Omeostasi
di Pietro Omodeo
Omeostasi
sommario: 1. Introduzione. a) Autocontrollo e omeostasi. b) Omeostasi e stabilizzazione. c) Omeostasi ed euristica. d) Aspetti particolari dell'omeostasi dei viventi. e) Termodinamica dei sistemi aperti. f) Criteri espositivi. 2. Struttura logica e operativa degli omeostati. a) Modelli di controllo a retroazione. b) Strategie del controllo a retroazione. c) La retroazione o feedback. d) Proprietà degli omeostati. 3. Elementi costitutivi dell'omeostato. a) Il sensore. b) Il comparatore. c) II canale di retroazione e l'effettore. 4. Parametri rilevanti nel funzionamento degli omeostati. a) Ambito di efficienza e precisione del controllo. b) Stabilità dell'omeostato. c) Segnali di emergenza. d) L'affidabilità dell'omeostasi e il controllo della potenza. e) Controllo e assuefazione. f) L'affidabilità delle strutture. g) La struttura regolata. h) Il controllo senza errori. i) Il controllo su più canali di alimentazione. l) L'omeostasi e disegno sperimentale. m) Canali di retroazione lunghi e corti. 5. La genesi dei bisogni. a) Alimentazione continua e alimentazione discontinua. b) L'ambiente interno. c) I bisogni. d) Ristabilimento di un flusso informativo. e) Genesi delle sensazioni di bisogno. f) L'istinto. 6. Controllo delle traiettorie nello spazio (omeorresi). a) Traiettorie balistiche e traiettorie a feedback b) I diagrammi dell'omeorresi. c) Strategie nell'omeorresi. d) Comportamento motorio controllato mediante sensore unico. e) Comportamento motorio controllato attraverso sensori pari e simmetrici. f) Correzioni e oscillazioni residue. 7. Appagamento dei bisogni. a) L'atto consummatorio. b) La sazietà. 8. Controllo del flusso informativo. a) Controllo del flusso informativo nel sistema nervoso. b) Il flusso di informazioni genetiche da una generazione all'altra. c) Controllo sull'operone dei Batteri. d) Controllo del flusso informativo nella genetica degli organismi superiori. e) Regolazione temporale entro le cellule. 9. Controllo della morfogenesi (omeorresi dello sviluppo). a) Considerazioni introduttive. b) Morfogenesi di strutture che non preesistevano. c) Morfogenesi cellulare, controllo della lunghezza del flagello. d) Morfogenesi cellulare, controllo delle dimensioni relative. e) Gradienti e campi morfogenetici. f) I processi di riparazione. 10. Conclusioni. □ Bibliografia.
1. introduzione
a) Autocontrollo e omeostasi
La nozione di autocontrollo è emersa, un po' più di un secolo fa, dalle ricerche fisiologiche di Cl. Bernard (1813- 1878). In seguito essa ha ricevuto importanti contributi e precisazioni per opera di un altro grande fisiologo, W. B. Cannon (1871-1945), il quale ha anche introdotto il termine di omeostasi con cui vengono oggi indicati i processi di autocontrollo nei viventi (v. Cannon, 1929).
Nel frattempo l'industria produceva, sempre più vari e numerosi, dispositivi omeostatici per apparecchiature di ogni genere; pressostati, termostati, controlli automatici di guadagno, centrali di tiro, ecc., e accanto alla nuova tecnologia fioriva una teoria fisico-matematica piuttosto complessa (v. von Neumann, 1951 e 1958; v. Wiener, 1948).
Tecnologia e teoria del controllo hanno ricevuto un impulso decisivo in occasione della seconda guerra mondiale prima e dello sviluppo dell'astronautica poi, e ciò ha favorito il costituirsi di una disciplina ingegneristica a sé stante (v. Clark, 1964; v. Lepschy e Ruberti, 19672; v. Nagrath e Gopal, 1975).
Per un periodo piuttosto breve, databile 1943-1955, vi è stato un fertile interscambio tra tecnologia e biologia (v. Rosenblueth e altri, 1943), ma dopo questo slancio iniziale, piuttosto sorprendentemente l'interesse dei biologi verso i problemi della omeostasi si è affievolito; solo i neurofisiologi e gli endocrinologi hanno continuato a occuparsene in modo empirico senza approfondire gli aspetti teorici.
Una dozzina di anni dopo vi è stata una ripresa, caratterizzata dalla comparsa di numerose trattazioni ampie e valide (v. Kalmus, 1966; v. Mesarović, 1968), alcune delle quali con taglio nettamente ingegneristico (v. Milsum, 1966; v. Milhorn, 1966). In queste opere, certamente pregevoli, si osserva peraltro che il linguaggio usato dai biologi tende a divergere da quello usato in tecnologia e colpisce spesso la frammentarietà della visione complessiva. Questi inconvenienti saranno forse superati grazie agli sforzi degli studiosi impegnati in problemi di bionica e informatica (v. Jones, 1973; v. Albergoni e altri, 1974).
b) Omeostasi e stabilizzazione
Per omeostasi si intende quell'insieme di processi che garantisce a un sistema aperto di mantenere stazionari i propri parametri chimici, fisici e chimico-fisici interni, di dirigersi verso una meta, di realizzare in corretta successione cronologica le varie fasi di un programma complesso, nonostante le variazioni di alimentazione e nonostante il subentrare di disturbi aleatori.
In un sistema omeostatizzato sono sotto controllo grandezze fisiche e fisico-chimiche che i biologi sogliono chiamare parametri. Questi possono subire variazioni anche molto cospicue, ma vengono sempre riportati, più o meno prontamente, al valore base (detto anche ottimale o ideale). Ciò viene ottenuto grazie al fatto che ogni eventuale errore (il termine è inteso in senso etimologico) viene subito segnalato e quindi corretto per il tramite di un effettore.
Un sistema di questo tipo è diverso da un sistema stabilizzato in cui esistono dispositivi che riducono al minimo le conseguenze di disturbi su un qualche parametro interno, ma che non le compensano mai. Esempi tipici di dispositivi stabilizzatori sono i tamponi (buffers) della chimica che rendono stabile il pH di una soluzione, i piani verticali e orizzontali che riducono il rollio e il beccheggio di un natante o di un animale marino.
Va tassativamente chiarito, in via preliminare, che omeostasi e stabilizzazione sono nozioni operativamente e concettualmente diverse, allo stesso modo in cui sono condizioni diverse stato stazionario ed equilibrio. Se si sono verificate e si verificano tuttora confusioni in merito, ciò accade perché spesso, tanto in tecnologia quanto in biologia, i dispositivi di stabilizzazione coadiuvano quelli omeostatici.
Un esempio tipico riguarda il pH del sangue: i tamponi disciolti nel plasma limitano gli effetti dell'accumulo di acido carbonico e lattico, nonché quelli della secrezione gastrica di acido cloridrico. Ma sono solo gli scambi gassosi a livello polmonare e l'escrezione renale - tipici processi omeostatici - che riportano di continuo l'alcalinità del sangue a livello ottimale.
Mentre la cinetica della stabilizzazione è traducibile in modo soddisfacente in formule matematiche (che talvolta vengono spacciate come formulazione matematica di processi omeostatici) altrettanto non si può dire a proposito dell'omeostasi: in tale caso, ad onta delle variazioni ambientali che si ripercuotono sul sistema, il livello torna sempre al valore ottimale seguendo i tracciati più diversi.
c) Omeostasi ed euristica
La nozione di omeostasi costituisce il miglior strumento concettuale per dipanare innumerevoli problemi di fisiologia, di etologia, di biologia molecolare. È da presumere che in un prossimo futuro essa svolgerà il medesimo ruolo anche per l'ecologia (v. Patten, 1971-1975) e la morfogenesi (v. Apter, 1966). Essa offre infatti l'importante vantaggio di consentire un corretto disegno sperimentale tutte le volte che si viene alle prese con processi circolari in cui l'‛effetto' modifica la ‛causa' agente sul sistema, tramutandosi così in causa, e via dicendo. In circostanze del genere il ricorso ai consueti semplici modelli di rapporto tra causa ed effetto non permette, come vedremo (v. sotto, cap. 4, § 1), di districarsi in modo razionale.
I vantaggi più grossi, tuttavia, concernono la sfera concettuale: quei modelli cibernetici che ci pertnettono di capire a fondo in qual modo si articola l'autocontrollo in un automa complesso o in un organismo vivente ci permettono altresì di comprendere e di esporre in modo scevro da implicazioni finalistiche e vitalistiche i fenomeni di tendenza a uno scopo, tanto evidenti in ogni campo della biologia.
La corretta inquadratura dei processi di causalità circolare permetterà inoltre, almeno mi auguro, di porre fine una buona volta alla sterile polemica che gli stoici del nostro tempo riattizzano con petulanza, stigmatizzando la vanità di una scienza basata, secondo loro, sul riduzionismo, su gretti e fallaci modelli stimolo-risposta.
Va infine aggiunto che la nozione di omeostasi è strumento molto importante per procedere all'analisi dei sistemi biologici prospettata da Milsum (v., 1966) e per formulare una teoria del vivente di cui Waddington (v., 1968) ha sottolineato l'urgenza.
d) Aspetti particolari dell'omeostasi dei viventi
Non è difficile convincersi che sul piano formale vi è sostanziale corrispondenza tra autoregolazione di apparecchiature tecnologiche e autoregolazione degli organismi viventi. Senonché i problemi nel secondo caso si presentano infinitamente più complessi, e ciò per vari motivi.
In primo luogo anche in un organismo di estrema piccolezza, qual è un batterio, i parametri sotto controllo sono innumerevoli, e il controllo di ciascuno di essi deve procedere senza provocare la sregolazione di alcun altro. Qualora ciò sia inevitabile, allora deve esistere una gerarchia tale per cui oltrepasseranno i limiti ottimali dapprima quei parametri che meno contano per la sopravvivenza dell'individuo, e per ultimi usciranno di controllo quelli che più contano. Un'organizzazione di tal tipo trova parziale riscontro solo in apparecchiature molto raffinate e complesse costruite dall'uomo in epoca recente.
In secondo luogo ogni organismo di una qualche complessità è suddiviso in compartimenti relativamente autonomi per ciò che concerne l'autocontrollo e alcuni di questi sono privilegiati rispetto ad altri. Tanto per fare un esempio, in un qualunque vertebrato il sistema nervoso centrale e gli organi di senso sono privilegiati rispetto al resto del corpo per quanto riguarda la stabilità della pressione sanguigna, dell'apporto di ossigeno, della temperatura, della nutrizione.
In terzo luogo la garanzia di duraturo buon funzionamento, cioè l'affidabilità (reliability), in un vivente dev'essere assai elevata e ciò implica che ciascun dispositivo di controllo sia controllato a sua volta.
L'insieme di questi fatti fa sorgere difficoltà di comprensione e di approccio sperimentale che possono venire aggirate in vario modo. In particolare conviene studiare ciascun apparato omeostatico di ciascun compartimento come se fosse un'entità a sé stante, indipendente dalle altre. Si tratta di un utilissimo modo di procedere adottato per le più diverse discipline, che deve essere però seguito dalla reintegrazione del fenomeno enucleato nell'insieme di cui è parte.
Ciò, nella fenomenologia che stiamo considerando, è tutt' altro che facile: la ricostruzione delle interazioni tra apparati omeostatici può essere fatta in via puramente intuitiva e solo per i casi più semplici; un'adeguata teoria concernente le regole compositive di questi apparati è ancora da sviluppare.
e) Termodinamica dei sistemi aperti
L'accorgimento di affrontare ciascun caso di autoregolazione come se fosse indipendente dagli altri permette di sfruttare un altro vantaggio intrinseco alla nozione di omeostasi.
È noto che tutti i viventi si comportano come sistemi termodinamici aperti, cioè come sistemi in cui si verifica un continuo afflusso e deflusso di energia e di materiali. A causa di ciò a essi non si applicano che in parte le leggi e le nozioni basilari collaudate da un secolo e mezzo e valide per le macchine termiche costruite dall'uomo, ma si applicano leggi assai più complesse (v. Prigogine, 1971). Purtroppo la termodinamica dei sistemi aperti non è andata oltre le formulazioni più astratte, inaccessibili alla massima parte dei biologi. Si dà però il caso che lo studio degli organismi in quanto sistemi omeostatizzati permette di interpretare in modo abbastanza semplice le questioni relative al flusso che ha luogo in essi, nonché le strategie mediante le quali i viventi reperiscono le fonti di energia e di materia e attingono a esse.
In altre parole, le nozioni sull'autocontrollo permettono di descrivere il vivente non solo come un sistema in cui l'energia viene trasformata e in parte dissipata, ma anche come un sistema in cui energia e materiali vengono riforniti in modo continuo o discontinuo, nelle quantità adatte.
f) Criteri espositivi
In queste pagine accolgo come di per sè evidente che i dispositivi omeostatici degli organismi viventi sono isomorfi con quelli della tecnologia umana, la qual cosa mi autorizza ad adoperare la modellistica degli ingegneri per illustrarne la struttura e le proprietà. Così facendo cerco di stabilire la corrispondenza dei termini usati nell'uno e nell'altro campo, corrispondenza che la diversa angolatura da cui biologi e ingegneri si occupano di questi problemi rischia di lasciare in ombra.
Non farò tuttavia alcuno sforzo per accertare se e in quale misura i formalismi matematici impiegati in campo tecnologico, indubbiamente assai utili in sede di progettazione, trovano applicazione in biologia. Mi limiterò a indicare che l'applicazione della teoria dei grafi di flusso è quella che, secondo il mio parere, meglio risponde alle esigenze del biologo interessato al tema dell'autoregolazione (v. Lepschy e Ruberti, 19672; v. McFarland, 1971).
La trattazione che segue toccherà in primo luogo i processi di regolazione della vita vegetativa. Quindi, dopo un riferimento alla genesi dei bisogni - opportuno in quanto questi costituiscono la connessione funzionale tra i due processi - verrà trattata la regolazione delle traiettorie nello spazio: a questo tipo di regolazione Piaget (v., 1967) applica il termine di omeorresi, derivandolo (forse) da Waddington che nel 1957 l'aveva introdotto per indicare la regolazione dello sviluppo; McFarland (v., 1971) non adotta però questo termine. Seguirà infine un breve discorso sui processi di regolazione cronologica e di accrescimento, ovvero di regolazione delle traiettorie nel tempo, i quali si basano sulla modulazione dei flussi di informazione.
Attualmente, soprattutto in campo psicologico, si nota una certa tendenza a trattare separatamente omeostasi e omeorresi: se in questa sede questi due argomenti vengono discussi insieme ciò dipende dal fatto che i due processi sono riducibili ai medesimi schemi logici e sono evidentemente e indissolubilmente concatenati (v. sotto, cap. 5).
2. struttura logica e operativa degli omeostati
a) Modelli di controllo a retroazione
Per procedere all'analisi della struttura degli omeostati è assai conveniente far ricorso ai diagrammi a blocchi, cioè ai medesimi schemi impiegati in tecnologia. Unica variante, estremamente utile al biologo, è quella di introdurre una chiara distinzione tra ingressi e uscite di alimentazione da una parte, e ingressi, uscite e canali di informazione dall'altra.
In questi diagrammi compare un blocco centrale che simboleggia il sistema e il compartimento del sistema: a questo blocco fan capo ingressi (inputs) e uscite (outputs) di alimentazione che tendono a far variare la grandezza sotto controllo, e da esso si diparte l'uscita informativa diretta al blocco del sensore (l'informazione in uscita è funzione dei flussi di alimentazione).
