OLUNTE (Όλοῡς)
Città-stato greca sulla costa NE di Creta, presso la sponda occidentale del golfo di Mirabello, a Ν di Lato, nelle vicinanze del moderno villaggio di Elounda. La città sorgeva sull'istmo compreso tra la terraferma e la penisola di Spinalonga, nel punto in cui un piccolo canale moderno collega il mare aperto con la baia di Elounda. oggi tuttavia parte della città è sommersa, in conseguenza di un fenomeno di abbassamento della costa iniziato già nell'antichità, e alcune rovine sono ancora visibili sott'acqua.
La storia di O. è nota esclusivamente da fonti epigrafiche. Nel III sec. a.C. la città appoggiava i Tolemei, tributò onori ai navarchi Patroklos e Kallikrates e sembra abbia partecipato alla sfortunata guerra cremonidea (267-261) contro Antigono Gonata, re di Macedonia. Intorno alla metà del III sec. O. faceva parte, insieme ad altre diciannove città, della simmachia guidata da Cnosso. All'incirca nello stesso periodo si trovava tra le ventinove città cretesi che siglarono con Mileto un trattato relativo al commercio degli schiavi. Molto importante è un trattato stretto con Rodi, datato intorno al 2oo a.C., che illustra lo sforzo di quest'ultima per ottenere una supremazia sulla parte orientale di Creta al fine di estirpare la pirateria cretese, fomentata da Filippo V di Macedonia: O. conserva solo un'indipendenza nominale e la sua politica estera dipende completamente da Rodi, alla quale deve concedere strutture portuali e assistenza militare in caso di guerra. Dopo l'annientamento dei pirati cretesi e la fine del κρητικὸς πόλεμος, la presenza militare di Rodi a O. cessa, ma non i suoi legami con la città: la maggior parte dei prosseni di questa sono rodii, e sono tributati onori ai theoròi ospiti. Un decreto congiunto di O. e Lato del 12o-116 a.C. circa riguarda alcuni negoziati svoltisi sotto l'arbitrato di Cnosso. La città di Dreros, confinante a o, viene annessa a olunte. Un decreto del II sec. a.C. onora un medico di Kasos, piccola isola presso Rodi, che aveva aiutato gli abitanti nel corso di una pestilenza. O. continuò a vivere in età paleocristiana, fino al primo periodo bizantino cretese, e fu sede di un vescovato.
Le iscrizioni forniscono informazioni anche su alcune delle istituzioni, delle feste e dei culti di olunte. È attestata la presenza dei Πάμφυλοι, una delle tre phylài doriche, assieme a quella di un'autorità di controllo, la ευνομία. Le principali divinità venerate erano Zeus Tallàios, nel cui tempio erano collocati i trattati di stato, e Britomartis, il cui xòanon era ritenuto opera di Dedalo (Paus., IX, 4o, 3) e della cui festa (Britomàrteia) abbiamo un'attestazione epigrafica. Entrambe le divinità compaiono sulle monete di O. emesse tra il 33o e il 22o a.C. circa: sono raffigurati la testa di Britomartis, con corona d'alloro e faretra, e Zeus in trono che tiene un'aquila e uno scettro. Importante era anche il culto di Asclepio, nel cui tempio si depositavano i decreti. È menzionato Zeus Meilìchios, mentre nei giuramenti si invocava Apollo Pizio; è attestata inoltre una dedica del II sec. a Serapide e Iside.
A O. non sono stati condotti scavi organici; a breve distanza a E dell'istmo, A. orlandos esplorò le rovine di una basilica paleocristiana (c.a 35 x 17 m) a tre navate separate da due file di colonne, con abside e nartece, i cui mosaici pavimentali, oltre a un'iscrizione dedicatoria del VII sec., presentano elaborati motivi geometrici e fitomorfi e alcune figure simboliche di pesci, tra i quali, grandi delfini. Più a E, in prossimità della costa, N. Platon scavò un ricchissimo deposito di età arcaica e protoclassica, contenente più di mille offerte votive di vario genere, in terracotta (comprendenti dee in trono con pòlos, pendenti a forma di protome, statuette di satiri, colombe, galli, maiali, tartarughe, uova, frutta, una sirena) e lucerne, di cui una, con non meno di settanta beccucci, è davvero eccezionale. La maggior parte degli oggetti, databile all'inizio del V sec., copia modelli rodii o è d'importazione. Nei pressi del deposito è stato individuato un grande edificio, ma non è stato identificato nessun tempio.
