Omesso versamento delle ritenute di acconto e dell’Iva
Frequentemente si presenta al giudice, chiamato a decidere in procedimenti penali instaurati per i reati di omesso versamento delle ritenute certificate o dell’IVA, il problema di quale rilievo possa essere riconosciuto all’oggettiva impossibilità di adempiere da parte del contribuente insolvente. Nel seguente contributo, viene dapprima ripercorsa la giurisprudenza in materia, in modo da far emergere quale sia la soluzione che si va consolidando nella prassi giudiziaria, e vengono poi segnalate alcune potenziali frizioni fra tale soluzione e i principi costituzionali che governano il nostro diritto penale.
Le fattispecie di «Omesso versamento di ritenute certificate» (art. 10 bis, d.lgs. 10.3.2000, n. 74) e di «Omesso versamento di IVA» (art. 10 ter, d.lgs. n. 74/2000), introdotte rispettivamente dalla legge “Finanziaria 2005” e dal cd. “Decreto Bersani” del 2006, si inseriscono in un sistema – quello delineato dal d.lgs. n. 74/2000 – di cui non condividono i principi ispiratori1. Ciò è reso particolarmente evidente dalla mancata previsione, nella struttura delle due nuove fattispecie omissive, della “finalità evasiva” delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, finalità presente, al contrario, in tutte le altre fattispecie del microsistema del d.lgs. n. 74/2000. Una scelta, quella di rinunciare al requisito del dolo specifico quale criterio discretivo delle condotte meritevoli della sanzione penale, che appare in linea con un diverso orientamento della politica criminale perseguita dal nostro legislatore, evidentemente non più pressato dall’urgenza di ridurre il carico di procedimenti penali pendenti per reati tributari – che, invece, aveva guidato la riforma del 2000 e che aveva condotto all’abrogazione, tra le altre, proprio dell’allora vigente fattispecie di omesso versamento delle ritenute certificate2 – e preoccupato, piuttosto, di garantire l’effettiva riscossione delle imposte dichiarate dal contribuente.
Proprio la rinuncia al dolo specifico quale elemento di fattispecie, però, contribuisce in misura rilevante a porre il problema della sussumibilità o meno, nella fattispecie criminale, del fatto di omesso versamento delle ritenute o dell’IVA che sia dovuto non alla volontà di evadere le imposte, ma all’impossibilità del contribuente di adempiere all’obbligazione tributaria a causa della propria insolvenza.
Prima di ricostruire le posizioni della giurisprudenza sul punto (infra, § 2) e per meglio comprenderne le criticità (infra, § 3), è opportuno ricordare, in sintesi, quali siano gli obblighi del contribuente in materia di ritenute e di imposta sul valore aggiunto e le sanzioni previste in caso di inadempimento.
1.1 Obbligo di versare le ritenute
La legge (d.P.R. 29.9.1973, n. 600, Titolo III) prevede che, in taluni casi, l’imposta sul reddito sia riscossa in tutto o in parte investendo un soggetto (il sostituto d’imposta) del compito di effettuare una ritenuta alla fonte sulle somme corrisposte al terzo (il sostituito) e, quindi, di versare all’erario le somme a tale titolo trattenute, normalmente entro i primi quindici giorni del mese successivo a quello in cui la ritenuta è stata operata (art. 8, d.P.R. 29.9.1973, n. 602). Il sostituto d’imposta è, altresì, tenuto a certificare al sostituito l’effettuazione della ritenuta (art. 4, co. 6-ter e 6-quater, d.P.R. 22.7.1998, n. 322): tale certificazione libera il terzo sostituito (integralmente o parzialmente, a seconda che la ritenuta fosse a titolo d’imposta, ovvero a titolo d’acconto) dall’obbligazione tributaria, trasferendo in capo al sostituto l’obbligo di versare quanto trattenuto e certificato3. Infine, il sostituto deve presentare annualmente, entro il 31 luglio dell’anno successivo a quello in cui furono operate le ritenute (art. 4, co. 4-bis, d.P.R. n. 322/19984), una dichiarazione, indicando i compensi corrisposti e le ritenute effettuate.
Sotto il profilo degli strumenti di tutela predisposti dal legislatore per assicurare l’effettività della riscossione delle ritenute, l’omesso versamento entro le scadenze periodiche fissate dal diritto tributario integra, innanzitutto, l’illecito amministrativo previsto e sanzionato ai sensi dell’art. 13, d.lgs. 18.12.1997, n. 471.
