FORZETTA, Oliviero
Figlio di Nicolò, nacque a Treviso nel 1299 o nel 1300, negli anni della signoria caminese, ultimogenito dopo Giacomo e Simona.
La sua famiglia si era stabilita a Treviso nella prima metà del sec. XIII, quando il nonno paterno Forza del fu Recco, sarto e originario di Ospedaletto di Cavasagra, si era trasferito in città, affiancando alla propria professione altre iniziative commerciali, tra cui il prestito a interesse. Il figlio di Forza e padre del F., Nicolò, notaio, partecipò al governo della città e continuò a praticare l'usura insieme con Aquilia di Beltrame, sua moglie. Il nonno e i genitori accumularono, quindi, un patrimonio familiare davvero cospicuo, fatto di beni immobili posti in città e in provincia, ma anche di denaro contante, di titoli di credito, di oggetti preziosi.
Intorno ai vent'anni il F. conseguì il titolo di notaio, dandosi presto, come il padre, al prestito a interesse più che all'esercizio effettivo della professione. Entrato già nel 1320 in un ufficio pubblico del Comune, ricoprì, dal 1336 con fasi alterne fino al 1360, vari incarichi nel governo della città sia durante la dominazione degli Scaligeri, che ressero la città dal 1329 al 1339, sia in seguito nel corso della dominazione veneziana. Dei tre figli di Nicolò e Aquilia, solo il F. era in vita nel 1328, quando il padre, due anni dopo averlo emancipato dalla patria potestà, lo nominò erede dell'intero patrimonio accanto al nipote Nicolò Forzatino. Nel 1337 sarebbe divenuto erede universale anche di questo nipote, morto di lì a poco.
L'attività creditizia, esercitata sempre di più nella forma di "mutui ad negotiandum" e - specie a Venezia - anche "ad navigandum per mare", gli permise di accrescere il già ricco patrimonio familiare, tanto da essere annoverato, nel secondo decennio del Trecento, tra i cittadini più ricchi di Treviso e forse dell'intera Marca trevigiana.
Non riuscì mai, tuttavia, a garantirsi una discendenza diretta. Dopo due matrimoni conclusisi senza figli - con una "domina Lucia" nel 1312 e poi con Margherita, figlia di Nicolò - il F. sposò nel 1323 Elisabetta, figlia di Enrico (II), conte di Gorizia e del Tirolo e vicario imperiale a Treviso, aggiungendo così al suo benessere economico lo status di nobile ed entrando in quella categoria di "mercanti nobili" sempre più frequente nelle città italiane del tardo Medioevo. Lo scudo gentilizio del F. - un grifo bianco rampante in campo rosso, visibile sopra il nuovo monumento funebre fatto costruire nel Cinquecento - è nominato in una nota autografa del 1335. Alla morte della terza moglie (da cui non ebbe figli), nel 1337 si sposò con Belladonna, figlia di Bettino Bettignoli da Brescia, medico e capostipite della nobile famiglia dei Bettignoli Bressa. Nel 1364 rimase di nuovo vedovo e ancora senza figli. Ma neppure il matrimonio successivo, il quinto e ultimo, con la padovana Adeleita da Vigonza, vedova del conte Enrico da Onigo, gli avrebbe assicurato discendenza.
Nel 1343 acquistò all'asta una "domus magna" nella contrada di Santo Stefano, a Treviso, dove abitò per il resto della vita. Il 16 luglio 1368, ancora in buono stato di salute, dettò il suo testamento. Non avendo figli, lasciò il suo patrimonio - circa 80.000 ducati d'oro in contanti, oltre alle case e ai terreni in città (concessi in usufrutto alla moglie) e in provincia - alla Confraternita di S. Maria dei Battuti di Treviso, di cui era confratello, disponendo che, dopo la sua morte, gli oggetti d'arte fossero venduti e che con il ricavato fossero dotate delle ragazze povere. In tal modo il suo patrimonio subì una velocissima dispersione. Inoltre, come sei anni prima il Petrarca aveva promesso di donare i propri libri alla Repubblica veneta, così il F. lasciò i suoi codici alle biblioteche dei conventi di S. Margherita degli agostiniani e di S. Francesco dei frati minori a sostegno della formazione dei religiosi.
Il F. morì a Treviso nel 1373, e venne sepolto nella tomba di famiglia presso il convento domenicano di S. Nicolò.