Un'altra basilica è stata scavata da M. Borboudakis sulla costa orientale della penisola, di fronte all'isolotto di Kolokytha, dove Spratt collocava il sito del porto. Fortemente danneggiata dal mare, misura c.a 21 x 15 m, e aveva un'abside e tre navate - delle quali la mediana più grande - separate da pilastri a sezione quadrata e collegati da parapetti poggianti su colonnine. Il tetto era verisímilmente a volta, in conformità ai modelli orientali. Si conserva parte di un pavimento a mosaico con motivi geometrici. Un'iscrizione dedicatoria, frammentaria, correva lungo un pulpito di marmo circolare. Diverse rocce della penisola portano iscrizioni in onore di Zeus Meilìchios, dedicate probabilmente da marinai e pirati. La necropoli della città si estende a o e a S dell'istmo, come indicano le diverse tombe scavate. Un insediamento preistorico e diverse necropoli sub-minoiche del periodo Tardo Minoico III Β con làrnakes - anche lignee - e pìthoi sepolcrali, in prevalenza inseriti in fenditure nella roccia e spesso con resti della cremazione, sono stati esplorati soprattutto dalla Scuola Francese (H. van Effenterre). Non restano più tracce dell'acquedotto o delle fortificazioni ellenistiche di cinque o sei corsi, viste da Spratt. Sul monte oxà, in direzione SE, si conservano diverse rovine, costituite in prevalenza da cisterne, torri e mura poligonali. Kirsten e altri ritenevano che questo fosse il sito della città più antica, successivamente spostatasi verso il suo porto, ma tali rovine, unitamente ai diversi graffiti su roccia, sembrano piuttosto da attribuire alla guarnigione ellenistica qui di stanza. La presunta esistenza in questo punto di una città chiamata Naxos è certamente una leggenda motivata dall'abbondanza di una varietà locale di pietra per affilare a umido ( Ναξία λίθος ο Κρητικὴ άκόνη), rara e molto ricercata.
Nei pressi del piccolo borgo moderno di Sta Lenikà, sulla strada tra Elounda e Haghios Nikolaos, è l’Aphrodìsion, un santuario di Ares e Afrodite, eretto nel II sec. a.C. sul luogo di un tempio del periodo geometrico citato in un'iscrizione come «antico Aphrodìsion». Questo edificio, a pianta quadrata (12 x 12 m) costruito in calcare grigio locale, scavato negli anni 1937-1938, comprende due ambienti pavimentati, dedicati uno ad Ares, l'altro ad Afrodite, entrambi con un bancone-altare sulla parete di fondo e accessibili da un unico vestibolo o pastàs a E. Sotto di esso fu trovata l’eschàra del tempio geometrico. L’Aphrodìsion, costruito sul confine tra O. e Lato, fu disputato dalle due città, ma infine fu assegnato alla seconda dall'arbitrato del senato romano, secondo il testo di un'iscrizione qui ritrovata.
A Ν della penisola un isolotto roccioso era occupato originariamente da un'antica fortezza che proteggeva l'entrata della baia, ricostruita probabilmente al tempo delle invasioni arabe e quindi, nel 1579, dai Veneziani.
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In generale: T. A. B. Spratt, Travels and Researches in Crete, I, Londra 1865, p. 122 ss.; L. Madani, Antichità cretesi, in MonAnt, VI, 1895, p. 248 ss.; Β. V. Head, Historia Nummorum, oxford 18982, p. 472; G. Gerola, Monumenti veneti dell'isola di Creta, I, Venezia 19o6, pp. 57o-611 e IV, Venezia 1932, pp. 35-36, 15o-151, 33o s., 523 s.; M. Guarducci, Inscriptiones Creticae, I, Roma 1935, p. 243 ss.; E. Kirsten, in RE, XVII, 2, 1937, cc. 25o4-25o8, s.v. olus; J. Bousquet, Le temple d'Aphrodite et d'Arès a Sta Lenikà, in BCH, LXII, 1938, pp. 386-4o8; H. van Effenterre, Querelles Cretoises, in REA, XLIV, 1942, pp. 31-51; id., Nécropoles du Mirabelle (Etudes crétoises, VIII), Parigi 1948, pp. 7-13, 47-59; id., Fortins crétois, in Mélanges d'archéologie et d'histoire offerts à Ch. Picard, Parigi 1949, II, pp. 1033-1046; V. Desborough, Protogeometric Pottery, oxford 1952, p. 260; A. Orlandos, Εξερευνησις της Βασιλικής του Ολουντος, in Prakt, 1955, pp. 336-337 e 1960, pp. 309-316 (prima basilica); Ν. Platon, C. Davaras, in KretChron, XIV, 1960, p. 512; R. F. Willetts, Cretan Cults and Festivals, Londra 1962, passim; V. Desborough, The Last Myceneans and Their Successors, Oxford 1964, p. 169, 188 s.; R. F. Willetts, Ancient Crete. A Social History, Londra 1965, passim; E. Mikrogiannakis, Η Κρητη κατα τους ελληνιστικούς χρονους (diss.), Atene 1967, pp. 52, 56 ss., 103, III ss., 176, 183 ss.; I. Pini, Beiträge zur mimischen Gräberkunde, Wiesbaden 1968, p. 78, n. 30o; M. Borboudakis, in ADelt, XXVI, 1971, Β' Chron., pp. 529-533 (seconda basilica); E. Meyer, in KlPauly, IV, 4, 1978, p. 273, s.v. ollis; C. Tiré, H. van Effenterre, Guide des fouilles françaises en Crete, Parigi 19782, pp. 96-97, 122; C. Davaras, Das Museum von Hagios Nikolaos, Atene 1982, passim-, Κ. Gallas, Κ. Wessel, M. Borboudakis, Byzantinisches Kreta, Monaco 1983, pp. 51, 426 ss.; C. Davaras, East Crete, Atene 1993, pp. 72-79.
Iscrizioni: SEG, XV, 1958, n. 567 s.; XIX, 1963, n. 597; XXIII, 1968, nn. 546-555; XXVI, 1976-1977, n. 1049; XXVII, 1977, nn. 634-644; XXIX, 1979, n. 821, 5 e 7, 830; XXX, 1980, n. 1113, XXXII, 1982, nn. 904-907.