Dal sensore partono i segnali relativi alla grandezza sotto controllo e raggiungono il comparatore, il quale dispone di un secondo ingresso relativo al valore base (ideale) di detta grandezza. A questo secondo ingresso i tecnologi rivolgono molta attenzione, poiché è per il suo tramite che governano le condizioni interne e il comportamento dei loro sistemi, e pertanto lo chiamano ‛ingresso di comando'; per il fisiologo esso ha invece scarso rilievo, almeno dal punto di vista del controllo, poiché il più delle volte è l'ingresso di una costante. Comunque sia, nel comparatore viene misurata la differenza tra i valori, e il segnale risultante ('segnale agente') viene convogliato attraverso il canale di retroazione ('canale di feedback') e agisce sull'effettore (‛esecutore' nella terminologia tecnica).
All'insieme del sensore, del comparatore e delle loro connessioni viene dato opportunamente anche il nome di ‛elemento di misura'.
Nel caso che l'omeostato controlli un livello energetico, una concentrazione, o grandezze similari, l'effettore agisce su di un flusso di energia o di materiali: allorquando il comparatore segnala che il livello è sotto il valore ideale l'afflusso viene incrementato, se invece tace, il flusso viene ridotto. A condizione, beninteso, che l'effettore agisca sull'ingresso o sugli ingressi di alimentazione. Se esso agisce invece sull'uscita allora il comparatore segnalerà se il livello supera il valore ideale, e la regolazione sarà effettuata alla rovescia.
Nel processo chiamato ‛omeorresi' dagli etologi e ‛asservimento' dagli ingegneri, l'omeostato governa non un parametro interno di un sistema, ma la traiettoria di un sistema verso la meta. In tal caso l'effettore agisce non sui flussi di alimentazione, bensì sulle forze vettrici del sistema; peraltro la parte informativa del modello rimane invariata.
Quando l'omeostato controlla l'esecuzione di un programma morfogenetico e la corretta successione cronologica di una serie di operazioni, nonché la loro fasatura con ritmi esterni o interni al sistema, allora l'effettore non agisce su un flusso di alimentazione e neppure sui parametri di vettori, bensì su flussi di informazione. Anche in questo caso il resto del modello rimane immutato.
b) Strategie del controllo a retroazione
Riflettendo sugli schemi dell'omeostasi, ci accorgiamo che se si vuole che il sistema possa essere controllato in ogni circostanza (se si vuole cioè che la regolazione sia sempre efficace) allora la struttura del controllo deve sottostare a precise condizioni.
In primo luogo, qualora la grandezza sotto controllo fluisca attraverso una sola entrata e una sola uscita, l'effettore dovrà agire sul canale di alimentazione che ha la portata maggiore. In effetti in un vivente è di solito la dissipazione dell'energia o di un qualche componente del protoplasma che tende a eccedere la fornitura e quindi è proprio sul canale di uscita che agirà l'effettore.
In secondo luogo, qualora vi siano più canali di alimentazione o in entrata, o in uscita, o in entrata e in uscita, l'effettore dovrà agire su più canali di entrata in modo da poter bilanciare il flusso massimo che si può verificare in uscita, o viceversa. Questa evenienza è piuttosto comune nei viventi (si pensi per quante vie un mammifero dissipa l'acqua o il calore) e in effetti si constata che sono le uscite minori quelle che rimangono non sorvegliate.
Vien fatto di pensare, infine, che se il controllo viene esercitato su tutte le entrate e le uscite di una certa grandezza fisica, questa potrà esser mantenuta stazionaria in ogni circostanza. In pratica, anche se negli organismi viventi troviamo che il controllo viene esercitato proprio in questo modo, ci accorgiamo che i risultati non sono così buoni come appaiono a un primo esame del modello. Ciò dipende dal fatto che in un sistema non può venir introdotto alcun controllo che interferisca con attività del sistema stesso che, almeno in certe condizioni operative, hanno la priorità.
Come non è pensabile che il termostato che controlla il regime termico di un motore a scoppio agisca sull'entrata termica, cioè sulla quantità di calore erogata dalle combustioni interne, allo stesso modo non è pensabile che la regolazione del tasso di anidride carbonica in un animale in corsa possa avvenire a spese dell'attività muscolare. Solo con decisioni di emergenza si provvederà a fermare il motore surriscaldato, solo con decisione disperata un animale inseguito si arresterà a riprender lena. In condizioni normali il regime termico del motore sarà governato dalla cessione di calore a livello del radiatore e il tasso di CO2 nel sangue dell'animale sarà controllato mediante il suo allontanamento a livello dei polmoni.
A ogni modo, quando in un organismo la stazionarietà è garantita attraverso il controllo sia dei flussi in entrata, sia dei flussi in uscita (v. sotto, cap. 4, § i), allora gli elementi di misura e i canali di retroazione sono multipli e ciascun effettore entra in azione secondo precedenze predisposte con precisa logica operativa.
c) La retroazione o feedback
Elemento fondamentale dei dispositivi omeostatici è la retroazione, o feedback, tanto che nel linguaggio corrente della fisiologia il dire che per un certo parametro si osserva un feedback equivale al dire che esso è sotto controllo.
Si usa distinguere i sistemi regolati mediante retroazione negativa da quelli regolati mediante retroazione positiva e viene detta negativa la retroazione che si oppone e compensa la variazione che si verifica nel parametro che viene regolato, mentre viene detta positiva la retroazione che incrementa la variazione che si verifica nel suddetto parametro.
Si parla poi di ‛fuga a zero' quando la retroazione positiva incrementa una variazione in meno del parametro sotto controllo, fino ad annullarlo del tutto. Si parla invece di ‛fuga all'infinito' quando la retroazione positiva incrementa una variazione in più facendola crescere in modo esponenziale, almeno per qualche tempo. Di solito si aggiunge che solo la retroazione positiva con fuga a zero è compatibile con la regolazione di una grandezza e che in tal caso lo stato stazionario ha appunto valore zero.
Sta di fatto che la nozione di fuga a zero e quella di fuga all'infinito dipendono dal punto di vista: alla fuga a zero di una grandezza corrisponde la fuga all'infinito della grandezza reciproca, o di un valore correlato alla grandezza reciproca. Per esempio: a concentrazione zero di una sostanza corrisponde una sua diluizione infinita; quando la velocità tende a zero, il tempo per raggiungere il luogo più vicino tende all'infinito.
In effetti, quando in biologia si parla di feedback positivo ci si riferisce a una peculiarità di sistemi che comprendono elementi autocatalitici o che si autoriproducono, motivo per cui l'accelerazione nella crescita di un parametro viene incrementata di continuo. Questi sistemi sono tendenzialmente esplosivi; il più delle volte, però, nonostante il fredback positivo, non si giunge all'esplosione poiché l'approvvigionamento necessario cresce sempre meno fino a divenir costante, sicché subentra una frenata vieppiù energica. In altre parole, ai processi autocatalitici si sovrappone un controllo esterno: esempio ben noto di sistema a retroazione positiva con fuga all'infinito è una popolazione in accrescimento esponenziale, ed è altrettanto ben noto che simile accrescimento viene contrastato dal limitato afflusso di sussistenze, finché non si giunge al regime stazionario.
d) Proprietà degli omeostati
Accade a volte di considerare in più d'un modo la funzione di un certo oggetto: un libro fornisce istruzione, ma è anche un supporto per sollevare la lampada; un mattone è un elemento per costruire i muri e al bisogno è un'arma.
Altrettanto si può dire a proposito d'un dispositivo omeostatico. Sua funzione tipica è quella di mantenere stazionario un parametro di un sistema; ma qualora il flusso in entrata di questo sistema sia costante si può ben dire che funzione del dispositivo omeostatico è quella di mantenere uniforme il flusso in uscita.
Non solo, se il sistema è munito di un elemento di misura sussidiario il cui comparatore abbia soglia superiore a quella del comparatore principale, si può allora descrivere l'apparecchiatura di controllo come un interruttore dei segnali in partenza dal comparatore sussidiario.
Questo particolare punto di vista è utile, perché chiarisce in qual modo possono venir innescati certi dispositivi d'allarme, non appena il valore della grandezza sotto controllo supera i limiti fisiologici. Esso rende conto inoltre di un fatto ben noto: il funzionamento di un dispositivo di controllo e degli organi che a esso presiedono non viene percepito da un soggetto se non quando diviene difettoso.
3. elementi costitutivi dell'omeostato
a) Il sensore
Avendo preso in considerazione gli aspetti più generali dell'omeostasi resta da dire degli elementi che compongono un omeostato, incominciando dal sensore.
Si può affermare che in biologia i sensori sono sempre e soltanto trasduttori di energia. La proposizione in linea di principio appare convincente, ma qualche perplessità non manca di sorgere quando ci si chiede come un sensore possa segnalare la presenza di molecole chimicamente inerti. Sta di fatto che ogni cellula è in uno stato ‛eccitato' per il fatto che pompa verso l'interno certi tipi di molecole e di ioni e altri ne espelle in direzione opposta. A causa di ciò ogni molecola che sia idonea a ostacolare, sia pure passivamente, questo flusso provoca una qualche variazione dello stato della cellula.
Sempre per la stessa prerogativa dei sensori è da presumere che se in un sistema sono sotto controllo temperatura, massa, lunghezza, o altri parametri fisici che non hanno le dimensioni del lavoro, i sensori non forniranno mai la misura diretta di tali grandezze, bensì quella di un lavoro proporzionale ad esse: invece della massa verrà misurato il lavoro occorrente a spostarla, invece della temperatura verrà misurato un flusso termico, e via dicendo.
Pertanto, quando si analizza il modo di funzionare di un apparato omeostatico, occorre conoscere con precisione in qual modo la grandezza sotto controllo è legata a quella effettivamente misurata, poiché la variazione di un coefficiente - ceteris paribus - cambia il livello dell'aggiustamento.
Intendiamoci, anche i sensori della fisica sono sempre trasduttori di energia anche se misurano livelli, come fanno i termometri, i dinamometri, i barometri o altri apparecchi. Senonché essi sono fabbricati con materiali i cui coefficienti rilevanti non cambiano mai e per tal fatto, dopo la taratura iniziale, su di essi si possono leggere direttamente le grandezze che ci interessano: temperatura, peso, pressione.
In biologia di rado le cose stanno così: la conducibilità termica di un liquido biologico, tanto per fare un esempio, o le proprietà meccaniche di una struttura sono tutt'altro che stabili nel tempo.
É anche da tenere presente che il legame tra grandezza misurata e grandezza controllata spesso non è, e non può essere, di tipo lineare, ragion per cui a priori è da escludere che in tali casi sia applicabile un formalismo matematico di tipo consueto.
Di solito i sensori che regolano lo stato stazionario all'interno delle cellule sono capaci di segnalare l'interazione con un singolo quanto di energia o con una singola molecola. Ciò offre un vantaggio, poiché l'ingresso informativo dell'apparato di controllo sottrae al sistema quantità di energia trascurabili e non ne turba lo stato interno, ma fa sorgere nello stesso tempo un problema singolare. Un sensore di questo genere non può erogare che un segnale di assenza/presenza, cioè un bit di informazione; qualora per la regolazione del sistema ciò non sia sufficiente, in quanto occorre un segnale modulare, allora dovrà intervenire non un sensore, ma una popolazione di sensori, e a essi farà riscontro una popolazione di effettori. I presupposti per queste modalità di controllo, comunque, non mancano mai poiché per un fatto costante della fisiologia cellulare ogni trasformazione energetica viene operata da macromolecole o da raggruppamenti di poche macromolecole che formano popolazioni molto numerose.
Certo si è che i sensori in cui ci si imbatte in biologia sono di natura estremamente varia. Può trattarsi di porzioni di macromolecole (sito allosterico di enzimi), di macromolecole, di popolazioni di macromolecole (fotorecettori di Protozoi); può trattarsi di porzioni di cellule (ciglia di meccanocettori e chemocettori), di cellule, di popolazioni di cellule; può trattarsi di organi di senso, cioè di popolazioni di cellule con distribuzione spaziale ben definita, assistite da strutture accessorie che svolgono funzioni importanti nel raccogliere segnali complessi. La definizione delle caratteristiche del sensore è importante in biofisica, poiché le proprietà del controllo dipendono dalla unicità o molteplicità dei sensori, non dalla loro grandezza e tantomeno dalla grandezza del sistema regolato che può essere tanto una cellula batterica quanto una balena.
b) Il comparatore
Nei diagrammi concernenti l'omeostasi si usa simboleggiare il comparatore con un cerchietto diviso in quattro spicchi, il quale sta a indicare che esso effettua la differenza tra i segnali che riceve attraverso i due canali afferenti. La struttura del comparatore di conseguenza è estremamente semplice. Poiché a livello cellulare i segnali si propagano come variazioni del potenziale elettrico della membrana plasmatica, spesso la sede del comparatore sarà appunto questa membrana (o una sua porzione) e la differenza tra i due ingressi sarà data dalla risultante tra variazioni di potenziale di segno opposto (per es. tra polarizzazione e depolarizzazione della membrana).
Uno dei due ingressi del comparatore proviene sempre dal sensore, mentre l'altro ha la più diversa origine. Nel caso della regolazione fisiologica esso il più delle volte non è che una costante relativa al livello ideale al quale viene aggiustato il sistema.
Nel caso del comparatore che controlla la navigazione presso gli animali e presso i veicoli, il secondo ingresso può essere una costante (un angolo fisso per esempio) o una funzione del primo ingresso (v. sotto, cap. 6, § c) e anche, come nel caso della navigazione astronomica, un angolo che varia in funzione del moto apparente degli astri.
Il comparatore elabora segnali che sogliono avere intensità assai debole e non sempre hanno natura tale da poter percorrere il canale di retroazione. Per tal motivo può essere assistito da dispositivi che codificano e amplificano il segnale: il neurone recettore dei Metazoi riunisce di solito le funzioni di sensore, di comparatore, di codificatore e di amplificatore del segnale. L'amplificazione è resa possibile dal fatto che il neurone dispone di un'alimentazione energetica sua propria; quanto alla codificazione essa è del tipo trasformazione ampiezza/frequenza.
c) Il canale di retroazione e l'effettore
Il canale di retroazione (detto anche circuito di retroazione o circuito di feedback) è importantissimo dal punto di vista concettuale, ma dal punto di vista fisico ha poche proprietà rilevanti: l'alfabeto, cioè la varietà di segnali che può trasportare, la capacità (o velocità) e la schermatura contro il rumore.
In molti casi di regolazione fisiologica l'informazione da trasmettere per feedback è del tipo: livello sotto la soglia, chiudere il deflusso/livello ripristinato, riaprire il deflusso. Detta informazione può essere compendiata in un alfabeto del tipo sì/no, ovvero O/I.
In altri casi l'elemento di misura trasmette all'effettore non semplici diseguaglianze bensì indicazioni relative alla distanza tra livello effettivo e livello ideale, sicché l'alfabeto è molto più ricco e complesso.
Alla struttura e all'alfabeto dell'elemento di misura sono correlati struttura e modo di funzionare dell'effettore: se l'alfabeto è binario l'effettore avrà due sole posizioni possibili, aperto/chiuso, se invece i segnali variano con continuità l'effettore potrà avere innumerevoli posizioni intermedie tra aperto e chiuso.
I dispositivi di regolazione della vita vegetativa hanno spesso alfabeto binario, meno spesso lo hanno quelli della vita di relazione. La semplicità dell'alfabeto non inficia la precisione della regolazione che può essere elevatissima: basta che il sensore sia pronto e sensibile e i ritardi minimi. Va però detto che l'aggiustamento avviene con oscillazioni residue non sempre tollerabili. È utile tener presente, per quanto verrà detto poi (v. sotto, cap. 4, § d), che quando l'alfabeto è binario il grafico degli interventi è rappresentato dal succedersi di onde quadre.
