Abstract
La l. 23.3.2016, n. 41 ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 589 bis: «Omicidio stradale». La legge ha risposto alla richiesta d’intervento della pubblica opinione, insoddisfatta dai livelli sanzionatori previsti dalla tradizionale fattispecie di omicidio colposo. L’incriminazione è stata accolta negativamente dai commentatori, sia per la sproporzione delle pene (assimilabili a quelle dell’omicidio volontario), sia per l’incongruenza con gli istituti della parte generale del diritto penale. Il lavoro si propone di evidenziare le maggiori criticità della fattispecie, con particolare attenzione alle ambiguità definitorie e alle interazioni con le contravvenzioni del codice della strada.
Con le espressioni ‘omicidio stradale’ e ‘lesioni stradali’ si fa riferimento ai delitti di cui agli artt. 589 bis e 590 bis c.p., inseriti nel capo I (Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale) del titolo XII (Dei delitti contro la persona) del libro II del codice penale, dalla l. n. 41/2016, «Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274».
Le norme, fra loro speculari, puniscono «chiunque cagioni per colpa» la morte o una lesione personale altrui «con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale».
Alle fattispecie base seguono, secondo una scala crescente di gravità del fatto, nutriti gruppi di circostanze aggravanti, che prevedono aumenti di pena: per i conducenti in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope; per i guidatori di veicoli speciali in stato di ebbrezza alcolica; nel caso di specifiche violazioni del codice della strada; per i conducenti non muniti di patente di guida o con patente sospesa o revocata; nell’ipotesi in cui il veicolo, di proprietà dell’autore del fatto, sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria; qualora il guidatore cagioni plurimi eventi lesivi; e, ai sensi degli artt. 589 ter e 590 ter c.p., in caso di fuga del conducente.
La lettura cursoria dell’art. 589 bis c.p. segnala, senza equivoci, le ragioni della riforma: la creazione di una fattispecie ad hoc, speciale rispetto all’omicidio colposo (art. 589 c.p.), a mezzo della quale punire ‘più severamente’ la causazione di eventi mortali per violazione delle norme di circolazione.
Con la l. n. 41/2016, il Parlamento ha risposto a una precisa richiesta d’intervento della cittadinanza, promossa con impegno dalle associazioni dei familiari e delle vittime della strada. È innegabile che, negli ultimi anni, gli incidenti automobilistici seguiti dalla morte, anche di più persone, abbiano determinato una forte impressione nell’opinione pubblica; eventi eclatanti, cagionati da macroscopiche inosservanze del codice stradale o dall’assunzione di bevande alcoliche o sostanze stupefacenti da parte del conducente, hanno convinto il legislatore dell’«esigenza di introdurre strumenti di prevenzione e di repressione ad hoc, per contrastare incidenti stradali particolarmente gravi» (Lattanzi, G., L’omicidio stradale, in Cass. pen., 2014, 1978).
L’adozione di iniziative per la diminuzione delle vittime corrisponde alle indicazioni espresse in sede euro-unitaria in tema di sicurezza stradale (v. Comunicazione n. 389 del 2010 della Commissione: Verso uno spazio europeo della sicurezza stradale: orientamenti 2011-2020 per la sicurezza stradale), che nulla, però, impongono sul fronte penalistico. Nelle rilevazioni statistiche, infatti, non si rinvengono ‘segnali d’allarme’ tali da giustificare l’introduzione di fattispecie incriminatrici; in Italia, come nel resto d’Europa, si registra una costante diminuzione dei sinistri mortali (si vedano i dati relativi al 2016 forniti dall’Istat sul sito www.istat.it), da ricondursi all’implementazione delle normative su costruzione dei veicoli, presidi di sicurezza e disciplina amministrativa (sanzioni pecuniarie e patente a punti).
