OMAYYADI
Dinastia califfale araba che governò il mondo islamico tra il 661 e il 750, nel periodo delle conquiste che condussero sotto il controllo musulmano i territori compresi tra l'Atlantico (battaglia di Poitiers del 732) e le frontiere dell'India e della Cina (battaglia di Talas, in Sogdiana, del 751) e gettarono le basi per il plurisecolare dominio islamico.Gli O. discendevano da un'aristocratica famiglia di mercanti della Mecca (v.), che avevano accettato l'Islam relativamente tardi e più per interesse che per convinzione. Il fondatore della dinastia, Mu῾āwiyya, era governatore della Siria quando, nel 661, si proclamò califfo o vicario del profeta Maometto e ricevette il giuramento di fedeltà dei capi tribali e di altri sovrani; ciò avvenne probabilmente a Gerusalemme, circostanza che ricollega il nascente califfato alle tradizioni di potere del Vicino Oriente e del Mediterraneo e, in modo più specifico, al retroterra giudaico e cristiano dell'Islam. Come molti dei suoi successori - specialmente ῾Abd al-Malik (685-705) e Hishām (724-743) -, Mu῾āwiyya, che regnò fino al 680, condusse un'accorta politica di armonizzazione dei gruppi assai diversi che erano entrati a far parte del regno omayyade, incaricati di amministrare e organizzare le immense risorse dell'impero. Mu῾āwiyya diede inizio ai processi di integrazione degli Arabi musulmani immigrati in regioni a lunga tradizione insediativa e di coinvolgimento di cristiani, ebrei, zoroastriani, manichei, sabei e di molte altre comunità che parlavano lingue diverse nella costruzione di un impero.Le conversioni all'Islam furono numerose e dall'Andalusia al Khorasan si sviluppò un'intera classe sociale formata da musulmani di cultura non musulmana; soltanto dopo gli O. i non musulmani adottarono una cultura musulmana pienamente autonoma. Questo ruolo di transizione avuto dagli O. nella trasformazione della regione mediterranea e dell'Asia occidentale rende difficile valutare, e talvolta anche individuare, la committenza artistica di questa dinastia. Come in parte avvenne per i Carolingi, all'incirca nella stessa epoca in Occidente, gli O. determinarono cambiamenti storici di grande portata e allo stesso modo dovettero mediare il fatto di dover essere degli innovatori nello stabilire una nuova cultura e, al tempo stesso, di cercare di essere accettati in sistemi sociali dalle consolidate tradizioni politiche, sociali e culturali.Lo studio dell'arte omayyade è reso ancora più complesso dal numero, insolitamente ampio, dei monumenti conservati, alcuni dei quali tuttora in uso. Essi sono concentrati in Siria, Transgiordania e Palestina, dove si trovavano le capitali omayyadi - in primo luogo Damasco, sostituita per pochi anni da Ruṣāfa, nella Siria settentrionale - e dove si accumulò la ricchezza proveniente dal gettito fiscale e dall'enorme bottino derivato dalle conquiste, specialmente quelle nell'Asia centrale. Tuttavia i principali insediamenti musulmani nei quali si forgiò realmente la nuova cultura si trovavano in Iraq e in Arabia, o nelle zone di frontiera della Spagna e dell'Asia centrale, dove però la documentazione conservata è assai scarsa. Questa divergenza tra le fonti dell'attuale conoscenza dell'arte omayyade e le reali aree di formazione della nuova cultura musulmana rende particolarmente difficile, ma al tempo stesso molto interessante, definire i caratteri propri di quest'arte.I monumenti omayyadi possono essere discussi in ordine cronologico, pur se con alcuni dubbi circa la loro sequenza, oppure raggruppati per regioni, distinguendo per es. la produzione artistica dei centri maggiori, come Damasco, da quella delle aree rurali. Ma per affrontare problemi di ordine metodologico relativi all'arte omayyade, appare molto più utile trattare i monumenti dal punto di vista tipologico, secondo il carattere di novità e di originalità che ciascuno di essi ha avuto sia per funzione sia per forma.Un monumento che si caratterizza come originale da ogni punto di vista è certamente la Cupola della Roccia di Gerusalemme, portata a termine o, secondo alcuni studiosi, iniziata nel 691-692, come risulta da un'iscrizione. Si tratta di una costruzione quasi perfettamente geometrica: un cilindro poggiante su di un affioramento roccioso naturale, di altezza pari a due volte quella del doppio ottagono che lo circonda, con quattro ingressi posti simmetricamente. La sua originaria decorazione esterna a mosaico venne sostituita da piastrelle colorate nel sec. 16°, mentre nonostante i restauri - in generale peraltro di qualità piuttosto buona - si conserva gran parte della decorazione