Olimpiadi
Citius, altius, fortius
Sydney 2000: impressioni dal vivo
di Antonio Dal Monte
15 settembre - 1º ottobre
Si svolge a Sydney la ventisettesima edizione dei Giochi olimpici estivi. Dopo il parziale fallimento organizzativo di quelle di Atlanta del 1996, le Olimpiadi del 2000 si caratterizzano per un'organizzazione perfetta, ottenuta grazie a una mole ingentissima di investimenti. Sono battuti tutti i record riguardo al numero delle nazioni partecipanti (206), degli atleti in gara (11.600), delle medaglie d'oro assegnate (301). Cifre da primato anche per gli spettatori e i telespettatori. Ma sui Giochi grava costantemente l'ombra del doping, che impone la necessità di sottoporre gli atleti a controlli rigorosi prima e dopo le competizioni.
Le caratteristiche peculiari dei Giochi di Sydney
Poiché questa di Sydney è stata la mia undicesima Olimpiade, certamente ho avuto occasione di acquisire qualche conoscenza sulla recente evoluzione dei Giochi. Ma quest'anno, essendo stato cooptato dalla RAI come consulente e commentatore scientifico, mi è stato consentito di osservare l'evento da un angolo di visuale del tutto nuovo.
Un carattere distintivo delle Olimpiadi del 2000 è stato costituito dalla posizione geografica stessa dell'Australia, che ha comportato due problemi fondamentali: la grande differenza di fuso orario e lo svolgimento dei Giochi in una stagione del tutto sfavorevole per la massima parte degli atleti.
Perché questi due aspetti avrebbero dovuto costituire una difficoltà? Non è la prima volta che l'Australia ospita le Olimpiadi: c'erano già stati, nel 1956, i Giochi di Melbourne. Ci si può quindi domandare perché le Olimpiadi di Sydney avrebbero dovuto comportare problemi maggiori di quelli che si posero circa mezzo secolo fa, ma il fatto è che le differenze fra le due edizioni sono state sostanziali: non solo il numero degli atleti è enormemente cresciuto, ma le metodiche di allenamento si sono talmente evolute da richiedere ben studiati periodi di preparazione specifica per portare gli atleti a dare il massimo delle loro performance.
Allo scopo di consentire a gran parte della popolazione della Terra, che si trova ben lontano dalla longitudine di Sydney, di assistere in diretta ai più importanti eventi agonistici, si sono imposti degli sfalsamenti di orario dei quali gli allenatori e gli atleti hanno dovuto tenere conto. Per gran parte dei partecipanti, poi, la longitudine di Sydney ha richiesto un'alterazione del ritmo sonno-veglia, perché li ha costretti a gareggiare nelle ore in cui erano abituati a dormire. Si è quindi dovuta affrontare, da parte degli atleti, la decisione di quanti giorni dovevano trasferirsi a Sydney prima delle gare, per poter competere al massimo delle loro possibilità. A questo proposito sono state applicate varie teorie, ma sembra che la più seguita sia stata quella di anticipare di tanti giorni quante erano le ore di differenza di fuso orario. Alcuni atleti, che avevano una differenza di fuso che si avvicinava al massimo, e cioè dodici ore, hanno diviso in due lo spostamento, e cioè hanno fatto una tappa intermedia in modo da recuperare cinque o sei ore per volta. È però difficile dire quanto il problema del fuso abbia influito sulle prestazioni: alcuni atleti, anche se provenienti da lontano, hanno fornito performance straordinarie, altri, invece, magari australiani, e perciò apparentemente favoriti da questo punto di vista, hanno deluso.
La lontananza dell'Australia, pur prescindendo dal problema economico di affrontare trasferte di lunghissima durata per recuperare il fuso, ha poi posto quello della nostalgia di casa e della famiglia. Anche se gli atleti sono dei giovani assai adattabili e, dal punto di vista delle performance, superdotati, soffrono terribilmente della mancanza dei loro cari, e questo è tanto più vero per quelli giovanissimi, che sono ancora molto 'famiglia-dipendenti'.
Un altro problema è stato rappresentato dalla stagione.
Le Olimpiadi, di solito, si tengono all'inizio dell'estate, mentre in Australia si sono svolte alla fine dell'inverno. Soprattutto nei giorni che hanno preceduto l'apertura dei Giochi il freddo è stato veramente intenso, a causa del vento, forte e impetuoso, proveniente da varie direzioni, ma sempre presente. Poi, quasi d'incanto, il vento è cessato, per ricomparire, accompagnato da pioggia intensa, negli ultimi giorni delle gare.
Quello del vento non è un problema trascurabile, anche perché non tutti gli atleti che praticano la stessa disciplina lo soffrono nello stesso modo. Ve ne sono alcuni che, molto razionalmente, lo accettano con filosofia pensando che è uguale per tutti e quindi l'handicap nell'affrontare gli allenamenti e le gare è lo stesso per tutti i partecipanti. Ci sono, al contrario, quelli che ritengono, per il loro equilibrio mentale e, in alcuni casi, per l'esecuzione del loro personale gesto atletico, di essere più penalizzati degli altri concorrenti. In un certo qual senso, questi atleti possono essere definiti 'meteoropatici', cioè ipersensibili all'influenza del tempo.
Il vento, però, non è un ostacolo dipendente solamente da cause psicologiche, perché è realmente in grado di penalizzare alcuni atleti in misura maggiore rispetto ad altri: per es. nel canottaggio i soggetti più grossi e pesanti lo soffrono meno di quelli leggeri e, per fare un altro esempio, per i ciclisti magri e sottili, i quali presentano una sezione frontale notevolmente ridotta, il vento contrario ha minore importanza che per quelli che non sono capaci di assumere una posizione aerodinamicamente più efficiente.
A proposito di uno sport, per il quale il vento è assolutamente indispensabile, la vela, si può osservare che proprio il vento forte ha sicuramente aiutato Alessandra Sensini a vincere la medaglia d'oro nella classe mistral del windsurf. Mi sia consentito citare questa vittoria perché, nella preparazione dell'atleta, per potenziare gli avambracci, è stato adoperato un apparecchio, molto semplice, che avevo personalmente ideato. Se si pensa che la tenacissima avversaria di Alessandra, la tedesca Amelie Lux, a detta dei tecnici, ha accusato, nelle fasi finali della competizione, carenze muscolari alle braccia, carenze che invece la nostra atleta non ha mostrato, non è errato ritenere che quell'apparecchio è servito.
Due altre osservazioni su aspetti peculiari di Sydney 2000. Si è ripetuta anche quest'anno, come in tutte le edizioni a partire da quella di Montreal del 1976, dopo il tragico assalto dei fedayin al villaggio olimpico di Monaco nel 1972, la necessità di avere Olimpiadi 'blindate'. Gli atleti, gli allenatori, i dirigenti e anche i giornalisti hanno dovuto passare decine di volte al giorno attraverso metal detectors e subire spesso perquisizioni da parte degli addetti alla sicurezza. Il tempo perso per sottoporsi a questi, purtroppo necessari, controlli, non contribuiva certo al buon umore di atleti e tecnici che, in corrispondenza di un evento di tanta importanza, non sempre manifestano una calma 'olimpica'. Va, comunque, sottolineata l'estrema gentilezza degli australiani, che rendeva meno fastidiose tutte queste procedure di sicurezza. La cortesia e il senso dell'ospitalità degli abitanti di Sydney sono stati, peraltro, veramente squisiti in tutte le occasioni, e non solo riguardo ai controlli.
