Oltre la spera che più larga gira
Sonetto della Vita Nuova (XLI 10-13), su schema abba abba; cde dce, presente in numerosi codici e nalla Giuntina del 1527.E l'ultima lirica del libro, e D. ne sottolinea il significato conclusivo ponendola in immediata relazione sia con la mirabile visione accennata nell'ultimo capitolo (XLII 1), sia con la nuova materia annunciata nel cap. XXX 1 e svolta nelle canzoni Li occhi dolenti (XXXI) e Quantunque volte (XXXIII), nei sonetti Era venuta (XXXIV) e Venite a intender (XXXII) e infine, dopo l'episodio della ‛ Donna gentile ', nei sonetti Lasso! per forza (XXXIX) e Deh, peregrini (XL).
Nella prosa, infatti, afferma di averla inviata, insieme con Venite a intender e Deh peregrini, a due donne gentili che gli avevano richiesto alcune di queste sue parole rimate, proponendo implicitamente i tre testi come rappresentativi della propria vicenda spirituale conseguita alla morte di Beatrice. E in effetti essi delineano una storia, un movimento progressivo: se Venite a intender si concludeva, come le due canzoni contigue, con l'immagine dell'anima scorata, abbandonata de la sua salute (XXXII 6 14), e portata a dispregiar... questa vita (v. 12), a un affranto desiderio di morte, Oltre la spera è il definitivo ritorno alla ‛ lode ', un inno alla ‛ gloria ' di Beatrice, con un definitivo passaggio dall'ambito metaforico a quello metafisico, corrispondente all'intima tensione del libro.
Questa soluzione è preparata, dopo il superamento della tentazione di un nuovo amore terreno, dal ritorno al pianto come fedeltà e riconquista del senso sacrale della morte - e della vita - di Beatrice (son. Lasso! per forza) e quindi dal placarsi del dolore nell'elegia contenuta, pur se vibrante d'intimo affetto, di Deh peregrini, dove le immagini dei pellegrini pensosi, del loro indefinito andare, della città dolente assurgono a emblema del pathos cristiano del cammino e della speranza e prefigurano il peregrino spirito del nostro sonetto, la sua dialettica di smarrimento e, al tempo stesso, di strenua, intatta fedeltà dinanzi alla soverchiante visione di Beatrice beata.
La fronte del sonetto costituisce una sorta di epilogo in cielo di tutta la storia. Il pensiero di D., peregrino, cioè fuori della sua patria, della sua terrena relazione col senso, s'innalza spiritualmente sino all'Empireo per virtù di una intelligenza nova ispirata in lui dall'amore purificato dal pianto; là esso contempla Beatrice che riceve onore, / e luce (XLI 11 6-7), come in Pd XXXI 70-72. L'ampia voluta sintattica delle quartine asseconda l'impeto visionario dell'immaginazione, che si definisce peraltro in un dettato di luminosa certezza, costruito su un solido e vigoroso impianto concettuale, senza la tensione iperbolica, il tremore di miracolo o la dolcezza trepida delle altre rime della lode; e anche la rinuncia a ogni caratterizzazione fisica della donna, trasfigurata in pura luce e intatto splendore, segna il superamento di quel pathos di effimero che insidiava, prima, la contemplazione, pur beatificante, di una bellezza terrena. Poi, la sirima, con una sapiente, progressiva smorzatura, riconduce il senso della fugacità della visione, ristabilisce, dopo il rapimento estatico, la coscienza di un distacco, di una distanza incolmabile: Beatrice continua a vivere in terra soltanto nel ricordo e nella nostalgia di D., nella sua umile attesa di lei di là dai consueti parametri del tempo e della vita. La prima terzina sottolinea l'incapacità dell'intelletto del poeta di comprendere l'essenza nuova di Beatrice, divenuta intelligenza separata da materia (e qui, oltre alla citazione aristotelica della prosa, andrà ricordato anche Cv II IV 17); la seconda esprime un sommesso fremito di nostalgia in un linguaggio affettivo spoglio ma essenziale: il commiato dal compartecipe coro femminile (donne mie care), l'allusione rapida ma significativa al possesso della memoria (v. 13).
