Omicidio e lesioni stradali
L’introduzione, quali reati autonomi, dell’omicidio stradale e delle lesioni personali stradali suscita numerosi interrogativi, che investono tanto l’adeguatezza delle scelte politicocriminali (improntate ad un crudo rigore sanzionatorio) quanto la qualità della loro traduzione testuale (punteggiata da “mine vaganti” interpretative). La legge dà nuova prova dell’esistenza di modelli disciplinari differenziati, in corrispondenza di particolari settori delle attività umane. Il dato interroga in merito alla necessità di un ripensamento complessivo dell’approccio ai reati colposi.
SOMMARIO 1. La ricognizione 1.1 Le aree di intervento della l. 23.3.2016, n. 41 1.2 Le fattispecie incriminatrici 2. La focalizzazione 2.1 La criminalità stradale tra norme e prassi 2.2 I nodi teorici e di politica criminale 3. I profili problematici 3.1 L’apparato sanzionatorio 3.2 Le attenuanti della causa non esclusiva 3.3 Dolo eventuale e colpa con previsione, dopo la novella 3.4 Alterazione psicofisica ed evento
Con la l. 23.3.2016, n. 41, l’omicidio e le lesioni personali “stradali”, già note al codice penale, si sono arricchite di nuove forme di manifestazione del reato e di un impressionante escalation sanzionatorio.
Esito di un accidentato iter parlamentare, la l. n. 41/2016, recante la generica titolazione «Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274», in realtà interviene nel solo perimetro delle offese alla vita e all’incolumità individuale delle persone commesse per colpa. Infatti, il nucleo del provvedimento è nell’innesto nel tessuto del codice penale dei nuovi articoli 589 bis, 590 bis, 590 ter, 590 quater e 590 quinques; di disposizioni, quindi, che si insediano a ridosso di quelle che descrivono e sanzionano l’omicidio colposo (art. 589 c.p.) e le lesioni personali colpose (art. 590 c.p.). Fanno da corredo a quel nucleo talune interpolazioni a previsioni codicistiche (operate con il co. 3 dell’art. 1 della legge), aventi lo scopo di adeguare il testo previgente alle novità introdotte, salva la disposizione (recata dalla lettera b) che eleva la pena minima delle lesioni personali dolose da tre a sei mesi di reclusione.
La legge contempla altresì modifiche a talune previsioni processuali. Alcune di esse sono volte a rendere possibili anche per i reati di cui agli artt. 589 bis e 590 bis c.p. gli accertamenti su campioni biologici di persone viventi e gli accertamenti medici pur in assenza di consenso dell’interessato (art. 224 bis c.p.p.); i quali, in caso di urgenza, possono essere disposti dal p.m. anche oralmente, dando successivamente di essi conferma scritta (co. 3-bis dell’art. 359 bis c.p.p.). Altre conferiscono obbligatorietà, nelle ipotesi di omicidio stradale aggravate, e facoltatività, nei casi di lesioni stradali gravi o gravissime, all’arresto in flagranza di reato di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. (cfr. il co. 5 dell’art. 1 l. n. 41/2016).
Per le lesioni stradali – che vengono sottratte alla competenza del giudice di pace – viene prevista la citazione diretta a giudizio innanzi al Tribunale in composizione monocratica, nonostante la pena massima prevista per le ipotesi aggravate. Viene anche delineata una corsia di accelerazione per i procedimenti che concernono i nuovi reati, essendo disposto che la proroga delle indagini preliminari può essere chiesta per una sola volta; che il decreto di rinvio a giudizio per il delitto di cui all’art. 589 bis c.p. deve essere depositato entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari; che la data del disposto giudizio deve cadere entro il sessantesimo giorno dalla data del provvedimento del giudice dell’udienza preliminare.
Come le precedenti, ancora il menzionato co. 5 reca le statuizioni con le quali vengono operati adeguamenti delle disposizioni del codice di rito che recavano riferimenti alle disposizioni abrogate o interpolate.