interna in marmo e mosaico, quest'ultima con un ricco repertorio di corone e di gioielli, in uno splendido contesto di alberi e di motivi fitomorfi. La funzione dell'edificio e la sua effettiva utilizzazione in antico sono ancora oggetto di discussione scientifica e di dibattito ideologico, ma dal punto di vista formale la costruzione rientra chiaramente nella categoria generale dei monumenti commemorativi del genere del martyrium, che si era sviluppato a partire dall'architettura imperiale romana, mentre la decorazione è realizzata nel linguaggio dell'arte mediterranea tardoantica. Il suo retroterra ideologico può essere rintracciato nelle tende del nomadismo arabico e nella Ka῾ba della Mecca. Sotto il profilo funzionale, la Cupola della Roccia è rimasta un monumento unico, senza una significativa discendenza nell'architettura islamica e con occasionali riprese, come Templum Domini, nella pittura occidentale posteriore al Rinascimento.Un'altra categoria di monumenti è rappresentata dalle moschee, che costituivano un nuovo tipo edilizio destinato a una finalità peculiare nell'Islam: ospitare l'assemblea maschile dei fedeli per scopi sia religiosi sia profani. Le prime grandi moschee, note soltanto da descrizioni letterarie, furono costruite in Arabia - soprattutto la casa del Profeta a Medina (v.) - e in Egitto: esse adottarono o reinventarono l'organizzazione spaziale ipostila e crearono una tipologia architettonica straordinariamente duttile. Gli O. trasformarono il modello, in sostanza ripetitivo e indefinito della tipologia ipostila, in un ordine strutturato. Tale trasformazione assunse due forme, sviluppatesi entrambe durante il regno di al-Walīd I (705-715): nella Grande moschea di Damasco, l'antica area del témenos romano venne trasformata in uno spazio coperto - con tre ampie navate parallele al muro sud, che è anche il muro della qibla, il quale indica la direzione della preghiera - e in uno spazio aperto circondato su tre lati da un portico. L'ingresso all'area coperta è organizzato intorno a una navata assiale, più alta, che taglia le tre navate trasversali e crea quindi verso il cortile una facciata piuttosto che non una zona di transizione continua da uno spazio aperto a uno chiuso. La navata assiale poteva essere sottolineata da una cupola già in epoca omayyade. Al pari della Cupola della Roccia, la Grande moschea di Damasco è decorata da lastre di marmo e da grandi pannelli a mosaico, dei quali si conservano soltano pochi frammenti originali che sono stati disastrosamente restaurati in anni recenti.A Gerusalemme, quella che è conosciuta come moschea alAqṣā ha una complessa storia archeologica e la sua precisa cronologia non è stata ancora del tutto chiarita; risale comunque all'epoca omayyade la costruzione di un edificio a diciassette navate perpendicolari al muro della qibla, con una navata assiale più alta e ampia, alla cui intersezione con il muro meridionale venne costruita una cupola. Alcuni particolari, come per es. la collocazione degli ingressi, furono determinati dalle condizioni locali. A un'altra serie di fattori è dovuta l'alterazione della stessa tipologia nella moschea omayyade di Medina. La simmetria di base della pianta non poté essere qui mantenuta per l'esigenza di creare una sistemazione per la tomba del Profeta. Quasi nulla si conosce della decorazione della moschea al-Aqṣā in epoca omayyade, eccezion fatta per gli straordinari esempi di intagli lignei, per i quali sono state proposte diverse datazioni. La moschea di Medina aveva una decorazione a mosaico ora scomparsa. Il sistema ipostilo venne utilizzato ancora in un gran numero di moschee commissionate dalle classi dominanti, come nel caso dell'enorme moschea di Wāsiṭ, in Iraq, costruita intorno al 700.Navate perpendicolari, navate parallele, in qualche altro caso combinazioni di singoli supporti, divennero nei secoli seguenti i fondamentali moduli costitutivi delle moschee. Fu sotto gli O. che esse raggiunsero una formalizzazione e acquisirono i punti focali essenziali: una navata assiale, un miḥrāb, la nicchia ricavata sul muro della qibla, nonché una cupola che aveva sia la valenza simbolica di commemorazione sia quella visuale di attrarre lo sguardo. Tradizioni tarde attribuirono al periodo omayyade anche la comparsa del minareto turriforme, ma la recente ricerca ha posto seriamente in dubbio tale tradizione e con ogni probabilità in età omayyade non esistevano torri per chiamare i fedeli alla preghiera.Le numerose piccole moschee, costituite spesso da un unico ambiente, attribuite al periodo omayyade su basi archeologiche, poterono