Il ‘problema’ della criminalità stradale origina, allora, non da un effettivo ‘bisogno di pena’ (criterio in base al quale l’opzione penale deve risultare indispensabile al conseguimento degli scopi di tutela; in dottrina, Romano, M., «Meritevolezza di pena», «bisogno di pena» e teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 39 ss.) quanto, piuttosto, da una diffusa ‘domanda di pena’, alimentata dalla spettacolarizzazione mediatica di certi incidenti e dall’ossessione per i relativi esiti giudiziari. Il legislatore, «ricorrendo all’idea-propaganda della sanzione penale quale strumento di rassicurazione sociale, ritenuto idoneo a sedare la paura, prima ancora che a neutralizzare pericoli ed eventi lesivi» (Squillaci, E., Ombre e (poche) luci nella introduzione dei reati di omicidio e lesioni personali stradali, in www.penalecontemporaneo.it, 18.4.2016, 2, nota n. 3) ha introdotto un inedito omicidio ‘nominato’, caratterizzato da livelli sanzionatori inauditi e da una curiosa tipizzazione di condotte ‘involontarie’.
Similmente a quanto si osserva in altri settori sensibili della responsabilità colposa (attività medica e malattie professionali per esposizione a sostanze nocive), l’omicidio stradale mira a placare la generale sfiducia nel complessivo assetto sanzionatorio (Roiati, A., L’introduzione dell’omicidio stradale e l'inarrestabile ascesa del diritto penale della differenziazione, in www.penalecontempoarneo.it, 1.6.2016, 2), l’insoddisfazione per l’inquadramento dei sinistri nell’ambito della responsabilità colposa e l’intolleranza nei confronti del (tipo d’autore) ‘pirata della strada’.
La riforma, in realtà, non era né necessaria né auspicabile, avendo determinato serie tensioni con gli istituti di parte generale e problemi di coordinamento con altre fattispecie. «Il risultato è quello di un diritto penale non più fisiologicamente ‘frammentario’, ma patologicamente ‘frammentato’, che, lungi dall’arrestarsi alla soglia di inefficacia del diritto simbolico, alimenta il fuoco delle incertezze e delle disfunzioni sul piano applicativo» (Massaro, A., Omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime: da un diritto penale “frammentario” a un diritto penale “frammentato”, in www.penalecontemporaneo.it, 20.5.2016, 5).
L’assenza di ragioni pratiche per l’introduzione dell’art. 589 bis c.p. si ricava, in primis, dall’analisi del quadro normativo previgente, ove i millantati vuoti di tutela risultavano già presidiati da una speciale circostanza aggravante per l’omicidio colposo commesso «con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale», prevista dall’art. 589, co. 3, c.p. (l. 11.5.1966, n. 296, Modifiche degli articoli 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) del Codice penale).
Negli anni, peraltro, i limiti edittali previsti per l’aggravante erano stati ciclicamente innalzati (da ultimo, l. 21.2.2006, n. 102, Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali); era stato persino previsto il raddoppio dei termini prescrizionali (l. 5.12.2005, n. 251, Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nonostante l’assenza di difficoltà probatorie che giustificassero l’allungamento della prescrizione, anche a confronto con gli illeciti colposi commessi con violazione di norme antinfortunistiche o nell’ambito della professione medica. Contro il ‘pericolo’ di pene ‘blande’, era stato introdotto, infine, il divieto di bilanciamento con le concorrenti circostanze attenuanti, la cui prevalenza avrebbe paralizzato l’aggravamento della pena (si veda il previgente art. 590 bis c.p. in tema di computo delle circostanze, oggi trasposto nell’art. 590 quater c.p.).
In sintesi: lo stravolgimento dell’impianto codicistico non pareva ‘necessario’ e risponde, in questo come in altri casi, alla «ricorrente tentazione degli Stati di porre mano a legislazioni simboliche, di per sé scarsamente produttive di risultati concreti nella lotta alla criminalità, per la «volontà di esibire soprattutto una mobilitazione istituzionale nei confronti delle vittime potenziali» (Forti, G., L’immane concretezza, Milano, 2000, 256).
Tradizionalmente, la causazione di incidenti mortali nel contesto della circolazione di veicoli era ricondotta alla responsabilità per colpa, con conseguente applicazione della fattispecie di omicidio (artt. 589 c.p.) aggravata dalla violazione delle norme del codice della strada. «Le uniche pronunce in cui emergeva una responsabilità dolosa riguardavano i rarissimi casi in cui il guidatore di un’auto aveva utilizzato il veicolo come ‘arma’ per uccidere (o tentare di uccidere) la vittima dell’investimento: situazioni nelle quali l’omicidio volontario si profilava nella dimensione del dolo intenzionale o diretto» (Pisa, P., Incidenti stradali e dolo eventuale: l’evoluzione della giurisprudenza, in Dir. pen. e processo, 2011, Speciale: Dolo e colpa negli incidenti stradali, 13).