Un ultimo campo di intervento è il d.lgs. 30.4.1992, n. 285 (Codice della strada), con l’introduzione ad opera del co. 6 dell’art. 1 di una previsione che ha la funzione di disincentivare la fuga dopo il fatto di colui che abbia cagionato lesioni colpose, evitandogli l’arresto in flagranza di reato ove si fermi e, occorrendo, presti assistenza (la modifica concerne l’art. 189, co. 2); l’approntamento di una minuta disciplina relativa agli effetti della revoca della patente di guida disposta quale sanzione amministrativa accessoria dei reati di omicidio e lesioni stradali e innovazioni alle previsioni in tema di sospensione provvisoria della patente di guida (art. 223).
Il dato di immediata evidenza è l’esaltazione topografica e identitaria dei fatti omicidiari e lesivi commessi «con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale», che vengono fatti oggetto di una speciale disciplina, ormai integralmente sganciata dai delitti di genere.
Sottratta all’art. 589 c.p., l’ipotesi base dell’omicidio stradale (ovvero, il cagionare per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale) conserva il già previsto trattamento sanzionatorio (la reclusione da due a sette anni di reclusione); ma la fattispecie non ha più natura circostanziale ed è quindi “liberata” dal giudizio di bilanciamento con eventuali concorrenti circostanze attenuanti (art. 69 c.p.); come del resto, per espressa previsione dell’art. 590 quater c.p., lo sono le circostanze aggravanti di cui ai co. 2, 3, 4, 5 e 6 dell’art. 589 bis c.p., che, ove concorrano con circostanze attenuanti, non possono essere ritenute equivalenti o subvalenti, sicché le diminuzioni di pena si applicano sulla sanzione determinata in base alle stesse aggravanti, le quali promettono una vertiginosa ascesa delle pene, secondo livelli scanditi da particolari fattori caratterizzanti, che si innestano comunque sulla guida in un “veicolo a motore”.
Così, il co. 4 commina la reclusione da cinque a dieci anni a chi cagiona per colpa la morte di una persona ponendosi alla guida di un veicolo a motore con tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5 g/l. Tuttavia, se si tratta di conducente professionale1, la pena è da otto a dodici anni di reclusione (co. 3). Identica la pena per chi cagiona per colpa la morte ponendosi alla guida di un veicolo a motore con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o in stato di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, secondo la previsione dell’art. 187 c. d. s. (co. 2).
Ancora da cinque a dieci anni di reclusione è la pena per chi cagiona la morte procedendo alla guida di un veicolo a motore in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita; per chi alla guida di un veicolo a motore attraversi un’intersezione con il semaforo rosso o circoli contromano; per colui che alla guida di un veicolo a motore operi una manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o operi un sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua (co. 5).
Se i fatti appena descritti sono commessi da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata o da chi sia proprietario di veicolo sprovvisto di assicurazione obbligatoria la pena è aumentata (sino ad un terzo, secondo la regola di cui all’art. 64 c.p.).
Come si può trarre dal rapido excursus sin qui fatto, sono scanditi almeno quattro diversi livelli di pena detentiva: da due a sette anni, da cinque a dieci anni, da sei anni e otto mesi a tredici anni e quattro mesi e da otto a dodici anni di reclusione. Si è scritto «almeno», poiché in realtà tutte le cornici edittali sono suscettibili di ulteriore ampliamento, sia quando venga cagionata la morte di più persone o la morte di una o più di esse si accompagni alla lesione di una o più persone (in tal caso la pena è quella della violazione più grave aumentata fino al triplo, con il limite massimo di anni diciotto); sia per la previsione dell’art. 589 ter c.p., a mente del quale quando, in uno dei casi previsti dall’art. 589 bis c.p., il conducente si dia alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a cinque anni di reclusione; sia, infine, per effetto delle regole operanti per il caso di concorso di una pluralità di circostanze aggravanti (art. 63 c.p.).
A fronte del dispiegarsi di una minaccia di carcerazione così concreta (le cornici edittali precludono il ricorso agli istituti di de-carcerizzazione), si pone una sola specifica ipotesi attenuante, tuttavia di notevolissima incidenza, attesa l’ampiezza della casistica alla quale essa fa implicito riferimento. Si allude alla previsione di cui al co. 7 dell’art. 589 bis c.p., per il quale «qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà».
