OLINTO (῎Ολυνϑος)
Città della penisola calcidese, a N di Potidea, nei pressi del Golfo di Torone. Sorta sul sito di un villaggio neolitico, si espande in età classica fino a coprire due colli contigui, disposti lungo un asse approssimativamente N-S presso il corso del Sandanos; di poco sopraelevati sulla piana circostante (il colle meridionale, primo ad essere abitato, ha un'altitudine media di m 16-25, quello settentrionale di 10-12).
Lo scavo del sito, non ultimato sistematicamente, è stato compiuto sotto la direzione di D. M. Robinson in quattro campagne (1928; 1931; 1934; 1938); i trovamenti sono nel museo di Salonicco.
Storia. - Prescindendo dalla documentazione archeologica sulla occupazione in età neolitica del sito dove sorgerà O., le prime notizie storiche sulla vita del centro risalgono all'inizio del V sec. a. C. Prima di allora uno stanziamento di genti greco-tracie, i Bottici, ha lasciato labili tracce nelle fonti, dalle quali sappiamo soltanto che nel 480-479 gli invasori persiani, scacciati i vecchi abitanti, ripopolano O. con coloni calcidesi i cui interessi commerciali verso l'Oriente mediterraneo garantivano loro fedeltà. In mancanza di maggiori notizie, le liste dei tributi della lega delio-attica documentano la presenza di O. in essa alla metà del secolo (454-453); la politica ateniese, tuttavia, contrastava con i suoi interessi in Oriente ma soprattutto verso le coste più vicine della Tracia. Né va escluso che in questi, oltre a motivi di ordine economico, avesse un suo peso la probabile sopravvivenza di epigoni del nucleo etnico bottico originario. Perdicca di Macedonia, ribellandosi ad Atene nel 432, riesce a trascinare con sé O., Potidea e tutte le genti calcidesi le quali - come è assai attendibile - si riuniscono in questa circostanza nella lega calcidese (contra, ma isolatamente, la Gude che porrebbe la costituzione della lega al IV sec.). O. diviene presto capo di essa e accoglie tra i suoi cittadini, entro le sue mura, gli abitanti calcidesi di centri minori indifesi o caduti in mano ateniese. Da questo momento la sua influenza si va progressivamente ampliando e i suoi interessi commerciali e politici si spingono fino alla parte meridionale della Macedonia, i cui sovrani trovano conveniente porre con O. un solido baluardo contro l'espansionismo attico. Appoggiata Sparta nella guerra del Peloponneso, O. in conseguenza della pace di Nicia (421) vede riproporsi l'alternativa di far parte della lega delioattica, ma riesce ad evitarla conservando la sua autonomia nei riguardi della politica ateniese e riuscendo anche ad assicurarsi una certa libertà anche nei commerci con la Tracia, mèta tradizionale dei suoi interessi.
Presa nei continui contrasti tra Sparta ed Atene, deve piegarsi alla potenza di questa che, nel 379, riesce a disciogliere la lega calcidese e a sottomettere Olinto. Si comincia, intanto, a far sempre più consistente la pressione del mondo macedone; O., dopo aver tentato cautamente di controllarne la politica con suoi emissari, quando tale minaccia si fa concreta con la salita al trono di Filippo, a lui si associa nella lotta contro Atene e ne riceve la riconquistata Potidea col suo territorio (356). Ma le mire macedoni non si estinguono in questa fase, divenendo sempre più evidente che l'obbiettivo ultimo di Fllippo è la sottomissione totale della Calcide come prima mossa per una conquista della Grecia; quando tale politica si concreta nella conquista della Calcide settentrionale, O. diviene il centro maggiore della resistenza. Atene, allora, si trova impegnata a sostenere in essa i suoi stessi interessi e, sia pure tardivamente, decide di inviare degli aiuti militari.
Isolata nella stessa Calcide, tuttavia, O. non può offrire, anche per la stessa struttura del suo sito, una resistenza decisiva sicché, dopo la sconfitta delle sue armate, diviene preda di Filippo che la rade al suolo (348). La sua storia è praticamente finita e, com'è chiaro dalle testimonianze archeologiche, anche la sua vita urbanistica e commerciale ha a questo punto termine. Non si può escludere con sicurezza - è vero - che qualche piccolo gruppo di abitanti possa esser sopravvissuto di poco alla catastrofe, ma è assai più problematico il supporre che esso abbia potuto svolgere una qualsiasi attività costruttiva di rilievo, né in proposito hanno definitivo significato i pochi ritrovamenti seriori di datazione certa.