Con l’introduzione dell’art. 10 bis, d.lgs. n. 74/2000, alla sanzione amministrativa per l’omesso versamento è stata anche affiancata la sanzione penale. Perché l’inadempimento del sostituto costituisca reato, però, è necessario che: i) le ritenute siano state certificate ai sostituiti5; ii) l’ammontare complessivo delle ritenute certificate e non versate superi i 50 mila euro per periodo d’imposta; iii) l’omissione si sia protratta ben oltre i termini previsti dal diritto tributario per i versamenti periodici, precisamente fino al termine fissato dalla norma penale, corrispondente al termine per la presentazione della dichiarazione annuale (oggi fissato al 31 luglio dell’anno successivo a quello in cui le ritenute furono operate); iv) tutti gli elementi del fatto siano “coperti” dal dolo (anche solo eventuale), essendo, invece, irrilevante che il soggetto perseguisse o meno, con la sua omissione, finalità evasive dell’imposta.
1.2 Obbligo di versare l’IVA
Sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese e nell’esercizio di arti e professioni (oltre che sulle importazioni), si applica l’imposta sul valore aggiunto (art. 1, d.P.R. 26.10.1972, n. 633). L’imposta deve essere versata all’erario alle scadenze fissate dalla legge (entro il 16 del mese successivo a quello in cui l’IVA è divenuta esigibile, ex art. 1, d.P.R. 23.3.1998, n. 100, ovvero entro il 16 del secondo mese successivo a ciascuno dei primi tre trimestri solari, ex art. 7, d.P.R. 14.10.1999, n. 542).
Soggetto “passivo”, ossia obbligato al versamento dell’imposta all’erario, è il soggetto che cede il bene o presta il servizio, ma non è quest’ultimo a essere “inciso” dal tributo: egli, infatti, si rivale sul terzo, cessionario del bene o committente del servizio, addebitandogli l’imposta (art. 18, d.P.R. n. 633/1972). Tuttavia, è importante rilevare che, in taluni casi, l’obbligo di versare l’IVA sorge prima del pagamento del corrispettivo per l’operazione, sicché il soggetto passivo si trova a dover anticipare le somme che, in seguito, recupererà dal terzo, cessionario o committente; in altri casi, invece, l’obbligo di versamento nasce col pagamento del corrispettivo, sicché il soggetto passivo si limita a incassare dal terzo l’IVA e a versarla all’erario6.
Annualmente (tra il 1° febbraio e il 30 settembre), il soggetto passivo è tenuto, altresì, a presentare una dichiarazione che contiene tutti i dati necessari per la determinazione dell’ammontare delle operazioni e dell’imposta sul valore aggiunto relativi all’anno solare precedente (art. 8, d.P.R. n. 322/1998); a questo punto, se, considerati i versamenti periodici già effettuati e applicate le detrazioni d’imposta previste dalla legge (art. 19, d.P.R. n. 633/1972), dalla dichiarazione risulta ancora un debito di IVA, il soggetto passivo è obbligato al versamento del saldo (entro il 16 marzo del medesimo anno, ex art. 6, d.P.R. n. 542/1999, ovvero entro i diversi termini fissati dalla legge per le diverse tipologie di contribuenti).
Da ultimo, vi è un ulteriore adempimento cui è chiamato annualmente il soggetto passivo: il versamento, entro il 27 dicembre, di una somma a titolo di acconto sul versamento del mese di dicembre (art. 6, co. 2, l. 29.12.1990, n. 405).
In caso di omissione dei versamenti periodici – come per l’omesso versamento delle ritenute –, il contribuente incorre in una responsabilità di natura amministrativa, ai sensi dell’art. 13, d.lgs. n. 471/1997. Con l’introduzione dell’art. 10 ter, d.lgs. n. 74/2000, l’interesse dello Stato alla riscossione dell’IVA è stato, poi, ulteriormente tutelato facendo ricorso allo strumento penale. Perché l’inadempimento del contribuente costituisca reato, però, è necessario che: i) il contribuente abbia presentato, entro i termini di legge, una dichiarazione annuale da cui emerga un debito IVA7; ii) l’IVA a debito dichiarata e non versata superi i 50 mila euro per periodo d’imposta; iii) l’omissione si sia protratta ben oltre i termini previsti dal diritto tributario per i versamenti periodici, precisamente fino al termine fissato dalla norma penale, corrispondente alla data prevista per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo (ossia il 27 dicembre dell’anno successivo a quello cui si riferisce il debito IVA); iv) tutti gli elementi del fatto siano “coperti” dal dolo (anche solo eventuale), essendo, invece, irrilevante che il soggetto persegua o meno, con la sua omissione, finalità evasive dell’imposta.
Considerato che le due fattispecie in esame puniscono il soggetto che volontariamente ometta di versare le ritenute o l’IVA entro un certo termine, che rilevanza ha la circostanza che tale omissione sia stata “imposta” dall’impossibilità oggettiva di adempiere all’obbligazione tributaria, conseguenza dello stato di insolvenza in cui si sia venuto a trovare il contribuente?