Un'altra caratteristica delle Olimpiadi australiane, piacevolmente sorprendente, è stata la pulizia dell'Olympic Park. Con 110.000 spettatori nello stadio principale e altre centinaia di migliaia sparse per tutti i vari impianti sportivi, centri di ritrovo, mostre, padiglioni espositivi, luoghi di ristorazione, e con manifestazioni sportive che si protraevano fino a notte alta, si sarebbe potuto immaginare che lo smaltimento dei rifiuti fosse un problema serio da risolvere. Invece, l'Olympic Park appariva sempre pulito, giorno e notte. Certamente gli australiani sono stati capaci di organizzarsi in modo eccezionale per superare questo problema, ma si poteva notare anche come tutta quella folla eccitata, tifosa, entusiasta, fosse però estremamente rispettosa per l'ambiente e non lasciasse dietro di sé nessuna traccia della sua presenza. Che tristezza pensare allo spettacolo che offrono i nostri stadi e le zone limitrofe al termine di una partita di calcio!
I mezzi di allenamento
Dal momento che si è menzionato il semplicissimo apparecchio per il potenziamento degli avambracci utilizzato da Alessandra Sensini, è opportuno accennare alle apparecchiature da palestra impiegate dagli atleti olimpici per potenziare la loro muscolatura.
Ebbene, frequentando le palestre oppure i centri di 'fitness', di 'wellness' (neologismo coniato per indicare uno stato soggettivo di benessere fisico e psichico) e di culturismo, ci si rende conto che i clienti di questi impianti hanno a disposizione apparecchiature forse più sofisticate di quelle utilizzate dagli atleti 'top'. Non è che gli atleti adottino macchinari obsoleti, ma la competizione per assicurarsi le più ampie fette di mercato tra le ditte che producono attrezzature per potenziare la muscolatura è talmente esasperata che prototipi avanzatissimi, non appena dimostrano di funzionare, vengono immediatamente riprodotti in serie e posti in libera vendita, destinati a essere acquistati dai sempre più numerosi e superattrezzati palestre e centri di fitness. In questo mercato, in così rapido sviluppo, spesso accade che le società e le federazioni sportive, frenate da problemi di bilancio e di lentezza burocratica, non possano competere con le strutture private per assicurarsi i mezzi di allenamento più aggiornati.
Per quanto svariati siano i nomi con i quali vengono battezzati questi apparecchi (leg press, spin trainer ecc.), si tratta sempre di attrezzi che si basano su alternanze di spinte, trazioni e rotazioni effettuate con gli arti superiori e inferiori, il tronco e il collo. Sono gli sport praticati dagli atleti che condizionano i carichi che debbono essere esercitati sulle macchine e i tempi per i quali esse devono essere utilizzate dai singoli sportivi. Come legge generale, per es., gli atleti che praticano attività di fondo utilizzano le macchine con carichi allenanti di intensità non elevata e per tempi prolungati. Al contrario gli atleti che praticano sport che richiedono la produzione di energie massimali, concentrate nel tempo, regolano le loro apparecchiature in modo da effettuare interventi muscolari di elevatissima entità ma con poche ripetizioni. Sta alla competenza e alla sensibilità degli allenatori e dei preparatori atletici programmare i mezzi di allenamento in modo da ottenere l'effetto desiderato.
Ma la definizione dei mezzi di allenamento nelle Olimpiadi di Sydney ha dovuto fare i conti con il periodo del tutto fuori stagione in cui si sono svolte. Per molte squadre si è trattato di far interrompere l'allenamento degli atleti per un breve, ma essenziale, periodo di riposo e poi farli ripartire con un nuovo ciclo di preparazione, oppure, peggio ancora, di farli proseguire con gli allenamenti al termine dei loro campionati e stagioni di gare, e questo proprio nei mesi più caldi dell'anno.
Alcuni atleti si sono trasformati in veri e propri globetrotters, inseguendo per il mondo i luoghi in cui le condizioni climatiche si presentavano più favorevoli per la specificità dei loro allenamenti; in alcuni casi questi sono stati svolti in quota, attorno ai 2000-2500 m di altitudine. Altri, che non avevano a disposizione mezzi finanziari sufficienti, sono rimasti a casa e si sono allenati come hanno potuto. Non sempre, infatti, soprattutto nei paesi più poveri, il budget su cui possono contare gli atleti per condurre la loro preparazione è consistente. Non tutti, anche se si tratta di atleti in predicato per andare alle Olimpiadi, hanno le disponibilità di una squadra di calcio di serie A o di un team di Formula 1.
In ogni caso, quale che sia stato il supporto finanziario sul quale si è potuto contare, la preparazione è stata condotta al meglio delle possibilità. Sarà, comunque, interessante osservare come si comporteranno quegli atleti dei giochi di squadra che, a causa della partecipazione alle Olimpiadi, quest'anno praticamente non si sono affatto riposati. Si può pensare che, se andassero meglio che negli altri anni, gli allenatori, in futuro, non esiterebbero a farli allenare durante tutto il corso dell'anno, senza interruzioni.
Le caratteristiche fisiche degli atleti
A proposito di atleti che sono capaci di formidabili performance, spesso l'uomo della strada ha l'idea che si tratti di 'superuomini' e di 'superdonne', dotati di un fisico d'acciaio, del tutto esente da quelle piccole o grandi patologie che colpiscono la maggior parte della gente comune.
Per quanto riguarda le piccole affezioni, quali i raffreddori o le influenze, gli atleti sono, al contrario, più 'fragili' dell'uomo qualunque, se non altro per due motivi: il primo è che, vivendo in comunità, a stretto contatto con altri, e respirando molto forte a causa degli allenamenti, la trasmissione per via aerea dei virus per loro avviene con maggiore facilità che per il resto della popolazione; il secondo motivo è rappresentato dalla riduzione delle resistenze organiche che gli atleti, sottoposti a stressanti allenamenti, subiscono. L'eventuale somministrazione di vitamine e di integratori, cui gli sportivi fanno ricorso per reintegrare le sostanze che hanno lo scopo di mantenere intatte le resistenze organiche e che vengono da loro 'bruciate' in grande quantità, non permette di ripristinare interamente le resistenze stesse, per cui gli atleti rimangono sempre più deboli dei non atleti di fronte a queste patologie minori.
Ma quello che non tutti sanno è che, assai frequentemente, atleti da medaglia sono portatori di deficit fisici e di malattie croniche importanti. In queste Olimpiadi hanno vinto la medaglia d'oro atleti ipovedenti, o che avevano un rene solo, o asmatici, o colpiti da trombosi vascolare periferica, o diabetici. È importante soffermarsi su questo aspetto poco noto dello sport olimpico, per attrarre l'attenzione di coloro che sono affetti da malattie simili, o che hanno figli che ne sono affetti, sul fatto che lo sport non solamente può aiutarli a condurre una vita normale, ma anche che è possibile praticare discipline sportive anche al massimo livello.
Ci si può limitare a citare due esempi. Agostino Abbagnale fu colpito da trombosi profonda vascolare dopo aver vinto la sua prima medaglia d'oro a Seul nel 1988, ma ebbe la forza di far recedere la Commissione medica competente (della quale lo scrivente era ed è tuttora il presidente) dalla decisione di non idoneità definitiva, dimostrando, grazie all'opera di illuminati specialisti, di aver recuperato interamente la sua efficienza e di essere in grado, con apposite cure, di gareggiare ai massimi livelli senza correre rischi. E ne ha dato prova vincendo le medaglie d'oro ad Atlanta nel 1996 e quest'anno a Sydney. È così diventato il più 'medagliato' di tutti i tempi tra i nostri atleti di canottaggio, ma soprattutto le sue medaglie, viste le circostanze, assumono un valore ideale maggiore di quello delle medaglie conquistate da atleti sani.