Topografia e rirtovamenti. - 1. Lo stanziamento neolitico. All'estremità S del colle meridionale si sono riconosciute le più antiche tracce di insediamento umano nel sito di Olinto. Al disotto e nei pressi di una tarda torre di età bizantina è stato possibile identificare le stratificazioni archeologiche pertinenti a tre successivi stanziamenti neolitici che sembrano distribuirsi lungo tutta la prima metà del III millennio. La quasi totale distruzione dei resti architettonici e il parziale sconvolgimento delle stratigrafie non impediscono alcune osservazioni generali.
Dello stanziamento più antico si conserva parte delle fondazioni di una piccola abitazione monocamerale (House A), tipiche per la costruzione in ciottoli o pietre e fango, dalle quali si ricostruisce una semplicissima pianta quadrangolare. La ceramica di questa fase è tutta monocroma, rossa grezza (coarse red), nera grezza (coarse black) e nera levigata (black polished), per lo più in forme aperte, genericamente riconducibili alla tipologia del tardo Neolitico dei Balcani. Tracce evidenti di incendio "sigillano" la vita del primo abitato cui succede presto un secondo nel quale manufatti e resti architettonici non sembrano suggerire radicali mutamenti etnici o culturali. Si associano a questa fase i resti di due abitazioni bicamerali contigue (House B, House C) non dissimili, per pianta e tecnica costruttiva delle fondazioni, da quella della stazione più antica. Simili persistenze si registrano anche nelle forme della ceramica, nella quale ultima - però - si cominciano ad introdurre decorazioni incise e dipinte lineari. Questo fenomeno si sviluppa ulteriormente nella vita del terzo abitato, anche esso separato dal precedente dalle tracce di una distruzione violenta. Quasi del tutto scomparsi i resti architettonici, la tipologia della ceramica associata si avvicina sensibilmente a quella nota in età tardo-neolitica sia in Macedonia sia, più ampiamente, in Tessaglia. Nel medesimo orizzonte culturale rientrano anche i pochi resti di industria litica (armi, frammenti di statuette, utensili) rinvenuti nel sito.
Ad uno dei due ultimi, probabilmente all'ultimo abitato appartengono i resti di un raro forno da vasaio a pianta ovale e originariamente a sezione ogivale, particolarmente interessante per il complesso sistema di ventilazione.
I confronti con i contesti archeologici di analoghi stanziamenti macedoni e tessali permettono di fissare intorno alla metà del III millennio la completa cessazione dell'ultimo insediamento regolare il quale, come i precedenti, sembra avere avuto carattere esclusivamente agricolo, anzitutto per la natura del sito prescelto e inoltre, per la tipica lenta evoluzione che i suoi resti testimomano.
2. La fase pre-persiana. Un lunghissimo hiatus separa l'abbandono dell'abitato neolitico dalle successive tracce di abitazione, ancora sul colle meridionale ma sensibilmente più a N, dopo l'inizio del I millennio. La mancanza di precise sequenze di reperti archeologici impedisce finora la costruzione di una sicura cronologia relativa per il momento iniziale di questa fase; mancando anche resti architettonici dell'abitato, esso è documentato esclusivamente dai reperti ceramici che datano a partire dall'VIII sec. a. C. Il tipo più antico è monocromo, di rozzo impasto assai grossolano, ed è caratterizzato da forme aperte più o meno espanse alla base (per lo più brocche) con anse (semplici o doppie) verticali; esso dura anche nel VII sec., sporadicamente affiancato da una ceramica di forme simili ma con decorazione geometrica dipinta (linea ad onda, fasce punteggiate, cerchi concentrici affiancati in serie, tratteggi obliqui incrociati). Qui, in una peculiare contaminazione, a forme ereditate dal repertorio greco-centrale di età protostorica, si sovrappongono tipi decorativi assai eterogenei e talora molto attardati le cui fonti sembrerebbero giungere fino al Protogeometrico continentale e delle isole; il fenomeno, tuttavia, più che come risultato di precisi contatti diretti, va probabilmente inteso come il risultato di una rielaborazione in ambiente chiuso e periferico di un'eco sporadica di correnti artistiche maggiori.