2.1 Impossibilità di versare le ritenute
Può accadere che il sostituto d’imposta in difficoltà economica decida di non versare le ritenute certificate alle scadenze periodiche fissate dal diritto tributario, rinviando l’adempimento dell’obbligazione a un momento successivo, confidando di trovare, nel frattempo, le risorse necessarie e andando così incontro al solo rischio di dover pagare una sanzione amministrativa.
Può anche accadere, però, che il sostituto d’imposta non riesca a reperire i fondi necessari al versamento delle ritenute certificate entro il termine fissato dall’art. 10 bis, d.lgs. n. 74/2000, trovandosi così nell’oggettiva impossibilità di adempiere, dovuta al proprio stato di insolvenza. In tale caso, è integrato il delitto di omesso versamento delle ritenute, o il contribuente potrà utilmente invocare il principio ad impossibilia nemo tenetur?
L’orientamento della giurisprudenza, sul punto, è costante nel ritenere di norma irrilevante lo stato di insolvenza del contribuente ai fini dell’accertamento della responsabilità penale per l’omesso versamento delle ritenute.
Fin dal tempo della vigenza della fattispecie prevista dall’art. 2, d.l. 10.7.1982, n. 429 (abrogato al momento dell’introduzione del d.lgs. n. 74/2000, ma sostanzialmente coincidente con l’attuale delitto di cui all’art. 10 bis, d.lgs. n. 74/2000), la giurisprudenza ha, infatti, escluso, perfino in caso di fallimento del sostituto d’imposta, che l’omesso versamento delle ritenute fosse scriminato dall’oggettiva impossibilità di adempiere. Argomentava, al riguardo, la Cassazione che il sostituto d’imposta deve ripartire le risorse a propria disposizione al momento della corresponsione delle retribuzioni in modo da poter adempiere all’obbligo tributario, anche a costo di rinunciare al pagamento dei compensi nel loro intero ammontare8. Tale orientamento è stato fatto proprio anche dalla giurisprudenza successiva alla reintroduzione, nel 2004, dell’incriminazione9.
È interessante rilevare, al riguardo, come in questi casi la giurisprudenza si focalizzi sul comportamento tenuto dal sostituto d’imposta prima del termine per il versamento, di fatto rimproverandogli di non aver previsto per tempo la futura incapacità di adempiere all’obbligo tributario, ovvero, pur avendola prevista, di non aver tenuto un comportamento idoneo a scongiurare l’inadempimento (quale avrebbe potuto essere creare riserve sufficienti a far fronte all’obbligazione tributaria prima della scadenza del termine fissato dalla norma penale, ovvero non pagare per intero i compensi dovuti ai prestatori d’opera, così da conservare una disponibilità economica sufficiente a soddisfare anche il credito vantato dall’erario).
Paiono, pertanto, in linea con tale orientamento due recenti sentenze assolutorie del Tribunale di Milano, entrambe relative a mancati versamenti delle ritenute per l’insolvenza in cui i sostituti d’imposta erano venuti a trovarsi a causa dei ripetuti ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, loro debitrici. In un caso, infatti, il Tribunale ha assolto l’imputato per mancanza del dolo del delitto di omesso versamento delle ritenute, in quanto ha giudicato assolutamente imprevedibile, da parte del sostituto d’imposta, il grave inadempimento delle pubbliche amministrazioni debitrici, causa dell’insolvenza10. Nel secondo caso, il Tribunale ha assolto il liquidatore della società decotta, in quanto l’impossibilità di adempiere all’obbligo tributario era la conseguenza della condotta dei precedenti amministratori – che avevano omesso sia di effettuare i versamenti periodici, sia di accantonare riserve sufficienti a pagare le ritenute –, mentre non poteva essere in alcun modo imputata al liquidatore – che era entrato in carica quando ormai era troppo tardi per rimediare al comportamento negligente dei suoi predecessori –, venendo così a configurarsi quale causa di forza maggiore che «esclude sotto il profilo oggettivo il reato»11.
In sintesi: al di là del diverso inquadramento dogmatico scelto dai giudici nelle due decisioni di merito ora richiamate (assenza del dolo, ovvero insussistenza del fatto), in entrambi i casi il tribunale ha focalizzato la propria attenzione sul comportamento tenuto dall’imputato prima della scadenza del termine fissato dalla norma penale per il versamento delle ritenute, così da verificare se la situazione di oggettiva impossibilità di adempiere all’obbligo tributario fosse o meno rimproverabile all’imputato. L’assoluzione è stata dunque imposta, in un caso, dall’imprevedibilità e, nell’altro caso, dall’inevitabilità da parte dell’imputato del verificarsi di tale situazione.