Più recentemente, la giurisprudenza di merito si era discostata dal paradigma colposo e, valorizzando la figura del dolo indiretto, aveva ammesso la contestazione dell’omicidio volontario per gli incidenti cagionati da guidatori dissennati, sovente positivi alle verifiche sull’assunzione di alcol o droga (Trib. Milano, 21.4.2004, in Corr. merito, 2005, 70, con nota di Viganò, F., Fuga “spericolata” in autostrada e incidente con esito letale: un’ipotesi di dolo eventuale?); si apriva, così, «una vera e propria caccia al dolo nella colpa, ritenuta quale ‘coraggioso tentativo’ dei giudici di considerare non necessariamente colposo l’omicidio commesso nell’ambito della circolazione stradale» (Roiati, A., L’introduzione, cit., 17; l’espressione ‘caccia al dolo’ è di Castronuovo, D., L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, 1597).
La «rottura dall’interno del paradigma colposo in favore di una allocazione del rischio penale in direzione dell’emisfero doloso (segnatamente del dolo eventuale)» (Piergallini, C., Colpa (diritto penale), in Enc. dir., Milano, 2017, 258), origina dalle pressioni mediatico-populiste di cui si è detto, che porteranno, nel 2016, all’approvazione della riforma. Le decisioni delle Corti di merito, giuridicamente ambigue, generano ‘incertezze’ anche nella giurisprudenza di legittimità che, oscillando tra atteggiamenti ‘prudenti’ e ‘avventati’, concorre ad alimentare la pretesa punitiva della pubblica opinione, ormai convinta della praticabilità dell’imputazione dolosa, posta alla base di alcuni stravaganti progetti di legge (Pisa, P., L’omicidio stradale nell’eclissi giurisprudenziale del dolo eventuale, in Dir. pen. e processo, 2016, 145).
In una prima fase, più cauta, la contestazione dell’omicidio volontario non convince la Corte di cassazione (Cass. pen., 8.5.2008, n. 18667; Cass. pen., 25.3.2009, n. 13083, Bodac; Cass. pen., 24.3.2010, n. 11222, Lucidi), che ritiene insuperabile la prova dell’elemento volitivo in capo al guidatore spericolato o gravemente distratto, pure esposto al rischio mortale. Fa eccezione, in questo primo periodo, un unico precedente (Cass. pen., 31.10.2008, n. 40878) ove, a ben vedere, la dinamica dell’incidente palesa l’adesione psicologica dell’imputato alla morte altrui (un autoarticolato effettua un’inversione di marcia vietata e si scontra con un’altra vettura; il conducente, pur di darsi alla fuga, con una serie di manovre per sganciarsi dall’auto rimasta incastrata sotto il rimorchio, cagiona la morte della persona intrappolata nell’abitacolo).
La vera ‘svolta’ va collocata, però, nel 2011, nella decisione sul caso di un fuggitivo che, a bordo di un veicolo rubato, attraversa ad alta velocità una serie di incroci con segnale di semaforo rosso, cagionando, infine, l’uccisione di una persona (Cass. pen., 1.2.2011, n. 10411, Ignatiuc; si veda anche Cass. pen., 30.5.2012, n. 23588, Beti, di poco successiva, concernente l’omicidio di quattro giovani nella collisione frontale con un SUV che procedeva contromano in autostrada).
Non è questa la sede per analizzare le singole decisioni. Ai fini che più interessano, va detto che le sentenze citate hanno contribuito a mettere in discussione l’incerto confine tra dolo eventuale e colpa cosciente, stimolando, sul punto, l’intervento delle Sezioni Unite nel caso ThyssenKrupp (Cass. pen., S.U., 24.4.2014, n. 38343, Espenhahn).