Col VI sec. la documentazione archeologica sul colle meridionale diviene più ampia. Alla ceramica locale si affiancano manufatti d'importazione, anche se in misura assai ridotta, e - come segno sicuro di insediamento regolare - appaiono i primi, frammentari resti architettonici. Nella ceramica, olintia o macedone che sia, che attende ancora una esauriente sintesi critica anche sul piano comparativo, compaiono forme già note dalla produzione altoarcaica greca (anfore, pyxides, kölikes con anse orizzontali a nastro, sköphoi, ecc.) e, nella decorazione, ai noti motivi lineari si associano altri naturalistici che sembrano avere origine nella cerchia greco-orientale delle isole. I notevoli caratteri di attardamento e di incongruenza formale che ancora persistono in essa possono, per altro, risalire alla presenza nella comunità olintia di elementi culturalmente dipendenti dall'originario nucleo bottico. Dopo la metà del secolo si datano statuette fittili prevalentemente di origine rodia (in un solo caso corinzia) rinvenute in uno scarico dei depositi votivi d'un santuario sorto anch'esso in un luogo non ancora precisato del colle; ad esso apparteneva probabilmente l'edificio sacro la cui presenza è testimoniata da alcuni frammenti architettonici raccolti in prossimità dello stesso scarico (soprattutto parte di un capitello dorico e varî frammenti di stucco, dipinto, di sicura destinazione architettonica, assai interessanti per la ben conservata policromia). Alla medesima costruzione appartenevano probabilmente alcuni grossi blocchi di modulo arcaico, con grappe a Z (H), reimpiegati in una successiva struttura pre-persiana (un grande altare rettangolare?) sorta nel luogo che diventerà presto il "centro civico" della collina meridionale, al margine N-O di questa.
Dopo l'inizio del V sec. qui sorge il primo edificio pubblico finora riconosciuto, un bouleutèrion di pianta certo abbastanza complessa ma di difficile ricostruzione, anche per le confuse sovrapposizioni di strutture più recenti. Nulla può dirsi dell'elevato e, per quanto riguarda la pianta, i caratteri più sicuri sono la sua forma perfettamente rettangolare (m 33,25 × 16,45 circa con asse a N) con tripartizione interna, l'ingresso sul lato N e la presenza di colonne all'interno con funzioni tettoniche. La cronologia, resa attendibile da consistenti prove archeologiche, contrasta con qualche dettaglio della ricostruzione proposta, di sapore assai più recente, soprattutto in rapporto al fatto che certamente l'edificio doveva esser già distrutto alla fine del V secolo.
Col V sec. a. C., dunque, o già alla fine del VI (quando iniziano i primi seppellimenti regolari nella necropoli occidentale sul fiume, la più antica finora individuata) O. aveva assunto un suo primo assetto urbanistico. Non è finora possibile, tuttavia, distinguere tipologicamente con sicurezza nell'area scavata le costruzioni private di età pre-persiana da quelle immediatamente successive. A parte lo stato di conservazione dei loro resti, la tecnica costruttiva dei muri (fondazioni e zoccolo in pietre e fango, elevato in mattoni crudi) non differisce sostanzialmente da quella impiegata successivamente, né d'altra parte la pianta delle singole abitazioni ed il loro raggruppamento forniscono un criterio discriminatorio sufficientemente sicuro. I resti di questa fase edilizia più antica, inoltre, sono nel loro insieme obliterati o del tutto inglobati dallo schema edilizio più recente sicché soltanto in qualche zona limitata del colle meridionale se ne può indovinare la traccia nella pianificazione interna particolarmente irregolare di alcune costruzioni.
3. La fase tardo-arcaica e classica. Gli eventi del 479, come s'è detto, offrono il primo e importantissimo dato cronologico preciso della vita di O. con la deduzione dei coloni calcidesi che impose certamente l'esigenza di un rinnovamento strutturale dell'abitato del colle meridionale. Un primo elemento nuovo, riferibile attendibilmente a questo periodo, è costituito dalla lunga strada dorsale che taglia longitudinalmente la collina (Avenue Ovest) e dall'altra longitudinale minore (Avenue Est), collegate in almeno due punti da trasversali approssimativamente ortogonali che giungono da ambedue i lati sul ciglio del colle stesso. Il tutto, almeno da un punto di vista di funzione urbanistica, sembrerebbe quasi costituire un precedente per il sistema ad assi ortogonali poi pienamente sviluppato nei nuovi quartieri del colle settentrionale dove la pianificazione si gioverà del terreno completamente vergine. Le modeste abitazioni e le botteghe che si affiancano nelle strade del centro ripopolato danno ad esso quell'aspetto quasi di "bazar" che la letteratura ha riconosciuto ampiamente e perfino esagerato. Tale fisionomia si conserverà immutata fino alla fine, anche se è assai improbabile che - come qualcuno ha voluto - ad un certo punto il vecchio quartiere meridionale assumesse funzioni esclusivamente mercantili e artigianali.