Hanno alfabeto complesso i dispositivi di regolazione della vita di relazione e quelli dell'accrescimento, e in genere tutti quelli il cui sensore consiste in una popolazione di molecole o di cellule. Quando le cose stanno così la regolazione può essere (ma non lo è necessariamente) più sofisticata e priva di oscillazioni residue. Il grafico degli interventi degli apparati di regolazione aventi alfabeto complesso può essere di vario tipo, ma non comprende onde quadre; spesso in registrazioni da materiale biologico si susseguono oscillazioni sinusoidali smorzate e tratti rettilinei.
Nell'omeostasi fisiologica l'effettore può essere del tipo dell'interruttore o del tipo della pompa, a seconda che il flusso su cui agisce vada secondo gradiente o contro gradiente. Per azionare un interruttore basta poca potenza e pertanto l'effettore non ha bisogno di energia supplementare, oltre a quella del segnale, come accade nel termostato del ferro da stiro, o gliene occorre poca, come nel diaframma irideo o nei rubinetti azionati da un solenoide.
Per azionare una pompa occorre invece molta potenza e vi sarà sempre un'alimentazione energetica supplementare. A volte la spesa energetica occorrente può essere tanto forte da incidere per una grossa percentuale sulla spesa energetica totale, come accade per la regolazione osmotica di molti piccoli animali d'acqua dolce. A un certo limite la spesa diviene proibitiva, tanto che l'organismo rinunzia a un controllo impossibile e lascia fluttuare la grandezza in questione.
Qualunque organismo è munito di molti dispositivi che funzionano a mo' di pompa: nelle singole cellule si trovano macromolecole inserite nella membrana plasmatica che concentrano contro gradiente composti chimici e cariche elettriche; presso gli animali pluricellulari più grossi, quali i Vertebrati, vi sono ‛pompe' di dimensioni ragguardevoli che provvedono alla ventilazione degli epiteli respiratori, alla circolazione del sangue, alla concentrazione e all'eliminazione di sostanze di rifiuto.
Queste pompe annesse agli apparati omeostatici possono essere del tipo sempre inserito (si pensi al cuore) e in tal caso al variare delle richieste varia, almeno in un primo momento, il ritmo del loro lavoro. Altre volte - ma ciò non è molto comune in biologia - esse lavorano a ritmo costante; in tal caso attaccano o staccano a seconda dell'occorrenza, proprio come avviene nei comuni frigoriferi.
4. parametri rilevanti nel funzionamento degli omeostati
a) Ambito di efficienza e precisione del controllo
Sulla superficie terrestre sono state misurate temperature ambientali che vanno da −70 a +55 °C circa, ma nessun progettista si basa su questi valori nel progettare un impianto di climatizzazione. Egli tiene ben presenti le condizioni esterne più severe in cui questo dovrà operare, ma trascura le condizioni del tutto eccezionali teoricamente prevedibili. Altrimenti il costo dell'impianto e della gestione crescerebbero in modo esagerato.
Altrettanto vale per i viventi i cui apparati omeostatici consentono di fronteggiare condizioni ambientali diverse, ma non estreme: nella lunga storia evolutiva di ciascuna specie sono stati favoriti gli individui e le popolazioni il cui rendimento, inteso in senso termodinamico, è stato migliore, non i campioni di resistenza alle circostanze peggiori verificatesi di tempo in tempo.
Dato questo insieme di motivi, per chi si occupa di biologia teorica o applicata è importante conoscere, per es., entro quale ambito di osmolarità un pesce abitatore di acque salmastre è in grado di mantenere stabile la pressione osmotica interna, oppure è rilevante sapere per quali valori di concentrazione esterna di un certo ione una cellula può mantenere stabile la concentrazione interna di esso, e via dicendo.
Non di rado l'ambito in cui la regolazione risulta efficace si amplia in un individuo per effetto dell'acclimatazione o si restringe a causa di fatti patologici, e infatti il medico ricorre alle ‛prove di carico' proprio per esplorare questi limiti.
Un altro parametro del controllo, importante per il tecnico in sede di progettazione e per il biologo in sede di descrizione, è la precisione. Anche se può sembrare strano, non sempre è desiderabile o conveniente una precisione molto spinta, anzi, per ridurre l'usura delle parti mobili, non è raro che in un'apparecchiatura (un pressostato, per esempio) vengano usati accorgimenti affinché gli interventi correttivi abbiano luogo solo quando si verificano scostamenti di una certa ampiezza dal valore ideale. Un esatto analogo lo si ritrova presso i viventi nei quali accade di osservare che la regolazione di un certo parametro è alquanto imprecisa (si pensi al tasso di glucosio e al tasso degli elettroliti plasmatici), non per impossibilità di far meglio, ma per giusto compromesso tra costo ed effettive necessità.
b) Stabilità dell'omeostato
Ciò che in ogni caso è tassativamente proibito è che un omeostato in talune condizioni operative divenga instabile per comparsa nel sistema di oscillazioni d'ampiezza crescente che possono portare alla distruzione del sistema stesso.
Sta di fatto che quasi mai si ha occasione di osservare fenomeni di instabilità nella vita vegetativa o nel comportamento degli organismi. Solo nei sistemi ecologici e nella neuropatologia dei Vertebrati sono descritti fenomeni riconducibili, forse, a instabilità insorta nei dispositivi di controllo.
Dato l'altissimo numero dei dispositivi omeostatici che operano in qualunque organismo vivente, la rarità con cui compaiono detti fenomeni non manca di sorprendere, e vien fatto di chiedersene il perché. Al momento attuale non mi risulta che sia stata data alcuna risposta soddisfacente. Nel ricercare una risposta conviene prendere in considerazione le modalità dell'‛alimentazione' (intesa nel senso più generale della parola) dei viventi e delle comunità dei viventi; tuttavia non è da escludere che nel disegno costruttivo dei dispositivi omeostatici della vita vegetativa sia inserito un qualche elemento atto a prevenire l'instabilità.
c) Segnali di emergenza
In un compartimento mantenuto in stato stazionario possono essere introdotti opportuni elementi di misura da cui partono eventuali segnali che indicano se e quando vengono superati i livelli di guardia per una certa grandezza. Questi segnali sono sicura spia che un qualche flusso di materiali indispensabili si è ridotto o che qualcosa si è guastato negli usuali dispositivi, e che urgono interventi di emergenza (v. sopra, cap. 2, § d).
Presso i viventi esistono dispositivi di allarme del tutto analoghi e troviamo anche preprogrammati comportamenti particolari atti a rimediare alla situazione che si è creata: talune reazioni di fuga di chi soffre per mancanza d'aria, per esempio, sono abbastanza note.
La segnalazione che un certo parametro interno è uscito di controllo o che un qualche apparato è fuori servizio è assai importante per la sicurezza del sistema, ma la sicurezza diverrà assai maggiore se la fatica con cui lavora l'apparato verrà segnalata prima che si verifichi lo scompenso.
In effetti è frequente osservare che la regolazione fisiologica presenta appunto questo pregio che tanto si vorrebbe incontrare nei molti oggetti meccanici ed elettronici che accompagnano la nostra vita di ogni giorno.
d) L'affidabilità dell'omeostasi e il controllo della potenza
Allorché un tecnico collauda un impianto di refrigerazione controlla per quanto tempo ‛sta attaccato' e per quanto tempo riposa il compressore: se le pause di arresto sono troppo brevi egli lo giudica inadeguato e lo sostituisce con uno più potente, ovvero ritocca l'impianto, aggiungendo per esempio unò strato di coibente.
Questa operazione equivale - per così dire - a un controllo sul controllore, ed è molto comune presso i viventi nei quali avviene in modo automatico. Le ricerche in proposito - in biologia, ma non in tecnologia - sono scarse, tuttavia il poco che si sa è sufficiente a rendere attendibili i semplici modelli che seguono.
Dobbiamo pensare che il controllo automatico della fatica si valga dei segnali inviati da un elemento di misura inserito sul canale di retroazione dell'omeostato.
Poiché il problema sorge solo se l'effettore è del tipo della pompa si danno due casi. Nel primo - in cui l'effettore può essere inserito e disinserito - le prestazioni richieste e l'eventuale fatica vengono misurate mediante confronto tra periodi di pausa e periodi di lavoro, cioè come durata percentuale dell'onda quadra. Nel secondo caso - in cui la pompa è sempre inserita e accelera o decelera a seconda del bisogno - prestazioni e fatica vengono misurate in base alla frequenza dei cicli e ciò sarà possibile solo se il comparatore che controlla l'affidabilità dell'omeostasi ha un ingresso relativo a una frequenza ideale: se frequenza misurata e frequenza ideale sono in fase non occorre alcun intervento, ma se non lo sono l'effettore agisce in modo che la pompa torni a lavorare al ritmo di base.
Un esempio lo si ricava da un'antica nozione della fisiologia umana: a seguito di uno sforzo intenso il cuore risponde subito aumentando la frequenza dei battiti (effetto cronotropo), ma in seguito, pur perdurando lo sforzo, la frequenza del polso scema mentre la gittata unitaria aumenta notevolmente (effetto inotropo positivo).
Un secondo esempio lo possiamo ricavare dalla fisiologia di animali situati all'altro estremo della scala zoologica: la frequenza delle pulsazioni del vacuolo contrattile di un protozoo ciliato trasportato in ambiente ipotonico aumenta bruscamente, ma in seguito ritorna a poco a poco quasi al livello primitivo a causa della riduzione della permeabilità della membrana plasmatica; moderato così il flusso endoosmotico, si riduce anche il carico dell'organulo regolatore.
In ambo i casi citati, è inteso che nell'organismo vengono generate le frequenze di confronto da utilizzare nel comparatore. Al momento presente si sa ben poco intorno a questi bioritmi, ma sul fatto che in qualche modo vengano generati vi è accordo generale in una letteratura quanto mai vasta (v. Goodwin, 1963 e 1964).
In ambo gli esempi riportati la fatica dell'effettore viene alleviata grazie all'intervento di meccanismi ausiliari, ma sono molti i casi in cui il dispositivo che controlla l'omeostato agisce in modo da modificare la potenza dell'effettore provocandone l'ipertrofia o l'ipotrofia.
I casi di potenziamento funzionale di un organo che ha lungamente lavorato sotto sforzo sono estremamente numerosi e noti anche ai profani. Dell'ipertrofia cardiaca dell'atleta parlano i giornali sportivi, ed è risaputo che durante un lungo soggiorno ad alta quota e atmosfera rarefatta il numero dei globuli rossi di un mammifero aumenta, permettendo così che con un normale ritmo respiratorio venga raccolta e trasportata in circolo un'adeguata quantità di ossigeno. È altresì noto che dopo l'asportazione di un rene quello superstite si ipertrofizza in modo da poter lavorare per due - o quasi - senza che compaiano mai segni di insufficienza.
Tutti questi processi che in passato hanno destato meraviglia, sì da indurre a invocare una vis medicatrix naturae o interventi di altre provvidenziali entità astratte, rispondono in tutto alla semplice logica del controllo dell'omeostasi. Alla medesima logica risponde l'ipotrofia di organi che non partecipano più a processi regolativi, nonché il decadimento fisico delle persone oziose o di quelle dedite ad attività sedentarie, intorno a cui si scrive da almeno due secoli.
e) Controllo e assuefazione
Il farmacologo ha molte occasioni di constatare che la ripetuta somministrazione di un farmaco a un animale da laboratorio, o a un uomo, è seguita da effetti progressivamente più modesti, tanto che alla fine, se non si aumenta la dose, il farmaco non agisce più. Si parla allora di assuefazione.
Il meccanismo dell'assuefazione è del tutto ovvio per quelle sostanze il cui tasso è di già sotto controllo nell'organismo: gli ormoni steroidei, per esempio. L'introduzione dall'esterno della sostanza fa sì che ne venga depressa la produzione endogena, dimodoché dopo un rialzo momentaneo si ritorna al livello base. Solamente se l'ormone viene somministrato in dosi così alte da superare la portata massima dei normali canali di eliminazione è possibile mantenere il suo livello a valori superiori a quelli di base. Tale risultato è pagato con l'annullamento della produzione endogena dell'ormone.
L'assuefazione è meno ovvia per quei farmaci il cui tasso all'interno dell'organismo non è soggetto ad alcun processo innato di regolazione: è il caso di certi ipnotici e di certi analgesici. In tali casi, siccome molti controlli fisiologici avvengono per il tramite di sostanze mediatrici aventi azione antagonista, è lecito presumere che l'organismo produca un eccesso di sostanze antagoniste al farmaco, le quali tendono a riportare al livello base l'attività fisiologica depressa o esaltata. A volte, per intervento di un controllo a preazione (v. sotto, § h), sparisce persino l'azione fugace che si verifica al momento della somministrazione del farmaco.
In ogni caso, quando la somministrazione del farmaco viene sospesa si verifica uno squilibrio più o meno prolungato della funzione fisiologica con cui il farmaco ha interferito.
Esiste tuttavia un terzo tipo di controllo omeostatico che è forse responsabile dei fenomeni di assuefazione più prolungati e più gravi. Allorché in un organismo un parametro sotto controllo supera il livello di guardia, può avvenire un aggiustamento interno di altri parametri coinvolti dalla sregolazione, per cui il primo può mantenere il livello abnorme senza rischio immediato per l'organismo.
La logica di questi interventi a catena sarebbe la medesima che guida l'ultraomeostato ideato da W. R. Ashby (1951): questo apparato, ogni volta che sopporta in qualche suo compartimento carichi eccessivi, modifica i valori-soglia di altri compartimenti in modo da raggiungere comunque la massima stabilità interna.
Conseguenza di questo diffuso riaggiustamento di parametri e soglie è che, quando l'azione distorcente viene rimossa, il sistema rimane squilibrato finché non sono stati annullati tutti gli interventi correttivi. Nel corso di questa disassuefazione gli squilibri sono spesso percepiti dal soggetto in modo molto acuto.
f) L'affidabilità delle strutture
Il problema dell'affidabilità dell'omeostasi e del conseguente controllo sul controllo non va confuso con l'affidabilità delle strutture che compongono l'omeostato, le quali non devono andare fuori servizio.
L'affidabilità delle strutture toglie il sonno ai progettisti di apparecchiature delicate e costose che devono durare il più a lungo possibile senza manutenzione: si pensi ai satelliti artificiali e alle sonde spaziali. A tale scopo si introduce una forte dose di ridondanza secondo criteri dettati da particolare logica (v. Glorioso, 1975). Ciò naturalmente fa salire il costo delle apparecchiature.
In linea di massima gli omeostati della biologia hanno strutture e connessioni estremamente affidabili, sia che si tratti di regolazione a livello molecolare all'interno della cellula, sia che si tratti di regolazione effettuata per il tramite di reti neuroniche.
L'affidabilità della regolazione molecolare è dovuta in parte alla moltitudine di elementi che entra in gioco, per un'altra parte alla stabilità della struttura delle macromolecole, per il resto al fatto che le molecole vengono via via rimpiazzate con altre di nuova sintesi. Il DNA che presiede alla sintesi e al controllo della sintesi delle macromolecole oltre ad avere stabilità estremamente elevata gode anche di dispositivi di riparo: per guastare il controllo della produzione di penicillina e farne produrre alla muffa molta di più del necessario i genetisti hanno dovuto somministrare a più riprese ai ceppi di Penicillium agenti chimici e fisici mutageni in dosi assai brutali.
L'affidabilità dei circuiti nervosi che devono durare ‛tutta una vita' è ancor più ammirevole, tanto più che nei vertebrati superiori, malgrado la perdita quotidiana di una frazione dei neuroni, nessuno di essi viene sostituito. Simile affidabilità non riposa quindi sull'indistruttibilità dei componenti o sulla autoriparazione, bensì su principî poco noti.