Secondo le indicazioni del Supremo Collegio, l’indagine fattuale sull’esistenza, in capo all’agente (anche il guidatore), di un atteggiamento interiore assimilabile alla volizione dell’evento («quale prezzo o contropartita accettabile in relazione alle finalità primarie» perseguite) va svolta con l’ausilio dei cd. indicatori del dolo, tra i quali: la lontananza dalla condotta standard; la durata e la ripetizione della condotta; il fine perseguito dall’agente; il contesto illecito di commissione del fatto (per esempio, la fuga in macchina per le vie di un centro abitato); la cd formula di Frank. Tra i segnali della colpa con previsione erano state annoverate le conseguenze lesive per l’agente in caso di verificazione dell’evento (morte o lesioni per lo stesso guidatore spericolato). Sulla base di tali premesse, la Cassazione aveva iniziato un percorso di riconduzione della responsabilità stradale nell’ambito della colpa penale, senza tuttavia escludere il rinvenimento di componenti volitive nella guida gravemente sconsiderata (Cass. pen., 11.3.2015, n. 18220, Beti).
Tali sforzi ermeneutici, tuttavia, sono stati vanificati. Il legislatore del 2016 ha insistito per l’introduzione di un’autonoma fattispecie incriminatrice all’interno della quale, a ben vedere, le più gravi violazioni del codice della strada, alle quali si associano pene edittali che lambiscono quelle dell’omicidio doloso, sono state espressamente qualificate come colpose.
Il reato di omicidio stradale non può dirsi ‘nuovo’, poiché insiste sulla medesima area di illiceità dell’art. 589, co. 3, c.p., formalmente abrogato. Eventuali problemi di diritto intertemporale, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della l. n. 41/2016, andranno risolti con l’applicazione della legge più favorevole al reo, secondo lo schema di cui all’art. 2, co. 4, c.p. La soluzione è stata recentemente confermata dalla Cassazione (Cass. pen., 1.3.2017, n. 29721) che ha riconosciuto «piena continuità normativa e sanzionatoria» tra le fattispecie.
Il soggetto attivo della fattispecie base – ma non di quelle aggravate – può essere «chiunque»; il delitto è, dunque, configurabile anche nel caso in cui l’evento mortale sia cagionato da un qualsiasi ‘garante della circolazione stradale’ (per esempio, i responsabili di un cantiere). L’opzione era stata già adottata per la tradizionale circostanza aggravante dell’omicidio colposo.
L’omicidio stradale è un delitto colposo di evento, punito con la reclusione da due a sette anni, la cui corretta perimetrazione dipende dal significato che si intende attribuire alle espressioni «per colpa» e «con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale».
Nessun dubbio sul fatto che l’inciso «per colpa» sia stato inserito in ossequio alla regola posta dall’art. 42 c.p., secondo cui la previsione della responsabilità colposa deve essere espressa. L’indicazione, peraltro, esplicita la necessità di accertare la colpa sia sul piano oggettivo sia su quello subiettivo. Anzi tutto, va verificata l’esistenza di un nesso causale tra la trasgressione della regola di diligenza e l’evento lesivo (per la prevenzione del quale esiste la norma di circolazione, secondo il principio della ‘concretizzazione del rischio’); a seguire, si dovrà verificare la possibilità, per il soggetto coinvolto, in rapporto alle sue personali capacità, di adeguarsi alla regola violata ed evitare l’evento mortale.
La seconda frase, «con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale», ha generato maggiori incertezze interpretative. Secondo una prima impostazione, il richiamo precisa che si tratta di fattispecie a ‘colpa specifica’, esigendo la violazione di una norma di circolazione scritta, codificata, non di una (generica) regola dettata dalla comune esperienza (sulla distinzione, ex plurimis, Forti, G., Colpa ed evento nel diritto penale, Milano, 1990, 313 ss.). Ad avviso della giurisprudenza, invece, è sufficiente lo scostamento dalle norme maturate nell’esperienza sociale di circolazione su strada (come previsto, peraltro, dagli artt. 140-193 c.d.s., dedicati alle norme di comportamento, che impongono sempre la prudenza alla guida).
La soluzione già sperimentata dalla giurisprudenza eviterebbe di approfondire i problemi di coordinamento posti dalla imprecisa formulazione del nuovo reato: in caso di evento mortale cagionato nell’ambito della circolazione si contesterebbe sempre l’omicidio stradale. La restrizione alle sole ipotesi di colpa specifica è, in ogni caso, da preferire, poiché garantisce gli utenti della strada contro le imputazioni oggettive di ogni incidente lesivo o mortale (potendosi sempre ‘presumere’ la distrazione alla guida) e l’eccesso sanzionatorio dell’art. 589 bis c.p.