L'importanza e gli interessi di O. si possono da questo momento documentare anche con la maggiore ampiezza dei suoi traffici. Già all'inizio del V sec., prima dell'attacco persiano, alle importazioni di fittili di tipo rodio si affianca una produzione locale che nel suo successivo sviluppo si mostra sempre più aperta all'influsso delle vicine correnti beota e - pur se in minor misura - attica. Quest'ultima cerchia, poi, alimenta in modo preponderante il commercio ceramico, soprattutto dopo il 479, sia con importazione di vasi a figure rosse, sia attraverso la produzione locale di pezzi d'imitazione. Questa posizione eminentemente ricettiva resterà peraltro sostanzialmente immutata fino alla distruzione e all'abbandono della città senza che si possano riconoscere indirizzi o correnti olintie con caratteri formali sufficientemente autonomi.
La progressiva espansione della necropoli sul Sandanos testimonia dall'inizio del V sec. l'aumento della popolazione, al quale un impulso decisivo viene dato dall'immigrazione di altri cittadini calcidesi che segna, col 432, l'inizio del massimo sviluppo del centro. Non si può infatti fondatamente dubitare che la pianificazione e la rapida costruzione dei quartieri del colle settentrionale abbiano origine proprio da questa circostanza, anche perché altra non se ne troverebbe, in tutta la storia della città, capace di giustificare una così eccezionale e rapida espansione, insieme a un tale aumento della popolazione. Questa, nel corso del V sec., sembrerebbe essersi più che quadruplicata per raggiungere poi, al momento della distruzione, un totale di almeno 15.000 anime; proprio entro la fine del V sec., si noti, iniziano i seppellimenti nella seconda necropoli di O., quella orientale, individuata ad E dello sperone a S del colle meridionale, ed a questa si affianca all'inizio del IV sec. a. C. la più recente, a N-E del colle settentrionale. Il disporre, dunque, di due preziosi limiti cronologici per la costruzione (dopo il 432) e la successiva distruzione (nel 348) del quartiere N ha concentrato l'interesse della moderna letteratura archeologica anzitutto sui problemi di urbanistica (v.). Di questa va detto anzitutto che, se è vero che rappresenta un notevole esempio di pianificazione razionale, non può altresì negarsi che in essa i principi teorici si mostrino in molti aspetti adattati alle esigenze pratiche del sito. Nei suoi elementi fondamentali, la pianta dei nuovi quartieri di O. risulta da una serie di arterie maggiori longitudinali (Avenues A-G) intersecata ad intervalli regolari da strade con orientamento E-O. Gli isolati risultanti hanno una lunghezza media di m 86,34 (da cui si risalirebbe a 300 piedi di modulo 0,288, prossimo allo standard attico-euboico di o,295) ed una larghezza media di m 35,40 (corrispondente esattamente a 120 piedi attico-euboici); essi sono divisi lungo l'asse maggiore da un vicolo di passaggio (ma anche con funzione di aereazione e di drenaggio) che definisce, di solito, due serie di cinque case-tipo. La distribuzione interna degli ambienti (v. Casa) è caratterizzata dalla presenza di una corte ipetrale con un corridoio trasversale adiacente a N (cosiddetto pastàs) intorno a cui si dispongono paratatticamente i vani interni. Vari sono i problemi posti dalla casa olintia. L'esistenza di un secondo piano è provata o assai probabile in un numero di abitazioni che si tende ad ampliare, ma esso certamente occupava solo parte della pianta; il piano terreno, poi, per quanto se ne sia talora esagerata la costanza tipologica, presenta frequentemente un nucleo essenziale caratteristico, costituito dagli ambienti di soggiorno e servizio (oecus unit) comprendente una piccola sala da bagno, la cucina e il cosiddetto òikos (all'applicazione estensiva di nomi noti dalle fonti classiche a vari elementi della pianta non sono mancate - Boethius - fondate obbiezioni).