In modo del tutto simmetrico la legge interviene sul reato di lesioni personali colpose, scandendo una pena per l’ipotesi base, connotata dalla “generica” violazione di norme sulla disciplina della circolazione stradale ma anche dalla natura grave o gravissima della lesione, la previsione di circostanze aggravanti corrispondenti a quelle previste per l’omicidio stradale, soggiacenti alla medesima regola in tema di concorso di circostanze eterogenee.
Nell’ultimo ventennio la sicurezza stradale si è conquistata un posto eminente nelle politiche del’Unione europea, ma l’approccio penalistico nazionale è risultato punteggiato di difficoltà e di tensioni dialettiche.
Da tempo i gravi incidenti stradali, in specie quelli provocati da conducenti in stato di alterazione psicofisica da assunzione di bevande alcoliche o di sostanze stupefacenti, sono nel fuoco dell’attenzione dei mass media, con l’effetto di un costante stato di fibrillazione del legislatore, autore di una pluralità di interventi, nell’insieme espressione di un atteggiamento rigoristico.
Non va taciuto che il tema non trova sensibile solo l’opinione pubblica ed il legislatore italiani. Una politica europea dei trasporti orientata alla significativa diminuzione del numero dei morti sulle strade dell’Unione europea è emersa per la prima volta nel documento «La politica europea dei trasporti fino al 2010» ed è stata ribadita dagli «Orientamenti europei per la sicurezza stradale 2011-2020», che pongono l’ambizioso obiettivo di un dimezzamento del numero delle vittime.
Contenendo lo sguardo nell’orizzonte nazionale, si può ricordare che risale già alla legge 11.5.1966, n. 296, la enucleazione dei fatti omicidiari e lesivi commessi con «violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale» – poi notevolmente accresciuta di disposizioni finalizzate alla tutela della sicurezza con l’entrata in vigore di un nuovo Codice della strada (il già ricordato d.lgs. n. 285/1992) – con l’assegnazione di un più grave trattamento sanzionatorio, incuneato in una fattispecie circostanziale. Per circa quarant’anni il legislatore è intervenuto essenzialmente sul Codice della strada; poi la legge 5.12.2005, n. 251, ha disposto il raddoppio dei termini di prescrizione dell’omicidio colposo aggravato dalla “colpa stradale”, e l. 21.2.2006, n. 102 ha elevato le pene stabilite per l’omicidio e le lesioni colpose “stradali”.
Poco dopo il d.l. 23.5.2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 24.7.2008, n. 125, oltre ad apportare un ulteriore aumento del massimo edittale del più grave tra i delitti in esame, intagliò nel profilo di una norma già speciale un’ulteriore area di specialità, stabilendo che se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, co. 2, lett. c), del d.lgs.
n. 285/1992, o da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena è quella della reclusione da tre a dieci anni (analoga aggravante fu introdotta per le lesioni colpose). Inoltre, escluse l’operatività dell’ordinario criterio di soluzione del concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti, stabilendo che le diminuzioni per le attenuanti si applicano sulla pena risultante dall’applicazione dell’aggravante della commissione del fatto in stato di ebbrezza alcolica “grave” o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 590 bis c.p.).
Parallelamente, il legislatore è intervenuto a più riprese sulla disciplina della guida senza patente, della guida in stato di ebbrezza alcolica e in stato di alterazione psicofisica da assunzione di sostanze stupefacenti, utilizzando tanto la leva della sanzione penale che quella degli effetti afflittivi accessori, quali la sospensione e la revoca della patente o la confisca del veicolo.
Ma la direzione presa dall’intervento repressivo non può essere colta senza considerare che nei primi anni del nuovo secolo si è registrata la formulazione dell’accusa di omicidio volontario nei casi in cui la condotta di guida risultava notevolmente divergente da una “ordinaria” misura di colpa. Si è aperto così il campo di battaglia maggiormente guerreggiato, poiché le iniziative degli organi inquirenti sono state spesso confermate dai Tribunali, ma poi per lo più smentite nel giudizio di appello o in quello di legittimità, ove il fatto è stato sovente ricondotto al contesto della responsabilità colposa2.
