OLOCAUSTO (dal gr. ὁλοκαύτωμα, da ὅλος "tutto" e καίω "brucio")
È quella specie di sacrificio in cui la vittima, dopo l'immolazione, viene consumata interamente dal fuoco sull'altare senza riservarne parte alcuna per uso di comunione, banchetto sacro o altro.
L'olocausto si può offerire a divinità supere o infere. Non v'è traccia di esso nei rituali di Babilonia e d'Egitto. Presso i Persiani troviamo (Erodoto, I, 132) una forma di sacrifizio, da interpretare come un pasto offerto alla divinità: le carni della vittima venivano cotte e offerte su un cuscino d'erba, senza comunione dei presenti; ma l'offerente poteva portarle a casa. In Creta si trova il vero olocausto come sacrificio funerario. Ne fanno fede gli avanzi di carbone e le ossa annerite di animali trovate nelle tombe. Una delle facce maggiori del sarcofago dipinto di Hagía Triáda rappresenta un'offerta di animali al defunto, raffigurato in piedi davanti alla tomba. Dalla civiltà egea l'olocausto è passato alla greca, come sacrificio alle divinità ctonie. Veniva compiuto di notte, sull'ἐσχάρα (v. altare, II, p. 684) o dentro una fossa appositamente scavata. La vittima doveva essere nera, e tenuta col muso rivolto a terra; uccisa, e fattone scolare il sangue entro la terra, veniva posta, senza smembrarla, sul fuoco che la consumava completamente.
Gli Ebrei, secondo l'opinione di G. Kittel, avrebbero ricevuto l'olocausto da Creta, attraverso i Filistei. A Jahvè si offrivano giornalmente all'alba e al tramonto agnelli per il popolo e vittime maggiori il sabato e nelle altre feste; dai privati, l'olocausto era offerto in caso di malattia, per rimuovere impurità, ecc. Scelta la vittima, di sesso maschile e corporalmente perfetta, e immolata, se ne separava il sangue che, come elemento vitale per eccellenza, non doveva essere bruciato, e se ne cospargeva l'altare; poi, squartata la vittima, le singole parti, debitamente mondate, erano bruciate sull'altare, insieme con farina, orzo, vino.
Bibl.: v. sacrifizio.