Come anticipato, l’art. 589 bis c.p. prevede una fitta schiera di circostanze aggravanti, alle quali si aggiunge quella prevista dall’art. 589 ter c.p., in tema di fuga del conducente.
Si tratta, per espressa previsione codicistica (art. 590 quater c.p.), di circostanze aggravanti a effetto speciale (aumento di pena superiore a un terzo), il cui computo è sottratto ai normali esiti del bilanciamento con le concorrenti circostanze attenuanti (ex art. 69 c.p.)
In particolare, il co. 2 prevede la pena della reclusione da otto a dodici anni per il conducente in stato di ebbrezza alcolica (tasso superiore a 1,5 g/L) o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. La formulazione sembrerebbe riconoscere efficacia aggravante a qualsiasi condotta colposa del reo per la sola ragione di trovarsi al momento del fatto in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione, secondo il tipico modello di imputazione del versari in re illicita. Nella prospettiva della massima valorizzazione del principio di colpevolezza, pare, invece, più corretto che l’evento morte o lesioni sia causalmente collegato all’assunzione delle sostanze vietate.
Ai sensi del co. 3 la stessa pena si applica al conducente cd. qualificato (veicoli a motore pesanti) in stato di ebrezza alcolica (tasso superiore a 0,8 g/L ma inferiore a 1,5 g/L). Tale circostanza – che richiama uno degli elementi dell’incidente dell’autoarticolato (Cass. pen., n. 40878/2008) – pare «malcelare il ritorno del paradigma della colpa d’autore, là dove il legislatore ha ritenuto, ricorrendo ad una presunzione iuris et de iure, che il minor grado di ebbrezza alcolica possa ritenersi in ogni caso compensato dal porsi alla guida di mezzi pesanti o nell’esercizio di un’attività di trasporto di persone o cose» (Roiati, A., op. cit., 8). Un minor aggravamento di pena (reclusione da cinque a dieci anni) è previsto dal co. 4 per il conducente comune in stato di leggera ebbrezza (tasso superiore a 0,8 g/L ma non superiore a 1,5 g/L).
L’elemento più innovativo del sistema di circostanze risiede nell’espressa tipizzazione di alcune condotte sconsiderate, per le quali si prevede la reclusione da cinque a dieci anni. I comportamenti descritti, a ben vedere, avrebbero potuto concretizzare gli ‘indicatori del dolo’ di cui si è detto, quali elementi valutabili dal giudice del fatto per l’individuazione della volontà (indiretta) di cagionare l’incidente; le stesse risultano, ora, ‘derubricate’, quali casi espressi (rectius: ‘indicatori’) della colpa cosciente.
Ancora, il co. 6 prevede un’aggravante per il conducente non munito di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria. Le previsioni sono state criticate dai commentatori, poiché il fatto di non essere munito di patente o di assicurazione non esprime né una superiore gravità del fatto e né alcuna efficienza causale rispetto alla causazione di eventi lesivi (cfr. Squillaci, E., Ombre, cit., 23).
Vanno segnalate, infine: la circostanza di cui al co. 8, per il conducente che cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone (cumulo giuridico: applicazione della pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo, entro il ‘limite’ di diciotto anni); e l’aggravante di cui all’art. 589 ter c.p., intitolato alla fuga del conducente, con un aumento di pena da un terzo a due terzi e comunque non inferiore a cinque anni: misura invero eccessiva se contestata in caso di fattispecie base e del tutto inefficace in rapporto alle ipotesi aggravate (dove il minimo è già di cinque anni).
Nella fitta schiera di circostanze aggravanti si distingue, al co. 7, un’unica circostanza attenuante speciale: «qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà».
A fronte del rigoroso regime sanzionatorio veicolato dalle aggravanti, «la speciale circostanza attenuante … finisce con l’assumere una funzione almeno in parte “salvifica”», mostrandosi «distonica rispetto al contesto normativo in cui è inserita, poiché finisce con il restituire al giudicante quel margine di discrezionalità applicativa che nelle altre disposizioni si è inteso a più riprese negare» (Roiati, A., op. cit., 11).
