quando arrivò la fiaccola per portare il sacro fuoco al tripode.
La gara più appassionante fu la staffetta 4 x 10 km dello sci nordico, che vide i fondisti finlandesi e quelli norvegesi impegnati in un testa a testa per tutte le quattro frazioni, con un alternarsi al comando che riuscì ad appassionare anche gli spettatori nordamericani, a priori abbastanza insensibili a competizioni di questo genere. La Norvegia sembrava avere finalmente messo un certo spazio fra sé la Finlandia, staccata di una quindicina di secondi alla fine della terza frazione. Si erano sin lì succeduti Harald Grönningen, Hallgeir Brenden e Einar Ostby per la Norvegia, Toimi Alatalo, Eero Mäntyranta e Väinö Huhtala per la Finlandia. In ultima frazione si sfidarono Veikko Hakulinen, campione finlandese plurititolato, e Håkon Brusveen, norvegese lanciato dal successo di pochi giorni prima nella 15 km; ma fu proprio Hakulinen a imporsi nella volata, dopo avere agganciato il rivale. La prova si chiuse con uno scarto di appena 8 decimi di secondo dopo 40 km, un tremendo debito di ossigeno per i concorrenti, impegnati a quota alta in una gara tutta allo spasimo. L'Unione Sovietica, terza, tolse alla Svezia il podio; quinta fu l'Italia di Giulio De Florian, Giuseppe Steiner, Pompeo Fattor e Marcello De Dorigo. Gli atleti italiani ottennero anche una serie di dignitosi piazzamenti individuali, senza eccellere in alcuna gara: la conferma comunque che un lavoro sordo e umile di preparazione stava dando qualche frutto duraturo, su tutti quello della dignità di partecipazione e della posizione consolidata, anche se non esaltante, di migliori dopo scandinavi e sovietici. Questi ultimi, però, in quei Giochi americani nello sci di fondo dovettero ringraziare le loro atlete per i buoni piazzamenti nel palmarès, visto che nella classifica maschile non andarono al di là del bronzo nella staffetta.
Tutto il mondo dello sci nordico riuscì comunque a farsi prendere abbastanza sul serio da un turismo olimpico statunitense meglio predisposto verso gli sport del ghiaccio ed eventualmente verso lo sci alpino, specialità in cui numerosi atleti americani erano molto quotati. Continuò a Squaw Valley lo sgretolamento della supremazia norvegese, anche nella combinata fondo-salto con il successo di un tedesco, Georg Thoma, sul favoritissimo Tormod Knutsen. Al programma olimpico del fondo fu aggiunta la gara dei 30 km, per legare in qualche modo la prova corta, sui 18 km poi ridotti a 15 km, a quella lunga, la 50 km: vinse Sixten Jernberg, lo svedese vincitore della 50 km a Cortina. I norvegesi si aggiudicarono la 15 km, con Brusveen assolutamente non atteso dai pronostici e affermatosi sullo stesso Jernberg (Brusveen si sarebbe poi impegnato a fondo, nelle vesti di commentatore televisivo, in tante iniziative per collegare il mondo dello sport a quello dei disabili); nessun atleta svedese salì sul podio della 50 km, che fu tutta finlandese con Kalevi Hämäläinen primo e Hakulinen secondo.
Un altro atleta tedesco, Helmut Recknagel, dominò il salto speciale, specialità in cui si era rivelato nel 1957 vincendo la classica grande gara dell'Holmenkollen a Oslo. Nello sport nuovo arrivato, il biathlon, lo svedese Klas Lestander si permise di giungere soltanto quindicesimo nella prova di sci nordico, ma con la sua precisione di tiro, centrando tutti e cinque i bersagli, sopravanzò gli avversari, costretti a un handicap di due minuti per ogni centro mancato. Sul podio anche un finlandese, Antti Tyrväinen, e un sovietico, Aleksandr Privalov. Tuttavia si pensò subito di rivedere il regolamento perché penalizzava troppo i fondisti a favore dei tiratori scelti.
Nello sci nordico femminile l'esito della 10 km sembrava avere a priori assegnato l'oro della staffetta. La prova individuale aveva infatti visto quattro sovietiche ai primi quattro posti: Mariya Gusakova, Lyubov Baranova-Kozyreva, Radiya Yeroshina e Alevtina Koltschina (quinta e prima del resto del mondo la svedese Sonja Ruthström-Edström). Ma nella gara a squadre 3 x 5 km la prima staffettista sovietica, Yeroshina, ruppe lo sci in partenza e perse 1′26″ prima di poter ripartire. Le sue compagne Gusakova e Baranova non riuscirono a riprendere le svedesi (Irma Johansson, Britt Strandberg e Sonja Ruthström-Edström) e il comunque sensazionale recupero di un minuto fu vano. Terze le finlandesi e poi, novità, le polacche.