L'altro esempio da citare è quello, sempre nel canottaggio, dell'inglese Steve Redgrave che ha vinto, in cinque successivi Giochi olimpici, ben cinque medaglie d'oro, pur essendo diabetico. Una breve riflessione su quest'ultimo caso è doverosa, perché al mondo è enorme il numero di diabetici, molti dei quali, purtroppo, sono bambini. Ebbene, quanti di costoro sanno che con il diabete si può convivere, non solo mantenendo una buona qualità di vita, ma anche conservando intatta la possibilità di praticare sport, che può servire anzi proprio a tenere sotto controllo la malattia?
Un'altra affezione morbosa di cui spesso sono portatori gli atleti è l'asma. A ogni Olimpiade, nella sola squadra italiana, è presente circa una trentina di atleti asmatici, un valore prossimo al 10% del totale dei partecipanti. Questi atleti non vengono inviati ai Giochi per fare da contorno, ma perché assai frequentemente conquistano una medaglia, talvolta anche d'oro. Anche in questo caso le Olimpiadi possono portare un messaggio di speranza a tutti coloro che soffrono di questa malattia.
Tornando all'immaginario collettivo, gli atleti da Olimpiadi vengono idealizzati come la gioventù più bella del mondo e i Giochi come la vetrina per mostrarli. Questo non è del tutto vero. Certamente tra gli olimpionici ci sono molti bellissimi ragazzi e ragazze, ma molti atleti sono brutti, almeno se vengono visti sotto gli standard classici che definiscono la bellezza. Il fatto è che questi parametri non sono validi per lo sport. Mi spiego meglio: un uomo minuscolo, alto non più di un metro e mezzo e dotato di arti superiori e inferiori cortissimi, difficilmente potrà essere considerato un campione di bellezza. Ma un allenatore di sollevamento pesi riconoscerà in lui le caratteristiche ideali per un atleta della sua disciplina, riguardo alle categorie inferiori di peso corporeo. Gli arti inferiori, e soprattutto superiori, corti, lo faciliteranno nel suo sport, in cui si richiede di sollevare a braccia estese il bilanciere più pesante possibile. Se le braccia sono corte egli dovrà sollevare il peso a un'altezza inferiore di quella che deve essere raggiunta da un sollevatore dotato di braccia più lunghe, quindi dovrà compiere un lavoro inferiore e sarà perciò favorito nell'esecuzione del suo gesto atletico. All'estremo opposto, una ragazza alta all'incirca 2,10-2,20 m, dotata di piedi lunghissimi e di mani enormi, certo non sarà giudicata la modella ideale per una Venere di stile classico. Ma agli occhi di un allenatore di basket, il suo fisico apparirà adattissimo per il 'pivot' della squadra. Per fare ancora un esempio: allo schieramento di partenza di una gara di fondo in atletica leggera, è possibile trovarsi di fronte a uomini o donne di una magrezza tale da indurre a pensare che siano anoressici.
Negli sport olimpici, dunque, lo standard della bellezza viene spesso sostituito da un ideale strettamente legato, più che all'aspetto estetico, alla funzione. Le Olimpiadi di Sydney hanno dimostrato un'ulteriore estremizzazione delle caratteristiche antropometriche specifiche che sono richieste dai vari sport.
Le innovazioni tecniche
Le Olimpiadi australiane sono state caratterizzate da una serie di innovazioni tecniche che, anche se note da tempo agli addetti ai lavori, sono giunte alla conoscenza del pubblico solamente in occasione di questa edizione dei Giochi.
Tra le più vistose ci sono state le tute, o meglio le mute - visto che sono destinate a essere utilizzate sott'acqua -, indossate dai nuotatori. Molti si sono chiesti quale sia la loro funzione, e alcuni hanno pensato che si trattasse solamente di un'operazione commerciale, tendente a diffondere degli oggetti che possono essere venduti a caro prezzo sul mercato. Non è così: le mute intere o semintere, ricoprenti comunque una rilevante percentuale della superficie corporea, hanno importanti implicazioni di tipo idrodinamico.
Dal punto di vista della idrodinamica, l'uomo presenta caratteristiche veramente sfavorevoli rispetto ad altri animali: basti solo pensare alla velocità che altri mammiferi, dotati di una massa corporea simile a quella dell'uomo, per es. le foche e i delfini, riescono a raggiungere in acqua, impiegando una potenza notevolmente minore. Oltre all'aspetto del profilo idrodinamico, c'è quello della resistenza di attrito offerta dalla cute umana, in confronto a quella della superficie esterna del corpo degli animali acquatici. Quando un uomo nuota, procede all'interno dell'acqua non solo spostando la massa del proprio corpo, ma trascinandosi appresso uno strato d'acqua che lo avvolge. Questo strato d'acqua a contatto con la cute è formato da una serie di strati successivi: ciascuno di essi, via via che ci si allontana dal corpo, scorre un po' rispetto al sottostante, riducendo gradualmente la sua velocità, fino ad arrivare, a notevole distanza dal corpo, a uno strato d'acqua che non si muove affatto. Ogni nuotatore, quindi, si sposta nell'acqua come se indossasse un rivestimento di acqua di rilevante spessore, che assorbe una grande percentuale dell'energia spesa per il movimento. Per ridurre questa resistenza all'avanzamento, sarebbe necessario che la pelle non presentasse attrito nei confronti dell'acqua e questo è appunto lo scopo delle mute adottate dai nuotatori. Esse, inoltre, servono a migliorare il profilo idrodinamico del corpo dell'atleta, rendendo più piana la superficie corporea, soprattutto a livello delle articolazioni. Al di là degli aspetti di marketing, che certamente hanno la loro importanza, ci troviamo di fronte all'inizio di un fenomeno di affinamento idrodinamico, destinato a crescere e a diffondersi man mano che l'industria sarà capace di fornire materiali in grado di imitare sempre meglio la pelle degli animali acquatici e di ridurre l'attrito con l'acqua. Ciò avverrà, purché la Federazione internazionale del nuoto non stabilisca di proibire questi costumi integrali. Non sarebbe, eventualmente, il primo caso di una federazione sportiva che decide, per regolamento, di bloccare il progresso tecnologico nello sport. Per es., qualche settimana prima delle Olimpiadi, la Federazione internazionale del ciclismo ha annullato i record dell'ora conseguiti a partire da quello di Francesco Moser, perché ottenuti utilizzando le ruote lenticolari (da me ideate e disegnate), in seguito universalmente adottate. In realtà, la stessa commissione tecnica internazionale, che aveva a suo tempo approvato le ruote, non aveva capito che queste, anche se del tutto in regola con la normativa allora vigente, davano un notevole vantaggio aerodinamico, quantizzabile in circa tre secondi a chilometro. I membri della commissione, infatti, ritenevano che quelle ruote fossero solo un 'escamotage' per poter scrivere a grandi lettere il nome dello sponsor.
Sempre la stessa commissione tecnica, dopo le Olimpiadi di Atlanta, ha proibito - rinnegando quanto essa stessa aveva in precedenza approvato - le posizioni allungate, con le braccia allineate orizzontalmente ai lati della testa, che avevano consentito agli atleti italiani dell'inseguimento, sia maschile sia femminile, di vincere la medaglia d'oro.
Alle Olimpiadi di Sydney, dunque, vietata ogni possibilità di progresso tecnologico, tutti gli atleti si sono presentati con biciclette senza particolari innovazioni, concettualmente vecchie anche se costruite per lo specifico evento. Solo un'atleta italiana, già vincitrice delle precedenti Olimpiadi, ha chiesto e ottenuto di poter adottare una posizione innovativa, e proprio questa volta, quando sarebbe stato assai meglio per la nostra squadra che tale posizione, che comportava un curioso assetto rattrappito, con gomiti allargati, fosse proibita, essa è stata approvata, e purtroppo ne è derivata una sconfitta. Il fatto è che fisiologi, biomeccanici e aerodinamici non ci si improvvisa: mentre la posizione studiata per Atlanta era stata corredata da lunghe ricerche in galleria del vento e prove in laboratorio ne avevano confermato la validità misurando il vantaggio ottenibile, questa volta i responsabili del team e la stessa atleta si sono fidati di qualcuno che ha proposto una posizione che anche il meno esperto degli aerodinamici avrebbe considerato del tutto risibile, perché offriva al vento un vero e proprio muro. E così, avendo rinunciato al doveroso studio strumentale, si è persa una probabilissima medaglia.