2.2 Impossibilità di versare l’IVA
La giurisprudenza in materia di omesso versamento dell’IVA per impossibilità di adempiere dovuta all’insolvenza del contribuente espressamente fa propria l’impostazione seguita dalla giurisprudenza in materia di omesso versamento delle ritenute certificate (supra, § 2.1).
Anche in questo caso, infatti, i giudici focalizzano l’attenzione sul comportamento tenuto dal contribuente prima della scadenza del termine fissato dalla norma incriminatrice per l’effettuazione del versamento dell’imposta: il contribuente che non abbia versato subito l’IVA incassata, o che non abbia creato riserve sufficienti a provvedere in seguito al versamento – non prevedendo una possibile crisi di liquidità, o sopravvalutando la propria capacità di reperire tempestivamente le somme necessarie, ovvero addirittura accettando consapevolmente il rischio di non poter soddisfare il credito dell’erario – risponde del delitto anche qualora venga a trovarsi, alla scadenza del termine indicato dall’art. 10 ter, d.lgs. n. 74/2000, in una condizione di illiquidità tale da impedire l’adempimento dell’obbligazione tributaria12.
Afferma al riguardo, in una recente sentenza, il Tribunale di Roma che non è qualificabile come causa di forza maggiore, né esclude il dolo del delitto l’impossibilità di adempire all’obbligo di versamento dell’IVA che sia conseguenza di operazioni commerciali e scelte gestionali avventate e imprudenti, fermamente volute dall’imputato e denotanti quanto meno l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento omissivo addebitatogli13.
A tale conclusione il giudice perviene anche valorizzando un particolare aspetto del meccanismo di riscossione dell’IVA: il soggetto IVA, chiamato a versare l’imposta all’erario, riceve materialmente dal terzo, cessionario del bene o committente del servizio, la somma che dovrà essere versata, sicché non può mai invocare a titolo di “esimente” l’impossibilità di versare somme di cui non avrebbe dovuto disporre liberamente, ma che si sarebbe dovuto limitare ad accantonare in vista del successivo versamento. «È la natura dell’imposta», si legge nella motivazione della sentenza, «che consente di destrutturare l’alibi, che spesso rappresentano molti operatori economici in sede di esame per questo tipo di reati, dell’alternativa secca e senza scampo tra pagare le imposte e pagare le retribuzioni dei dipendenti».
In altre parole, se, in materia di omesso versamento delle ritenute, il giudice dovrebbe valutare la condotta del contribuente anche tenendo conto del fatto che questi deve contare solo sulle proprie risorse per adempiere all’obbligazione tributaria, nel caso dell’omesso versamento dell’IVA, invece, pesa negativamente, nel giudizio sul contribuente inadempiente, l’aver questi speso il denaro ricevuto dal terzo, cessionario o committente, a titolo di imposta sul valore aggiunto. Ciò naturalmente vale solo nei casi in cui il terzo abbia effettivamente onorato il proprio debito nei confronti del fornitore del bene o del servizio, soggetto passivo IVA; al contrario, in caso di inadempimento del terzo, il soggetto IVA può in taluni casi trovarsi a dover versare all’erario IVA su operazioni effettuate, ma mai pagate, circostanza di cui il giudice dovrebbe tener conto al momento di valutare la rimproverabilità dell’omissione del versamento dovuta a insolvenza14.
L’orientamento della giurisprudenza ampiamente maggioritaria di considerare irrilevante l’allegata impossibilità del contribuente di adempiere il proprio debito tributario in sede di accertamento della responsabilità penale per i delitti di omesso versamento delle ritenute e dell’IVA fa emergere, tuttavia, indubbie frizioni con taluni dei principi fondamentali che governano il diritto penale, e più in particolare con i principi di legalità (§ 3.1), personalità della responsabilità penale (§ 3.2) e prevedibilità della sanzione penale (§ 3.3).
3.1 Impossibilità di adempiere dovuta a colpa
Come si è detto nel precedente paragrafo, ripercorrendo la prassi giurisprudenziale in materia, l’impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria non comporta un’automatica esclusione della responsabilità penale del contribuente. La giurisprudenza, infatti, tiene conto del fatto che, dal momento in cui sorge l’obbligo del versamento (sia delle ritenute, sia dell’IVA), al momento in cui scade il termine ultimo per l’adempimento fissato dalle norme incriminatrici, il contribuente ha la possibilità, di norma, di tenere un comportamento che gli consenta di evitare di rispondere penalmente per l’omesso versamento; mentre ciò che il contribuente non può fare, pena l’incorrere nella responsabilità penale per la realizzazione delle fattispecie in commento, è anteporre le esigenze della produzione, o del soddisfacimento dei creditori dell’azienda all’interesse dell’erario alla riscossione delle imposte. Sicché, se il contribuente prevede che non disporrà di risorse sufficienti entro il termine ultimo per il versamento, o ricorre al prestito, o deve ripartire le proprie riserve in modo da soddisfare in proporzione i fornitori e l’erario. Nel caso dell’IVA, poi, la giurisprudenza ritiene senz’altro non “giustificabile” il contribuente che, invece di versare periodicamente all’erario le somme incassate, o di accantonarle in vista del successivo versamento, se ne serva come forma di “autofinanziamento”.