Il pendolo giudiziario ha finito per rinfocolare il dibattito, mai sopito tra i penalisti, concernente la relazione intessuta da dolo eventuale e colpa con previsione, ed i criteri che permettono di riconoscere l’uno e l’altra; soprattutto ha accresciuto il disorientamento nell’opinione pubblica di fronte al rovesciamento delle pronunce nel succedersi dei gradi di giudizio. Disorientamento ulteriormente alimentato dal rilancio mediatico delle ondate delle emozioni collettive.
Ricondotto il tema nell’orizzonte delle categorie giuridiche consuete al diritto penale risulta agevole cogliere in controluce la relazione che l’approccio alla criminalità stradale intesse con una tradizione che non appare capace di cogliere appieno le differenti epifanie del reato colposo e che arranca alle spalle di un legislatore che, di certo inconsapevolmente, ha preso a tracciare i profili di una varietà di crimini colposi. Basti pensare alla colpa degli esercenti una professione sanitaria, che può sussistere senza implicare responsabilità penale, alla condizione che l’operatore si sia conformato – come doveva – a linee guida o buone prassi accreditate e che la colpa sia lieve. Ma anche alla responsabilità datoriale (ovvero quella che deriva al datore di lavoro dalla violazione di norme a garanzia della salubrità e della sicurezza del lavoro), che ha assunto connotati del tutto peculiari (ben oltre quelli che già le appartenevano) da quando l’efficace adozione di idonei modelli di organizzazione vale ad indirizzare il rimprovero penale verso il delegato. E nuovi sviluppi si attendono anche nel settore della responsabilità penale degli operatori del trasporto aereo civile. Ancorché la dottrina inviti ad un atteggiamento guardingo rispetto ad un diritto penale che da frammentario (quale dev’essere per vincolo costituzionale) diviene “frammentato”3, perché «quasi sempre contrastante con il canone di ragionevolezza e con il principio di proporzione tra illecito e sanzione»4, appare evidente che la realtà imprime alla politica criminale una spinta che chiede di essere governata e non rimossa.
Il secondo filone carsico che si snoda sotto la superficie delle evidenze normative è quello del ruolo che possono ricoprire la temerarietà e la sconsideratezza nel panorama dei coefficienti soggettivi della responsabilità penale: se essi meritino o meno una autonoma dignità, come in altri ordinamenti5. Il che riconduce, nuovamente, anche alle differenze che corrono tra dolo eventuale e colpa con previsione.
Tra le numerose questioni di fondo che si proiettano sullo specifico settore della criminalità stradale non si può fare a meno di citare quella che concerne le caratteristiche che dovrebbero connotare un moderno diritto penale europeo. Principi classici chiedono di essere declinati in modo nuovo; e nella legislazione più recente si registrano i segni di un diverso modo di pensare il diritto criminale, che ne smussa le rigidità repressive a vantaggio della ricomposizione intersoggettiva (colpevole-vittima), che diviene strumento della ricomposizione del rapporto tra il reo e la collettività6. Proprio in materia di reati alla guida (in specie guida in stato di ebbrezza alcolica e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) si è sperimentato il lavoro di pubblica utilità, quale pena sostitutiva di quella tradizionale dell’arresto e della ammenda. Se si considera la casualità che conduce la trasgressione contravvenzionale a divenire delitto di evento7, risulta difficilmente giustificabile l’abbandono della strada appena intrapresa, salvo aderire all’uso di un diritto penale totemico.
Con la novella, il legislatore nazionale dà mostra di confidare nella efficacia general-preventiva della pena, ma la traduzione normativa di tale scelta lascia intravedere notevoli difficoltà applicative.
Diffusa e condivisa è la critica di una sostanziale inutilità di una legge che affastella previsioni, talune di dubbia ragionevolezza, con effetti di complicazione di un quadro di regole che, non foss’altro per le sanzioni che minaccia, richiederebbe la massima linearità e semplicità, premessa di una non incerta e diseguale applicazione. L’esaltazione topografica e identitaria della quale si è scritto in apertura viene dai più ricondotta alla necessità di trasmettere all’opinione pubblica un messaggio di rassicurazione circa la capacità del legislatore di gestire un fenomeno che periodicamente conquista l’attenzione dei media e di fiducia circa l’approntamento di misure di sicura efficienza general-preventiva, come diffusamente si crede siano le pene elevate e la detenzione.