non essere influenzate dalla tipologia formale creata nelle moschee imperiali di Damasco, Gerusalemme e Medina. Tuttavia, alcune delle loro forme vennero utilizzate in moschee urbane di minori dimensioni, come ad Aleppo (Siria), a Ḥarrān (Turchia), a Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī (Siria) e, in certa misura, a Bosra (Siria) e nelle moschee yemenite. Le grandi moschee dei secoli successivi trasformarono in modo straordinario le tipologie omayyadi dall'Iran nordorientale alla Spagna.Altro gruppo importante tra gli edifici omayyadi è costituito dai c.d. castelli, meglio definibili come residenze signorili costruite dai regnanti, da membri della loro famiglia o da ricchi personaggi a essi legati nelle campagne della Siria, della Palestina e della Transgiordania. Edifici analoghi possono essere esistiti anche in Arabia e in Iraq. Da un punto di vista storico-artistico, i più importanti sono quelli che hanno conservato una decorazione significativa, come Khirbat al-Mafjar (Palestina), Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī, al-Qasṭal (Giordania) e soprattutto Mshattà (Giordania), con la sua celebre facciata costituita da giganteschi triangoli decorati da elementi fitomorfi e da altri motivi (Berlino, Staatl. Mus., Pergamon-Mus., Islamisches Mus.), sebbene per quest'ultimo complesso sia stata recentemente proposta una datazione un poco più bassa. Scavi recenti a Ruṣāfa e nella media valle dell'Eufrate (Madīnat al-Far) hanno portato alla luce composizioni architettoniche piuttosto insolite, per le quali non è stata ancora individuata la relazione con i quartieri di abitazione.Tutti questi complessi comprendevano un ampio edificio a carattere residenziale (generalmente di m 70 di lato; m 140 nel caso di Mshattà), con torri angolari e laterali, spesso utilizzate come latrine, un unico ingresso, una corte con un portico e vari raggruppamenti di ambienti, almeno uno dei quali disposto a costituire un vero e proprio appartamento. Accanto o intorno alla zona residenziale si disponevano spesso bagni, piccole moschee e giardini, più o meno strutturati, spesso con elaborati giochi d'acqua. La caratteristica più notevole è comunque rappresentata dalla stupefacente ricchezza della decorazione, che comprende sculture in pietra e in stucco, con motivi sia decorativi sia figurativi, pitture su pareti, soffitti e pavimenti, nonché mosaici pavimentali.Al di là degli aspetti iconografici e stilistici, del problema del loro significato e dell'origine delle maestranze che le eseguirono, queste opere illustrano la straordinaria ricchezza della committenza omayyade, che rivoluzionò l'aspetto del paesaggio nelle regioni orientali del bacino del Mediterraneo. Più difficile risulta decidere se questa creatività omayyade debba essere considerata come originale creazione della dinastia oppure se, come sembra preferibile ipotizzare, si tratti di nuove espressioni di tradizioni che erano esistite ovunque nell'Impero romano e di cui rimangono testimonianze in Tunisia e in Sicilia.La stessa incertezza circa la loro reale originalità si ripropone per quanto riguarda gli esempi, insolitamente numerosi, di pianificazione urbana omayyade e lo sviluppo di un'architettura in funzione urbana. Qaṣr al-Ḥayr al-Sharqī (Siria), ῾Anjar (Libano), Kūfa (Iraq), Ramla (Palestina), Raqqa (Siria), Baṣra (Iraq), al-Fusṭāṭ (Egitto), Kairouan (Tunisia), Wāsiṭ (Iraq) e al-Faw (Iraq) costituiscono altrettanti esempi di città nuove omayyadi; sussistono inoltre, in epoca omayyade, prove di una considerevole attività anche in centri più antichi, quali Gerusalemme, Damasco, Gerasa, ῾Ammān e Baysān. Poco si è conservato dell'edilizia residenziale di queste città, ma si hanno sufficienti testimonianze dell'esistenza di un edificio espressamente destinato all'amministrazione, il dār al-῾imāra, che poteva avere funzione sia residenziale sia di edificio governativo, per es. a Qaṣr al-Ḥayr al-Sharqī, a Kūfa, forse a Gerusalemme.Si sviluppò anche un'architettura destinata al commercio, come per es. nei grandi caravanserragli a Qaṣr al-Ḥayr alSharqī, forse a Jabal Says (Siria) e nelle botteghe ritrovate ad ῾Anjar, Palmira e Baysān. Nell'esempio molto insolito di Qaṣr Kharāna (Siria) si ha un singolare edificio con numerosi ambienti riccamente decorati, che potrebbero aver costituito un luogo di sosta per viaggiatori o comunque una qualche sorta di luogo di incontro. È possibile che gran parte di questa nuova architettura urbana e commerciale abbia semplicemente ripreso, e forse sviluppato, tradizioni già ben affermate nell'arte della Tarda Antichità in tutta