Se, dal punto di vista dell’integrazione del fatto tipico delle fattispecie omissive in esame, l’impostazione seguita dalla giurisprudenza (e da ultimo incidentalmente avallata anche dalle Sezioni Unite15) appare senz’altro convincente, qualche perplessità sorge rispetto all’accertamento dell’elemento psicologico del reato contestato.
In molti casi, infatti, il contribuente-imputato viene condannato in quanto il mancato versamento per impossibilità di adempiere era la prevedibile conseguenza di un comportamento imprudente: non aver versato le imposte alle scadenze periodiche e non aver creato riserve per far fronte a crisi di liquidità, confidando di riuscire a reperire le risorse necessarie prima della scadenza del termine ultimo per il versamento fissato dalla norma incriminatrice; aver utilizzato l’IVA incassata come forma di autofinanziamento, anziché versarla o accantonarla; aver corrisposto per intero i compensi pattuiti ai prestatori d’opera, rinunciando in toto al versamento delle ritenute, anziché “ridistribuire” le risorse disponibili tenendo conto anche del credito vantato dall’erario; in generale, aver agito per assicurare la sopravvivenza dell’azienda anche in situazioni di grave crisi economica, “dimenticandosi” dell’interesse dell’erario alla riscossione delle imposte.
Procedendo in questo modo, però, la giurisprudenza finisce talvolta per applicare norme che incriminano omissioni dolose a soggetti cui, al più, può essere mosso un rimprovero a titolo di colpa, per aver negligentemente o imprudentemente creato o non impedito la situazione di oggettiva impossibilità di tenere la condotta doverosa imposta dalla legge.
Ebbene, una simile soluzione interpretativa presenta profili di incompatibilità col principio di legalità, in quanto si traduce nella punizione di un fatto colposo in assenza di un’espressa previsione normativa. È, pertanto, da ritenersi preferibile circoscrivere il riconoscimento della responsabilità penale del contribuente, per le fattispecie in commento, ai soli casi in cui l’omissione per impossibilità di adempiere sia concretizzazione di un rischio previsto e, quanto meno, accettato dal soggetto, essendo il dolo eventuale senz’altro sufficiente a integrare l’elemento psicologico dei due delitti.
Proprio questa, d’altra parte, sembra essere la strada seguita dal Tribunale di Roma, che, nella sentenza di condanna per il delitto di omesso versamento dell’IVA già ricordata sopra (§ 2.2), valorizza un atteggiamento psicologico proprio del dolo eventuale (sebbene il “dolo eventuale” non venga mai espressamente evocato)16. Nell’articolata motivazione, il giudice rileva, infatti, che le operazioni immobiliari che portarono al dissesto economico della società, «seppur dipese dalla intenzione di superare contingenti difficoltà economiche, sono state programmate, organizzate, volute, realizzate dall’imputato, anche a rischio di non pagare le imposte [sul valore aggiunto] che avrebbe dovuto versare entro il 27.12.2006», e, ancora, che dalle dichiarazioni rese dall’imputato emerge che «si è trattato di operazioni comunque volute fermamente dall’imputato, anche se talora rischiose, comportanti la sua precisa e determinata volontà di accettare, prima del 27.12.2006, la probabilità, e, dopo il 27.12.2006, la certezza dell’evento omissivo addebitatogli», così riconoscendo che «l’omissione tributaria, esclusa la forza maggiore, è stata, quindi, determinata dal[l’imputato] nella sua qualità di amministratore e dominus effettivo delle scelte gestionali ... quantomeno nella prospettiva dell’assunzione integrale del rischio che l’omissione potesse verificarsi».
3.2 Responsabilità del nuovo amministratore
Particolare cautela nel decidere i casi di omesso versamento per impossibilità di adempiere deve essere adottata nei casi in cui, nel lasso di tempo intercorrente tra l’insorgenza dell’obbligazione tributaria e la scadenza del termine per l’adempimento fissato dalla norma incriminatrice, venga nominato un nuovo amministratore (o rappresentante legale, o liquidatore; cfr. art. 1, lett. e, d.lgs. n. 74/2000) del contribuente-persona giuridica.