Lo sport femminile
Visto che abbiamo accennato a un'atleta donna, restiamo in argomento per ricordare come uno statistico, bravo forse nel produrre grafici, ma probabilmente poco esperto di sport, avesse predetto, esaminando gli andamenti dei record sportivi, che le donne nel 2000, appunto in queste Olimpiadi di Sydney, avrebbero superato, in gran parte delle discipline sportive, i loro colleghi uomini. Come mai questo esperto di statistica è potuto incorrere in un errore di natura così grossolana?
Fino a pochi decenni fa, le donne si sottoponevano ad allenamenti assai diradati nel tempo e di intensità molto modesta. Poi le cose cambiarono, soprattutto nei paesi dell'Est europeo, i cui regimi politici avevano deciso di utilizzare lo sport a scopo di propaganda. In queste nazioni non solamente si incrementarono la frequenza e l'intensità degli allenamenti, ma venne enormemente accresciuto il numero delle ragazze avviate a praticare sport di alto livello. Cominciarono, quindi, a essere effettuate selezioni attitudinali, in modo da indirizzare le ragazze agli sport verso i quali erano più predisposte fisicamente e psicologicamente. Questo portò a un rapidissimo incremento delle prestazioni femminili, che miglioravano assai più rapidamente di quelle degli uomini. Ovviamente anche gli altri paesi dell'Europa, delle Americhe e dell'Asia si adeguarono all'esempio delle Democrazie popolari dell'Est europeo, e di conseguenza in tutto il mondo le prestazioni atletiche femminili cominciarono a crescere in modo incredibile. È stato sulla base di questo trend che lo sprovveduto statistico è arrivato a prevedere che i risultati delle donne sarebbero stati, in futuro, superiori a quelli degli uomini.
Ma nel frattempo, prima di raggiungere i risultati maschili, le atlete avevano terminato la marcia di avvicinamento agli uomini per quanto riguardava l'intensità e la durata degli allenamenti e, quindi, non potevano più contare su un incremento della durezza del loro impegno per far salire i grafici del loro miglioramento. Le prestazioni delle donne attualmente presentano un andamento identico a quelle degli uomini, ma sono un po' inferiori, come era giusto e normale attendersi sulla base delle caratteristiche biologiche stesse della donna.
Ci fu, per la verità, un tentativo, da parte di alcune nazioni, come la Germania orientale, di trasformare le atlete in uomini, mediante l'uso di massicce dosi di ormoni androgeni (testosterone e sostanze associate). Le prestazioni di questa categoria di atlete avevano dato l'impressione che le performance maschili e quelle delle donne mascolinizzate si sarebbero pressappoco equivalse, ma, per fortuna, almeno in questo campo le misure prese dall'antidoping si mostrarono efficaci. La scomparsa di nazioni che perseguivano questa politica dei risultati sportivi ottenuti a ogni costo ha fatto il resto.
In conclusione, le atlete delle Olimpiadi di Sydney sono apparse molto più 'femminili' di quelle che parteciparono alle edizioni precedenti. I tempi e i risultati da loro ottenuti sono stati 'a misura di donna' e questa è stata certamente una delle non numerose vittorie ottenute dall'antidoping.
A proposito del doping, si deve osservare come la guerra a questo grave fenomeno veda sempre in minoranza, per numero di addetti e di mezzi, coloro che cercano di combatterlo, rispetto a coloro che lo diffondono e lo praticano. In molti casi, a fornire le peggiori e più potenti armi del doping sono scienziati del tutto 'innocenti', come per es. gli studiosi che lavorano nel campo della zootecnia e che creano in continuazione nuovi prodotti miranti a ottenere dagli animali maggiori quantità di carne a parità di mangime. Poiché la carne è tessuto muscolare, ne deriva che qualsiasi prodotto che riesce a far incrementare la massa del bestiame di allevamento può diventare un farmaco potenzialmente in grado di aumentare la dimensione dei muscoli umani. E questi farmaci, pervenuti nelle mani di gente senza scrupoli, vengono somministrati ad atleti di ambo i sessi, senza minimamente curarsi degli effetti tossici che possono avere sul loro organismo.
Per concludere l'argomento sullo sport femminile, vale la pena di fare un'ultima riflessione: le vittorie conquistate dalle donne oggi hanno lo stesso valore di quelle conquistate dagli uomini, mentre ancora in tempi non lontani alle vittorie femminili veniva attribuito un valore secondario, quasi che fossero medaglie di serie B. Si può con soddisfazione affermare che, almeno per quanto riguarda il mondo dello sport, le donne hanno raggiunto ormai l'assoluta parità.
Una vittoria straordinaria
C'è stato, verso la fine dei Giochi, un episodio del tutto inaspettato. Era da moltissime edizioni delle Olimpiadi che nelle corse veloci di atletica leggera, non soltanto la vittoria, ma anche la partecipazione alle finali, erano appannaggio esclusivo di atleti di colore, che, pur facendo parte delle squadre di Canada, USA, Cuba, Giamaica, Brasile, Regno Unito, avevano tutti origine dalla costa occidentale dell'Africa.
Attualmente questa regione è suddivisa in molti Stati, ed era ancor più spezzettata in una miriade di piccole tribù quando su quelle coste infierivano i mercanti di schiavi. Tutti questi gruppi etnici avevano in comune il fatto di essere formati da cacciatori e guerrieri, fra i quali si affermavano e dominavano gli individui che, per prestanza fisica, rapidità dei movimenti e abilità nei combattimenti, erano più capaci di sopravvivere e di riprodursi. Solamente le armi da fuoco dei mercanti di schiavi ebbero il sopravvento su questi popoli. Nacque così la tragica esportazione degli schiavi che in grande numero vennero introdotti in gran parte del nord, del centro e del sud dell'America. La scelta per la cattura e l'esportazione cadeva, ovviamente, sugli individui più dotati. Nel Nuovo mondo e nelle colonie la popolazione deportata dall'Africa andò incontro a un'ulteriore selezione genetica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: atleti dal corpo meraviglioso, capaci di sviluppare velocità formidabili grazie a una straordinaria potenza di accelerazione.
Dal punto di vista fisico, questi atleti di colore sono caratterizzati da elevatissime percentuali di fibre muscolari bianche, quelle che producono potenze esplosive. È per questo motivo che essi si sono affermati nelle corse veloci, lasciandosi alle spalle i loro colleghi bianchi. Dopo Pietro Mennea, che può essere giudicato un miracolo della natura e dell'arte dell'allenamento, da molto tempo, in tutte le finali e semifinali olimpiche, si vedevano solamente corridori di colore.