l'area mediterranea e nell'Asia centrale, ma non è escluso che tale architettura rifletta i grandi cambiamenti nell'economia mondiale che si ebbero in seguito all'affermarsi della civiltà islamica.Tra i numerosi bagni di epoca omayyade conservati, il più famoso è quello di Quṣayr ῾Amrā (Giordania), nel quale le pareti di ogni ambiente sono ricoperte da affreschi, straordinariamente ben conservati, che costituiscono uno dei più originali complessi di pittura decorativa profana del Medioevo sia in Oriente sia in Occidente. I soggetti vanno dal fantastico fin quasi al pornografico, dalle rappresentazioni pseudoscientifiche dei cieli fino ai differenti tipi di caccia. Se posta a confronto con la grande arte di Antiochia o di Costantinopoli, la qualità di tali pitture non è molto elevata, ma esse possono costituire un valido esempio dell'arte 'quotidiana' in tutta l'area mediterranea. Dal punto di vista tecnico, questi bagni si ricollegano alle tradizioni stabilite in epoca imperiale romana e sviluppatesi nelle piccole città e negli insediamenti dell'Oriente mediterraneo.L'architettura è la più importante forma di arte sopravvissuta dell'epoca omayyade. La decorazione architettonica in forma di pittura, scultura in pietra e, in misura maggiore, di rivestimenti in stucco, nonché i mosaici pavimentali, furono di uso estremamente comune. È probabilmente giusto indicare come opere di arte omayyade i mosaici pavimentali musulmani, databili al sec. 8°, scoperti in Giordania all'interno di complessi cristiani, soprattutto chiese; nella stessa prospettiva, è ragionevole ipotizzare che per i mosaici e la pittura gli O. abbiano continuato le tradizioni artistiche precedenti. Nel caso della scultura essi operarono invece delle innovazioni oppure ritornarono a precedenti modelli classici, ma su questo particolare argomento il dibattito non è ancora concluso.Molto più difficile risulta invece individuare le opere d'arte omayyade quando queste non siano collegate all'architettura. Si conservano una brocca di bronzo associata all'ultimo califfo omayyade Marwān II (744-750; Cairo, Mus. of Islamic Art) e un tessuto che reca il suo nome (Boston, Mus. of Fine Arts); rimangono inoltre serie di manufatti in ceramica, dei quali nessuno assume tuttavia un significativo valore estetico.Un primo problema relativo alla produzione artistica è costituito dall'enorme aumento del numero dei c.d. tessuti copti datati al sec. 7° e in particolare all'8°, epoca a cui vanno attribuiti anche numerosi piatti, vasi e brocche provenienti dall'Iran e dall'Asia centrale, spesso detti post-sasanidi, poiché continuano a utilizzare, sia pure in maniera più decorativa, motivi associati all'arte imperiale iranica. Rimane a questo proposito aperta la questione se si debba considerare in realtà di produzione omayyade una parte significativa della c.d. arte copta (tessuti, opere in legno e forse anche la scultura ornamentale), così come numerosi oggetti d'argento provenienti dall'Iran e dall'Asia centrale.Una seconda questione è legata alla trasformazione della scrittura araba, in cui le lettere e le parole appaiono scritte con l'evidente intento di abbellire l'organizzazione di una linea o di una parola. La lunga iscrizione della Cupola della Roccia costituisce uno splendido esempio di presentazione particolarmente chiara di un testo, con qualche elemento ornamentale utilizzato per sottolineare l'interpunzione. Una qualità analoga si ritrova in alcune pietre miliari ufficiali che sono di gran lunga più eleganti della massa di iscrizioni conservate di quest'epoca. All'età omayyade sono stati datati numerosi fogli pergamenacei con i testi del Corano, che presentano eleganti sviluppi nella scrittura e, in qualche caso, miniature. Con ciò non appare tuttavia affatto sicuro che l'arte della calligrafia abbia fatto la propria comparsa nel mondo islamico già in epoca omayyade.L'interpretazione classica dell'arte omayyade è stata elaborata dal grande orientalista tedesco Herzfeld (1910). Basandosi soprattutto sulla facciata di Mshattà, allora recentemente scoperta, e sui mosaici della Cupola della Roccia, lo studioso sostenne che quella omayyade fosse un'arte di adattamento - sostanzialmente delle forme dell'arte tardoantica - e di giustapposizione dei motivi derivati da differenti regioni che potevano ritrovarsi insieme a seguito della nascita di un impero. Secondo Herzfeld, due erano gli approcci formali dominanti: la ripetizione degli stessi motivi, sia pure con modifiche, e la copertura totale delle superfici, secondo il famoso principio dell'horror vacui che è stato identificato in