La ridondanza può essere forte ma è senza dubbio minore di quella che viene introdotta negli elaboratori che devono lavorare senza manutenzione per qualche anno: alcuni animali pluricellulari riescono a esplicare le loro attività sensitivo-motorie con alcune decine o poche centinaia di neuroni in tutto.
Il segreto dell'affidabilità delle strutture di controllo del sistema nervoso è probabilmente lo stesso per cui la memoria di un'esperienza risulta indelebile, anche se una cospicua parte del suo supporto materiale viene distrutta. In una memoria di tipo olografico, quale sembra essere la memoria a lungo termine degli animali superiori, la perdita di una parte del supporto ha per conseguenza la perdita di definizione dell'esperienza, mai la perdita di una parte di essa.
g) La struttura regolata
Quando si parla di regolazione non basta dire che ciò che viene regolato è il sistema, poiché in biologia per sistema si intende tanto un organismo quanto un suo compartimento, tanto una popolazione quanto un complesso di popolazioni. Bisogna quindi essere molto precisi, soprattutto se si ha a che fare con organismi superiori nei quali il più delle volte è un loro particolare compartimento che viene omeostatizzato.
In un animale molto evoluto non è sempre agevole identificarlo, basti pensare, per esempio, alla lunga disputa in merito a ciò che viene controllato nella termostasi (v. sotto, § l).
Sta di fatto che in simili casi il più delle volte il compartimento in stato stazionario è quello dei fluidi circolanti che costituiscono l'ambiente interno, al quale attingono tutte le cellule dell'organismo. La nozione è classica e può venir documentata con moltissimi esempi che riguardano i più diversi parametri del plasma: concentrazione di ioni alcalini e alcalino-terrosi, concentrazione di glucosio, massa globale, temperatura, tasso dei vari ormoni, ecc. Altri dati concernono la regolazione del liquido cefalo-rachidiano e quindi quella del liquido interstiziale del sistema nervoso centrale, distretto molto privilegiato per quanto riguarda la stabilità dei parametri più diversi (v. Davson, 1967).
Se però questi orientamenti di carattere generale non fossero sufficienti per identificare la struttura e rimanessero delle perplessità, allora il modo migliore per superarle consiste nell'identificare il luogo ove sono situati i sensori che ricevono gli stimoli necessari alla regolazione.
Per quanto riguarda l'omeorresi solo raramente occorre fare la distinzione di cui si è detto sopra, poiché, con l'eccezione degli arti dei Metazoi, la regolazione investe l'organismo nella sua interezza.
Per quanto riguarda la morfogenesi la situazione è esattamente opposta: persino in una cellula batterica ogni più minuta struttura ha i propri dispositivi di controllo.
h) Il controllo senza errori
Gli apparati omeostatici muniti di un solo canale di retroazione non realizzano mai l'assoluta costanza del parametro sotto controllo poiché sono governati dall'errore registrato dal comparatore. Tale errore può essere ridotto a valori molto piccoli, ma non può essere mai cancellato.
Se si vuole un controllo privo di errori, se si vuole cioè che un parametro del sistema goda stabilità assoluta, è necessario che ogni variazione delle condizioni esterne che agiscono sul parametro venga registrata in anticipo affinché gli interventi correttivi precedano la comparsa dell'errore e quindi la prevengano; per tal motivo si parla di ‛controllo a preazione' (feedforward).
Ad esempio, se il livello di un serbatoio deve rimanere assolutamente costante, occorre che venga registrata in anticipo qualunque variazione di flusso in entrata e uscita, insieme a qualunque variazione di temperatura che agisca sul volume o sull'evaporazione, e via dicendo. A mano a mano che i comparatori registrano le variazioni, il flusso viene opportunamente modificato.
Tutto ciò funziona perfettamente finché non accade l'imprevedibile, finché, poniamo, non compare un forellino nel serbatoio, o qualcuno vi fa il bagno. Un sistema a preazione non può correggere disturbi erratici di questo tipo, mentre quello a retroazione sì.
Il controllo a retroazione è sempre più conveniente, anche se impreciso, di quello a preazione. È da presumere che sia appunto questo il motivo per cui i dispositivi a preazione hanno avuto poche probabilità di affermarsi durante la lunga storia dei viventi. Gli esempi ben conosciuti di controllo a preazione non sono numerosi in biologia, anche se riguardano taluni delicati settori della biologia molecolare e della neurofisiologia.
Vi è però una categoria di fenomeni ben noti in psicofisiologia in cui il controllo a preazione coopera col controllo a retroazione. Si tratta dei riflessi incondizionati e di quelli condizionati. Alcuni di questi sono ben noti: una ventata fresca, per esempio, arresta la sudorazione in atto ancor prima che si sia verificata alcuna variazione della temperatura del sangue; chi spreme un limone si trova la bocca piena di saliva secreta allo scopo di ridurre l'acidità del succo ancor prima che questo sia stato assaggiato.
Accade però che i segnali che innescano una correzione anticipata varino nel tempo e quindi l'organismo deve avere un sistema nervoso capace non solo di imparare, ma anche di disimparare. Per esempio, quando si parte in ascensore interviene un delicato gioco di vasocostrizioni che in via riflessa si oppone allo squilibrio emodinamico provocato dall'accelerazione lungo la verticale. Questa correzione, presso chi adopera ripetutamente lo stesso ascensore, viene anticipata - grazie a un condizionamento del riflesso - al momento in cui viene schiacciato il bottone della partenza. Viene così del tutto annullato lo squilibrio emodinamico. Se però schiacciato il bottone l'ascensore non parte, il riflesso vascolare condizionato crea un disturbo di segno contrario a quello che avrebbe dovuto annullare.
Quando una correzione cade nel vuoto per alcune volte consecutive il riflesso condizionato si estingue o, se si preferisce, il canale di preazione viene escluso. È ciò che Pavlov ha dimostrato a proposito della salivazione e della secrezione del succo gastrico.
i) Il controllo su più canali di alimentazione
I riflessi condizionati costituiscono un esempio assai interessante della logica della regolazione che vige presso gli animali superiori. Un altro esempio della logica della regolazione è stato presentato al § d a proposito dell'omeostasi del contenuto idrico del protozoo ciliato. In questo animale vengono regolati, attraverso duplici elementi di misura e canali di retroazione, tanto il flusso in uscita quanto il flusso in entrata e ciò garantisce un elevato margine di sicurezza e costi di gestione pressoché costanti.
Anche nella regolazione termica degli Uccelli e dei Mammiferi il controllo viene operato tanto sui flussi in entrata che su quelli in uscita, ottenendo i medesimi vantaggi di efficienza ed economia nelle più diverse condizioni di esercizio. Salvo che in questi organismi osserviamo una strategia alquanto più complessa.
La logica degli interventi è così congegnata: quando la temperatura del sangue cala vengono ridotte l'irradiazione e la convezione (diciamo che vengono chiuse le finestre), se non basta viene incrementata la termogenesi da parte dei tessuti (diciamo pure che viene ravvivata la caldaia). Quando la temperatura del sangue sale oltre la soglia viene ridotta in prima istanza la termogenesi (purché si trovi al di sopra del livello base e la riduzione non interferisca con attività prioritarie); se ciò non basta vengono aumentate l'irradiazione e la convezione e solo se ancora non basta vien fatto ricorso al sistema più costoso che è quello di fare evaporare acqua.
Nel discorso ricorre la locuzione ‛se non basta'; bisogna ora dare a essa un'appropriata forma fisiologica. ‛Se non basta' può voler dire che la temperatura, salita oltre la soglia del primo comparatore, sale oltre la soglia del secondo ed eventualmente anche del terzo comparatore. Ma più probabilmente la successione degli interventi è regolata attraverso la misura della derivata del flusso termico: se dopo il primo intervento la derivata non cambia segno, entra allora in funzione il secondo dispositivo di correzione e allo stesso modo subentra, eventualmente, il terzo. Questo modello, che meglio rende conto della prontezza e della precisione del controllo, trova sostegno nella nozione piuttosto antica e ben verificata che certi recettori della biologia trasmettono segnali relativi alla derivata della grandezza fisica che funge da stimolo.
l) Omeostasi e disegno sperimentale
La termoregolazione dei Vertebrati è l'esempio classico che viene proposto quando si parla di omeostasi in biologia, ed è certamente anche il processo su cui si è scritto di più: nel quadriennio 1970-1973 sono comparsi sull'argomento non meno di cinque volumi e di una settantina di articoli (v. Whittow, 1971-1973; v. Jones, 1973; v. Bligh, 1973).
La termoregolazione è però anche un campo della fisiologia e della cibernetica ricco, oltre che di ricerche condotte con accuratezza e con acume, di ricerche condotte in modo improduttivo per insufficiente rigore nell'analisi preventiva del processo e per trascuratezza metodologica.
Tanto per cominciare, quasi nessun ricercatore, a dispetto dell'insegnamento di Cl. Bernard, si è chiesto quale sia il compartimento dell'organismo effettivamente termostatato, e ancora nel 1973 J. Bligh ha insistito nel dire che ciò che è omeostatato è la temperatura corporea profonda. Se si fosse chiarito in via preliminare che ciò che è omeostatato è la temperatura del sangue non ci sarebbe stato bisogno che Benzinger nel 1964 si affaticasse a dimostrare che non intervengono i recettori termici cutanei, ma quelli del diencefalo. Se si fosse ricordato che Weber fin dal 1851 aveva dimostrato che i termocettori sono stimolati dal variare del flusso termico (cosa del resto verificabile nel modo più semplice) molti ricercatori non avrebbero assunto per distrazione o per ignoranza che essi vengono stimolati dalla temperatura (v. Jones, 1973; v. Bligh, 1973) con conseguenze assai curiose. Jones, per esempio, per spiegare la riduzione della temperatura corporea che ha luogo durante il sonno introduce nelle equazioni con cui pretende descrivere la termoregolazione un fattore veglia (Xw), laddove sarebbe bastato tener conto che nel dormiente si riduce la gittata cardiaca (almeno durante il sonno normale) e che per tal fatto il flusso del calore dal termocettore al sangue si riduce e l'aggiustamento termico avviene a livello inferiore.
Il non aver considerato a sufficienza la logica della causalità circolare, che sta alla base della realizzazione dello stato stazionario, ha nociuto soprattutto all'indagine neurofisiologica.
Un tipo di esperimento fatto e rifatto più volte per identificare la sede e il modo di funzionare del termostato corporeo è stato quello di introdurre nell'ipotalamo un tubicino percorso da acqua a temperatura variabile a volontà e di osservare le risposte dell'apparato termoregolatore o i potenziali d'azione dei neuroni impalati con microelettrodi (v. Ström, 1950; v. Nakayama e altri, 1961; v. von Euler, 1964).
Simili esperimenti hanno continuato a dare risultati molto ambigui, e ben a ragione. Essi equivalgono esattamente a quelli compiuti da uno sperimentatore che per esplorare il funzionamento dello scaldaacqua vi introducesse a caso, attraverso un foro, delle resistenze elettriche incandescenti. La risposta del congegno varierà a seconda che la resistenza vada a finire dentro l'acqua o vicino al termometro interruttore. Nel primo caso il riscaldamento dello scaldaacqua cesserebbe un po' prima e l'acqua erogata avrebbe la solita temperatura, o sarebbe un po' più calda. Nel secondo caso il riscaldamento si spegnerebbe subito e verrebbe erogata acqua a temperatura più bassa.
L'ambiguità della sperimentazione nell'animale si spiega in modo del tutto analogo: se i tubicini dello sperimentatore scaldano più il sensore che il sangue, il deflusso di calore dal sensore verso il sangue sarà molto più intenso, l'animale rabbrividirà di freddo e aggiusterà la tempera- tura a un livello superiore. Se i tubicini scalderanno il sangue e non il sensore, il deflusso di calore dal sensore diminuirà e la reazione termoregolatrice sarà opposta. Se il riscaldamento interesserà in egual misura sangue e sensore non succederà nulla, dato e non concesso che il brutale trauma prodotto dal conficcare tutto quel macchinario nel cervello del soggetto in esperimento - sveglio perché l'anestesia generale turba la termoregolazione - non influisca in alcun modo.
Ancor meno attendibili i risultati ottenuti iniettando nell'ipotalamo o in altri distretti coinvolti nella termoregolazione mediatori sinaptici o inibitori dei mediatori si- naptici. I risultati sono altrettanto peregrini di quelli che si possono ottenere iniettando presso il termostato del solito scaldaacqua o nei suoi contatti elettrici limatura di ferro, limatura di rame, polvere di vetro.
Sperimentare sui processi di autoregolazione senza aver in mente un chiaro modello di lavoro è giocare d'azzardo.
m) Canali di retroazione lunghi e corti
Si conoscono casi in cui lo stato stazionario di un parametro biologico dipende da un controllo multiplo esercitato attraverso vie che differiscono per la prontezza dell'intervento correttivo.
Queste vie vengono classificate in ultracorte, corte e lunghe (e magari ultralunghe) in base al numero di compartimenti scaglionati lungo il circuito retroattivo. Se ve n'è uno solo si parla di feedback (o di canale di fredback) ultracorto; se ve ne sono due si parla di fredback corto; se ve ne sono tre di feedback lungo.
Esempi in proposito possono esser tratti dall'endocrinologia. Feedback ultracorto è quello dell'ormone circolante il cui tasso agisce direttamente sulla cellula che lo produce. Feedback corto è quello in cui l'ormone circolante agisce sull'ipofisi che di conseguenza cessa (o riprende) a stimolare le cellule endocrine produttrici. Feedback lungo è quello in cui l'ormone agisce sui recettori del diencefalo, che stimola l'ipofisi a secernere i messaggeri che a loro volta agiscono sulle cellule endocrine.
Casi come questi differiscono in un punto importante da quelli discussi in precedenza e riguardanti la regolazione di un livello energetico o di un livello di concentrazione mediante il controllo di più vie di approvvigionamento e di più vie di dissipazione. Il programma è infatti quello di intervenire con prontezza maggiore o minore a ciascun livello della gerarchia dell'elaborazione del prodotto finito.
Il tasso di una sostanza disciolta nell'ambiente interno può venir regolato in molti modi: governandone il rilascio da parte delle strutture che le immagazzinano; governandone la sintesi da parte delle cellule produttrici; governando il trofismo e il numero di dette cellule (se il mercato richiede molte scarpe prima si vuotano i magazzini, poi si moltiplicano le macchine che le producono, infine si potenziano e si moltiplicano le fabbriche; quando il mercato è saturo, prima si fermano le macchine, poi si smantellano, e infine si chiudono i calzaturifici).
Un esempio del tutto analogo, ma più ricco di particolari perché meglio studiato, concerne lo stato stazionario di certe scorte all'interno della cellula batterica.
Ogni cellula ha bisogno di scorte delle diverse specie di amminoacidi per i processi di sintesi proteica. Queste scorte vanno perfettamente dosate per non creare disservizi, intasamenti e sprechi nel limitato ambiente endocellulare, allo stesso modo che vanno controllate attraverso un impianto meccanografico o d'altro tipo le scorte del magazzino di una grande industria.
Un primo controllo riguarda la sintesi di ciascuna sostanza, regolata mediante un feedback breve: non appena la concentrazione del prodotto finito raggiunge il valore ottimale, le sue molecole interagiscono con le macromolecole enzimatiche legandosi in un sito particolare (sito allosterico) che funge da sensore; a seguito di ciò la macromolecola si deforma e smette di lavorare.
Il secondo dispositivo di controllo è azionato dal medesimo prodotto finito il quale, legandosi a una particolare molecola proteica (aporepressore), forma un complesso atto a legarsi al DNA proprio nel luogo ove viene specificata la sequenza della macromolecola enzimatica, ‛reprimendo' così ogni ulteriore sintesi dell'enzima.