Squaw Valley fu assai poco azzurra, l'unica nostra medaglia fu quella di bronzo della sempre più grande Giuliana Minuzzo Chenal, stavolta terza nello slalom gigante. Madre di due bambine, aveva creato un caso di paraprofessionismo, presso la Federazione italiana e quella internazionale, chiedendo che le fosse pagata una baby sitter quando doveva assentarsi a scopi agonistici; dovette faticare per ottenere quel minimo di aiuto.
Lo sci alpino venne 'firmato' dal francese Jean Vuarnet, sul piano anche dell'innovazione stilistica nella specialità a priori più fisica, la discesa. Vuarnet vinse con un vantaggio di appena mezzo secondo sul tedesco Hans-Peter Lanig e il suo successo venne costruito specialmente nella seconda metà della gara, quando decise di affrontare rischi alti pur di incrementare la velocità e spinse assai avanti la pratica della posizione 'a uovo', una sua invenzione per ottenere la massima aerodinamicità. Vinse e teorizzò la sua scoperta così bene da imporla praticamente a tutti, persino nello slalom gigante (di supergigante allora non si parlava). In seguito lo stesso Vuarnet, savoiardo di Avoriaz, si diede al lavoro di dirigente tecnico, fu assunto dalla federazione italiana e insieme con Mario Cotelli fu il commissario tecnico della 'valanga azzurra', che determinò la svolta profonda e tutta in positivo dello sci presso le masse italiane, sia a livello di fruizione in televisione e sui giornali sia di pratica. In Francia Vuarnet, invece, nonostante una vicepresidenza federale, non fu profeta e si ritirò abbastanza presto a vita privata.
Bruno Alberti, quinto nello slalom gigante e sesto nella discesa, fu il migliore azzurro, seguito da Paride Milianti, ottavo nei due slalom. L'austriaco Ernst Hinterseer prevalse nello slalom speciale e lo svizzero Roger Staub in quello gigante, specialità in cui Hinterseer giunse terzo. In campo femminile vanno segnalati per la loro 'eccentricità' un successo canadese, quello di Anne Heggtveit nello slalom speciale, e due medaglie d'argento per la statunitense Penelope Pitou, discesa e gigante. Nel complesso le medaglie d'oro furono distribuite equamente: oltre al Canada giunsero sul gradino più alto del podio la Germania con la discesista Heidi Biebl e la Svizzera con la gigantista Yvonne Ruegg. Tra le atlete italiane, oltre al bronzo di Giuliana Minuzzo nello slalom gigante, specialità in cui fu quinta Carla Marchelli, vi furono il quarto e il quinto posto nella discesa di Pia Riva e Jerta Schir.
Il pattinaggio artistico fu statunitense con una fuoriclasse, Carol Heiss. L'anno seguente tutta la squadra nazionale femminile americana sarebbe stata vittima di una sciagura aerea presso Bruxelles, mentre stava andando ai campionati mondiali di Praga. A Squaw Valley gli USA si aggiudicarono anche il singolo maschile, con David Jenkins, fortissimo specialmente nelle figure libere, perfetta fusione tra forza ed eleganza. Barbara Wagner e Robert Paul diedero al Canada il titolo a coppie.
Il ghiaccio per la tifoseria locale fu comunque quello dell'hockey. Per la prima volta gli Stati Uniti arrivarono all'oro: nel passato avevano subito il Canada, poi l'Unione Sovietica. In casa sfruttarono al meglio il fattore campo e il sostegno appassionato di 10.000 spettatori, vincendo 2-1 sul Canada e cogliendo poi un'altra vittoria di misura, 3-2, sull'Unione Sovietica. Lo stesso Canada, in un soprassalto di antico orgoglio, sconfisse per 8-5 l'URSS. Agli Stati Uniti il torneo riservava però ancora un incontro, praticamente 'accademico', contro la Cecoslovacchia. Doveva essere una formalità, invece a due terzi della partita i cechi si trovarono a condurre per 4-3. Il resto del match fu una specie di psicodramma, con gli spettatori praticamente in campo insieme ai giocatori, che si risolse alla fine in un capovolgimento del risultato, 9-4 per i padroni di casa.
Nel pattinaggio di velocità il fuoriclasse sovietico Yevgeniy Grishin confermò sui 500 m l'oro di quattro anni prima, mentre sui 1500 m dovette dividere il primo posto con il norvegese Roald Aas: gli era capitato anche a Cortina 1956, ma allora era giunto a pari merito con un altro sovietico, Yuriy Mikhailov. Nei 5000 e nei 10.000 m il duello si disputò fra URSS e Norvegia: il sovietico Viktor Kosichkin prevalse sul norvegese Knut Johannesen nei 5000 m, il contrario avvenne nei 10.000. Appena arrivato ai Giochi, il pattinaggio di velocità femminile fu tutto sovietico fuorché nei 500 m, in cui fu prima la tedesca Helga Haase. Klara Guseva vinse i 1000 m, Lidiya Skoblikova i 1500 e i 3000 m.
Il CIO tirò il fiato quando ebbero termine questi Giochi, cominciati all'insegna dell'avventura e finiti tutto sommato con un certo successo dal punto di vista del pubblico, dei risultati, della spettacolarità.