Al contrario a Sydney, nelle gare dei 200 m piani, su tutti i velocisti neri ha prevalso un bianco, il greco Kostas Kenteris. Elemento sorprendente è anche la nazionalità dell'atleta, in quanto la Grecia ha certamente un grandissimo passato sportivo ma, in tempi recenti, non ha certo mostrato di avere una buona scuola e un nutrito vivaio di atleti capaci di eccellere nelle corse veloci. Se ci dovessimo basare sulle conoscenze fisiologiche e biomeccaniche, non sapremmo proprio come spiegarci che possa essere nato ed essersi sviluppato in Grecia un velocista di tale livello. Sarebbe bello se potessimo pensare che egli sia un diretto discendente dei guerrieri omerici o, meglio ancora, degli atleti che gareggiavano nel mitico stadio di Olimpia. Una cosa è certa, quella freccia bianca, che ha preceduto un nugolo di frecce nere, è sembrata il modo migliore per chiudere i Giochi di Sydney, dando l'arrivederci alla prossima edizione che si terrà ad Atene nel 2004.
repertorio
La reinvenzione delle Olimpiadi
Nel primo Ottocento, soprattutto in Germania e in Svezia, ci furono numerosi tentativi di riportare in vita le antiche Olimpiadi. Ad Atene, negli anni 1859, 1870, 1875 e 1889, si tennero 'Giochi olimpici', promossi dal mecenate greco Evangelis Zappas, ma l'iniziativa più organica fu quella dell'inglese William Penny Brookes, che nel 1852 fondò a Munch Wenlock, nell'Inghilterra del Nord, una Olympian Society, che si proponeva di contribuire "allo sviluppo delle qualità fisiche, morali e intellettuali degli abitanti", incoraggiando gli esercizi all'aria aperta e organizzando concorsi annuali a premi. Con queste esperienze pionieristiche entrò in contatto l'uomo al quale si deve il definitivo revival dei Giochi olimpici: Charles-Pierre Fredy, barone de Coubertin (1863-1937), apostolo dello sport, pedagogista, filantropo, appassionato ideologo del mito filoellenico.
Figlio di un aristocratico pittore di remota origine italiana e di una raffinata nobildonna, de Coubertin si dedicò fin dalla gioventù alla teoria dei vari sport formativi, atletici e competitivi, considerati anche come espressione storica e di costume. Formatosi nel clima dell'estetismo fin de siècle, sensibile al gusto classicheggiante della bellezza, l'intraprendente barone seppe dare alle proprie iniziative dignità culturale e spessore teorico, pubblicando un flusso ininterrotto di libri, opuscoli, articoli o interventi occasionali nei quali sviluppò i propri progetti e il proprio credo. Il suo entusiasmo quasi iniziatico per l'immagine idealizzata dell'Ellade antica spiega la solenne retorica che permea le sue più ambiziose iniziative. Attorno al 1890 de Coubertin ebbe una sorta di folgorazione visitando le rovine di Olimpia scavate dagli archeologi tedeschi: "La Germania - scrisse - aveva esumato ciò che restava di Olimpia; perché la Francia non avrebbe dovuto restaurarne gli splendori?".
Nel 1894 de Coubertin fu il principale artefice di un'intensa campagna di persuasione. Un congresso internazionale che si svolse a Parigi alla Sorbona, il primo convegno atletico mai tenuto in quella sede, si concluse con la fondazione del primo Comitato Olimpico e l'annuncio della prima Olimpiade dell'era moderna.
Nonostante la bontà delle intenzioni, uno stile di maniera segnò il destino dei Giochi: la reinvenzione di riti e di cerimonie pseudoantiche, come la fiaccola accesa a Olimpia e portata dai tedofori nei cinque continenti, i celebranti dai gesti ieratici, l'artificio di un clima mistico. Con un'evidente operazione antistorica, la 'religione dello sport' - secolare e moderna - veniva proiettata nel mondo antico, e poi recuperata come surrogato di valori rituali ormai perduti. Ma, a parte gli anacronismi evidenti in tutta la simbologia dei Giochi, de Coubertin riuscì a imporre all'opinione pubblica internazionale la messinscena pseudoellenica dello spettacolo 'olimpico', cui fornì peraltro valori morali e agonistici del tutto moderni: il fair play degli sportivi anglosassoni, la fratellanza sportiva, la filantropia, l'internazionalismo, l'etica delle regole, la partecipazione anteposta alla vittoria. Valore olimpico per eccellenza, quest'ultimo, espresso nella proverbiale frase attribuita da sempre al fondatore dei Giochi moderni, di cui lo stesso de Coubertin riferì l'origine in un discorso tenuto durante le Olimpiadi di Londra del 1908: "In occasione della cerimonia organizzata nella cattedrale di Saint Paul in onore degli atleti - disse al pranzo ufficiale offerto dal governo inglese - l'arcivescovo della Pennsylvania l'ha ricordato con parole felici: "L'importante di queste gare non è tanto vincere, quanto partecipare"".
Non mancò a de Coubertin la consapevolezza delle difficoltà che avrebbe incontrato il movimento da lui fondato per diventare, da semiutopico qual era, una realtà operante in tutti i paesi del pianeta. "Non ci si deve illudere, - scrisse all'indomani della settima edizione dei Giochi - lo sport non è naturale all'uomo, e la sportività di un popolo è una pianta artificiale e delicata [...]. In nessun luogo lo sport è sicuro del domani, ma almeno la fiaccola olimpica corre di città in città. Se ci sarà una crisi, qua o là giovani nazioni si presenteranno per raccoglierla dalle mani indolenti pronte a lasciarla cadere. Così la fiamma sportiva si salverà dall'estinzione. Per questo ho fatto rivivere i Giochi olimpici, e non per la gloriuzza di restaurare portici scomparsi". Né gli mancò la percezione dei condizionamenti proiettati sul movimento sportivo internazionale da sempre più forti interferenze estranee alle generose illusioni degli esordi. In occasione della XI Olimpiade, celebrata a Berlino nel 1936, de Coubertin avvertì i gravi rischi del razzismo e dell'uso politico degli sport da parte della nazione ospitante, e denunziò quelle strumentalizzazioni, tentando di tenere ben distinti il 'volto' dall''anima' del movimento olimpico.
I Giochi olimpici invernali
Le Olimpiadi invernali furono organizzate per la prima volta nel 1924 a Chamonix, in forma non ufficiale. Subito dopo, il Comitato olimpico internazionale le accettò ufficialmente e seguirono le edizioni di Saint-Moritz nel 1928, Lake Placid nel 1932, Garmisch-Partenkirchen nel 1936, ancora Saint-Moritz nel 1948, Oslo nel 1952, Cortina d'Ampezzo nel 1956, Squaw Valley nel 1960, Innsbruck nel 1964, Grenoble nel 1968, Sapporo nel 1972, Innsbruck nel 1976, Lake Placid nel 1980, Sarajevo nel 1984, Calgary nel 1988, Albertville nel 1992, Lillehammer nel 1994, Nagano nel 1998, sempre in un paese diverso da quello organizzatore dei Giochi estivi. Le Olimpiadi di Lillehammer si sono svolte con due anni di anticipo rispetto alla tradizionale cadenza quadriennale, ripristinata a partire dai successivi Giochi di Nagano. Con questo provvedimento il Comitato olimpico ha voluto evitare la coincidenza fra Giochi estivi e Giochi invernali, conferendo a questi maggiore dignità e autonomia.
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I simboli olimpici
L'emblema olimpico è costituito da cinque anelli rappresentanti i continenti (blu: Europa; giallo: Asia; nero: Africa; verde: Oceania; rosso: America) e dal motto "citius, altius, fortius". La bandiera olimpica, bianca e recante gli anelli e il motto, fece la sua prima comparsa ai Giochi di Anversa del 1920.
L'adozione della fiaccola, che da Olimpia attraversa paesi e continenti per accendere il tripode nella cerimonia di apertura dei Giochi, risale alla nona edizione tenutasi ad Amsterdam nel 1928 (nel 1968, a Città del Messico, fu una donna a portare per la prima volta la fiaccola allo stadio).
Il villaggio olimpico, come luogo riservato agli atleti e ai giudici di gara, situato nei pressi del principale campo di competizione, fu istituito a partire dalle Olimpiadi di Los Angeles nel 1932.