Il più che si è disposti a riconoscere è che la novella sia figlia della «sostanziale sfiducia nel complessivo assetto sanzionatorio», incapace di garantire che l’autore di lesioni di beni di primaria importanza subisca una effettiva punizione8.
Sul piano delle scelte repressive risulta criticato innanzitutto l’indiscriminato rigore del trattamento sanzionatorio, che colpisce tanto condotte che radicano su una volontaria causazione di una situazione di pericolo (porsi alla guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti), quanto condotte connotate da mera trascuratezza o disattenzione e pertanto di ben diverso disvalore (come può essere il percorrere un’intersezione nonostante il segnale semaforico di stop)9. Se da un verso è verosimile che il legislatore abbia inteso punire più gravemente comportamenti particolarmente sconsiderati, dall’altro è dubbio che la selezione operata sia riuscita a cogliere un nucleo di condotte davvero sempre meritevoli, e più di altre, di essere attinte da pene così elevate. Né è impossibile indicare altri comportamenti di pari gravità non considerati dal legislatore.
Raggiunto da rilievi critici è anche l’elevato livello dei minimi edittali, che non permetterebbe di adeguare il trattamento sanzionatorio dei fatti di minor gravità e che andrebbe in senso contrario ai recenti provvedimenti volti a ridurre il sovraffollamento carcerario10. Si rimarca, poi, l’opacità delle disposizioni che fanno derivare un effetto di aggravamento della pena se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa
o revocata (artt. 589 bis, co. 6 e 590 bis, co. 6), non essendo chiaro se si intenda colpire solo chi non abbia mai conseguito il titolo abilitativo o anche chi ne sia provvisoriamente sprovvisto ed apparendo irragionevole che non si faccia riferimento a chi guida con patente scaduta. Incongruenti, poi, appaiono le previsioni concernenti la revoca della patente di guida, prevista per uguali durate in casi diversamente sanzionati e per differenti durate in casi egualmente sanzionati.
Da più parti si rimarca in senso critico la mancata considerazione, accanto al proprietario del veicolo sprovvisto di assicurazione, anche di chi ne abbia l’effettiva disponibilità, quale nucleo dell’aggravante prevista dal sesto comma degli artt. 589 bis e 590 bis c.p.
Per taluno, poi, la previsione del divieto di inflizione di una pena inferiore a cinque anni di reclusione ove ricorra l’aggravante della fuga di cui all’art. 589-ter, conduce ad un paradossale effetto attenuante nelle ipotesi contemplate dall’art. 589 bis c.p. punite con pena minima di otto anni. Può notarsi, una volta dato atto della infelice formulazione, che l’enunciato «non … inferiore a cinque anni» non sembra implicare che il giudice sia tenuto o possa scendere al di sotto del superiore minimo edittale; la previsione troverà concreta applicazione quando sarà chiamata in causa l’ipotesi di cui al co. 1 dell’art. 589 bis c.p.
Una previsione che certamente è destinata ad attrarre le maggiori attenzioni, sino a divenire probabile oggetto di disputa, appare essere la sola circostanza attenuante introdotta dalla legge. Infatti – pur tenendone presente l’inclusione nel novero delle attenuanti per le quali vale il divieto di bilanciamento previsto dall’art. 590 quater, sicché la relativa diminuzione opera sulla quantità di pena determinata in ragione della concorrente aggravante – essa mette in palio una corposa diminuzione (sino alla metà) di una pena che minaccia di essere molto elevata (e, come già rilevato, incompatibile con le misure alternative alla detenzione) attraverso un enunciato che si presta a letture non univoche, che ne variano in modo significativo l’ampiezza dell’applicazione.
La disposizione in parola, infatti, permette di valorizzare qualsiasi fattore concausale, sia esso il fatto dell’uomo – vittima o terzo – che quello delle forze della natura, sia il fatto doloso, che quello colposo o addirittura incolpevole. È sufficiente che si tratti di un fattore che, pur non essendo in rapporto di derivazione causale rispetto alla condotta dell’agente, si inserisce nel medesimo decorso eziologico in cui si colloca quest’ultima, con la conseguenza che tanto la condotta quanto il fattore in questione risultano condizioni senza le quali l’evento hic et nunc non si sarebbe verificato11. La rilevanza dei quesiti che accompagnano la nuova disposizione rende appropriato il giudizio formulato nei primi commenti, di una restituzione al giudice di quella discrezionalità che il legislatore pure ha inteso sottrarre con la previsione di elevati minimi edittali. A ragion veduta si è parlato di «un intervento di riforma fondato su una “severità fragile”»12.