La prosa rinuncia a ricondurre la tematica del sonetto a una dimensione lirico-narrativa, ed è soprattutto intesa a porne in evidenza la struttura concettuale attraverso una ‛ divisione ' rigorosamente consequenziaria sul piano logico e dottrinale. Questo sembra indicare una stretta connessione temporale fra i due testi e il deciso affermarsi di una vocazione filosofica in D. nel tempo in cui li veniva componendo. Tale aspetto non è sfuggito agl'interpreti.
Il Nardi e il Klein hanno acutamente indagato la portata teoretica del sonetto, insistendo sugli apporti della filosofia scolastica e, il secondo, anche sugl'influssi neoplatonici. Altri, come il Marigo e, ma con discorso assai più equilibrato, il Branca, hanno avvertito in esso l'influsso del pensiero mistico, vittorino e francescano: l'esperienza qui rappresentata sarebbe, secondo il Branca, affine (pur senza una corrispondenza rigorosa) a quella della mistica contemplatio; l'esaltazione dell'essenza incorporea e angelica di Beatrice sarebbe preludio e guida alla visione della gloria di Dio, accennata anche nell'ultimo capitolo. Converrà tuttavia insistere, come fa il De Robertis in polemica col Singleton, sul fatto che l'oggetto della lode resta pur sempre Beatrice e che l'amore per lei come guida a Dio non appare nei due capitoli finali del libro come affermazione risoluta né sul piano teoretico né su quello poetico. La Beatrice celeste del sonetto preannuncia senz'altro quella della Commedia, ma se si stabilisce una troppo rigida contiguità fra i due testi si rischia di non comprendere il concreto significato del primo nella storia della poesia dantesca.
Oltre la spera e la mirabile visione (XLII 1) segnano un punto di arrivo, nel libro, ma anche di crisi; la rinuncia, di fatto, all'ulteriore avventura metafisica che sarà configurata nel poema e il preannuncio più diretto del momentaneo abbandono che è, poi, sviluppo in altra dimensione, della propria esperienza poetica giovanile da parte di D., nella direzione indicata più tardi dal II libro del Convivio.
Per la critica rivolta da Cecco Angiolieri al sonetto, che ha offerto recentemente al Marti lo spunto per una serrata imputazione della tesi, sostenuta dal Pietrobono e, in parte, dal Nardi, della doppia redazione della Vita Nuova, cfr. Dante Allaghier, Cecco, tu' serv'amico. Per il rapporto fra il sonetto e i vv. 14-19 della canzone Voi che 'ntendendo, che ne riprendono sinteticamente la tematica, cfr. il commento alle Rime della maturità e dell'esilio di V. Pernicone.
Bibl. - G. Salvadori, Sulla vita giovanile di D., Roma 1906, 110-117; A. Marigo, Mistica e scienza nella Vita Nuova di D., Padova 1914, 19-23, 67-73; L. Pietrobono, Il poema sacro, I, Bologna 1915,107-108; R. Guardini, Vision und Dichtung, Tubinga 1946 (ora in Studi su D., Brescia 1967, 207-220); C. Singleton, An Essay on the " Vita Nuova ", Cambridge Mass. 1958 (trad. ital. Bologna 1968, 109-163); M. Lot-Borodine, De l'amour profane à l'amour sacré, Parigi 1961, 112-113; D. De Robertis, Il libro della Vita nuova, Firenze 1961, 115-128, 165-173; B. Nardi, Filosofia dell'amore nei rimatori del Duecento e in D., in D. e la cultura medievale, Bari 1949, 1-92; ID., D. e Guido Cavalcanti, in " Giorn. stor. " CXXXIX (1962) 481-512 (ora in Saggi e note di critica dant., Milano-Napoli 1966, 190-219, soprattutto 207 ss.); J.A. Scott, Dante's " sweet new style " and the " Vita nuova ", in " Italica " XLII (1965) 98-107; R. Klein, " Spirito peregrino ", in " Revue Études Ital. " n.s., XI (1965) 197-236; V. Branca, Poetica del rinnovamento e tradizione agiografica nella " Vita nuova ", in Studi in onore di I. Siciliano, I, Firenze 1966, 123-148 (cfr. 128-130, 147-148); Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1967, II 155-157; F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1968²,101; cfr. infine i commenti alla Vita Nuova e Barbi-Maggini, Rime 148-149.