All'apertura di ogni Olimpiade, un atleta del paese organizzatore pronuncia il seguente giuramento a nome di tutti i partecipanti: "Giuriamo di presentarci ai Giochi olimpici quali concorrenti leali, rispettosi dei regolamenti e desiderosi di parteciparvi con spirito cavalleresco per l'onore del nostro paese e la gloria del nostro sport". A Sydney 2000, alla formula ufficiale è stato aggiunto l'esplicito rifiuto di ogni pratica di doping.
I premi olimpici sono costituiti dalle medaglie, d'oro (dopo il 1912 d'argento dorato con sei grammi di oro fino), d'argento e di bronzo, per i primi tre classificati, e da diplomi dal quarto all'ottavo posto; inoltre ogni partecipante e ogni giudice di gara riceve una medaglia commemorativa.
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Le organizzazioni olimpiche
Il CIO (Comité international olympique) fu costituito al Congresso di Parigi del 1894, allo scopo principale di dare impulso allo sport dilettantistico. Con sede a Losanna, presiede all'organizzazione e allo svolgimento delle Olimpiadi e a esso fanno capo i Comitati olimpici dei paesi aderenti. È un'organizzazione permanente che elegge i propri membri (in origine a vita; a partire dal 1965 fino all'età di 75 anni), i quali devono avere la cittadinanza o la residenza in uno dei paesi sede di un Comitato olimpico nazionale; normalmente è ammesso un solo rappresentante per ogni paese. Il presidente del CIO è eletto per un periodo di otto anni, al termine dei quali può essere rieletto per altri mandati quadriennali. A partire dalla sua fondazione, i presidenti del CIO sono stati: 1894-96, Dimitrios Vikélas (Grecia); 1896-1925, Pierre de Coubertin (Francia); 1925-42, Henri de Baillet-Latour (Belgio); 1946-52, J. Sigfrid Edström (Svezia); 1952-72, Avery Brundage (USA); 1972-80, Michael Morris, Lord Killanin (Irlanda); 1980-2001, Juan António Samaranch (Spagna).
Un Comitato olimpico nazionale è composto di almeno cinque federazioni sportive, ognuna delle quali affiliata alla rispettiva federazione internazionale; suo fine precipuo è la promozione del movimento olimpico e suo compito è quello di organizzare la partecipazione ai Giochi degli atleti del paese di appartenenza. Il comitato nazionale che non rispetti le norme e i regolamenti del CIO perde la sua rappresentanza e il diritto di inviare propri partecipanti ai Giochi.
Il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), fondato nel 1914, e recentemente riorganizzato secondo i dettami del d. legisl. 23 luglio 1999, nr. 242, è un ente di diritto pubblico che ha la caratteristica di essere contemporaneamente il Comitato olimpico nazionale riconosciuto dal CIO e l'organismo cui sono demandate le funzioni di coordinamento, indirizzo e controllo dell'intero movimento sportivo agonistico italiano. Primo organo del CONI è il Consiglio nazionale, che riunisce il presidente del Comitato, i presidenti delle Federazioni sportive nazionali (quelle riconosciute sono attualmente trentanove), i membri del CIO per l'Italia, atleti e tecnici sportivi (in misura del 30% dei presidenti federali) e due rappresentanti dell'organizzazione territoriale del CONI. Il presidente del CONI ha la rappresentanza legale dell'ente ed è a capo della Giunta nazionale, composta dai membri del CIO per l'Italia e da dieci rappresentanti delle Federazioni (almeno tre dei quali eletti fra gli atleti e i tecnici), e integrata, per le materie di rispettiva competenza, con il presidente del Comitato nazionale sport per tutti e con un rappresentante della Federazione italiana sport disabili.
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Cronologia delle Olimpiadi estive
Il numero di serie delle Olimpiadi moderne segue la progressione quadriennale, indipendentemente dallo svolgimento o meno dei Giochi.
I - 1896 Atene (6-15 aprile). Si svolgono due anni dopo la fondazione del Comitato internazionale olimpico. Alle prime Olimpiadi dell'era moderna partecipano 13 nazioni, 285 concorrenti, di cui 197 greci; 10 le specialità sportive ammesse (atletica leggera, ginnastica, scherma, lotta, tiro, canottaggio, ciclismo, equitazione, tennis, cricket); le gare di canottaggio non hanno luogo per mancanza di iscrizioni.
II - 1900 Parigi (20 maggio-28 ottobre). La manifestazione avviene in concomitanza con l'Esposizione universale. Le nazioni partecipanti sono 20, gli sport 17 e gli atleti 1066, di cui 19 donne, che competono nel tennis sull'erba e nel golf. L'Italia non ha rappresentanti ufficiali; vi sono solo alcune iscrizioni personali di italiani residenti in Francia, e uno di loro, Gian Giorgio Trissino, vince la medaglia d'oro nel salto in alto degli sport equestri.
III - 1904 Saint Louis (14 maggio-23 novembre; le gare vere e proprie si svolgono dal 1° luglio al 29 ottobre). La distanza dall'Europa riduce la presenza a 10 nazioni: dei quasi 500 atleti oltre 400 sono americani. Tra gli sport in gara è ammessa la boxe; alle donne è aperta la partecipazione alle gare di tiro con l'arco.
IV - 1908 Londra (27 aprile-31 ottobre). In un primo momento i Giochi sono assegnati a Roma, ma il governo italiano è costretto a rifiutare la candidatura per l'impegno economico che comporta. Per l'occasione viene costruito un nuovo stadio, il famoso White City, con capacità di 66.000 spettatori. I concorrenti sono circa 2000, di cui 36 donne, in rappresentanza di 22 paesi. Per la prima volta partecipano gli italiani, con 60 atleti, vincendo due medaglie d'oro, una nella ginnastica e una nella lotta greco-romana. Dorando Pietri è lo sfortunato protagonista della maratona: giunge primo al traguardo, ma viene squalificato per essere stato aiutato da alcuni spettatori a rialzarsi dopo essere caduto stremato a pochi metri dall'arrivo.
V - 1912 Stoccolma (6-15 luglio). Il numero degli atleti sale a 2541 (57 donne) in rappresentanza di 28 nazioni. Fra i 16 sport figura il penthatlon moderno, mentre il pugilato è escluso per la sua violenza. Le donne sono ammesse a partecipare a tre gare di nuoto. Viene per la prima volta usato il cronometraggio elettrico. Vittima di una concezione estremamente rigida del dilettantismo sportivo è uno dei più grandi atleti di tutti i tempi: il ventitreenne pellerossa Jim Thorpe, vincitore delle gare di penthatlon e di decathlon, con risultati eccezionali in tutte le discipline contemplate, si vede revocare entrambe le medaglie d'oro per aver giocato anni prima in una squadra di baseball ricevendone qualche compenso. Partecipano 61 atleti italiani, che vincono 3 medaglie d'oro.
VI - 1916. I Giochi, assegnati a Berlino, non vengono disputati a causa della Prima guerra mondiale.
VII - 1920 Anversa (14 agosto-12 settembre). Ai Giochi non vengono invitate le nazioni sconfitte nella guerra: Germania, Austria, Ungheria, Turchia. I paesi presenti sono 29, con 2606 atleti (di cui 63 donne). Si disputano oltre 150 gare in 23 sport. Per l'Italia è la prima partecipazione sotto l'egida del CONI. Per la prima volta fra i 162 atleti italiani figura una donna. Lo schermidore Nedo Nadi è protagonista, vincendo 5 medaglie d'oro, 2 individuali e 3 a squadre. Altre 3 (a squadre) ne vince suo fratello Aldo.