In questi casi, se l’impossibilità di adempiere entro il termine ultimo fissato dalla norma penale è dovuta esclusivamente a comportamenti del precedente amministratore (quali il mancato versamento delle ritenute o dell’IVA alle scadenze periodiche, ovvero la mancata creazione di “riserve” destinate al successivo pagamento delle ritenute o dell’IVA), è contrario ai principi regolatori del nostro ordinamento penale condannare il nuovo amministratore sulla base dell’assunto per cui, al momento di assumere la carica, quest’ultimo avrebbe ben potuto e dovuto verificare se nelle casse dell’azienda vi erano riserve sufficienti a far fronte a tutti gli obblighi tributari ancora pendenti17. Infatti, posto che la condotta meritevole di sanzione, in quanto manifestazione del reale disvalore punito dalla norma, è quella del precedente amministratore (che ha omesso di effettuare i versamenti periodici, così come di creare riserve adeguate) e non certo quella del nuovo (che altro non ha fatto se non assumere la guida di una società dissestata), l’eventuale condanna di quest’ultimo appare in contrasto col principio di personalità della responsabilità penale.
Il principio, invece, è salvo se, una volta accolta l’impostazione – senz’altro condivisibile – della giurisprudenza in materia di omesso versamento dovuto a impossibilità di adempiere per insolvenza, che focalizza l’attenzione sul comportamento del contribuente anteriore allo scadere del termine ultimo previsto per il versamento, coerentemente si riconosce rilevanza penale alle sole condotte che abbiano contribuito a determinare la situazione di oggettiva impossibilità di adempiere. E sicuramente fra queste condotte non può essere annoverata l’accettazione dell’incarico di amministrare una società che versi in crisi di liquidità18. Al contrario, il nuovo amministratore ben potrebbe essere ritenuto responsabile (o corresponsabile) dell’omesso versamento ove si dimostrasse che, nel lasso di tempo intercorso fra l’assunzione dell’incarico e lo scadere del termine ultimo fissato dalla norma penale per l’effettuazione del versamento dell’imposta, ha avuto (e dolosamente mancato di raccogliere) l’opportunità di reperire le somme necessarie a far fronte non solo alle nuove obbligazioni tributarie sorte nel frattempo, ma anche alle obbligazioni sorte sotto il precedente amministratore e non ancora adempiute.
Naturalmente seguire tale impostazione non impedisce affatto di sanzionare penalmente l’omissione che sia frutto del comportamento del precedente amministratore, o che sia frutto anche del comportamento del precedente amministratore. Il vecchio amministratore, infatti, ben potrà essere chiamato a rispondere, ai sensi dell’art. 110 c.p. e dell’art. 10 bis o 10 ter, d.lgs. n. 74/2000, per aver concorso a realizzare un fatto di reato materialmente commesso dall’amministratore in carica al momento della scadenza del termine ultimo per il versamento, a nulla rilevando che il fatto di reato sia o meno rimproverabile anche a quest’ultimo19.
3.3 Omesso versamento delle ritenute del 2004 e dell’IVA del 2005
Questione controversa sin dall’introduzione delle nuove norme incriminatrici di cui agli artt. 10 bis e 10 ter, d.lgs. n. 74/2000, è la loro applicabilità ai fatti di omesso versamento delle ritenute del 2004 e dell’IVA del 2005. Il problema nasce dal fatto che, sebbene l’obbligo di versamento del tributo fosse sorto prima dell’introduzione della relativa norma incriminatrice (la prima entrata in vigore l’1.1.2005, la seconda il 4.7.2006), il termine ultimo per effettuare il versamento senza incorrere nella nuova responsabilità penale era successivo (rispettivamente, il 31.10.2005, per le ritenute del 2004, e il 27.12.2006, per l’IVA del 2005).
Sul punto, si sono da subito formati due distinti orientamenti giurisprudenziali: in base a un primo orientamento, punire ai sensi delle nuove norme incriminatrici l’omesso adempimento di obbligazioni tributarie sorte prima dell’entrata in vigore delle norme incriminatrici stesse avrebbe comportato una inammissibile violazione dei principi di irretroattività della norma penale e di ne bis in idem sostanziale, essendo fatti già consumati alla scadenza prevista per i versamenti periodici e puniti come illeciti amministrativi; in base a un secondo orientamento, invece, dal momento che le nuove fattispecie incriminavano un fatto nuovo e diverso rispetto all’omissione dei versamenti periodici e che il termine per non incorrere nella sanzione penale era successivo all’entrata in vigore delle norme incriminatrici stesse, punire i fatti di omesso versamento delle ritenute del 2004 e dell’IVA del 2005 non avrebbe importato alcuna violazione del principio di irretroattività.
Le Sezioni Unite della Cassazione, investite dalla Sezione Terza del compito di risolvere il contrasto giurisprudenziale20, hanno fatto propria la soluzione indicata dal secondo dei due orientamenti ora richiamati, così affermando l’applicabilità delle nuove incriminazioni ai fatti del 2004 e del 200521.