A queste costanti tipologiche più o meno ricorrenti, però, non mancano numerose eccezioni. Per quanto riguarda il reticolato stradale, per esempio, l'Avenue D, verso il ciglio orientale del colle, è per lungo tratto obliqua rispetto al sistema, seguendo l'andamento del terreno in quella zona; tutte le trasversali, inoltre, non giungono ad aprirsi sul ciglio, tanto ad E che ad O, dove corre una serie ininterrotta di abitazioni contigue, con probabile funzione di riparo dai venti (oltre che, come si vedrà in qualche caso, di rinfianco alle mura). Qualche variante è anche nelle proporzioni delle strade, larghe in media m 5, con l'eccezione principale offerta dalla Avenue B - la maggiore del sistema - larga in media m 7; la maggiore larghezza è ricavata in questo caso da una riduzione di superficie degli isolati prospicienti. Manca, in questa come nelle altre strade di O., qualsiasi apparato monumentale (colonnati, porte, ecc.). Singolarmente esigui appaiono, in questo quadro, i resti delle mura, costruite in mattoni crudi su zoccolo di pietra e identificate finora per tratti di qualche entità soltanto lungo il pendio ad O del colle settentrionale, dove ad esse si appoggiano direttamente le abitazioni; ciò ne riduce lo spessore a soli m o,8o contro un massimo di m 3,25 registrati nell'unico altro tratto superstite, all'apice settentrionale della collina.
Altre peculiarità, poi, si notano nella struttura interna delle 300 abitazioni. Dalle case-tipo descritte si distaccano alcune, di maggiore ampiezza e con pianta più complessa, che hanno talora ricevuto, dai loro scavatori, anche il nome di ville. Molte di esse si distribuiscono lungo il versante E, conferendo a questa zona un carattere prevalentemente residenziale. Vanno ricordate particolarmente la Casa di Zoilo (House of Zoilus) (notevole per l'elevato, insolito numero degli ambienti - 17 - alcuni dei quali destinati forse a bottega); la Casa del Commediante (House of the Comedian) (probabilmente ancora del V sec., interessante per la sua corte a peristilio completo, con impluvio decorato a mosaico); la Villa della Buona Fortuna (Vrna of Good Fortune) (la più lussuosa dimora di O., da taluni ritenuta un pandokèion, importantissima per la sua decorazione a mosaici figurati di ciottoli); la Villa dei Bronzi (Villa of the Bronzes) (così detta dai bronzi rinvenutivi, che conserva tracce dell'elevato in mattoni crudi e della scala d'accesso al piano superiore); la Villa Sud (South Villa) (anch'essa di notevoli proporzioni e da datare al V secolo).
Non poteva mancare, nella nuova sistemazione urbanistica di O., un centro della vita pubblica; l'agorà viene oggi pressoché concordemente riconosciuta in un largo spazio aperto all'estremità S-O del colle settentrionale, all'inizio delle Avenues A e B, originariamente interpretato come un'area d'uso militare. A giustificare l'identificazione sta, anzitutto, la presenza, all'angolo N-E della spianata stessa di un edificio definito "sala d'assemblea", aula rettangolare di m 19 × 9,50, aperta ad O, con fila di 7 colonne doriche sull'asse maggiore e contrafforti in mattoni crudi all'esterno, sul lato E. Nulla può dirsi della sua sistemazione interna, limitata probabilmente a una serie di banchi lignei; la sua fondazione dovrebbe risalire alla fine del V sec. a. C. e questo sembrerebbe confermare l'ipotesi che i materiali reimpiegati rinvenuti in essa possano provenire dalla distruzione del vecchio bouleutèrion del colle meridionale. Ancora sul lato S della piazza sorgeva, all'innesto dell'Avenue B, un grande serbatoio con fontana a fronte monumentale (due colonne in antis con fregio dorico?) rivolta a S, collegato a un acquedotto di notevole lunghezza (8 miglia?) del quale si sono riconosciuti vari tratti, sia scavati nella roccia, sia entro tubi fittili; il complesso viene datato già al IV secolo. Il lato N dell'agorà, infine, era chiuso da un altro edificio (probabilmente una stoà assai semplice) di cui rimangono piccoli tratti di sottofondazione e resti di 3 colonne; la larghezza è di m 12 circa su una lunghezza (ricostruita) di circa m 75. La mancanza di altri edifici pubblici in quest'area si può bene attribuire all'improvvisa fine della città che, oltre a vedere distrutto largamente quanto era già stato edificato, interruppe certamente possibili sviluppi di attività edilizia. Nessun altro luogo più di questo, d'altra parte, poteva costituire un adeguato centro per la vita pubblica della città, tra i due grossi nuclei urbanistici che la componevano.