VIII - 1924 Parigi (5 maggio-27 luglio). Le nazioni rappresentate sono 44; i concorrenti salgono a 3092; le donne, ammesse anche alle gare di scherma, sono 136. Il numero delle competizioni è inferiore per la riduzione delle gare di tiro e di canottaggio. Il tennis è eliminato dai Giochi (tornerà soltanto 60 anni dopo, alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984). Gli italiani conquistano 8 medaglie d'oro, 3 d'argento e 5 di bronzo. Nel nuoto si impone l'americano Johnny Weismüller, il futuro Tarzan cinematografico: è il primo uomo a coprire i 100 m in meno di un minuto.
IX - 1928 Amsterdam (28 luglio-12 agosto). Sono riammesse Germania e Austria; le nazioni partecipanti sono 46, gli atleti 3015 (290 donne); 16 gli sport e 110 le specialità. Viene introdotta la simbolica fiaccola olimpica: partita dalla Grecia, attraverso la Iugoslavia, l'Austria e la Germania giunge nei Paesi Bassi per la cerimonia d'apertura. Per la prima volta le donne sono ammesse alle gare di atletica leggera. Agli italiani vanno 7 medaglie d'oro, 5 d'argento e 7 di bronzo.
X - 1932 Los Angeles (30 luglio-14 agosto). Le difficoltà legate alla distanza, gli alti costi, i riflessi della 'grande depressione' determinano un crollo nella partecipazione: i concorrenti superano di poco i 1000; 127 sono le donne; 38 le nazioni rappresentate. La riduzione è anche una conseguenza della disposizione di limitare a tre per nazione il numero degli atleti partecipanti a una singola gara. Viene definita l''Olimpiade degli italiani': i nostri atleti ottengono il numero più alto di medaglie dopo gli Stati Uniti (12 d'oro, 12 d'argento, 13 di bronzo).
XI - 1936 Berlino (1°-16 agosto). Il rientro dei Giochi in Europa coincide con un record di partecipazioni: 4069 atleti, 49 nazioni, 21 sport. Cresce anche la presenza femminile: oltre 300 sono le donne impegnate nelle gare. È la prima edizione dei Giochi a subire una pesante strumentalizzazione politica. Respinta la richiesta proveniente da più parti di spostare la manifestazione in una sede diversa da quella scelta prima dell'avvento di Hitler al potere, il regime nazista trasforma l'evento olimpico in una potente macchina di propaganda, perfettamente organizzata e finalizzata all'esaltazione del Terzo Reich. Il film dell'Olimpiade di Berlino, girato da Leni Riefensthal, diffonde in tutto il mondo le immagini di una coreografia paganeggiante che costituisce lo sfondo dei deliri di superiorità della razza germanica. L'affermazione degli atleti tedeschi è netta, ma eroe incontrastato della corsa è il nero americano Jesse Owens, che Hitler si rifiuta di premiare. Gli atleti italiani conquistano 8 medaglie d'oro, 9 d'argento e 5 di bronzo, qualificandosi al terzo posto della classifica per nazioni, dopo Germania e Stati Uniti.
XII - 1940. Tre anni prima il CIO ha designato la città di Tokyo come sede della XII edizione delle Olimpiadi, ma il Giappone, impegnato nel conflitto cino-giapponese, è costretto a rinunciare. Helsinki si offre di ospitare i Giochi, ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale ne impedisce la celebrazione.
XIII - 1944. Anche questa edizione non viene disputata a causa della guerra.
XIV - 1948 Londra (29 luglio-14 agosto). La Germania e il Giappone non sono invitati; le nazioni partecipanti salgono a 59, grazie alla maggiore presenza di asiatici e africani. Oltre 4000 atleti, di cui quasi 500 donne, competono in 136 specialità di 17 sport. I Giochi risentono, anche nei risultati, delle dure condizioni del dopoguerra, ma hanno l'indubbio pregio di riattivare i rapporti internazionali in campo sportivo. Per gli atleti italiani 8 medaglie d'oro, 12 d'argento, 9 di bronzo e il quinto posto nella classifica generale per nazioni.
XV - 1952 Helsinki (19 luglio-3 agosto). 5867 atleti (573 donne) di 69 nazioni; 18 sport. Per la prima volta l'Unione Sovietica partecipa ai Giochi (atleti russi erano stati presenti soltanto a Stoccolma nel 1902): è sua la rappresentanza più numerosa e notevole è l'affermazione dei suoi atleti. In generale è netto il miglioramento delle prestazioni: nell'atletica vengono battuti ben 24 primati olimpici e 6 mondiali, 4 dei quali da donne; 11 primati sono migliorati nel nuoto, 5 dei quali da donne. Un particolare successo ottiene l'atleta cecoslovacco Emil Zatopek, definito l''uomo locomotiva', vincitore dei 5000 m, dei 10.000 m e della maratona. All'Italia vanno 8 medaglie d'oro, 9 d'argento, 4 di bronzo.
XVI - 1956 Melbourne (22 novembre-8 dicembre). Gli atleti sono 3183 (371 donne) in rappresentanza di 67 nazioni; le gare disputate salgono a 153 contro le 149 dell'edizione precedente. Per la prima volta una parte delle competizioni si svolge in un altro paese: a causa delle disposizioni di quarantena per l'ingresso dei cavalli in Australia, le gare ippiche si svolgono a Stoccolma. Nel nuoto netta affermazione degli atleti di casa, cui vanno 8 delle 13 medaglie d'oro in palio. Il predominio dell'Unione Sovietica è sancito dal primo posto nel medagliere. Gli italiani vincono 8 medaglie d'oro, 8 d'argento, 9 di bronzo.
XVII - 1960 Roma (25 agosto-11 settembre). È definita 'l'Olimpiade più fastosa della storia', per i molti motivi di interesse che fornisce sia dal punto di vista tecnico sia sul piano spettacolare. È l'edizione che segna l'avvento della ripresa televisiva: il mondo intero può assistere allo svolgimento della manifestazione, che ha luogo nei nuovi impianti sportivi allestiti per l'occasione e nei suggestivi scenari della Basilica di Massenzio e delle Terme di Caracalla. Alcune gare si svolgono a Napoli, altre sul lago di Albano. Ai Giochi partecipano 87 nazioni, con oltre 5000 atleti; le donne sono più di 600. Restano memorabili l'impresa dell'etiope Abebe Bikila, che vince a piedi nudi la maratona, e le vittorie nei 100 m e nei 200 m della velocista statunitense Wilma Rudolph, colpita in gioventù dalla poliomielite. Ancora una volta l'Unione Sovietica ottiene il miglior piazzamento complessivo. Nella classifica per nazioni l'Italia si qualifica al terzo posto con 13 medaglie d'oro, 10 d'argento e 13 di bronzo.
XVIII - 1964 Tokyo (10-24 ottobre). È la prima edizione dei Giochi disputata in Asia. Il tripode olimpico viene acceso da un atleta nato a Hiroshima un'ora dopo lo scoppio della bomba atomica. Partecipano 5546 atleti (713 donne) in rappresentanza di 94 nazioni (tra i non invitati figura il Sudafrica, che applica la separazione razziale anche in campo sportivo). Gli sport in programma sono 20, per l'assegnazione di 163 titoli olimpici. Pallavolo e judo sono le nuove discipline ammesse. La superiorità manifestata dai sovietici nelle precedenti edizioni è più contenuta, grazie all'affermazione degli atleti americani. L'Italia si classifica al quinto posto con 10 medaglie d'oro, 10 d'argento e 7 di bronzo.