gran parte dell'arte islamica. In modo tipico della sua epoca dal punto di vista ideologico, ma certamente più articolato rispetto agli storici a lui contemporanei e anche a molti dei successivi, Herzfeld vedeva nell'arte omayyade una manifestazione del deteriorarsi degli ideali classici come primo gradino verso l'arte medievale nella sua espressione islamica.Le conclusioni dello studioso tedesco sono in parte ancora accettabili. Non c'è dubbio che tutte le opere dell'arte omayyade adottino il linguaggio visivo della Tarda Antichità e, anche quando non si hanno modelli classici o tardoantichi per le forme omayyadi, come per es. nei padiglioni del giardino di Khirbat al-Mafjar, è ragionevole presumere che tali modelli siano esistiti e che l'arte omayyade possa anzi essere utilizzata per avere un'idea dell'arte profana della Tarda Antichità e per ricostruirne una parte significativa. In molti casi, per es. nel riapparire della scultura o nei motivi geometrici di alcuni pavimenti musivi, è persino possibile ritenere che gli O. siano volontariamente ritornati a puri modelli classici. Più difficile risulta invece comprendere l'uso di motivi e tecniche abbandonati per alcuni secoli. Può essersi trattato di una vera e propria coscienza dei valori estetici e forse anche ideologici dell'Antichità imperiale romana, ma appare più probabile che si evitassero coscientemente le forme contemporanee troppo cariche di significati, specialmente per la popolazione cristiana, e perciò incapaci di esprimere l'originalità della nuova cultura; più semplicemente, come permettono di ipotizzare le sculture di ispirazione palmirena di Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī, sito non lontano da Palmira, gli esempi della ricchezza del passato espressi nella scultura erano così consueti che questa venne a essere associata all'idea stessa di ricchezza e potere.Quello che Herzfeld intendeva definire con il concetto di giustapposizione fu chiaramente confermato dagli scavi e dalle scoperte avvenute nei decenni successivi. I più importanti monumenti secolari degli O. mostrano ovviamente la presenza di motivi e tecniche locali; essi presentano tuttavia anche tecniche, per es. la scultura in stucco, che erano chiaramente importate dall'Oriente, oltre a migliaia di motivi ornamentali e figurativi, le cui origini si trovano in Iran, nell'Asia centrale, in India e naturalmente in Egitto, come del resto era già stato riconosciuto da Herzfeld e da altri studiosi agli inizi del secolo. Più difficile risulta spiegare perché tali motivi di origine orientale appaiano così frequentemente e perché essi siano, per la maggior parte, limitati all'area profana, con soltanto poche eccezioni nelle corone e negli alberi della Cupola della Roccia, edificio che però ha implicazioni sia secolari sia religiose. Su questo punto le risposte possono essere diverse: può essersi verificata un'ampia migrazione, forzata o meno, di artisti e artigiani da tutto il mondo musulmano verso i centri di potere e di potenziale lavoro; ciò è in parte testimoniato dal trasporto di operai dall'Egitto alla Siria, ma la maggior parte delle testimonianze riguarda il lavoro manuale piuttosto che quello specialistico e d'altro canto assai poche sono le informazioni circa l'esistenza di un mercato del lavoro di artigiani e artisti nel vasto mondo della Tarda Antichità. Un'altra possibile risposta può essere ricercata nella massiccia presenza in area siro-palestinese e nei tesori reali di tessuti artistici e di oggetti provenienti dall'Egitto e dall'Oriente, i quali possono avere influenzato il gusto dei committenti; a questo proposito appare piuttosto singolare che i modelli di gran parte della scultura di personaggi e animali a Khirbat al-Mafjar e Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī, così come di numerose pitture a Quṣayr ῾Amrā, si trovino più facilmente in oggetti che in veri e propri monumenti. È anche possibile che gli O., che avevano preso parte alla conquista dell'Oriente, ricordassero le case costruite con mattoni crudi, i templi e i palazzi dell'Asia centrale (si pensi in particolare all'arte della Sogdiana) coperti da stucco e/o da pitture. Al ritorno nell'Asia occidentale, la loro memoria visiva sarebbe stata tradotta in tecniche locali da artisti locali. È tuttavia anche possibile che essi siano stati attratti dalle trasformazioni delle superfici murarie per mezzo della decorazione che interessarono nella Tarda Antichità anche il Mediterraneo, sebbene tali tradizioni artistiche sembrino sconosciute proprio in Siria e in Palestina. In quest'area, l'esempio dell'arte