GATTI, Oliviero
Non si conoscono gli estremi biografici di questo incisore, originario di Piacenza ma operante prevalentemente a Bologna tra l'ultimo decennio del Cinquecento e la prima metà del secolo successivo.
Tra gli autori locali Ambiveri e Mensi indicano come anno di nascita del G. il 1579, senza tuttavia specificare la fonte di riferimento; le ricerche di Rapetti negli archivi piacentini non sono riuscite a confermare o smentire tale notizia.
Un'ambigua affermazione di Malvasia (cui era pur nota l'origine piacentina del G.), che lo dice "d'origine parmigiano", è probabilmente alla base dell'equivoco che fino alla fine del XVIII secolo - da Baldinucci a Gori Gandellini, a Zani - vuole il G. parmense, nonostante in gran parte delle sue incisioni l'artista si firmi per esteso "Oliviero Gatti piac.". È comunque presumibile, anche se non sicuro come riteneva Pelicelli, un soggiorno di studio dell'artista a Parma dove potrebbe essere avvenuto l'incontro con il pittore locale Innocenzo Martini cui spetta il disegno di Apollo e Minerva ai lati dello stemma di un cardinale, inciso dal G. in data imprecisata (Ill. Bartsch, n. 47).
Citato per la prima volta nella Bologna perlustrata di Masini (1666), che però non riporta informazioni significative, il G. fu considerato più compiutamente da Malvasia (1678) che lo descrisse come allievo a Bologna dapprima di Agostino Carracci e, dopo la morte di questo nel 1602, aggregato alla bottega di Giovanluigi Valesio, accanto al più modesto Andrea Salmincio e nell'orbita dell'Accademia dei Mirandola. E datata 1602, effettivamente, è la stampa con S. Gerolamo che abbraccia il Crocifisso (idid., n. 28), unica incisione nota del G. tratta da una composizione di Agostino. Ancora da Malvasia è da ricavarsi l'approssimativo esordio bolognese del G. in un periodo circoscrivibile all'ultimo decennio del Cinquecento, essendo da lui tramandata la notizia secondo la quale al momento dell'aggregazione del G. alla compagnia dei pittori, il 2 genn. 1626, gli fu concesso ex gratia il pagamento di sole 20 lire invece delle 40 dovute dai membri forestieri, in base a una residenza cittadina definita più che trentennale. Se se ne accetta l'attribuzione al G., d'altronde, l'illustrazione del frontespizio per il De curtorum chirurgia di Gasparo Tagliacozzo (G. Bindoni iunior, Venetiis 1597), raffigurante Le armi dei Gonzaga fra Ippocrate e Galeno (Bartsch, p. 23 n. 59), confermerebbe che nel 1597 l'artista era già attivo come incisore.
Un ulteriore dato biografico riguardo al soggiorno bolognese del G. è stato rintracciato nei manoscritti di Malvasia per la Felsina pittrice (ora editi in Scritti originali…) dove si legge "2 gennaio 1612 Aurelia Francesca filia di Oliviero Gatti, sua moglie e Santa Maria della Piscaria", presumibile annotazione della data di battesimo di una figlia dell'artista.
Con il trasferimento a Bologna, non dovettero tuttavia cessare i rapporti del G. con la città natale, come dimostra la nota serie di quattro incisioni tratte dagli affreschi realizzati dal Pordenone nella chiesa piacentina di S. Maria di Campagna, datate tra il 1606 e il 1625 e derivate dai medaglioni a monocromo della cupola raffiguranti La creazione del mondo, La creazione di Adamo, Il sacrificio di Isacco,Giuditta e Oloferne (Ill. Bartsch, nn. 1-4; Arisi - Arisi, p. 198).
Nel 1618 il G. fu chiamato a Cento dal padre Antonio Mirandola, protettore del Guercino, allo scopo di incidere su rame gli studi eseguiti da quest'ultimo per I principi del disegno, successivamente riuniti in un volume dedicato al duca di Mantova e pubblicato nel 1619 (Malvasia, 1678, p. 259). È probabilmente in occasione del viaggio a Cento che il G. entrò in rapporto con Giovanni Battista Pasqualini, il più importante e prolifico interprete del Guercino, del quale fu forse anche maestro (Bagni).
Si tratta di una serie di stampe composta da 22 fogli le cui lastre corrispondenti entrarono successivamente in possesso di Giovannni Giacomo De' Rossi il quale ne diffuse le versioni in secondo stato apponendovi oltre all'indirizzo della sua bottega romana, anche la scritta "questo è il vero originale", probabilmente per distinguerle dalle copie fatte stampare sia da P. Mariette a Parigi nel 1642, sia da Bernardino Curti a Reggio Emilia nel 1650 (Disertori, pp. 284 s.).