XIX - 1968 Città del Messico (12-27 ottobre). I gravissimi incidenti tra polizia e studenti, che causano decine di morti alla vigilia della manifestazione, non impediscono lo svolgimento dei Giochi. Partecipano 5593 atleti (770 donne) di 112 nazioni. L'adozione di piste di tartan per l'atletica leggera, insieme con i vantaggi dell'altitudine, assicura un notevole numero di primati storici. Per la prima volta vengono eseguiti sugli atleti il controllo antidoping e l'accertamento del sesso. Tra le immagini più significative di questa edizione è la foto degli atleti neri americani Tommie Smith e John Carlos, primo e terzo classificato nella gara dei 200 m piani, che al momento della premiazione, in segno di protesta contro la discriminazione razziale, salutano col pugno levato e coperto da un guanto nero. Nel medagliere gli Stati Uniti superano l'Unione Sovietica, grazie soprattutto alla netta affermazione nell'atletica leggera e nel nuoto. Il bilancio degli italiani, presenti con 167 atleti, di cui 15 donne, è modesto: 3 medaglie d'oro, 4 d'argento, 9 di bronzo.
XX - 1972 Monaco (26 agosto-11 settembre). Partecipano ai Giochi 127 nazioni (la Rhodesia è esclusa all'ultimo momento a causa del regime di segregazione razziale); 7830 concorrenti, di cui 1103 donne, sono accolti in un complesso olimpico sorto dal nulla, dotato di impianti funzionali e di accorgimenti tecnici applicati senza risparmio. La manifestazione è funestata dall'incursione di terroristi palestinesi nella residenza degli atleti israeliani e dall'uccisione di 18 persone in seguito allo scontro armato con la polizia tedesca. Sul piano tecnico sono da registrare una ripresa dell'atletica europea, testimoniata anzitutto dall'affermazione dei sovietici e dei tedeschi delle due Germanie e il trionfo del nuotatore statunitense Mark Spitz, vincitore di 7 medaglie d'oro. Complessivamente gli italiani conquistano 5 medaglie d'oro, 3 d'argento, 10 di bronzo.
XXI - 1976 Montreal (17 luglio-1° agosto). Lo svolgimento dei Giochi è a lungo messo in forse da una complessa vicenda di agitazioni operaie che minacciano ritardi nella realizzazione degli impianti sportivi. Si aggiungono contrarietà d'ordine politico, che determinano numerose defezioni: disertano la manifestazione Formosa, Iraq e quasi tutti i paesi dell'Africa, questi ultimi in adesione alla protesta della Tanzania contro la presenza della Nuova Zelanda, colpevole di aver intrattenuto relazioni sportive con il Sudafrica razzista. Nel bilancio finale, al predominio statunitense nel nuoto fa riscontro la netta affermazione dell'Unione Sovietica e della Repubblica democratica tedesca. Nella ginnastica individuale la rumena Nadia Comaneci, non ancora quindicenne, conquista la medaglia d'oro ottenendo, negli esercizi alle parallele e alla trave, il massimo punteggio (10) finora mai assegnato nel corso dei Giochi olimpici. L'Italia conquista soltanto 2 medaglie d'oro, 7 d'argento e 4 di bronzo.
XXII - 1980 Mosca (19 luglio-3 agosto). In conseguenza dell'intervento militare dell'Unione Sovietica in Afghanistan (dicembre 1979), gli Stati Uniti proclamano, insieme ad altre misure, il boicottaggio dei Giochi. All'iniziativa aderiscono 60 paesi, specialmente africani e asiatici. L'Italia, il cui governo ha preso posizione favorevole al boicottaggio, partecipa tuttavia per decisione autonoma del CONI, ma con una rappresentanza ridotta per effetto del divieto imposto dal governo agli atleti militari e ai dipendenti statali. Alle gare prendono parte 94 paesi. Gli italiani conquistano 8 medaglie d'oro, 3 d'argento e 4 di bronzo.
XXIII - 1984 Los Angeles (29 luglio-13 agosto). Si ripete, a parti invertite, la situazione del 1980: l'Unione Sovietica, seguita dai paesi comunisti, con l'eccezione di Iugoslavia, Romania e Repubblica popolare cinese, non partecipa ai Giochi, motivando l'astensione con la presunta insufficienza delle misure di sicurezza predisposte. Complessivamente prendono parte ai Giochi oltre 6000 atleti provenienti da 144 paesi, che gareggiano per aggiudicarsi 226 medaglie d'oro. Tra le discipline vengono ammessi, a titolo dimostrativo, il tennis, che registra così il suo ritorno alle Olimpiadi, e il baseball; altre discipline sono introdotte nel settore femminile. Gli italiani conquistano 14 medaglie d'oro, 6 d'argento e 12 di bronzo.
XXIV - 1988 Seul (17 settembre-2 ottobre). Dopo le due edizioni di Mosca e Los Angeles, rese anomale dalle defezioni incrociate, le Olimpiadi coreane registrano la presenza di 161 paesi, con oltre 9000 atleti in gara per contendersi i 241 allori olimpici in palio. Emerge in tutta la sua gravità il problema della diffusione della pratica del doping. Nella classifica finale Unione Sovietica e Repubblica democratica tedesca precedono gli Stati Uniti; gli atleti italiani conquistano 6 medaglie d'oro, 4 d'argento e 4 di bronzo, ottenendo il decimo posto. I fratelli Carmine e Giuseppe Abbagnale si confermano grandi campioni di canottaggio, bissando il successo di Los Angeles.
XXV - 1992 Barcellona (25 luglio-9 agosto). I profondi mutamenti politici intervenuti in Europa negli ultimi anni comportano, rispetto al passato, novità clamorose nella formazione delle squadre olimpioniche nazionali. La riunificazione tedesca conduce sul piano sportivo alla costituzione di una rappresentativa unica, mentre la dissoluzione della Iugoslavia e dell'Unione Sovietica dà luogo a nuove rappresentative: Lettonia, Estonia e Lituania ritornano ai Giochi come repubbliche autonome dopo 56 anni di assenza, mentre le altre dodici repubbliche ex sovietiche inviano la rappresentativa comune della Confederazione degli Stati indipendenti. Con le Olimpiadi spagnole si assiste inoltre al ritorno di Cuba, dopo 12 anni di assenza, e alla riammissione dopo 32 anni della Repubblica Sudafricana, in seguito alla fine ufficiale dell'apartheid. Complessivamente sono presenti a Barcellona 172 paesi, con oltre 10.000 atleti in gara per 260 ori olimpici. Tra le novità c'è anche l'ammissione ai Giochi olimpici, a titolo dimostrativo, del badminton e dell'hockey su pista. Nel medagliere l'Italia si classifica all'undicesima posizione, conquistando 6 medaglie d'oro, 5 d'argento e 8 di bronzo.
XXVI - 1996 Atlanta (19 luglio-4 agosto). È la prima edizione dei Giochi a cui possono partecipare, senza vincoli, anche gli atleti professionisti ed è anche la prima 'a numero chiuso': gli atleti hanno dovuto conquistare in difficili selezioni preolimpiche il diritto a gareggiare. Partecipano 10.305 concorrenti di 197 paesi (è presente anche una rappresentanza della Palestina). Spicca la prestazione dello statunitense Carl Lewis, che vince per la quarta volta consecutiva la medaglia d'oro nel salto in lungo. Gli italiani si aggiudicano 13 medaglie d'oro, 10 d'argento e 12 di bronzo, ottenendo il sesto posto nella classifica generale per nazioni, dominata dagli Stati Uniti con 44 medaglie d'oro.
XXVII - 2000 Sydney (15 settembre-1° ottobre). Partecipano 206 nazioni. Nella cerimonia di apertura le squadre della Corea del Nord e della Corea del Sud sfilano dietro alla stessa bandiera anche se poi gareggiano separate. Nel programma sono inserite due nuove discipline sportive: il triathlon e il taekwondo. La squadra italiana, composta da 364 atleti (246 uomini, 118 donne), ottiene complessivamente 34 medaglie, il quarto miglior risultato di tutta la storia olimpica italiana. Di particolare spicco i successi negli sport acquatici: nuoto, canottaggio, vela.