Nel 1335, nella nota autografa sopra ricordata, il F. aveva annotato gli acquisti che intendeva fare a Venezia, lasciando in questo modo la più antica testimonianza a noi nota di una collezione di arte e di archeologia: il documento, pubblicato la prima volta dall'Azzoni Avogaro, poi ancora - pur non sempre integralmente - nei due secoli successivi fino all'edizione fattane dal Gargan nel 1978, elenca vari oggetti d'arte, rappresentati soprattutto da sculture, pitture, disegni, opere di autori antichi e contemporanei (i Tedaldo, Paolo e Marco Veneziano). L'attenzione del F. era caduta anche su due importanti altorilievi di marmo, provenienti dal trono di Saturno della basilica ravennate di S. Vitale e risalenti ai primi secoli dopo Cristo, oggi conservati presso il Museo archeologico di Venezia e ai quali si ispirarono poi il Mantegna, i Lombardo, il Sansovino.
Accanto agli oggetti, nella nota erano elencati anche codici di contenuto sia classico (Ovidio, Cicerone, Livio, Sallustio, ma anche Orazio in più copie, Apuleio, Frontino, Seneca, ecc.) sia medievale (da Beda e Alcuino, ai commenti di Tommaso e Averroè, alle opere più importanti di Aristotele). Ma la documentazione del patrimonio librario del F. è tramandata soprattutto da due inventari (Gargan, 1978): il primo redatto dagli esecutori testamentari il 29 nov. 1374 per poter provvedere alla spartizione dei libri tra i due conventi trevigiani, come disposto dal testatore; il secondo compilato nel 1378 dai frati di S. Margherita con la descrizione, accanto ad altri lasciti, dei libri lasciati dal Forzetta. Segnalati dal Biscaro nel 1903, questi due inventari sono un'importante fonte d'informazione sulla diffusione dei testi classici a Venezia e Treviso nel Trecento.
Nonostante le raccomandazioni del F., che voleva i suoi codici assicurati ai banchi dalle catene, la collezione libraria andò anch'essa presto dispersa. Dietro a questo ricco patrimonio c'era un ambiente culturale - veneziano ma anche di Terraferma - che il F. frequentò assiduamente, tanto da far avanzare l'ipotesi (di difficile verifica, secondo il Gargan, 1978) che egli non fosse stato solo cultore e collezionista di libri, ma anche autore della Canzone di Aulivier (Brugnolo, 1976).
Fonti e Bibl.: Treviso, Bibl. comunale, mss. 639, 1089, 1341: N. Mauro, Genealogie delle famiglie trevigiane: s.v.Fortiae seu Sfortiae: che riproduce, tra l'altro, lo scudo gentilizio del F.; G.B. Verci, Storia della Marca Trivigiana e Veronese, XIII, Venezia 1789, doc. MDXLIV, pp. 48 s.; R. Azzoni Avogaro, Trattato della zecca e delle monete ch'ebbero corso in Trivigi fin tutto il secolo XIV, in G.A. Zanetti, Nuova raccolta delle monete e delle zecche d'Italia, IV, Bologna 1786, pp. 151 s.; G. Biscaro, L'ospedale di Treviso e i suoi benefattori, Treviso 1903, pp. 49-69, 118; R. Weiss, The Renaissance discovery of classical antiquity, Oxford 1969, pp. 28 s.; L. Gargan, O. F. e la diffusione dei testi classici nel Veneto al tempo del Petrarca, in Classical influences on European culture, A.D. 500-1500, a cura di R.R. Bolgar, Cambridge 1971, pp. 73-80; F. Brugnolo, I Toscani nel Veneto e le cerchie toscaneggianti, in Storia della cultura veneta, 2, Il Trecento, Vicenza 1976, p. 375; L. Gargan, Il preumanesimo a Vicenza, Treviso e Venezia, ibid., pp. 168 ss.; G. Netto, Nel '300 a Treviso: vita cittadina vista nell'attività della scuola S. Maria dei Battuti e del suo ospedale, Treviso 1976, ad Ind.; L. Gargan, Cultura e arte nel Veneto al tempo del Petrarca, Padova 1978, ad Ind.; I. Favaretto, Arte antica e cultura antiquaria nelle collezioni venete al tempo della Serenissima, Roma 1990, pp. 39-45; Storia di Treviso, a cura di E. Brunetta, II, Il Medioevo, a cura di D. Rando - G.M. Varanini, Venezia 1991, pp. 157, 187, 463, 479, 486.