OLTOS (῎Ολπος)
Ceramografo attico operante circa l'ultimo venticinquennio del VI sec. a. C. O. è una delle personalità centrali della prima generazione di pittori a figure rosse: si può anzi dire che insieme ad Epiktetos riassume tutto lo sviluppo formale di quel "genere" importantissimo che è la pittura di coppe.
Le opere a lui assegnate da J. D. Beazley superano il centinaio e altre sono venute ad aggiungersi negli ultimi tempi in seguito alle ricomposizioni dei frammenti del Louvre e a trovamenti o riconoscimenti recenti. Come si è detto O. è innanzi tutto un pittore di coppe, ma restano di lui alcuni grandi vasi estremamente elaborati e curati, tra cui i due singolari tentativi di tradurre in tecnica a figure rosse la forma dell'anfora nicostenica (Louvre G 2, G 3) O. collabora con i vasai Kachrylion, Tleson, Pamphaios, Chelis ed Eùxitheos, quest'ultimo considerato da H. Bloesch il creatore delle grandi coppe monumentali. Inoltre in una coppa di Napoli (n. 2615) si ha un curioso esempio di collaborazione pittorica con il Pittore di Chelis. O. non firma con la stessa frequenza di Epiktetos, che anzi le due uniche firme sono su opere tarde e particolarmente impegnative, le due coppe di Berlino 2264 e di Tarquinia provvedute dal vasaio Euxitheos: frequenti sono d'altra parte nelle opere da lui dipinte le firme di vasai e quasi distintiva l'acclamazione Memnon kalòs.
Come pittore di grandi vasi O. si rivela brillante e accurato: si può dire anzi che, dato che il principale pericolo per O. è la vitalità traboccante e la tumultuosa energia, quell'arresto meditativo che è richiesto per organizzare la decorazione di un grande vaso - si veda particolarmente l'anfora di Vienna con il ratto del tripode - torna decisamente a suo vantaggio. D'altra parte la sua personalità si esplica così compiutamente nel rapido, minuto racconto di una coppa o di un piatto, che le grandi figurazioni fanno un poco l'effetto di trasposizioni. A parte certe felici eccezioni, quali l'anfora sopraricordata e l'eccezionale stàmnos E 437 di Londra con Eracle e Achebo, manca nei grandi vasi il tono di monumentalità così felicemente realizzato dal Pittore di Andokides e dagli altri grandi maestri della prima generazione di pittori a figure rosse, Phintias, Euthymides, Psiax.
Anche l'effimero tentativo di impiegare nella tecnica a figure rosse l'anfora nicostenica con piccoli campi figurati sembra di poter intendere come una predilezione a mantenere anche in vasi di grandi proporzioni l'esposizione minuta e rapida consueta nelle coppe e nei piatti.
L'opera più significativa di O. è quindi da vedere nella decorazione di coppe a lui insieme con Epiktetos che si deve il laborioso sviluppo della coppa attica dalla fase ancora bilingue alla vera e propria coppa a figure rosse. Per un certo periodo l'opera dei due artisti sembra svilupparsi parallelamente, tanto chè, per quanto riguarda la sintassi decorativa, la forma e la posizione degli occhi, il tipo e l'impiego delle palmette, l'accordo può dirsi assoluto. È solo nella figura umana che la forma tersa e meditata di Epiktetos si eleva e si distacca senza incertezze dalle rapide, veementi e vitalissime figurine di Oltos. Appunto per questa indiscutibile superiorità pittorica di Epiktetos, si sarebbe tentati di assegnare ad O., artista più modesto e più legato alla tecnica e alla forma del vaso, l'attività di sperimentatore e di innovatore. La convessa elasticità dei grandi occhi negli esterni delle coppe, la sostanziosa solidità delle palmette a ventaglio e l'invenzione di quei singolari bocciuoli di consistenza quasi metallica che serpeggiano nella regione delle anse, rappresentano nell'opera di O. un apporto altrettanto individuale e importante quanto le piccole figure umane occasionalmente inserite in questo complesso. Alle volte è invece un naso o un oggetto inanimato di dimensioni assai ridotte, un mero accento, che prende posto tra gli occhi, quasi a confermare l'idea centrale della maschera gorgonica riassunta nei suoi elementi più spettacolari. In seguito il distacco tra gli occhi aumenta sino a consentire l'inserzione di un gruppo di tre e poi cinque figure; e forse per effetto di questa diastole. O. esperimenta e abbandona immediatamente il partito che rimarrà invece favorito nell'opera dei Pittori Bowdoin e Scheurleer di rovesciare il rapporto occhio-palmetta, trasportando quest'ultima al centro e relegando presso le anse gli occhioni. Procedimento questo illogico e insoddisfacente, che si può ritenere sia stato occasionalmente adottato perché permetteva di congiungere il sopracciglio arcuato dell'occhio con lo stelo della palmetta. Nell'opera di O. l'intero processo di sviluppo è possibile seguire sino alle splendide, sontuose affermazioni costituite dalle tarde coppe fabbricate da Euxitheos. In particolare la coppa di Tarquinia per l'eccezionale ampiezza delle dimensioni e per l'elevatezza delle figurazioni sviluppate sulle pareti - concilio degli dèi e partenza in carro di Dioniso - rappresenta il punto di arrivo ideale e la consacrazione di una forma che rimarrà così fissata per più di un secolo. Ugualmente dalle piccole figure vivide e guizzanti tra gli occhioni alla solenne, sostenuta esposizione del concilio degli dèi sembra di poter misurare tutto il processo evolutivo del maestro. O. ha accettato, per quanto era possibile al suo temperamento, le lezioni dei grandi contemporanei, in particolare Euphronios e il Pittore di Andokides. Mentre di necessità questi atteggiamenti di elaborata maguiloquenza lo hanno portato quanto mai lontano dalla limpida musicalità lineare del suo antico associato Epiktetos. Le mobilissime figurine di atleti e di komastài hanno acquistato, almeno sino a un certo punto, di ampiezza e di solidità. Le curiose strutture umane dagli arti ridottissimi e le grosse teste impostate su spalle poderose quasi senza collo si sono adattate a ritmi più distesi e controllati. Si ha tuttavia l'impressione che tale progresso sia in certo modo esteriore, come se la varietà di esperienze assimilate non abbiano comunicato all'artista una vera maturità. E con tutta la sontuosità del linguaggio la coppa di Tarquinia ci appare in certo modo arcaizzante in confronto alle opere contemporanee, e certo meno fresca e genuina delle travolgenti operette della prima maniera.
È singolare che a lato delle vivide e brillanti immagini a figure nere nelle coppe bilingui non sia stata riconosciuta nessuna opera completa in questa tecnica alla mano di Oltos.
Bibl.: J. D. Beazley, Red fig. in Am. Mus., p. 7; E. Langlotz, Zeitbestimmung, Lipsia 1920, p. 10; E. Pfuhl, Maler. u. Zeichn., Monaco 1923, p. 431; J. D. Beazley, Vasenm. Rotfig., pp. 10; 461; F. Johnson, in art Bulletin, XIX, 1937, p. 517; A. Bruhn, Oltos, Copenaghen 1943; J. D. Beazley, Red-fig., p. 34; id., Potter and Painter in Anc. Athens, Londra 1945, p. 27 ss.; D. v. Bothmer, in Am. Journ. Arch., LIX, 1955, p. 357; F. Villard, C. V. A., Louvre, X, 1951, 1-5.