Il secondo intervento subentra alquanto dopo il primo e può essere definito a feedback lungo. In realtà non è tanto la successione degli interventi quanto il loro diverso valore operativo che merita attenzione.
Altre cose si conoscono intorno a simili processi di regolazione a livello molecolare: quale è il numero di molecole di aporepressore che entrano in gioco, quale è la strategia del controllo allorché nella sintesi del prodotto finito interviene non un enzima ma una batteria di enzimi, ecc. In questa sede è sufficiente aver dato un rapido esempio di un tipo di controllo che all'interno di una minuscola cellula si trova ripetuto non meno di un centinaio di volte per altrettanti parametri.
5. la genesi dei bisogni
a) Alimentazione continua e alimentazione discontinua
Presso i viventi il controllo del flusso dei materiali assume fisionomie diverse a seconda che l'organismo sia immobile o pressoché immobile e a diretto contatto col materiale di cui si nutre, o che sia mobile e in occasionale contatto col suo cibo.
Il primo caso, che è quello dell'alimentazione continua o quasi continua, riguarda i Batteri sospesi nel loro pabulum, le piante radicate nel terreno, gli animali filtratori e vorticatori attaccati agli scogli, e via dicendo. Presso tutti gli organismi di questo tipo il controllo dell'alimentazione è un controllo di flusso e basta. Controllo di flusso di glucosio e sali minerali attraverso il plasmalemma per un batterio di modeste esigenze. Controllo di flusso d'acqua e sali attraverso le radici, unitamente a controllo di flusso di O2 e CO2 attraverso gli storni per le piante superiori. Controllo di flusso dell'acqua attraverso i porociti, insieme a controllo di flusso di ioni e di gas attraverso gli epiteli per le spugne.
In questi organismi la regolazione non presenta alcunché di particolare: se il flusso viene a cessare, come nella pianta sradicata, subentra la morte, ma altre volte subentra la quiescenza, come nei microrganismi capaci di formare spore. Non occorre quindi tornarci sopra.
Bisogna invece approfondire la casistica relativa a or- ganismi mobili, per i quali la situazione si presenta del tutto diversa, poiché l'alimentazione costituisce un fatto discontinuo, episodico, preceduto dall'attuazione di un programma di ricerca ben preciso.
Tra gli organismi mobili ve ne sono alcuni di struttura semplice, come i Batteri e i Protozoi, nei quali la regolazione coinvolge tutto l'organismo, e altri di struttura molto complessa, nei quali la regolazione riguarda un ben definito ambiente interno. Su questi conviene fare alcune precisazioni preliminari.
b) L'ambiente interno
Presso gli organismi superiori la superficie esterna si fa vieppiù impermeabile per vari motivi: in quelli che lasciano l'ambiente marino per le acque dolci, l'impermeabilizzazione dei tegumenti evolve in rapporto alla necessità di economizzare il lavoro osmotico e di tesaurizzare gli elettroliti; in quelli che lasciano l'ambiente acquatico per quello subaereo, l'impermeabilizzazione risponde alla necessità tassativa di risparmiare acqua.
In un caso e nell'altro debbono comunque rimanere varchi adatti per l'afflusso e il deflusso dei materiali organici e degli ioni, per gli scambi respiratori. Tali varchi possono venire opportunamente e attivamente custoditi, col vantaggio di rendere stazionarie, con poca spesa, varie caratteristiche di un ‛ambiente interno' che non sarà quello endocellulare, ma sempre e solo - come si è visto - quello dei liquidi circolanti.
In termini anatomo-fisiologici per ambiente interno dei Vertebrati si intende l'insieme di sangue, liquido interstiziale, liquido cefalo-rachidiano. In termini di cibernetica questi liquidi, e il sangue in particolare, rappresentano i compartimenti del sistema che vengono omeostatati.
L'omeostasi di un compartimento di un sistema che resta periodicamente isolato dall'esterno può essere realizzata solo grazie alle scorte accumulate in altri distretti del sistema stesso. Ciò è ovvio, com'è ovvio che negli organismi in questione vi dev'essere, oltre al resto, la regolazione delle scorte. Questa è però realizzabile soltanto se l'individuo dispone di un programma di ricerca che lo conduce alla fonte a cui attingere.
I due momenti dello scarseggiare delle scorte e della ricerca di una fonte sono collegati dall'insorgenza dei bisogni, fenomeno che ne realizza la saldatura operativa in sede di comportamento. Tutto ciò, espresso nel linguaggio d'ogni giorno suona così: intaccate le riserve l'individuo prova fame e questo lo spinge a cercare cibo. Se ho adoperato la terminologia più complessa e meno familiare, l'ho fatto per esorcizzare, esprimendomi in termini tecnici non sospetti, il demonio del finalismo che può essere intravisto in una simile proposizione.
c) I bisogni
Il problema della genesi dei bisogni e del loro soddisfacimento si situa al punto d'incontro tra fisiologia ed etologia, e non è certo sorprendente che abbia attirato da lungo tempo l'attenzione di medici e naturalisti tra i quali si distingue Alfonso Borelli (1608-1679).
Ciò che sorprende, casomai, è il fatto che da cinquanta anni a questa parte nelle trattazioni fisiologiche se ne sia parlato sempre meno, fino al punto che nelle opere più recenti il termine ‛bisogni' sparisce del tutto dagli indici analitici e dal testo. La cosa è tanto singolare da meritare anche in questa sede una breve divagazione. Solo a taluni bisogni particolari, quali fame e sete, viene dedicata qualche pagina o qualche riga ove si tratta per lo più dei loro aspetti neurologici, ma in alcuni trattati non si fa parola nemmeno di questi basilari moventi del comportamento d'ogni animale: evidentemente l'argomento è diventato tabù.
Anche nella trattatistica psicologica recente manca qualunque esame della questione dei bisogni e della loro genesi, ma in luogo di essi si discorre molto intorno alle ‛motivazioni'. Questo termine solo rare volte viene adoperato nel corretto significato cibernetico che ebbe in origine, mentre assai spesso viene usato come sostituto eufemistico per bisogno, o in altri modi peregrini.
Ne deriva una sconcertante ambiguità e vaghezza del discorso scientifico, che contrasta singolarmente con la chiara e rigorosa linearità dei processi fisiologici e comportamentali correlati con i bisogni: ‟the prime relevance of control theory to behaviour theory is in the area of motivation" dice efficacemente McFarland (v. 1971, p. 180).
d) Ristabilimento di un flusso informativo
Allo scopo di avere una visione unitaria e più completa delle proprietà degli esseri viventi, è decisivo considerare che questi sono sede non solo di un flusso di materiali ed energia, ma anche di un flusso di informazioni. Informazioni endogene provenienti dal patrimonio ereditario e dalle strutture interne e informazioni esogene provenienti dall'ambiente circostante: queste ultime divengono vieppiù importanti e decisive per la sopravvivenza a mano a mano che si sale lungo la scala zoologica.
Allo stesso modo che per garantire un adeguato flusso di alimento un animale deve soddisfare fame e sete, così esso al fine di garantire un adeguato flusso di informazioni deve soddisfare un analogo bisogno.
Per quanto riguarda l'uomo è noto da lungo tempo che segregazione e isolamento sono per il prigioniero tortura non meno crudele della fame e della sete. Gli psicologi sono divenuti consapevoli di ciò nel corso di ricerche che miravano a stabilire gli effetti di un prolungato isolamento degli astronauti in un ambiente ristretto e monotono: la privazione (o ‛deprivazione') di afferenza sensoriale induce piuttosto rapidamente in ogni soggetto drammatiche allucinazioni e disorientamento. Così ridotto, il soggetto segregato - allo stesso modo che l'assetato beve qualsiasi liquido, anche ripugnante - ascolterà e riascolterà qualsiasi cosa possa udire schiacciando un adatto bottone, anche se ripugnante alle sue più radicate convinzioni.
Per quanto riguarda gli animali siamo molto meno informati, ma è certo che un trattamento del genere induce nei ratti un comportamento anomalo violentemente aggressivo. In essi, dopo il periodo di isolamento, sono riscontrabili modificazioni biochimiche del tessuto cerebrale (v. Valzelli, 1970 e 1973).
È legittima, e in certa misura ovvia, presunzione che alla privazione di informazione segna un comportamento atto a ristabilire il flusso ottimale per quel dato soggetto in quel dato contesto.
e) Genesi delle sensazioni di bisogno
Il Borelli, postosi il problema della genesi delle sensazioni di bisogno, si chiedeva in qual modo la mancanza di una qualche cosa potesse costituire stimolo - e stimolo assai intenso - per una sensazione, e concludeva che il soggetto non percepisce la mancanza di acqua, di cibo o d'altro, bensì la comparsa di sintomi che in qualche modo ne sono conseguenza: secchezza delle fauci, crampi allo stomaco, ecc.
Fino ad alcuni decenni fa nella trattatistica fisiologica si trovavano identiche spiegazioni, che peraltro oggi risultano soddisfacenti solo in parte. Molto più utile è invece l'ipotesi, del resto pacifica per un biologo moderno, che i più vari bisogni vengano avvertiti dal soggetto nel momento in cui entrano in azione quei dispositivi d'allarme che segnalano che un apparato omeostatico controlla a fatica un qualche parametro interno.
Del resto non è neppur necessario che il soggetto in questione abbia una percezione precisa, o anche molto vaga, di quanto avviene in lui; l'essenziale è che il dispositivo d'allarme inneschi un programma di ricerca di una fonte alla quale esso potrà attingere quanto gli è necessario per ristabilire i margini di sicurezza. Questo programma può essere estremamente semplice, e tuttavia molto efficiente, e può essere inserito anche in automi fabbricati senza troppa spesa: le ‛tartarughe artificiali' ideate da W. G. Walter (v., 1953) si vanno a ‛sfamare', vanno cioè a ricaricare le proprie batterie in via di esaurimento, eseguendo programmi semplici basati su chiavi sensoriali anch'esse molto semplici. Come accade per gli organismi viventi mobili, questi automi raggiungono la loro meta anche se incontrano ostacoli vari.
In merito al controllo dell'alimentazione vi è da dire che esso concerne il livello delle scorte, non tanto la de- ficienza di un qualche composto: tra il provar fame e il momento in cui il tasso di zuccheri, amminoacidi e pro- teine del plasma cade al disotto dei limiti fisiologici, passa sempre un intervallo relativamente lungo. Solo i più piccoli tra gli uccelli (i colibrì) e tra i mammiferi (i toporagni) non resistono più di un giorno all'inedia, ma per i vertebrati a sangue freddo tra il momento in cui vien ricercato il cibo e il momento della sofferenza passano mesi; per i più grossi vertebrati a sangue caldo passano settimane. La precoce insorgenza del bisogno ha un significato 0vvio: è infatti necessario che l'animale che si mette in moto per procurarsi il cibo si trovi in buona efficienza fisica.
In merito alle chiavi sensoriali utilizzate, si può affermare che il più delle volte la ricerca del cibo si vale di segnali chimici, cioè di sostanze chemotattiche, che esercitano un'‛attrazione specifica' e forniscono un filo conduttore. Nella chemotassi il programma di ricerca può venir riassunto in poche parole: rimontare il gradiente di concentrazione massimizzando il segnale in arrivo. La strategia seguita a tale fine sarà diversa a seconda dell'equipaggiamento sensoriale di cui dispone l'organismo, ma si può subito dire che la traiettoria che conduce alla fonte sarà governata da processi interpretabili in base al solito schema, non importa se si tratta di un batterio o di un cane.
Sostanzialmente identico il comportamento quando la chemotassi concerne la ricerca dell'altro sesso, l'incontro dei gameti in vista della fecondazione, l'adunata di organismi gregari o sociali nei luoghi di raccolta. L'unica differenza riguarda il fatto che la sostanza chemotattica viene sintetizzata ed emessa da una categoria di individui de- putati a lanciare il segnale. A queste sostanze, di solito possedute in esclusiva da ciascuna specie, vien dato il nome tecnico di feromoni, ma a una categoria di esse si applicano anche i termini più eloquenti di ‛esche sessuali' o di sex attractants.
Per taluni animali superiori la chiave sensoriale che guida verso il cibo, e anche verso l'altro sesso o lontano dai pericoli, non è di tipo chimico, ma di tipo visivo o acustico: tra questi animali figurano Uccelli e Primati. Anche essi ricercano la fonte seguendo un programma piuttosto semplice, ma il problema del riconoscerla diviene per loro assai complesso: i segnali visivi e acustici rilevanti sono infatti confusi in mezzo a un rumore di fondo assai intenso sicché per selezionarli occorrono organi di senso e apparati d'analisi dell'afferenza molto progrediti. In rapporto a ciò i richiami visivi e vocali degli Uccelli e dei Primati sono sempre molto intensi e modulati in modo speciale.
f) L'istinto
Insisto nel dire che l'insorgenza dei bisogni e la traiettoria verso la meta sono concatenate in modo assai chiaro e lineare: avvertito il bisogno l'organismo si metterà in moto, dapprima allo scopo di intercettare i segnali indispensabili, e poi avendoli percepiti - allo scopo di raggiungere l'obiettivo. Ma intorno a questo susseguirsi di attività è nata una confusione terminologica e concettuale quasi insanabile.
Un tempo questo comportamento veniva chiamato istintivo (v. de Maupertuis, 1746; v. Reimarus, 1770) cioè, stando all'etimologia, compulsivo. Inoltre, a seconda dell'orientamento filosofico e teologico del ricercatore, veniva chiarito che l'istinto era la guida fornita dalla provvidenza, ovvero veniva asserito che non era altro che la risultante di operazioni meccaniche delle parti interne. Oggi non occorre disturbare la provvidenza e nemmeno la meccanica, poiché è lecito dire che questo comportamento ha basi ereditarie e un supporto neurologico.
Ciononostante un'importante frazione degli addetti ai lavori nega che l'istinto esista e afferma che in suo luogo dev'essere riconosciuta l'esistenza di ‛pulsioni', ovvero di drives sostanzialmente casuali: quando si pone nella gabbia di Skinner un ratto ‛motivato' (cioè affamato o assetato), esso si muove a caso sospinto dal drive finché non si imbatte nella leva che, schiacciata, fornisce una piccola razione di cibo (ciò che accade poi è storia nota).
Sta di fatto che una ‛tendenza motoria non orientata' è fragile presunzione dettata dall'incapacità dell'osservatore o dello sperimentatore di capire cosa percepisce il soggetto studiato o il valore operativo di ciò che esso fa. Poiché dalla capacità di soddisfare i propri bisogni dipende la sopravvivenza di qualunque individuo, è invece più solida presunzione che l'animale affamato o assetato non si muova a caso bensì nella direzione dalla quale gli organi di senso, quasi sempre assai più fini di quelli umani, ricevono lo stimolo del caso.
6. controllo delle traiettorie (omeorresi)
a) Traiettorie balistiche e traiettorie a feedback
Un obiettivo può venir raggiunto seguendo o traiettorie balistiche o traiettorie governate da feedback. Nel primo caso, per quanto possa essere accurato il calcolo preventivo, la sicurezza di raggiungerlo non è mai totale, nel secondo caso, purché l'inseguitore abbia un sia pur minimo vantaggio di velocità e adotti un'opportuna strategia, il successo è sicuro. È per questo motivo che la traiettoria di un organismo in cerca di cibo solo di rado è di tipo balistico: gli esempi che si incontrano in natura concernono i predatori all'agguato che si slanciano o si lasciano cadere sulla vittima.
È estremamente frequente, al contrario, che dette traiettorie siano governate dal ritorno dell'informazione e dall'ininterrotto confronto tra risultato conseguito e risultato atteso. I processi implicati in simile controllo possono venire interpretati, come ho anticipato, mediante schemi del tutto simili a quelli utilizzati a proposito dell'omeostasi della vita vegetativa.