omayyade dovrebbe servire come primo documento per la comprensione delle pratiche artistiche in tutto il mondo eurasiatico.Sarebbe inoltre necessario aggiungere che l'arte omayyade ebbe il notevole effetto di dare nuova vitalità allo sviluppo artistico della Siria e della Palestina, introducendovi una committenza di tipo imperiale fino ad allora assente, se non nelle grandi città sante come Gerusalemme. Essa creò anche un nuovo centro artistico con lo sviluppo dell'area del medio Eufrate, la Jazīra, che era stata fino ad allora una regione di frontiera. È persino possibile ritenere, sulla base delle ricerche e delle scoperte effettuate in Siria e Giordania negli ultimi decenni, che la presenza degli O. abbia rivitalizzato anche l'arte cristiana, poiché vennero costruite nuove chiese, decorate con elaborati mosaici. Con la loro ricchezza gli O. estesero il potenziale di forme a disposizione a tutti coloro che abitavano le aree da essi controllate.Più difficile risulta seguire Herzfeld nella sua analisi formale dell'arte omayyade come fenomeno che tende a coprire tutti gli spazi e che sviluppa variazioni senza fine all'interno dello stesso motivo di fondo. La conclusione cui giunse lo studioso è corretta, ma non sufficiente. È vero che la decorazione dei palazzi, del bagno di Quṣayr ῾Amrā, di alcuni tessuti e avori attribuiti agli O. e della Cupola della Roccia mostra il reiterarsi di un piccolo numero di forme, con modificazioni di relativamente scarsa importanza che debbono essere probabilmente attribuite al desiderio di variare, anche se alcune di queste modificazioni possono altrimenti essere interpretate come risultato della contemporanea attività di diverse squadre di artisti. Gli O. erano ricchi e volevano rapidi risultati e non è dunque certo se alcune forme della loro arte, come appunto le variazioni all'interno di uno stesso motivo, debbano essere spiegate in termini estetici oppure meramente pratici.La stessa questione si ripropone a proposito dell'horror vacui. La presenza di una tale concezione risulta chiara e riconoscibile anche in piccoli edifici, come il bagno di Quṣayr ῾Amrā, le cui pitture sono così fitte che è difficile guardarne una senza essere influenzati da tutte le altre. Una simile concezione può tuttavia essere interpretata in due modi, sia come tecnica per ostentare la ricchezza facilmente raggiunta e per rifinire edifici eseguiti rapidamente e non sempre con solide tecniche di costruzione sia come espressione di una più profonda concezione filosofica secondo la quale la decorazione totale della superficie arricchisce senza avere un carattere permanente e quindi riflette la dottrina spirituale per cui tutta la creazione è temporanea, mentre la realtà è inaccessibile. Mancano però testimonianze dell'esistenza di una qualche teoria artistica in epoca omayyade che possa aver determinato un'applicazione pratica. Nel migliore dei casi ci fu un atteggiamento negativo circa ciò che si doveva evitare, ma non un senso di cosciente direzione delle arti figurative.Le decorazioni di Khirbat al-Mafjar e di Qaṣr al-Ḥayr, le pitture di Quṣayr ῾Amrā, i mosaici della Cupola della Roccia e quelli della Grande moschea di Damasco, tutti sconosciuti o poco conosciuti da Herzfeld, rendono possibile un'interpretazione dell'arte omayyade ponendo due questioni fondamentali. La prima è se quest'arte abbia un programma iconografico, ovvero se cerchi di esprimere o raccontare storie o idee proprie dell'epoca ed esistenti indipendentemente dalla loro presentazione in forma di immagini. La seconda questione è quella dell'esistenza di uno stile omayyade, vale a dire di un comune modo di costruire, comporre e rappresentare qualcosa. Corollario di questi due quesiti è se l'arte omayyade debba essere considerata primo gradino di una nuova via nelle arti, oppure se essa sia semplicemente la continuazione della ricca arte che si era sviluppata nella Tarda Antichità dall'Atlantico ai confini della Cina.I palazzi omayyadi e, in certa misura, Quṣayr ῾Amrā furono in gran parte decorati con quello che doveva in seguito divenire noto come 'ciclo della vita principesca', espressione probabilmente usata per primo da Monneret de Villard (1966) a proposito dell'ornamentazione del soffitto della Cappella Palatina di Palermo, della metà del 12° secolo. Tale ciclo consiste nella rappresentazione di principi, generalmente in trono, circondati da simboli o raffigurazioni di una vita di piacere: il bere, il mangiare, la danza, il canto, il suonare diversi strumenti musicali, i piaceri sensuali, individuati dalla presenza di donne con grande seno e