La soluzione indicata dalle Sezioni Unite, però, non esclude – come lo stesso Collegio segnala nella parte finale della motivazione delle due sentenze – che, in taluni casi, il fatto che sia intercorso un certo lasso di tempo fra l’effettuazione delle ritenute del 2004, o delle operazioni imponibili del 2005 e l’introduzione delle due norme incriminatrici debba portare all’esclusione della rimproverabilità – per carenza dell’elemento psicologico – del fatto di reato al contribuente. È quanto accade, in particolare, segnalano le Sezioni Unite, «nel caso in cui l’omissione del versamento nella misura prevista al momento della scadenza del termine annuale rinviene la sua ragione esclusiva e non più ovviabile in un comportamento colpevole interamente posto in essere ‘prima’ dell’introduzione della norma penale, quando le conoscibili e prevedibili conseguenze di esso consistevano solo in una sanzione amministrativa».
Nei casi di omesso versamento delle ritenute del 2004 e dell’IVA del 2005 dovuto a impossibilità di adempiere per insolvenza del contribuente, il giudice dovrà, allora, arricchire il sindacato sulla rimproverabilità dell’omissione verificando se il comportamento che ha determinato tale impossibilità sia stato tenuto (interamente) prima, ovvero (anche) dopo l’introduzione delle nuove incriminazioni, e potrà condannare l’imputato solo nel secondo caso. Solo dopo l’introduzione delle nuove norme, infatti, il contribuente ha potuto orientare le proprie scelte di comportamento alla luce del nuovo quadro sanzionatorio, che affiancava, alla sanzione amministrativa, la sanzione penale. Prima di quel momento, invece, il contribuente conosceva sì il precetto – l’obbligo di versare le imposte –, ma non poteva sapere che violarlo – o creare le condizioni che ne avrebbero impedito in futuro il rispetto – avrebbe determinato ricadute sulla propria libertà personale, esponendolo al rischio dell’applicazione della sanzione penale.
La soluzione ora profilata ci pare, a ben vedere, imposta dall’operare nel nostro ordinamento del principio di colpevolezza, quale principio teso a «garantire al privato libere scelte d’azione» (secondo la lettura dell’art. 27 Cost. offerta dalla Corte costituzionale con la sentenza 24.3.1988, n. 364): una libertà che non sarebbe realmente garantita ove si pretendesse di punire un soggetto che, quando ha agito, sapeva di realizzare un fatto illecito comportante l’applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa e non un fatto illecito comportante l’applicazione di una sanzione penale, come tale incidente sulla propria libertà personale. Tale conclusione è, peraltro, avvalorata dall’interpretazione data dalla costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo al principio nulla poena sine lege, sancito dall’art. 7 CEDU (rilevante nel nostro ordinamento ex art. 117, co. 1, Cost.). Ha, infatti, statuito la Corte di Strasburgo che il rispetto di tale principio impone che il soggetto sia messo nella condizione di conoscere non solo il precetto penalmente sanzionato, ma anche la sanzione penale comminata dal legislatore per il caso di violazione del precetto22.
1 Denunciano un ritorno ai «modelli tipici di una concezione autoritaria dello strumento penalistico» Musco, E.-Ardito, F., Diritto penale tributario, Torino, 2010, 24.
2 Previsto dall’art. 2, co. 3, d.l. 10.7.1982, n. 429 (conv. in l. 7.8.1982, n. 516), abrogato con la riforma del 2000 e, quindi, reintrodotto sostanzialmente invariato nel 2004.
3 Soana, G.L., I reati tributari, III ed., Milano, 2013, 296 ss.
4 Il termine del 31 luglio dell’anno successivo è stato introdotto dall’art. 1, co. 217, l. n. 244/2007.
5 Martini, A., Reati in materia di finanze e tributi, in Grosso, C.F.-Padovani, T.-Pagliaro, A., diretto da, Trattato dei diritto penale, Parte speciale, vol. XVII, Milano, 2010, 591; Soana, G.L., op. cit., 297.
6 L’obbligo di versare l’IVA, infatti, sorge quando l’operazione imponibile può dirsi “effettuata”, ai sensi dell’art. 6, d.P.R. n. 633/1972: in taluni casi, l’“effettuazione” coincide col momento del pagamento del corrispettivo, in altri casi, invece, è precedente.
7 Oppure per lo meno entro i 90 giorni successivi alla scadenza del termine fissato dall’art. 8, d.P.R. n. 322/1998 (arg. ex art. 5, co. 2, d.lgs. n. 74/2000). Cfr. Soana, G.L., op. cit., 319.