L'omeorresi, anche se alla lontana finisce col garantire la stazionarietà delle condizioni interne dell'organismo, ha tuttavia valore operativo diverso dall'omeostasi intesa in senso stretto. Essa riguarda il soddisfacimento dei bisogni e la fuga dai pericoli.
b) I diagrammi dell'omeorresi
Negli schemi a blocchi relativi all'omeorresi la struttura della parte informativa resta la stessa. Ciò può ingenerare perplessità a proposito dell' input del sensore: mentre nel caso della regolazione fisiologica è evidente che il sensore è collegato col sistema, poiché è da questo che trae l'informazione, non è altrettanto evidente che esso debba esser collegato allo stesso modo nel caso dell'omeorresi. Anzi, ci si potrebbe attendere che, provenendo l'informazione dall'esterno, questo collegamento manchi del tutto.
In realtà nello schema a blocchi il sensore riceve l'input dal sistema, poiché l'afferenza è funzione della posizione del sistema in rapporto all'origine dei segnali.
Va inoltre presa nota del fatto che in questi schemi è del tutto diversa la grandezza fisica su cui agisce l'effettore: nell'omeostasi fisiologica viene regolato un flusso, nell'omeorresi viene regolato invece un parametro di uno dei vettori del sistema.
Di conseguenza, non è pensabile la regolazione della traiettoria di un organismo che non si muova attivamente, allo stesso modo che non è pensabile il governo di una nave priva di vele o di motori. Peraltro, contrariamente a quanto accade nel pilotaggio di un natante il cui timone agisce sulla direzione della forza resistente, dissipando così energia, presso i viventi l'effettore corregge di regola, momento per momento, la direzione della forza motrice, e questa è la soluzione più economica.
Qualora l'animale disponga di organi locomotori pari, cioè di una coppia motrice, la correzione viene effettuata variando, a seconda del bisogno, il carico che grava su ciascun membro della coppia.
c) Strategie nell'omeorresi
Il controllo delle traiettorie descritte da un organismo segue programmi diversi a seconda delle finalità.
Il predatore si comporta in modo da ‛massimizzare' l'intensità del segnale proveniente dalla preda e programma quindi una rotta di collisione, mentre la preda fugge in modo da ‛rendere minimo' il segnale che proviene dal predatore. Gli uccelli migratori e gli insetti che si trasferiscono effettuando una navigazione astronomica, o quelli che vanno e vengono seguendo una traccia esistente nell'ambiente, seguono il programma di ‛stabilizzare' il segnale in arrivo.
In queste tre varianti dei programmi omeorroici si coglie una corrispondenza con le tre varianti dell'omeostasi (a feedback positivo con fuga all'infinito, a feedback positivo con fuga a zero, a feedback negativo) di cui si è parlato precedentemente (v. sopra, cap. 2, § c).
Dal punto di vista tecnico va osservato che queste strategie possono venire adottate solo se l'elemento di misura consente di rilevare la variazione di un segnale nel tempo, ovvero la sua variazione nello spazio.
Nel primo caso detto elemento comprende: 1) un sensore che fornisce al comparatore un modulo scalare proporzionato all'intensità del segnale; 2) un dispositivo che ritarda di un istante il segnale emesso dal sensore e lo invia al secondo ingresso del comparatore. Il confronto tra il segnale all'istante e il segnale ricevuto un tempuscolo prima permette al soggetto di ricavarne la derivata che è poi quella che governa la traiettoria. Quanto al ritardo introdotto esso può ben essere un ritardo di tipo sinaptico (v. Piccinni e Omodeo, 1975). Il comportamento di un organismo così equipaggiato consiste nel compiere una scansione dello spazio e dirigersi nella direzione da cui giunge il segnale più forte.
Nel caso del variare di segnali nello spazio possono essere impiegati due sensori simmetrici notevolmente distanziati che fanno capo a uno stesso comparatore da cui partono due canali di feedback; ciascuno di questi canali perviene a un membro di una coppia motrice. Il comportamento di un organismo così equipaggiato è il seguente: se i segnali sono bilanciati non viene effettuata alcuna correzione, se sono sbilanciati verrà comandata la sterzata verso il lato che riceve lo stimolo più intenso. Gli ordini da impartire sono quindi: avanti diritto/vira a destra/vira a sinistra, sicché l'alfabeto del comparatore deve comprendere almeno tre lettere e l'effettore deve avere altrettante posizioni corrispondenti.
d) Comportamento motorio controllato mediante sensore unico
Quando lo stimolo è di tipo chimico e l'organismo risale il gradiente in base al numero delle molecole che nell'unità di tempo interagiscono con i suoi sensori, sorge una questione di ordine tecnico. In effetti solo in teoria un gradiente è privo di ineguaglianze: la turbolenza ambientale creerà sempre anomalie locali e queste saranno numerose soprattutto in periferia ove le ‛molecole segnale' sono rarefatte e più forti sono le fluttuazioni statistiche; oltretutto molte specie di molecole volatili sembrano muoversi in forma di aggregati. Per tali motivi, organi di senso chimico simmetrici se ne possono ben trovare, ma si tratta di una caratteristica anatomica alla quale non fa riscontro una duplicità funzionale, dato che solo in rare occasioni potrebbero fornire indicazioni utili per attuare la strategia del bilanciamento dei segnali sopra descritta.
Il comportamento sarà quindi guidato dal variare dell'intensità del segnale nel tempo piuttosto che dal suo variare nello spazio.
Risalire un gradiente chimico utilizzando la variazione del segnale nel tempo richiede delle strategie particolari. Una è la seguente: sterzare di un angolo fisso, non scelto a caso, non appena il segnale si affievolisce. Così muovendosi l'organismo si avvicina al fuoco di massima intensità lungo una linea spezzata che si approssima a una spirale. Mi è difficile affermare che questa strategia sia la migliore possibile o addirittura l'unica possibile: un teorema in proposito manca. È però certo che un comportamento del genere è stato descritto e lo si osserva in effetti presso organismi molto diversi, amebe, gameti maschili, pescicani.
È da aggiungere che questo tipo di strategia non porta quasi mai al fuoco di massima concentrazione, ma solo nei suoi pressi: quanto vicino dipende dal valore dell'angolo di sterzata, dal ritardo degli interventi correttivi e anche, e soprattutto, dal fenomeno di saturazione.
Quando infatti l'organismo giunge in prossimità della zona di massima concentrazione tutti i suoi sensori finiscono con l'interagire con le molecole segnale, sicché, anche se la concentrazione di queste varia, non varia più l'intensità del segnale trasmesso al comparatore.
Spesso l'arrivare presso la fonte è già sufficiente, ma quando ciò non basta, allora l'organismo o procede in base a un'afferenza sensoriale d'altro tipo (il cane smette di fiutare e si pone in ascolto), ovvero - se continua a utilizzare il senso chimico - deve rimontare il gradiente di concentrazione di una seconda sostanza chemotattica che per le sue diverse caratteristiche fisico-chimiche e per la minore concentrazione non satura i recettori della seconda serie.
Le sostanze chemotattiche svolgono, come ho già detto, molte funzioni essenziali per la biologia di quasi tutte le specie: regolano l'incontro dei due sessi, l'avvicinamento e la fusione dei gameti, il reperimento del cibo e la fuga dai predatori. Purtroppo le conoscenze in merito al senso chimico e alle strategie del comportamento non sono progredite in proporzione alla rilevanza dell'argomento e quindi, volendo restare nell'ambito di ciò che è sicuro, conviene non aggiungere altro. È però utile chiarire che in molte circostanze la sostanza chemotattica non inne- sca un comportamento di risalita di un gradiente, bensì un programma di moto controcorrente, detto ‛reotassi negativa'. Ciò perché, essendo molto lenti i processi di diffusione, là dove il fluido ambiente scorre in una direzione il gradiente si distorce e, invece di assumere forma sferica (o emisferica), assume la forma di un ellissoide (o di un mezzo ellissoide) assai allungato, con la sorgente prossima al polo situato dal lato da cui proviene la corrente.
Il controllo delle traiettorie mediante informazioni visive compare presso organismi viventi molto primitivi dotati di fotosintesi: Batteri, Alghe e Protozoi, e ha in origine lo scopo di portare la cellula nel luogo con illuminazione ottimale. Nei Protozoi il sensore, quando è riconoscibile, è unico; alcuni di essi percepiscono l'eventuale diminuzione dell'illuminazione attraverso il confronto tra segnale all'istante e segnale ritardato di una frazione di secondo attraverso una giunzione speciale. La percezione della riduzione innesca un processo di correzione che riporta la cellula nella direzione giusta. Qualora la correzione non risulti sufficiente viene ripetuta.
e) Comportamento motorio controllato attraverso sensori pari e simmetrici
Presso gli organismi pluricellulari compaiono occhi pari e simmetrici che permettono non solo di dirigersi verso la fonte luminosa o di fuggirla, ma anche di dirigersi verso il cibo o altri obiettivi. In questi animali si affina non solo la struttura dell'occhio ma anche quella del sistema nervoso che provvede all'analisi dell'afferenza e, in particolare, al riconoscimento delle forme; procedimento di grande complessità. Ma il conseguente controllo delle traiettorie rimane semplice da intendere e da schematizzare.
In taluni casi basta bilanciare l'intensità del segnale ricevuto dai due occhi, ovvero far sì che l'immagine si disegni in luoghi simmetrici della retina. In altri casi si tratta di muoversi mantenendo fisso l'angolo sotto il quale viene veduto un astro o una costellazione. Se l'itinerario è lungo, come accade per certi animali migratori, detto angolo va cambiando in modo da compensare il moto apparente dell'astro.
Per chi guida la macchina il programma è quello di controllare continuamente l'angolo che il ciglio della strada o la linea di mezzeria formano con la linea di visuale: se il parallelismo viene meno si sterza nel modo adatto a ristabilirlo. L'uccello che vola seguendo la linea di costa o un corso d'acqua si regola allo stesso modo.
Lo sfruttamento di segnali acustici per raggiungere il cibo compare tardi nella storia evolutiva dei viventi e nello stesso momento questi segnali vengono anche sfruttati dalla possibile vittima per scampare al predatore. Sono bene equipaggiati a tal fine Artropodi e Vertebrati. Presso questi ultimi i dispositivi di controllo delle traiettorie raggiungono la massima raffinatezza nei Chirotteri, nei Cetacei e nei Rapaci notturni. Chirotteri e Cetacei, come è noto, generano i suoni di cui utilizzano l'eco per reperire il cibo e la strada giusta.
f) Correzioni e oscillazioni residue
Chi impara a guidare un'automobile o a pilotare un'imbarcazione non trova alcuna difficoltà a sterzare dalla parte giusta e a portare il veicolo sul nuovo allineamento. Dopodiché l'inerzia del sistema fa sì che questo allineamento venga superato e si rende necessaria una seconda correzione di segno opposto, sia pure di minore ampiezza, e così via.
Simile serpeggiamento può costituire un grosso inconveniente, soprattutto quando le masse in gioco sono grandi, sicché l'allievo viene istruito sul modo di evitarlo: si tratta di ridurre la correzione in anticipo, prima che l'allineamento desiderato sia stato raggiunto, affidando alla inerzia l'ultimo tratto della correzione. Così si regolano anche gli animali presso i quali l'eliminazione delle oscillazioni da inerzia fa parte della componente appresa che compare in molti programmi istintivi. In altre parole, nella regolazione delle traiettorie il controllo mediante retroazione viene integrato da un controllo a preazione analogo a quello di cui si parla nel cap. 4, § h.
L'eliminazione di qualsiasi oscillazione residua ha scarso interesse in molti processi di regolazione di parametri chimici e fisici, ma è decisiva per le attività motorie di tutti gli animali che catturano al volo prede relativamente veloci: basti pensare alle rondini e ai pipistrelli, agli assilli e alle libellule, alle seppie e ai delfini.
Per gli animali funamboli, per quelli che si muovono lungo i rami o su terreno accidentato e non devono metter piede in fallo, altrettanto decisivo è che il movimento degli arti sia preciso e sicuro. Precisione e sicurezza vengono conseguite, ancora una volta, grazie a un apparato a retroazione avente struttura alquanto diversa: vi è un effettore che imprime un movimento (di tipo balistico?) e un secondo effettore antagonista al primo che impone una frenata tanto più completa quanto più si riduce il divario tra risultato conseguito e risultato ricercato, quanto più l'arto è vicino al bersaglio o al punto d'appoggio ricercato.
Perché le cose procedano a questo modo l'apparato di controllo deve avere due elementi di misura: il primo segnala direzione e distanza del bersaglio e aziona i muscoli agonisti, il secondo segnala la riduzione della distanza del bersaglio e aziona in modo progressivo gli antagonisti. Il risultato viene conseguito senza scosse e senza oscillazioni residue.
Da questa sommaria descrizione del processo si desume che l'elemento di misura che governa gli antagonisti deve attraversare una successione di innumerevoli stadi e che altrettanto deve accadere per l'effettore. In realtà quanto si sa dell'anatomia microscopica e della neurofisiologia del movimento dei Vertebrati risulta del tutto coerente con questo modo di vedere. Altrettanto si può dire a proposito della microanatomia e neurofisiologia degli Invertebrati che sono stati studiati sinora ; negli Artropodi dalle gambe lunghe e sottili si osserva però una singolare differenza: l'agonista è un muscolo, mentre l'antagonista è un dispositivo idraulico, o viceversa.
La neurofisiologia del controllo del movimento degli arti presso i Mammiferi è conosciuta con ricchezza di particolari, ed è anche ben conosciuta l'anatomia microscopica dei meccanocettori tendinei e muscolari che fungono da elementi di misura per i canali di feedback che fanno capo al midollo spinale e al cervelletto. Qualunque irregolarità del controllo diventa una spia importante di danni al sistema nervoso.
I muscoli delle corde vocali sono privi di meccanocettori, ma ciò non vuol dire che la loro tensione sia priva di controllo, poiché è facile verificare che c'è ed è di tipo inconsueto: la tensione viene infatti controllata in base all'altezza del suono emesso e percepito dall'orecchio. Da un punto di vista funzionale simile soluzione appare vantaggiosa. Va aggiunto che, poiché mancano muscoli antagonisti, una nota sostenuta non sarà mai del tutto stabile ma oscillerà, sia pure di poco, intorno a un valore medio.
7. appagamento dei bisogni
a) L'atto consummatorio
Il dissetarsi, lo sfamarsi, l'accoppiarsi, l'appagamento del bisogno insomma, concludono il processo, talvolta lungo e aleatorio, iniziato nel momento in cui un segnale interno ha spinto l'organismo a mettersi in moto. W. Craig (v., 1918) ha dato a questa operazione conclusiva del comportamento istintivo il nome di atto consummatorio, termine che è entrato nell'uso.
L'atto consummatorio è accompagnato da piacere (ricompensa interna) come è facile constatare attraverso l'introspezione e l'osservazione di animali gregari o sociali i quali sogliono comunicare i loro sentimenti.
L'appagamento del bisogno non è privo di controllo, ma dura finché non subentra un altro segnale interno: la sazietà.
b) La sazietà
La sazietà per il bere o per il mangiare compare alquanto prima che le scorte siano integralmente ricostituite, e ciò per un motivo importante. L'assorbimento attraverso il tubo digerente richiede un certo tempo; se l'animale smettesse di bere, poniamo, sol quando ha introdotto nel sangue tutta la massa di acqua necessaria, nel suo stomaco residuerebbe ancora una certa quantità di acqua che, assorbita a sua volta, farebbe pendere la bilancia nella direzione opposta. Questo anticipo nell'arresto della correzione è del tutto analogo a quello di cui è detto al cap. 6, § f.