Nella vita di Gianbattista Ruggieri il Malvasia (1678, p. 252) fornisce un'informazione interessante secondo cui il G. nel 1621 avrebbe tenuto stanza e bottega in una "cappella serrata" fuori dalla chiesa di S. Petronio insieme con i pittori Lorenzo Garbieri e Francesco Brizio. La contiguità con Garbieri è del resto confermata da un'incisione del 1626 raffigurante una Madonna accarezzata dal Bambino Gesù (Ill. Bartsch, n. 26) e recante la scritta "Laurentius Garberius invenit", mentre per Moscone (1974) è da ricondurre a un'invenzione di Brizio la stampa con un ritratto equestre di Vincenzo Gonzaga (Ill. Bartsch, n. 53).
L'idea che il G. abbia potuto cimentarsi anche nella pittura, suggerita dalla notizia della condivisione dello studio con Garbieri e Brizio, è suffragata da una voce dell'Inventario dei quadri esistenti nel palazzo di giardino di Parma del 1680 circa (Campori) che testimonia la presenza nella "sala della fontana" di "un quadro alto br. 5, largo br. 5 onc. 1, S. Agostino a sedere con gran barba in abito episcopale: tiene le mani sopra libri sostenuti da diversi puttini. Dal Pordenone, copia di Oliviero Gatti": quadro che derivava ancora una volta da un affresco in S. Maria in Campagna (Arisi - Arisi, p. 164).
L'opera del G. è relativamente ampia; dalle 140 stampe descritte da Bartsch, Rapetti è arrivato a contarne fino a 167, elencate in ordine cronologico, di cui 151 datate e firmate, cinque non datate ma firmate e 11 solo attribuite. Alcune di esse sono dette rarissime da Ticozzi e da Bartsch.
La schedatura delle stampe del G. proposta da Borghini, il quale ne conta 170, offre un'utile sinossi per generi e permette di qualificare la produzione dell'artista soprattutto in funzione della sua attività di illustratore di frontespizi, imprese nobiliari - per le quali è forte il riferimento all'opera incisa di Agostino Carracci - ed emblemi, in buona parte, riconducibili a disegni di sua invenzione, ma talvolta tratti da composizioni altrui, come nei casi di Garbieri, Agostino Carracci, Martini e Brizio. Da Ludovico Carracci è derivata invece l'incisione del Duca di Mantova tra sei divinità pagane (Ill. Bartsch, n. 46).
Tra le stampe a soggetto sacro, oltre alla traduzione dagli affreschi del Pordenone a Piacenza, molto note sono le sedici scene della Vita di Maria concepite per il volume L'Addolorata Madre di Dio, poema epico pubblicato a Bologna nel 1626 dal monaco geronimiano Bassiano Gatti (Mensi), anch'egli piacentino e forse legato al G. da parentela, come ipotizza Malvasia. E celebre è anche l'incisione raffigurante Il beato Raimondo Palmerio (1615), inserita nella Vita di s. Raimondo Palmerio di P.M. Campi, parimenti piacentino (Ill. Bartsch, n. 29).
Tra le opere letterarie per le quali il G. elaborò un frontespizio, meritano di essere ricordate il Primum mobile di G.A. Gagini (Bologna 1609), la Historia della vita et miracoli del beato p.f. Giovanni di San Facondo di F. Antoline (Bologna 1615), nonché le cinquantadue incisioni per la serie degli Emblemata di Paolo Maccio (Bologna 1628; Ill. Bartsch, rispettivamente, nn. 60, 55, 66-117).
Un'analisi compiuta sullo stile del G. non è stata ancora condotta; ma è tuttavia significativo il giudizio che ne dà Malvasia (1678) il quale, giudicandolo provvisto di "meno fondamento" rispetto ai suoi maestri, deplora più specificatamente che il suo bulino non riuscisse a riprodurre "que' bei segnoni interi e arrischiati del secondo maestro, stentacchiandoli e rompendoli in modo che dimostrano sempre pusillanimità e timore". Bartsch, riprendendo un giudizio di De Angelis, nota che il G. pur avendo talento, immaginazione e gusto, utilizza un tipo di disegno non sempre puro "surtout dans les extrémités". Turner ritiene invece che in rapporto a Pasqualini le realizzazioni del G. siano "more refined", rivelatrici della sua formazione su Agostino Carracci e Valesio.