Il comma, che riflette «una scelta terminologica di marca squisitamente causale» (Massaro, A., Omicidio stradale, cit., 12), appare altresì eccentrico rispetto ai principi che presiedono l’imputazione oggettiva del reato; da un lato, riferendosi a un evento che non sia esclusiva conseguenza della condotta dell’agente, fa proprio il presupposto della teoria della condicio sine qua non, ove la condotta del reo potrebbe essere solo una, tra le tante, condizioni dell’evento; dall’altro lato, operando quale autentica attenuante (cfr. Squillaci, E., op. cit., 26), tempera la severità dell’art. 41 c.p., in forza del quale, il concorso di cause, «anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra la azione od omissione e l’evento».
La previsione, da apprezzare positivamente, arricchisce il quadro offerto dall’art. 41 c.p. anche se, sul piano della ragionevolezza, non si comprende la scelta di limitarne la rilevanza ai soli reati stradali e non anche ad altri settori problematici di responsabilità colposa (ancora, attività medica e malattie professionali).
Il principale problema ermeneutico posto dall’insolita tipizzazione delle ipotesi circostanziate è quello di stabilire se, in caso di incidente mortale cagionato da un automobilista sotto l’influenza dell’alcol o di sostanze stupefacenti, venga in rilievo il solo delitto di omicidio stradale o, in concorso, anche le contravvenzioni previste dal codice della strada (artt. 186 e 187 c.d.s.). La questione, per la verità, si pone sin dal 1966, quando il legislatore affianca agli illeciti del codice della strada la circostanza aggravante dell’omicidio colposo della violazione della disciplina di circolazione.
Contro la contestuale applicazione dell’omicidio aggravato e delle contravvenzioni si è costantemente espressa la dottrina, ravvisandovi una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale: si porrebbe due volte, a carico dell’automobilista, il medesimo fatto della guida in stato di alterazione da alcol o droga. A escludere il concorso di reati, soccorrerebbe, anzi tutto, la disciplina del reato complesso (art. 84 c.p.), dato che le contravvenzioni rientrano già nella struttura dell’omicidio colposo grazie alla previsione della circostanza aggravante; e ancora, il criterio della sussidiarietà (testualmente supportato dall’inciso di cui all’art. 186, co. 2, c.d.s.: «salvo che il fatto costituisca più grave reato») e quello di consunzione, sul presupposto che il delitto previsto dal codice penale è idoneo ad assorbire l’intero disvalore espresso dalle fattispecie contravvenzionali.
La giurisprudenza, al contrario, si è sempre espressa in modo perentorio, ammettendo senza riserve il concorso materiale di tutte le incriminazioni coinvolte (Cass. pen., 1.2.2012, n. 4387, Laskowski; Cass. pen., 28.1.2010, n. 3559, Corridori; Cass. pen., 15.1.1979, n. 2608, Schiavone; Cass. pen., 12.11.1969, n. 2883, Gonnelli).
Gli argomenti elaborati dalla Cassazione sono così riassumibili. Tra il delitto aggravato del codice penale e le contravvenzioni previste dal codice della strada non vi è un rapporto di genere a specie valido ai fini dell’applicazione dell’art. 84 c.p.: i reati sono posti a tutela di beni giuridici differenti (vita vs. regolarità della circolazione); mostrano differenti ambiti di applicazione soggettiva («chiunque» vs. il conducente); si distinguono persino per struttura (reati di danno vs. reati di pericolo). Ancora, il Supremo Collegio ha evidenziato che l’omicidio colposo è aggravato dalla violazione delle norme di circolazione anche prive di rilievo penale, mentre l’applicazione dell’art. 84 c.p. esige che le fattispecie da non cumulare costituiscano, di per sé, autonomi reati. Infine, la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze psicotrope si configura come un’azione autonoma, il cui contesto spazio-temporale non coincide con quello della condotta tipica del reato di evento di omicidio colposo: la consumazione delle contravvenzioni si realizza con anticipo, precludendo sia l’operatività dell’art. 84 c.p. sia quella del più mite concorso formale di reati.