Nei Mammiferi il segnale di sazietà, che interrompe definitivamente il programma, parte dall'ipotalamo, porzione del diencefalo in cui hanno sede i chemocettori che governano un gran numero di apparati omeostatici e dove vengono attivati molti e diversi programmi di ricerca.
I tentativi di individuare con esattezza la sede dei centri della sazietà hanno dato i soliti risultati ambigui che hanno deluso tanti cacciatori di localizzazioni cerebrali. Tuttavia quando sono stati ottenuti risultati positivi questi sono stati di grande interesse: la stimolazione del centro della sazietà per il cibo arresta immediatamente il mangiare, mentre la sua distruzione fa sì che il soggetto mangi a dismisura divenendo obeso.
Tuttavia i ratti ai quali sia stato distrutto il centro della sazietà al cibo possono guarire - così come guariscono quelli resi inappetenti con la distruzione del centro della fame - dopodiché ritornano al peso iniziale. La guarigione può voler dire che erano stati distrutti non i neuroni, ma i loro collegamenti che possono rigenerarsi, ovvero che vi sono cellule che a poco a poco assumono le funzioni di quelle distrutte. Questa ipotesi pare preferibile.
8. controllo del flusso informativo
a) Controllo del flusso informativo nel sistema nervoso
Ogni organismo è attraversato da un flusso di informazioni genetiche provenienti dal patrimonio ereditario e da un flusso di informazioni provenienti dall'ambiente e raccolte attraverso i recettori di senso.
Sul controllo dell'informazione esterna dirò poco: si tratta di un processo ininterrotto di ampiezza straordinariamente grande poiché ogni individuo con equipaggiamento sensoriale pari o migliore di quello dell'uomo è bombardato da tale copia di informazioni che solo una minima parte di essa può essere adeguatamente analizzata e adoperata.
È stato detto, molto opportunamente, che il cervello è molto più ammirevole per quanto riesce a ignorare che non per quanto riesce a elaborare. La facoltà di ignorare dipende in larga misura dal filtraggio dell'informazione rilevante per una data situazione operativa: in merito a ciò hanno gran rilievo le recenti acquisizioni intorno all'attivazione e all'inibizione centrifuga dei recettori sensoriali (v. Moruzzi, 1975), che vanno annoverate tra le cose più belle della recente neurofisiologia. Fatto si è che la selezione dell'informazione rilevante non ha propriamente il carattere del controllo omeostatico e quindi non ha diretto rapporto col tema che ci interessa.
Un controllo sul flusso d'informazione mediante un canale di retroazione è tuttavia evidente almeno in un caso, che concerne però l'uomo e soltanto l'uomo. Quando conversa, quando recita, quando discorre, ogni individuo controlla se il flusso verbale traduce correttamente il proprio flusso ideativo: se qualche parte di questo flusso non risulta tradotta in modo appropriato colui che parla torna indietro e si corregge. Si tratta di un fenomeno ben noto che si basa sul fatto che il flusso ideativo riverbera immediatamente e può così venir confrontato con quanto l'individuo ascolta dalle proprie parole. Il controllo in definitiva non è diverso da quello che interviene quando si segue un percorso prefissato o si pilota un veicolo, ma non è fuor di luogo segnalare che esso mostra di avere stretta parentela col funzionamento dei circuiti riverberanti che costituiscono la memoria a breve termine.
b) Il flusso di informazioni genetiche da una generazione all'altra
Le informazioni genetiche fluiscono lungo due canali: da una generazione alla generazione seguente lungo il canale DNA-DNA e anche dal patrimonio ereditario (genoma) al citoplasma lungo il canale DNA-proteine (v. Tamino, 1972 e 1974). Nel primo caso l'informazione fluisce a senso unico, sicché, mancando un canale di retroazione, è da presumere che non vi siano dispositivi di controllo. Ciononostante Lerner (v., 1954) ha sostenuto che esiste anche un'‛omeostasi genetica'. Quando un parametro ambientale si deteriora oltre un certo limite, una frazione della popolazione muore: attraversato un simile ‛collo di bottiglia', in essa la frequenza di individui forniti degli alleli genici che conferiscono una speciale resistenza risulta fortemente incrementata. Ma ciò non dura a lungo poiché l'omeostasi genetica riporta le frequenze degli alleli intorno ai valori iniziali.
Non vi è motivo di dubitare che le cose vadano spesso proprio in questo modo, altrimenti le popolazioni finirebbero coll'essere costituite, come già ho chiarito (v. sopra, cap. 4, § a), da campioni di resistenza alle più varie e catastrofiche circostanze ambientali. Vi è però da credere che non si tratti di un processo di autocontrollo, bensì di un processo di controllo esterno.
c) Controllo sull'operone dei Batteri
La genetica molecolare dei Batteri ci offre il modello più suggestivo di apparato di controllo nel cosiddetto ‛operone' individuato e descritto da Jacob e Monod (v., 1961).
Gli operoni possono essere considerati sia come regolatori di un qualche parametro chimico della cellula, sia come regolatori del flusso informativo genetico. In precedenza (v. cap. 4, § m) se n'è parlato sotto il primo punto di vista, qui se ne parlerà invece sotto il secondo punto di vista che è teoricamente più rilevante.
Taluni operoni funzionano a feedback negativo e sono quelli che controllano il livello delle scorte all'interno della cellula. Altri funzionano a feedback positivo con fuga a zero e sono quelli che presiedono al dosaggio di enzimi con funzione digestiva: è il substrato da digerire che innesca la sintesi dell'enzima che lo distruggerà. L'esempio classico riguarda un enzima prodotto dal batterio Escherichia coli, che scioglie il legame che tiene uniti glucosio e galattosio nella molecola del lattosio.
In assenza di lattosio il gene lac che specifica l'enzima è quiescente, poiché il gene operatore che lo precede è bloccato da una molecola proteica a esso complementare, il lac-repressore, e ciò ne impedisce la trascrizione. Quando alcune molecole di lattosio vengono assorbite dal batterio, esse si legano a loro volta al lac-repressore, sottraendolo al gene operatore al quale sta attaccato. Per tale fatto diviene possibile la trascrizione dei geni situati a valle e la conseguente sintesi delle proteine specificate. Quando queste sono state sintetizzate e hanno digerito tutto il substrato, il repressore torna libero e quindi va a occupare di bel nuovo il sito sul DNA operatore impedendo ulteriore sintesi di enzimi, ormai superflui.
È interessante notare che, insieme al gene per l'enzima digestivo, viene attivato un gene per la sintesi di un enzima che introduce attivamente il lattosio all'interno della cellula. È come quando in una fabbrica la materia prima viene introdotta solo quando sono pronti i macchinari destinati a trasformarla.
Simile apparato di controllo, anche se lavora su scala molecolare, è molto raffinato; presenta però un rischio: se l'enzima digestivo a seguito di una mutazione diventa inattivo, nella cellula si verificherebbe l'accumulo di una sostanza inutilizzabile e la perenne produzione di molecole enzimatiche inerti.
Altre più accurate ricerche hanno poi dimostrato che questo rischio non sussiste in quanto non è proprio il lattosio che blocca l'operone, bensì un primo prodotto della sua demolizione. Insistendo nella similitudine prima introdotta, si può dire che le cose vanno come se la costruzione di nuove macchine e l'introduzione di materia prima venisse decisa solo quando un prototipo preesistente fosse risultato efficiente.
Va sottolineato anche che il numero di molecole di lac-repressore presenti nella cellula è molto basso (circa 10) e ben dosato : ciò è importante, poiché tutto il processo di regolazione dipende da interazioni di tipo competitivo tra substrato, sito regolatore del DNA e repressore. Un eccesso di molecole di repressore manterrebbe inerte l'operone anche in presenza di substrato da digerire.
Come venga realizzato il controllo sul numero di mole- cole di questa proteina regolatrice non è noto, ma è da presumere che non intervenga un altro apparato omeostatico.
d) Controllo del flusso informativo nella genetica degli organismi superiori
La struttura compatta dell'operone dei Batteri offre un particolare vantaggio: quando a un processo biochimico partecipano molecole di molte specie diverse esse vengono facilmente attivate o disattivate in blocco attraverso un solo stimolo. Se si tratta di enzimi digestivi lo stimolo è costituito dal substrato, se si tratta di enzimi con funzione sintetica lo stimolo è rappresentato dal prodotto finito.
Presso gli organismi diversi dai Batteri le cose vanno diversamente, in quanto i geni che cooperano specificando proteine impegnate in un singolo processo non sono riuniti di regola a formare un singolo blocco. Tuttavia la regolazione sussiste ed è probabilmente più versatile di quella che si osserva nell'operone batterico, in quanto i vari geni possono venire attivati in molte combinazioni diverse; senonché i collegamenti sono molto più complessi e costituiscono una rete di circuiti di cui è difficile ricostruire la struttura.
Il tentativo a tutt'oggi meglio riuscito per intendere la logica di questi circuiti lo si deve a Britten e Davidson (v., 1969), ma si tratta pur sempre di un modello orientativo che resta da verificare.
Presso Invertebrati e Vertebrati allo stadio larvale o giovanile l'attivazione di singoli geni i cui prodotti partecipano alla metamorfosi o al passaggio allo stadio adulto avviene per il tramite di ormoni, messaggeri che governano processi durevoli nel tempo. Il tasso di questi messaggeri è reso estremamente stabile e stabile è l'influsso esercitato su popolazioni di cellule ‛competenti', ciascuna delle quali risponde nel modo che le è proprio.
In casi fortunati, dei quali molti riguardano gli Insetti (Drosophila è il caso più noto), l'entrata in funzione o in riposo dei singoli geni si palesa all'esame microscopico: la comparsa (o la scomparsa) degli anelli di Balbiani intorno a un segmento di cromosoma gigante sta a indicare che il gene lì situato ha iniziato (o cessato) la trascrizione del suo messaggio.
e) Regolazione temporale entro le cellule
Un apparato omeostatico a feedback negativo può comportarsi come un oscillatore o, se si preferisce, come un marcatempo, a condizione che il flusso controllato sia uniforme. Entro una cellula esistono quindi molti ritmi che si intersecano in modo quanto mai vario e che interagiscono generando altri ritmi più lenti.
Questo insieme di fenomeni è stato studiato efficacemente da Goodwin (v., 1963 e 1964) il quale, facendo ricorso alla genetica molecolare, ha proposto dei modelli molto interessanti di ‛orologi interni', che sono capaci di scandire il tempo per la corretta successione di molte attività cellulari.
I bioritmi possono procedere secondo le leggi loro proprie, ma il più delle volte devono essere in fase con ritmi ambientali: alternanza di giorno e notte, alternanza di flusso e riflusso di marea, e via dicendo.
Nel caso degli organismi superiori il cui arco di vita copre più di un anno, i bioritmi sono cadenzati alle nostre latitudini, anche con i ritmi stagionali; vi è, in altre parole, anche un ‛calendario interno'. Esso è di estrema importanza poiché per una pianta che riprendesse l'attività vegetativa prima della fine dell'inverno o per un uccello i cui piccoli schiudessero quando non vi è sufficiente cibo a disposizione, il danno sarebbe molto grave.
La rifasatura dei ritmi endogeni sui ritmi esogeni non è diversa, in linea di principio, dalla rifasatura dell'attività di una pompa su di una frequenza base intrinseca all'organismo (v. sopra, cap. 4, § d), ma dati sicuri intorno a ciò non se ne hanno. Si sa comunque che nei Vertebrati il calendario interno è regolato dall'epifisi in base ai segnali provenienti o dai fotorecettori dell'occhio pineale o dai fotorecettori degli occhi.
9. controllo della morfogenesi (omeorresi dello sviluppo)
a) Considerazioni introduttive
I problemi dell'ontogenesi degli organismi sono stati prospettati in modi molto vari negli ultimi cent'anni. Dapprima si è parlato di ‛meccanica dello sviluppo' intendendo sottolineare con questo termine che il divenire dell'individuo va interpretato in termini di determinismo e, in particolare, di determinismo fisico. Intorno al 1930 si è incominciato a parlare di ‛embriologia chimica' spostando così l'accento sul determinismo chimico, ma alcuni anni dopo si è incominciato a parlare più opportunamente di ‛embriologia causale'.
Il controllo sulla morfogenesi è stato molto variamente denominato: Waddington l'ha chiamato nel 1942 ‟canalizzazione dello sviluppo" mentre Lerner nel 1954 ha parlato di ‟developmental homeostasis", termine adottato l'anno dopo da Dobzhansky e modificato da Waddington (v., 1957 e 1968) in ‟developmental homeorhesis". Quest'ultimo termine ha avuto più fortuna degli altri e merita d'essere conservato. Si badi, a ogni modo, che il controllo della morfogenesi si lascia descrivere a volte con termini identici a quelli con cui descrive l'omeostasi fisiologica, altre volte con termini identici a quelli con cui si descrive l'omeorresi del comportamento motorio.
Trovare un accordo sulle parole può essere facile, meno facile trovare un accordo sulla sostanza, e in particolare sui contenuti e sul modo di impostare i numerosi problemi che non mancano di sorgere, nonostante gli sforzi di Waddington e di Apter di dare una razionale sistemazione teorica a un insieme di fenomeni estremamente vari.
Prima di procedere conviene comunque sgombrare il campo da questioni estranee.
In taluni casi la morfogenesi della biologia non differisce da quella della cristallografia: strutture geometriche complicate ed eleganti formate da macromolecole di uno o più tipi, quali si osservano nei macropolimeri dell'emoglobina e dell'emocianina, nel capside dei Virus, nei fotorecettori dei Protozoi, non solo si lasciano studiare e descrivere con i mezzi propri della cristallografia, ma la loro genesi ha identico determinismo fisico-chimico.
Il montaggio degli elementi che compongono queste strutture avviene in modo spontaneo, senza bisogno di alcuna informazione che guidi il processo. Ciò che può essere regolato è il numero di molecole prodotte in vista del montaggio successivo, ma in ciò non vi è nulla di diverso dal consueto controllo delle scorte. Nel caso della morfogenesi dei virioni (strutture virali complete) manca anche questa regolazione, sicché dei materiali destinati a formarli vi è grande spreco, anche se il cromosoma del virus svolge qualche diretta azione nel montaggio.
In casi come questi il problema della regolazione o non sussiste, o è marginale, sicché in questa sede non ce ne occuperemo.
In altri casi, al contrario, la morfogenesi implica un controllo sul ritmo di crescita, sulla durata della crescita e sull'erogazione dell'informazione occorrente alla morfogenesi. Son questi problemi pertinenti al nostro tema e per essi la modellistica esposta risulta perfettamente adeguata; con due restrizioni però: la coordinata del tempo non manca mai e il controllo della forma avviene sempre attraverso sensori che trasducono tipi di energia che con la forma hanno, a prima vista, ben poco a vedere.
b) Morfogenesi di strutture che non preesistevano
Morfogenesi vuol dire accrescimento differenziale di strutture preesistenti, vuol dire nuovo ordinamento di elementi preesistenti, ma vuol dire anche e innanzitutto realizzazione di strutture del tutto nuove. Questo tipo di morfogenesi è possibile solo a condizione che venga fornita informazione attinta o al patrimonio genetico, o al patrimonio genetico e all'ambiente, o all'ambiente soltanto. Quest'ultimo caso è il meno comune per quanto riguarda lo sviluppo embrionale, ma è il più importante per molte questioni relative all'apprendimento (v. Minelli, 1971).
Come venga erogata l'informazione genetica e come i segnali chimici dirigano la realizzazione del programma è stato discusso, sia pure sommariamente, nella sezione precedente. Qui farò cenno solo a tre questioni di carattere generale.