abiti succinti, e una notevole varietà di generi di caccia. I singoli elementi di questi programmi derivano dall'arte imperiale romana o dagli usi degli imperatori bizantini e sasanidi, ma il loro inserimento all'interno di uno schema fisso sembra essere stato messo a punto in relazione con la committenza omayyade, che richiedeva la rapida disponibilità di immagini che evocassero i piaceri della vita nelle residenze di campagna dei ricchi principi dalle tendenze sibaritiche.L'iconografia formale e ufficiale degli O. è relativamente scarsa e i tentativi, nel campo della monetazione, di creare una serie di immagini specifiche lasciarono rapidamente il posto all'uso di sole leggende. All'interno dell'arte di piacere era possibile introdurre ogni genere di immagine che riflettesse i gusti e le necessità individuali. Ciò è evidente soprattutto a Quṣayr ῾Amrā, dove rappresentazioni pseudo-scientifiche del paradiso, immagini ufficiali dei principi sconfitti dagli O., una interessante rappresentazione di quella che sembra essere Sara, sposa di Abramo, personificazioni riprese direttamente dall'arte classica, scene di caccia adattate alle circostanze locali e molte altre immagini uniche e peculiari - come per es. quelle con donne nude che conducono al bagno i loro bambini anch'essi nudi, oppure con il crudele squartamento di un animale - sembrano rispondere ad alcuni scopi immediati e particolari, che tuttavia sfuggono completamente all'osservatore moderno.Le specificità di Quṣayr ῾Amrā o di Khirbat al-Mafjar potrebbero trovare una spiegazione nella vita dei loro committenti e Hamilton (1959) ha suggestivamente sostenuto che quasi ogni stravaganza presente a Khirbat al-Mafjar può essere spiegata con le eccentricità di Walīd II, che visse in questa zona per molti anni prima di divenire califfo, per meno di un anno, nel 744.Sfortunatamente anche molte delle immagini presenti a Quṣayr ῾Amrā potrebbero trovare una spiegazione nelle vicende della vita di un bizzarro principe ed è improbabile, sebbene non escluso, che questi sia stato il committente di entrambi gli edifici. Il punto più importante comunque è che, quali che fossero le peculiarità omayyadi in questi complessi, l'uso di decorare edifici privati con immagini che riflettono la visione che il proprietario ha del mondo coincide bene con concezioni proprie dell'arte tardoantica e, da tutti questi punti di vista, l'arte omayyade non è che un ramo di quell'albero enormemente complesso che dall'Irlanda o dalla Spagna alla Sogdiana sosteneva i sogni e le abitudini quotidiane dei ricchi committenti dopo la caduta dell'Impero romano e il venir meno di quello sasanide.I temi profani dominano, ma non sono gli unici. Nella Cupola della Roccia i committenti omayyadi usarono il vocabolario dell'arte mediterranea, per lo più tardoantica e bizantina, per evocare temi ideologici, la vittoria o il controllo sui sovrani sconfitti oppure i giardini paradisiaci di Salomone nella sua capitale Gerusalemme. A Damasco i mosaici della Grande moschea contengono straordinarie rappresentazioni architettoniche, alcune delle quali sembrano derivare direttamente da modelli classici pompeiani, altre dall'arte bizantina del 6° secolo. Un denso dibattito critico si è sviluppato intorno a questi mosaici e alla possibilità che essi rappresentino o evochino il paradiso musulmano così come è descritto nel Corano, la città di Damasco con i suoi antichi monumenti o tutte le città controllate dall'impero musulmano. Quale che sia l'interpretazione più corretta, gli O. avrebbero usato un linguaggio artistico preislamico per esprimere obiettivi specificamente musulmani.In sostanza, quindi, gli O. svilupparono un'iconografia legata alle proprie necessità e alle proprie conoscenze, ma, fatta eccezione per particolari secondari e forse per l'incerta formalizzazione del ciclo della vita principesca, ciò che essi intendevano dire venne espresso nel linguaggio del mondo tardoantico che li aveva preceduti e le loro opere costituiscono un buon esempio dell'enorme adattabilità delle forme tardoantiche nei confronti delle richieste di ogni gruppo umano.