omore
È usato nel senso proprio di " liquido " contenuto nell'organismo; ma si tratta di o. malsano, come quello che rinfarcia maestro Adamo (If XXX 126), prodotto dall'idropisia che (v. 53) gli dispaia / le membra con l'omor che mal converte (improbabile, anche secondo E. Bigi [Lect. Scaligera I 1073 n.], l'ipotesi di L. Giuffré [D. e le scienze mediche, Bologna 1924, 25-26] ripresa da G. Santangelo [Motivi del canto di maestro Adamo, in Saggi e ricerche in memoria di E. Li Gotti, III, Palermo 1961, 7-8], secondo cui o. varrebbe qui " sangue "). Oppure sono gli omori venenosi contrarii che riempiono lo stomaco del senatore di vizii, rendendolo inabile a cibarsi della metaforica vivanda del Convivio (Cv I I 12). Più generico in Rime LXXIII 10: i malanni della moglie di Forese non dipendono da omor ch'abbia vecchi, ma da difetto ch'ella sente al nido.
Altrove si allude alla linfa di una pianta: così in Rime XCV 2 legno... per omor... gagliardo (o. è " correzione del Barbi per amor del manoscritto ", Contini), e nell'immagine del calor del sol che si fa vino, / giunto a l'omor che de la vite cola, " et è una sustanzia sola " (Buti, a Pg XXV 78). Casini-Barbi ricordano qui Cicerone (Senect. XV 53 " uva... et suco terrae et calore solis augescens... maturata dulcescit "); il Porena precisa che l'espressione " non può significare il succo dell'uva " che si tramuta in vino in seguito alla fermentazione, lontano dalla pianta, ma " quell'umore che geme dai tralci... che nei grappoli maturati dal calore del Sole diviene, potenzialmente, vino ".