La nuova previsione, inoltre, lambisce temi di estrema complessità. Secondo la regola posta dall’art. 41, co. 1, c.p., il comportamento del terzo e della vittima del reato sono in grado di escludere il nesso causale tra condotta dell’incolpato ed evento illecito solo se essi sono stati da soli sufficienti a cagionarlo. Nel perimetro dei reati dei quali parliamo, ciò ha significato un limitatissimo numero di casi di riconoscimento della cd. interruzione causale: posto che la condotta della vittima costituisce fattore interruttivo solo se, per i suoi caratteri, configura una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento13; e che le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e di diligenza, che contemplano anche il dovere di prevedere l’altrui comportamento irresponsabile; ben si comprende come solo di rado risulti esclusa la responsabilità dell’imputato.
Tenendo poi presente che l’esser concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa attenua il reato nei soli casi di concorso doloso della vittima nel reato doloso, in quanto l’art. 62, n. 5, c.p. presuppone che la persona offesa preveda e voglia l’evento dannoso come conseguenza della propria cooperazione attiva o passiva al fatto delittuoso dell’agente14, risulta evidente che la nuova disposizione, assicurando effetti attenuanti del rigore sanzionatorio meno aleatori di quelli derivanti da una considerazione del comportamento della vittima (o del terzo) ai sensi dell’art. 133 c.p., viene in qualche modo a compensare quell’indifferenza causale, madre di affermazioni di responsabilità dell’imputato anche in casi di minimo contributo al prodursi dell’evento.
Forse il rilievo più generalizzato che assume il tema dovrebbe indurre il legislatore a non limitare la disciplina di favore ad un particolare settore.
Merita di essere rimarcata anche l’inidoneità delle nuove disposizioni a porre la parola fine alla querelle in ordine al ricorso alla figura del dolo eventuale per le più gravi espressioni della criminalità stradale15. In mancanza di una coerente e salda aggregazione di condotte intorno ad un peculiare atteggiamento dell’elemento soggettivo del reato, quale avrebbe potuto essere la grave sconsideratezza16, le varie ipotesi disciplinate dall’art. 589 bis c.p. appaiono in grado di presentarsi ancora con le vesti del reato doloso.
Si pensi, per fornire una esemplificazione, al conducente che ecceda in centro urbano i limiti di velocità indicati dal numero 1 o attraversi un’intersezione cittadina come previsto dal n. 2 del co. 5 dell’art. 589 bis c.p. per sfuggire alla cattura delle forze dell’ordine e così cagioni la morte di un malcapitato. Si tratterà, allora, di accertare senza scorciatoie la sussistenza del particolare atteggiarsi dell’elemento volitivo, costituito da «una consapevole presa di adesione all’evento, che consenta di scorgervi un atteggiamento ragionevolmente assimilabile alla volontà, sebbene da esso distinto: una volontà indiretta o per analogia, si potrebbe dire»17. Ribadita dal Supremo Collegio la presenza dell’elemento volitivo all’interno del dolo eventuale, sul piano processuale la questione diviene quella dell’accorto utilizzo degli «indicatori del dolo eventuale», solo esemplificati dalle Sezioni Unite. Ma la via potrebbe essere stata finalmente segnata. In una recente decisione la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per omicidio doloso pronunciata in relazione alla condotta dell’imputato il quale, in stato di ebbrezza, aveva viaggiato contro mano in autostrada, provocando così la collisione con altra auto e, per l’effetto, sia il ferimento del conducente sia il decesso immediato dei quattro trasportati, affinché la corte territoriale enucleasse, con maggiore precisione e valutandone analiticamente gli indicatori sintomatici, l’elemento soggettivo del reato18.