È tuttavia importante sottolineare un significativo mutamento nell'iconografia rispetto ai secoli precedenti: in quasi tutti gli esempi di arte ufficiale o pubblica, gli O. evitarono la rappresentazione degli esseri umani, anche quando essi comparivano nelle opere assunte come modello. Nel vastissimo programma decorativo scolpito sulla facciata di Mshattà - che potrebbe essere di pochi anni successiva alla fine della dinastia, ma che presenta comunque numerosi elementi appartenenti all'arte omayyade - i triangoli decorati posti a sinistra dell'ingresso comprendono rappresentazioni di animali nascosti nella vegetazione, mentre in quelli di destra tali raffigurazioni risultano assenti: questa differenza è generalmente spiegata con il fatto che la moschea del palazzo era collocata proprio dietro il muro di destra. Questo elemento non implica necessariamente la conclusione che gli O. avessero già sviluppato un programma di aniconismo o addirittura di iconoclastia, formalizzato e teologicamente giustificato, anche se le fonti - in larga misura cristiane e di epoca successiva - menzionano la distruzione di immagini cristiane per ordine del califfo Yazīd I (680-683). In realtà in Giordania si conservano esempi di pavimenti musivi con soggetti cristiani, in cui le rappresentazioni di esseri viventi sarebbero state rimosse nell'8° secolo. Episodi analoghi poterono verificarsi, e si verificarono, nello stesso mondo cristiano orientale che si accingeva a entrare nel periodo dell'iconoclastia. Per la società musulmana è probabilmente più appropriato ipotizzare una riluttanza nell'uso di figure animate, a causa della scarsa esperienza nella loro manipolazione a fini ideologici o estetici. Una vera e propria dottrina musulmana, o almeno un insieme di consuetudini, iniziò a svilupparsi solo nel corso del secolo successivo.Per quel che riguarda la questione relativa all'esistenza di uno stile omayyade, va sottolineato come non sia riconoscibile un insieme di formule che lo identifichino in modo astratto; in altri termini, non esiste una definizione di questo particolare insieme di monumenti che consenta un'agevole classificazione delle sue forme. È tuttavia possibile individuare due direttrici, una accidentale, l'altra forse cosciente, che separano le forme dell'arte omayyade da quelle di molti altri fenomeni tardoantichi e altomedievali, come per es. l'arte carolingia.L'aspetto accidentale è dato dalla prevalente conservazione di testimonianze di arte profana e di conseguenza da un eclettismo nelle forme, ignoto altrove all'epoca. Nella combinazione di forme, operata dagli O., si può cogliere una grande varietà ed è perciò probabile che dall'esperienza artistica, specialmente in privato, ci si attendesse qualcosa di avventuroso e insolito. Questa ipotesi appare legittima poiché la fenomenologia dell'arte omayyade è il risultato dell'incontro tra una nuova committenza e un ricco repertorio di forme improvvisamente a disposizione. Questa volontà di considerare i contrasti risulta visibile soprattutto nell'architettura, dove forme tardoantiche molto comuni e originarie dell'area mediterranea acquisiscono un rivestimento delle superfici - attraverso le pitture, i mosaici o gli stucchi - originario dell'Oriente, che trasforma i valori della tradizione classica senza però eliminarli.L'aspetto più cosciente dell'arte omayyade sembra consistere nel trattamento dell'ornamento geometrico e fitomorfo. Nei grandi palazzi, come nelle moschee e in alcuni oggetti, si coglie, attraverso molte tecniche differenti, un insolito grado di sperimentazione di forme e motivi. I pavimenti e le finestre di Khirbat al-Mafjar, i mosaici della Cupola della Roccia, i lavori in legno della moschea al-Aqṣā di Gerusalemme, la facciata di Mshattà, alcuni degli avori e dei tessuti attribuiti agli O. mostrano tutti il tentativo, più o meno riuscito, di scoprire le variazioni possibili su di un tema dato. Questi tentativi culminano in un'opera come la facciata di Mshattà, nella quale comincia ad affermarsi una nuova estetica, che cerca di dare alle superfici degli oggetti e delle opere di architettura l'aspetto effimero e scintillante di rivestimenti di tessuto e che dà inizio alla trasformazione della decorazione, dall'attenzione alla specificità dei suoi singoli componenti all'impiego di motivi definibili in termini astratti.La ricchezza e la vivacità dell'iconografia omayyade ebbero, nel loro complesso, un carattere temporaneo e un impatto relativamente limitato sullo sviluppo dell'arte islamica; nella migliore delle ipotesi esse rappresentano una fase della ben più ampia arte della Tarda Antichità. La combinazione di forme da fonti differenti fu il diretto risultato della storia del mondo in epoca omayyade; essa creò una nuova base formale per l'arte islamica, ma non si ripeté mai nella stessa proporzione. Più difficili da spiegare sono i primi segni di una nuova estetica, che appaiono in qualche modo connessi al processo di formazione di una nuova cultura visiva a partire da ciò che era preesistente.
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