8 Cass. pen., 18.6.1999, n. 11694, in CED Cass. 215518. Simile la posizione della Cassazione in merito all’affine fattispecie di omesso versamento delle ritenute previdenziali (art. 2 d.l. 12.9.1983, n. 463, conv. in l. 11.11.1983, n. 638): Cass. pen., 19.1.2011, n. 13100, in CED Cass. 249917; Cass. pen., 25.9.2007, n. 38269, in CED Cass. 237827.
9 Cass. pen., 1.12.2010, n. 10120; Trib. Chieti, 2.8.2011. Martini, A., op. cit., 595 ss.; Soana, G.L., op. cit., 304 ss.
10 Trib. Milano, 7.1.2013, in www.penalecontemporaneo.it, 25.1.2013. Simili le conclusioni cui perviene, in un caso analogo, Trib. Milano, 19.9.2012, in www.penalecontemporaneo.it, 25.1.2013, seppur seguendo un percorso argomentativo distinto.
11 Trib. Milano, 28.4.2011, in www.penalecontemporaneo.it, 30.9.2011.
12 Trib. Roma, 7.5.2013, in www.penalecontemporaneo.it, con nota di G.L. Soana; Trib. La Spezia, 20.12.2011; Trib. Milano, 9.11.2010, in www.penalecontemporaneo.it, 9.11.2010. Si vedano anche le pronunce assolutorie del Trib. Milano, 26.2.2013; del Trib. Trento, 12.12.2012, in www.magistraturademocratica.it; del Gip Firenze, 10.8.2012.
13 Trib. Roma, 7.5.2013, cit.
14 Il problema riguarda quei soggetti che realizzano operazioni per le quali l’obbligo di versare l’IVA nasce in un momento anteriore al pagamento del corrispettivo (cfr. supra, § 1.2). Tuttavia, proprio per evitare che questi soggetti si trovino a dover versare IVA su operazioni mai pagate dal terzo cessionario o committente, il legislatore ha introdotto, nel 2012, una disposizione (art. 32 bis d.l. 22.6.2012, n. 83, conv. in l. 7.8.2012, n. 134) in base alla quale i soggetti con volume d’affari non superiore a due milioni di euro hanno facoltà di optare per la liquidazione dell’IVA secondo modalità di cassa. L’IVA diviene in tal modo esigibile solo al momento del pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente (sul punto, si veda anche l’art. 7 d.l. 29.11.2008, n. 185, conv. in l. 28.1.2009, n. 2, abrogato proprio dall’art. 32 bis d.l. n. 83/2012 e l’art. 26 d.P.R. n. 633/1972). Il giudice penale, pertanto, nei procedimenti per il delitto in commento, dovrebbe anche vagliare se l’imputato che invochi lo stato di insolvenza quale “scusante” per non aver adempiuto all’obbligo di versamento dell’IVA, indicandone la causa nei mancati pagamenti da parte dei terzi cessionari o committenti, abbia colpevolmente omesso di fare ricorso agli istituti previsti dal legislatore a sostegno proprio del soggetto passivo IVA.
15 Cass. pen., S.U., 28.3.2013, n. 37424 e Cass. pen., S.U., 28.3.2013, n. 37425, in www.penalecontemporaneo.it, 18.9.2013, con nota di A. Valsecchi, al fine di accertare l’elemento psicologico dei reati in commento, valorizzano la condotta tenuta dal soggetto nel corso dell’intero anno in cui si è formato il debito tributario.
16 Trib. Roma, 7.5.2013, cit. Sembra non ritenere sufficiente la colpa del soggetto agente ai fini della condanna per il delitto di omesso versamento delle ritenute certificate anche Trib. Milano, 19.9.2012, cit.
17 Così, per esempio, Trib. Milano, 9.11.2010, cit.
18 Così, in termini chiari, la recente Trib. Milano, 22.5.2013, in www.magistraturademocratica.it. Nello stesso senso, Trib. Milano, 28.4.2011, cit.
19 Cass. pen., 19.2.2013, n. 12268. Sia consentito anche rinviare a Valsecchi, A., Delitto di omesso versamento dell’IVA (art. 10 ter d.lgs. 74/00) e (non) rimproverabilità dell’amministratore della società insolvente: qualche spunto di riflessione, in www.penalecontemporaneo.it, 11.2.2011.
20 Si veda l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite (relativa all’art. 10 bis, d.lgs. n. 74/2000) Cass. pen., 20.11.2012, n. 49087, in www.penalecontemporaneo.it, 13.3.2013, con nota di A. Valsecchi.
21 Cfr. le sentenze “gemelle” Cass. pen., S.U., 28.3.2013, n. 37424 e 28.3.2013, n. 37425, cit.
22 C. eur. dir. uomo, 15.11.1996, Cantoni c. Francia; C. eur. dir. uomo, 12.2.2008, Kafkaris c. Cipro.