Altro profilo di sicuro rilievo è il rapporto tra lo stato soggettivo e l’evento. Già l’art. 589, co. 2, c.p. poneva l’interprete di fronte al quesito se lo stato di ebbrezza o di alterazione da sostanze stupefacenti dovesse avere una incidenza causale rispetto all’evento o se piuttosto l’aggravamento della pena risultasse dalla concomitante condizione soggettiva. La dottrina aveva sostanzialmente preso atto della plausibilità di questa seconda lettura, tanto da richiamare la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata al fine di pervenire ad un diverso approdo ermeneutico. Si era giunti, quindi, alla conclusione che l’evento dovesse essere cagionato da una condotta colposa, e che quest’ultima fosse stata condizionata dallo stato di alterazione psicofisica19.
Il nuovo testo non mostra segni risolutivi; esso valorizza il porsi alla guida in stato di ebbrezza; ma egualmente sembra che la lettera della legge non richieda che ricorra una relazione causale tra lo stato di ebbrezza/alterazione e l’evento, perché questo deve essere cagionato “per colpa”, la quale può consistere in una qualsiasi violazione cautelare, efficiente rispetto all’evento. Sicché, se è vero che lo stato di alterazione non può di per sé concretare la colpa efficiente, tuttavia, quando ad esso si accompagni un comportamento colposo, non è necessario che quest’ultimo sia effetto dello stato di alterazione20.
Note
1 Con tale locuzione si identifica il conducente di veicolo a motore individuato dall’art. 186 bis, co. 2, lett. b), c) e d), d.lgs. n. 285/1992.
2 Cfr. Viganò, F., Il dolo eventuale nella recente giurisprudenza, in Libro dell’anno del Diritto 2013, Roma, 2013, 118 ss.
3 Pone l’accento su tale aspetto, proprio con riferimento ai frutti della l. n. 41/2016, Massaro, A., Omicidio stradale e lesioni perdonali stradali gravi o gravissime: da un diritto penale “frammentario” a un diritto penale “frammentato”, in www.penalecontemporaneo.it, 20.5.2016, 4.
4 Roiati, A., L’introduzione dell’omicidio stradale e l’inarrestabile ascesa del diritto penale della differenziazione, in www.penalecontemporaneo.it, 1.6.2016, 3.
5 Curi, F., Tertium datur. Dal Common Law al Civl Law per una scomposizione tripartita dell’elemento soggettivo del reato, Milano, 2003, passim e 181 ss. e 226 ss., per la circolazione stradale.
6 Mannozzi, G.Lodigiani, G.A., Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna, 2015, passim.
7 Sulla componente di accidentalità che contraddistingue l’imputazione colposa Castronuovo, D., La colpa penale, Milano, 2009, 105 ss.
8 Per questo rilievo, Roiati, A., L’introduzione dell’omicidio stradale, cit., 2, che senza mezzi termini parla della «diffusa … convinzione che una pena inferiore a certi limiti edittali risulti destinata a rimanere del tutto inattuata …».
9 In tal senso Squillaci, E., Ombre e (poche) luci nella introduzione dei reati di omicidio e di lesioni personali stradali, in www.penalecontemporaneo.it, 18.4.2016, 15 ss.
10 Squillaci, E., Ombre e (poche) luci, cit., 20 ss.
11 Così, quasi testualmente, Massaro, A., Omicidio stradale, cit., 12.
12 Roiati, A., op. cit., 11.
13 Cfr. Cass. pen., 2.7.2013, n. 33207.
14 Cass. pen., 14.7.2010, n. 29938.
15 Cfr. Pisa, P., L’omicidio stradale nell’eclissi giurisprudenziale del dolo eventuale, in Dir. pen. e processo, 2016, 145 ss.
16 In tal senso Squillaci, E., op. cit., 11 ss.
17 Cass. pen., S.U., 24.4.2014, n. 38343.
18 Cass. pen., 11.3.2015, n. 18220.
19 Reccia, E., La criminalità stradale. Alterazione da sostanze alcoliche e principio di colpevolezza, Torino, 2014, 73.
20 Di diversa opinione sono Notaro, D., I nuovi reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali: norme “manifesto” o specializzazione dello statuto colposo?, in www.lalegislazionepenale.eu, 28.7.2016, 9 ss. e Losappio, G., Dei nuovi delitti di omicidio e lesioni “stradali”, in www.penalecontemporaneo.it, 30.6.2016, 17 ss.