Non trascurabile è l'importanza dei trovamenti minori, il cui significato è spesso reso maggiore dalla possibilità di datarli entro un preciso terminus ante quem. Ciò vale anzitutto per i mosaici di ciottoli, forma d'artigianato assai bene documentata ad O.; il gruppo forse più significativo tra essi è quello dei mosaici della "Villa della Buona Fortuna" con figurazioni mitologiche (Achille, Teti e Nereidi; Baccanti e Dioniso su quadriga; Pan) che rappresenta, agli inizî del IV sec., un documento di prim'ordine sulla fase più antica di quest'arte (sostanzialmente isolato è rimasto un tentativo - Picard - di abbassarne la cronologia intorno alla data tradizionale della distruzione di O.). Altrettanto importanti i ritrovamenti numismatici dei quali solo una percentuale impercettibile può datarsi certamente dopo il 348. Questa indicazione è una conferma tanto più valida della attendibilità delle fonti storiche in quanto coincide con la cronologia terminale indipendentemente offerta dai trovamenti ceramici, dalle terrecotte figurate e, infine, dall'estinzione delle necropoli.
In mancanza di una documentazione di rilievo nel campo della grande scultura, rasa praticamente al suolo nella sua architettura urbana, priva di una vera architettura monumentale, O. trova egualmente in queste circostanze la sua importanza storico-culturale.
Bibl.: La fonte d'informazione essenziale è la serie dei volumi delle Excavations at Olynthus, Baltimora 1929-1952, in 14 voll.: I, The Neolithic Settlement, 1929; II, Architecture and Sculpture, 1930; III, The Coins Found in 1928, 1931; IV, The Terracottas, 1931; V, Mosaics, Vases and Lamps, 1933; VI, The Coins, 1933; VII, The Terracottas of 1931, 1933; VIII, The Hellenic House, 1938; IX, The Chalcidic Mint and the Coins Found in 1928-1934, 1938; X, Metal Objects and Minor miscellaneous Finds, 1941; XI, Necrolynthia, 1942; XII, Domestic and Public Architecture, 1946; XIII, Vases Found in 1934 and 1938, 1950; XIV, Terracottas, Lamps and Coins Found in 1934 and 1938, 1952.
La raccolta sistematica delle fonti storiche e prosopografiche relative alla vita di O. si trova in M. Gude, A History of Olynthus, Baltimora 1933. Si veda inoltre: D. M. Robinson, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1939, c. 325-342; G. E. Mylonas, The Olynthian House of the Classical Period, in Class. Journ., XXXV, 199-40, pp. 389-402; W. A. Heurtley, Prehistoric Macedonia, Cambridge 1939, pp. 8-10, passim; W. A. Mc Donald, The Political Meeting Places of the Greeks, Baltimora 1943, pp. 231-236; J. Johnson, Olynthus and the Study of Man. 5th Century Town-Planning, in Class. Journ., XLIII, 1947, pp. 91-95; A. Boethius, Ancient Town-Architecture and the New Material from Olynthus, in Am. Journ. Phil., LXIX, 1948, pp. 396-407; F. Chapoutier, La maison grecque à Olynthe, in Rev. Ét. Anc., LIII, 1951, pp. 318-323; R. E. Wycherley, Notes on Olynthus and Selinus, in Am. Journ. Arch., LV, 1951, pp. 231-236; W. A. Mc Donald, Villa or Pandokeion?, in Studies Robinson, I, St. Louis 1951, pp. 365-373; R. Martin, Recherches sur l'Agora grecque, Parigi 1951, (Bibl. des Écol. Franç. d'Athènes et de Rome, vol. 174), pp. 386-390, passim; Ch. Picard, Signification et date des mosaïques de la Villa de la Bonne Fortune à Olynthos, Macedoine, in Rev. Arch., XL, 1952, pp. 77-79; M. Andronikos, Γιὰ, τὰ τείχη τῆς ᾿Ολυνϑου, in Μακεδονικά, II, 1941-1952, pp. 129-1423; J. W. Graham, Olynthiaka, in Hesperia, XXII, 1953, pp. 196-207; id., Olynthiaka, ibid., XXIII, 1954, pp. 320-346; R. Martin, L'urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956, p. 207 ss., passim.