In tale scenario giurisprudenziale è intervenuto l’intransigente legislatore del 2016, che ha tipizzato le più gravi violazioni del codice della strada quali aggravanti dell’omicidio stradale. Anche su questo fronte, i redattori della riforma si dimostrano poco avveduti. Come è stato immediatamente notato dalla dottrina, le «aggravanti degli artt. 589-bis e 590-bis, che ricalcano la disciplina della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti del codice della strada, determinano un groviglio di qualificazioni multiple» (Losappio, G., Dei nuovi delitti di omicidio e lesioni “stradali”, in www.penalecontemporaeo.it, 30.6.2016, 23), che pare rimediare allo storico disallineamento rispetto alle contravvenzioni del codice della strada: «la novella del 2016 avrebbe fatto venir meno il principale elemento che ostacolava la possibilità di configurare, nella specie, un reato complesso, ovverosia la presunta autonomia tra i delitti previsti dal codice penale e i reati contravvenzionali. Infatti, la nuova formulazione normativa tratteggia una più chiara sovrapposizione soggettiva e spazio-temporale delle condotte punite, con la conseguenza che il disvalore del fatto stigmatizzato dalla contravvenzione non potrà non ritenersi assorbito dall’apposita circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio “stradale”, che finisce così per atteggiarsi a reato complesso» (Chibelli, A., Omicidio “stradale” e guida in stato di ebbrezza: concorso di reati o convergenza apparente di norme? Il possibile revirement (per ora solo rimandato) della Corte di Cassazione, in Dir. pen. cont., 2017, fasc. 6).
La soluzione in parola si è affacciata altresì presso la Corte di cassazione che, nella decisione Cass. pen., 12.12.2016, n. 2403, Minutillo, ha preannunciato che, in caso di applicazione della nuova l. n. 41/2016, lo schema del reato complesso potrebbe emergere dalla nuova formula normativa, tanto per l’esplicita qualificazione in termini di circostanze aggravanti dei commi dell’art. 589 bis c.p. successivi al primo, quanto per la più evidente (anche se non perfetta) coincidenza tra le ipotesi in questione e quelle previste dal codice della strada.
La nuova incriminazione è stata oggetto di aspre critiche da parte dei commentatori, sia per gli eccessi sanzionatori (assimilabili a quelli dell’omicidio volontario), sia per la formulazione ambigua, incongruente con gli istituti di parte generale. La redazione frettolosa, peraltro, non ha tenuto conto del contesto giurisprudenziale nel quale si inseriva il reato, ostacolando, per il futuro, l’applicabilità dell’omicidio volontario e il cumulo materiale delle pene previste dal codice della strada, ‘inconvenienti’ di certo sgraditi alle associazioni delle vittime nel cui nome è stata varata la riforma.
Tali risvolti applicativi, da apprezzare positivamente, non valgono, tuttavia, ad attenuare l’irragionevolezza dei limiti edittali previsti per soggetti che non hanno alcuna intenzione di cagionare la morte altrui e che, per quanto spericolati, mettono a rischio la loro stessa incolumità.
L’ascolto, opportuno, dell’indignazione popolare avrebbe dovuto accompagnarsi a una riflessione sull’incidenza emotiva del fenomeno e al necessario studio del dato empirico, dal quale emerge un quadro tutt’altro che ‘emergenziale’. Il sopravvento della paura per il ‘pirata della strada’ ha condotto, in conclusione, a una indiscriminata equiparazione tra lo spregio per la vita altrui e la banale distrazione, «un microsistema differenziato, strutturato a mo’ di una sineddoche, in cui la ‘parte’ (i tipi di autore) assorbe il ‘tutto’ (colpisce, cioè, anche chi tipo di autore non è): sono stati, infatti, ritagliati editti sanzionatori straordinariamente elevati soprattutto nel minimo, con l’evidente obbiettivo di ‘assicurare’ il carcere, privilegiando una concezione ancestrale della pena, in cui spira aria di vendetta» (Piergallini, C., Colpa, cit., 259).
Fonti normative
Artt. 589, 589 bis, 589 ter, 590, 590 bis, 590 ter, 590 quater, 590 quinquies c.p.; artt. 140, 186, 186 bis, 187 c.d.s.
Bibliografia essenziale
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