La morfogenesi ex novo presso gli organismi pluricellulari si identifica in sostanza col ritmo di proliferazione e differenziamento delle cellule che li compongono e con la produzione di sostanze extracellulari aventi funzioni di sostegno e protezione. Sul controllo di tali processi si dispone di una gran massa di notizie, molto disparate però e difficili da inquadrare in modo soddisfacente. Emergono comunque due dati evidenti e inoppugnabili. Esistono speciali strutture cellulari, dette organizzatori, che dirigono la morfogenesi di strutture adiacenti, cambiando il destino di altre cellule non ancora differenziate; le nuove strutture si comportano a loro volta in modo analogo, secondo una sequenza rigorosamente gerarchizzata. I reciproci contatti tra le cellule dell'embrione sono molto spesso i protagonisti della formazione di speciali patterns a livello sopracellulare nel contesto dell'embrione stesso (v. Wolpert, 1969; v. Minelli, 1975).
Presso gli organismi unicellulari si ha morfogenesi solo quando essi sono dotati di ciclo biologico con alternanza di forme, altrimenti a ogni atto riproduttivo essi si limitano a ripristinare la quota di strutture che nella divisione erano toccate alla cellula sorella.
La morfogenesi cellulare dipende in larga misura dall'accrescimento dei microtubuli e dei filamenti che ne formano l'impalcatura e forniscono sostegno a speciali strutture. Ciò è ben noto per molti protozoi, per i neuroni, per gli spermi e per altre cellule specializzate.
c) Morfogenesi cellulare, controllo della lunghezza del flagello
Sulla regolazione dell'accrescimento dei microtubuli si sa poco, ma la morfogenesi del flagello di taluni protozoi è per certo molto dimostrativa. Quando questa appendice viene persa per intervento sperimentale o per evento naturale, essa ricresce secondo una curva il cui asintoto coincide con il valore ideale della lunghezza. Tale tipo di accrescimento può essere giustificato in base all'intervento di un feedback negativo che imprime una decelerazione tanto più energica quanto più si riduce la differenza tra lunghezza ideale e lunghezza effettivamente conseguita.
La descrizione analitica del processo è piuttosto semplice e i vari autori che se ne sono occupati (v. Tamm, 1967; v. Randall e altri, 1967) hanno proposto equazioni esponenziali negative di cui hanno accuratamente calcolato i parametri. Naturalmente l'andamento teorico sarà rispettato solo a patto che le condizioni di vita della cellula vengano scrupolosamente tenute uniformi: se si lasciano variare, come avviene in natura, temperatura, illuminazione, concentrazione di fattori d'accrescimento, presenza di farmaci particolari e altro ancora, alla lunghezza definitiva si giunge lo stesso, ma per percorsi tortuosi difficilmente prevedibili.
Nell'insieme il controllo è identico a quello delle traiettorie prive di oscillazioni residue.
È scontato che il sensore che regola il processo ha per ingresso una grandezza proporzionale alla lunghezza del flagello, ma quale sia non lo si sa con sicurezza: può trattarsi del momento torcente che si sviluppa alla base del flagello quando ruota, ma può anche trattarsi di flusso di ioni attraverso la membrana plasmatica che ne ricopre il moncone. Comunque, se i coefficienti di proporzionalità variano, varia la lunghezza ideale del flagello.
d) Morfogenesi cellulare, controllo delle dimensioni relative
Nelle cellule in cui vi è durevole richiesta di più intensa attività respiratoria vi è una retroazione che determina un aumento del numero delle molecole enzimatiche che partecipano a questa funzione; di conseguenza divengono più numerosi e ricchi di creste i mitocondri che sono appunto supporto di questi enzimi.
Per contro nelle cellule dei Saccaromiceti che per mancanza di ossigeno cessano di respirare e virano al metabolismo fermentativo, i mitocondri divengono più semplici e meno numerosi, e in ultimo finiscono con il disorganizzarsi.
Del tutto parallelo è il comportamento dei cloroplasti che divengono più numerosi e ricchi di clorofilla quanto più è elevato il regime della fotosintesi, mentre si spogliano di pigmento e si riducono allorché difetta la luce.
Anche se mancano precise conoscenze sul controllo dello sviluppo di questi organelli endocellulari, è senz'altro lecito supporre che proceda allo stesso modo in cui procede il controllo di quegli organi che, avendo lavorato a lungo sotto sforzo o essendo rimasti a lungo inoperosi (v. sopra, cap. 4, § d), si ipertrofizzano o regrediscono. In effetti lo sviluppo di un organulo cellulare o di un organo di un animale superiore può venir considerato sia un processo di morfogenesi sia un processo di compensazione funzionale.
A questo proposito torna opportuno osservare che gli embrioni e gli stadi giovanili, in cui più vivaci sono i processi di morfogenesi e accrescimento, sono anche assai più attivi di quanto si suole credere dal punto di vista del metabolismo e della motilità; tale fatto è certamente utile guida dei processi in questione.
e) Gradienti e campi morfogenetici
Quando morfogenesi non vuol dire solo accrescimento differenziale di strutture preesistenti ma realizzazione di nuove configurazioni - eventualità molto comune nel corso dell'ontogenesi degli organismi pluricellulari - il processo assume andamento diverso. Il caso meglio noto riguarda il corpo fruttifero di un'ameba gregaria, il Dictyostelium discoideum, la cui formazione procede in modo molto schematico. Senza entrare in particolari, dirò che l'aggregazione delle amebe avviene grazie alla liberazione di feromoni da parte di una cellula che (per fluttazioni statistiche) diviene fondatrice, e grazie alla ripetizione del segnale da parte delle altre cellule che si muovono risalendo il gradiente creato dalla prima.
Considerando il processo nelle coordinate spaziali, le cellule risultano coinvolte in un processo identico a quello che governa la traiettoria di organismi diretti al fuoco di massima concentrazione di una sostanza; visto invece nelle coordinate temporali, il processo si configura come graduale morfogenesi di una struttura molto complicata a partire da una disordinata moltitudine di cellule ameboidi.
È stato dimostrato che, parallelamente all'istituirsi di precisi rapporti spaziali tra le amebe, all'interno di ciascuna cellula si verificano modificazioni della composizione biochimica (palesi anche a livello microscopico) che specificano il ruolo che ognuna di esse svolgerà nell'edificazione del corpo fruttifero (v. Alton e Lodish, 1977).
Nel caso sopra riassunto la morfogenesi è preceduta e accompagnata dalla formazione di gradienti che guidano il comportamento delle cellule. Altrettanto avviene nel corso dell'embriogenesi di organismi pluricellulari, come è noto da tempo. Nell'embrione si istituiscono (e continuamente si trasformano e si dileguano) campi e gradienti biochimici con andamento molto preciso, i quali guidano e condizionano il futuro destino degli elementi cellulari.
Gli sforzi miranti a individuare queste sostanze morfogenetiche hanno avuto quasi sempre esito deludente. Ciò non sorprende, poiché è scontato che esse devono essere presenti in quantità minima.
L'ipotesi più o meno implicitamente accettata è che queste sostanze diffondano nella compagine dell'embrione secondo patterns ben precisi, e che lungo le vie di diffusione nelle cellule embrionali vengano indotte attitudini speciali. Si ammette anche, e ciò non contrasta con quanto ho appena detto, che in taluni casi le sostanze morfogenetiche abbiano proprietà chemotattiche e guidino verso la loro sede definitiva le cellule migranti, sempre numerose e attive in qualunque embrione.
Waddington (v., soprattutto, 1957) là dove parla di canalizzazione dello sviluppo, o anche di ‛creodi' - cioè di sentieri obbligati - non fornisce solo similitudini suggestive, ma anche modelli visivi di una regolazione a base fisico-chimica del tutto confrontabile con quella dell'omeorresi del comportamento.
Un esempio di canalizzazione della morfogenesi con basi fisiche anziché chimiche riguarda la morfogenesi delle trabecole ossee delle teste articolari dei Mammiferi. La disposizione di queste trabecole è tale da opporsi nel modo migliore alle sollecitazioni meccaniche subite da queste parti dello scheletro e, se per un qualche motivo le condizioni di carico variano, il trabecolato si riorganizza di bel nuovo in modo da continuare a rispondere nel modo migliore alle nuove sollecitazioni. La coerenza tra forma e funzione è tanto precisa e minuziosa che più di uno studioso ha sostenuto che non la si poteva spiegare in termini deterministici.
In realtà la spiegazione di questi eventi morfogenetici, anche se ancora lacunosa, è di una sorprendente semplicità: la matrice del tessuto osseo è piezoelettrica, produce cioè, quando viene meccanicamente deformata, un campo elettrico. Ebbene, le cellule del tessuto sono programmate in modo da rimuovere o da deporre il materiale organico e inorganico dell'osso in modo rigorosamente conforme al segno e all'intensità del campo elettrico in cui esse vengono a trovarsi. Si può anche dire che queste cellule (osteoblasti e osteoclasti) operano in modo da annullare le cariche elettriche che si generano nel tessuto osseo.
f) I processi di riparazione
Chi studia i processi morfogenetici molto spesso ricorre all'espediente di amputare un organismo di una sua parte, dopodiché procede all'osservazione della risposta dell'organismo, modulando opportunamente le condizioni sperimentali. Con simile procedura è stata raccolta negli ultimi duecent'anni una massa veramente enorme di notizie relative ai più diversi stadi di sviluppo di una moltitudine di organismi.
Queste notizie non riguardano soltanto la morfogenesi, poiché l'approccio sperimentale mette in luce anche e soprattutto la capacità regolativa del vivente. Fa cioè conoscere i dispositivi di retroazione che riattivano l'erogazione dell'informazione genetica, contenuta in geni divenuti ormai quiescenti.
In effetti i recenti sviluppi della biologia molecolare consentono di mettere in evidenza, su materiale opportunamente scelto, la comparsa delle molecole mediante cui il patrimonio ereditario comunica col citoplasma.
Che si tratti della rigenerazione delle zampe del tritone, che si tratti della formazione di quattro larve di stella di mare a partire dalle prime quattro cellule in cui si è segmentato l'uovo, che si tratti della rigenerazione di parti del corpo cellulare dell'alga Acetabularia, non si osserva però soltanto ciò che il genoma comunica. Si osserva anche ciò che viene comunicato al patrimonio ereditario, il quale viene così implicato in una sorta di dialogo (v. Omodeo, 1975).
Da questi studi emerge evidente che ogni nuova tappa della morfogenesi ha luogo solo quando al genoma è giunto di ritorno il segnale di ‛programma eseguito'. Emerge evidente che, ogni volta che una parte del programma in corso è stata distrutta, ciò viene comunicato alla fonte delle informazioni, la quale reitera la trasmissione del programma a partire dal punto in cui esso era rimasto valido.
10. conclusioni
Quanto è stato esposto sin qui permette di raggiungere due conclusioni. Una, diciamo così, di carattere metodo- logico-operativo e una di carattere teorico.
Sul piano metodologico è da ribadire l'opportunità di considerare ogni vivente alla stregua di un sistema attraversato, oltre che da un flusso di energia e di materiali, anche da un flusso di informazioni il cui esame consente di comprendere come funzionano i rispettivi meccanismi di regolazione.
La circostanza che l'organismo sia in condizioni di stazionarietà - o di quasi stazionarietà - per moltissimi parametri diversi e la circostanza che anche il comportamento motorio sia sempre sotto controllo obbligano ad affrontare queste tematiche in qualunque settore della biologia si operi.
Per fortuna non è difficile orientarsi in questo campo. Conviene in primo luogo individuare i parametri che entrano in gioco: grandezza sotto controllo, grandezza misurata dal sensore, livello ideale, canali di alimentazione e vettori del sistema, ecc. Ciò fatto diviene possibile tracciare lo schema operativo relativo a uno o più dispositivi omeostatici, e questo servirà di base per approcci sperimentali che non diano risposte ambigue. La sperimentazione consentirà di rilevare altre caratteristiche del controllo quali: stabilità, ambito in cui il controllo è efficace, strategia adottata, affidabilità, ecc.
In base a queste caratteristiche diviene possibile identificare le esatte circostanze dell'insorgere di particolari bisogni, nonché i programmi geneticamente prefissati, o acquisiti attraverso l'apprendimento, che tendono a soddisfarli.
Poiché gli apparati di autoregolazione che intervengono nell'ambito dell'ontogenesi, della vita vegetativa e della vita di relazione, possono venir descritti con modelli simili, e poiché il loro funzionamento è sempre più o meno strettamente concatenato, questo tipo di analisi permette di considerare in modo organico le molte facce del comportamento di un vivente.
Perché questo modo di procedere porti a una concezione più unitaria bisogna tuttavia colmare una grave lacuna nelle nostre conoscenze intorno all'omeostasi: non sono infatti note le regole compositive dei circuiti omeostatici le quali fanno sì che vengano sempre rispettate le priorità che vigono a ogni momento e fan sì che gli interventi non siano mai contraddittori.
Ciò non vuol dire che bisogna rinunziare al lavoro di analisi, del tutto sterile a detta dei cultori di filosofie olistiche, ciò vuol dire che urge approfondire la ‛logica del vivente'.
Altro limite deriva dal fatto che non è difficile costruire modelli di controllo ma che, casomai, è troppo facile, e che chi procede semplicisticamente rischia di cadere in qualche trabocchetto. A ciò si aggiunga che si ricorre volentieri alla modellistica idraulica, dato che i flussi che accade di controllare nella vita quotidiana sono appunto di tipo idraulico. Ben venga l'idraulica, a patto che il ricercatore non dimentichi in nessun momento che sta trattando un modello analogico e che le grandezze che entrano realmente in gioco sono di tutt'altra natura.
Un infortunio illustre, derivato dall'aver ridotto la vigilanza critica in proposito, riguarda un articolo in cui Lorenz (v., 1950), dopo aver diffusamente e correttamente dibattuto questioni metodologiche di fondo, presenta un modello col quale intende spiegare il modo in cui certi comportamenti istintivi sono operativamente legati alla motivazione. Nello schema a detta di Lorenz fluisce ‟endogenous action-specific energy". L'energia endogena specifica è evidentemente un'entità di comodo inventata a bella posta per dare un nome a qualcosa che fluisce nel modello, ma essa è anche del tutto gratuita e pericolosa.
A simile pretesa, alla quale Hull (v., 1952) ha dato appoggio ritagliandole una veste matematica, ha replicato efficacemente e mitemente Hinde (v., 1960). Presa in esame una serie di modelli di comportamento che fanno ricorso alla nozione di energia psichica o nervosa - ivi compreso quello di Lorenz - Hinde conclude: ‟it seems possible and preferable to formulate theories in which concepts of energy, and of drives which energize behaviour, have no role".
Sul piano teorico il concetto di omeostasi ha un valore forse maggiore di quello che ha sul piano operativo. Di ciò Cannon (v., 1932) doveva essere ben consapevole quando ha pubblicato la prima trattazione dell'argomento dandole un titolo, The wisdom of the body, che a prima vista sembra implicare una rozza concezione animista o vitalista del funzionamento degli organismi viventi. In effetti la nozione di omeostasi ha valore liberatorio e consente l'uso di espressioni come questa.
Di fronte a una struttura o di fronte a un comportamento l'anatomista, il fisiologo, l'etologo si sono sempre chiesti in primo luogo (e tanto peggio se non lo hanno fatto): ‟a che serve?" Ma quando poi finalmente avevano trovato una risposta non la potevano fornire nel modo più piano ed esplicito. Da quando invece si è sviluppata la modellistica dell'autoregolazione è divenuto lecito esprimersi nei seguenti termini: ‟l'animale si comporta così poichè tende a questo scopo e adotta la seguente strategia" e un simile discorso non può essere inficiato dall'accusa di vitalismo, di animismo o comunque di scarso rispetto per la razionalità. Tutto il processo riassunto in quelle poche parole può venire esposto nei minimi particolari nel più completo rispetto per i canoni che sono stati fissati per la scienza da Galilei e da Cartesio in poi.
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