Nonostante la produzione incisoria del G., organicamente distribuita nel corso dei primi tre decenni del secolo, non si spinga nel suo complesso oltre il 1630, il frontespizio per l'opera di Ottavio Amorini, Sacratissimae vitae Reginae, raffigurante La Vergine e il Bambino in un trono celeste (Ill. Bartsch, n. 56) è datato 1651: tale termine è stato utilizzato dalla critica come ante quem non per la morte del G., anche se non è certo verosimile che nel corso del ventennio intermedio l'artista sia restato pressoché inattivo.
Ignoto rimane pertanto l'anno di morte del Gatti. Una ricerca condotta sui manoscritti Carrati della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna relativi ai registri dei morti della città ha permesso di supporre che l'artista sia morto altrove (Bagni, p. 6 n. 6).
Fonti e Bibl.: G.A. Masini, Bologna perlustrata, I, Bologna 1666, p. 635; C.C. Malvasia, Scritti originali… spettanti alla sua Felsina pittrice (sec. XVII), a cura di L. Marzocchi, Bologna 1982, p. 111; Id., Felsina pittrice. Vite dei pittori bolognesi (1678), a cura di G. Zanotti, II, Bologna 1841, pp. 104, 252, 259; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno… (1681-1728), a cura di F. Ranalli, III, Firenze 1846, p. 320; G. Gori Gandellini, Notizie istoriche degli intagliatori (1771), II, Siena 1808, p. 58; P. Zani, Enciclopedia metodica… delle belle arti (1794), IX, Parma 1822, p. 314; L. De Angelis, Notizie degli intagliatori… aggiunte a G. Gori Gandellini, X, Siena 1812, pp. 109 s.; A. Bartsch, Le peintre graveur (1819), XIX, Leipzig 1870, pp. 3-32; S. Ticozzi, Dizionario degli architetti, scultori, pittori…, II, Milano 1831, s.v.; C. Le Blanc, Manuel de l'amateur d'estampes, II, Paris 1856, pp. 271, nn. 1-87; C. Campori, Raccolta di cataloghi ed inventari inediti, Modena 1870, p. 242; P. Martini, L'arte dell'incisione in Parma (1873), in Quaderni parmigiani, I (1969), p. 30; L. Ambiveri, Gli artisti piacentini, Piacenza 1879, pp. 100-102; L. Mensi, Dizionario biografico piacentino, Piacenza 1899, p. 199; G.K. Nagler, Die Monogrammisten, IV, München-Leipzig 1919, p. 807, n. 2654; B. Disertori, La Regia Calcografia,VI, Il Guercino e i suoi incisori nel Seicento, in Emporium, LXV-LXVI (1927), 395, pp. 280-296; N. Pelicelli, Il pittore Innocenzo Martini, in Aurea Parma, XI (1927), p. 138; A. Rapetti, Un incisore piacentino del primo Seicento: O. G., in Bollettino storico piacentino, XXXVIII (1943), pp. 1-11 (con bibl.); C.A. Petrucci, Catalogo generale delle stampe tratte dai rami incisi posseduti dalla Calcografia nazionale, Roma 1953, pp. 65, 233; G. Borghini, L'incisione e la litografia piacentina, Piacenza 1963, pp. 30-40 (con bibl.); G. Gaeta Bertelà - S. Ferrara, Incisori bolognesi ed emiliani del sec. XVII, Bologna 1973, nn. 695-700, tavv. 615-700; L. Moscone, in Diz. encicl. Bolaffi dei pittori… italiani, V, Torino 1974, p. 301; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani al Gandolfi, Bologna 1977, p. 163; The Illustrated Bartsch, XLI (19.1), Italian masters of the seventeenth century, a cura di J. Spike, New York 1981, pp. 11-132; F. Arisi - R. Arisi, S. Maria di Campagna a Piacenza, Piacenza 1984, pp. 164, 198; D. De Grazia, rec. a M. Myers - L. Turcic, Emilian drawings and prints in the Metropolitan Museum of art. 1500-1700, in The Print Quarterly, IV (1987), p. 298; P. Bagni, Il Guercino e i suoi incisori, Roma 1988, pp. 6 s. (N. Turner, rec., in The Print Quarterly, VIII [1991] pp. 187 s.); M. Chappel, O. G. invenit, in Master drawings, XXXI (1993), pp. 407-409; XXXIII (1995), pp. 188 s. fig. 1; B. Bohn, ibid., p. 189, fig. 2; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 252 s.