On the Waterfront
(USA 1953-54, 1954, Fronte del porto, bianco e nero, 108m); regia: Elia Kazan; produzione: Sam Spiegel per Horizon-American Corp.; sceneggiatura: Budd Schulberg, dal suo omonimo racconto basato su una serie di articoli di Malcolm Johnson; fotografia: Boris Kaufman; montaggio: Gene Milford; scenografia: Richard Day; costumi: Anna Hill Johnstone; musica: Leonard Bernstein.
Terry Malloy, portuale ed ex pugile, lavora saltuariamente al servizio del fratello Charlie, braccio destro del boss d'un 'sindacato' irregolare che domina la vita del porto di New York. Coinvolto nella spedizione punitiva contro un operaio che aveva intenzione di denunciare alla commissione di inchiesta le attività illecite del porto, è testimone inerte del pestaggio e dell'uccisione dell'uomo. Tutti conoscono i mandanti ma nessuno parla, temendo per la propria vita e per il posto di lavoro; solo la sorella del morto, Edie, chiede giustizia e con l'aiuto di padre Barry cerca di scuotere le coscienze. Il prete tuona dal pulpito, invitando chi sa a denunciare i colpevoli; Terry, inviato sul posto come spia, all'uscita della chiesa si trova a difendere Edie dall'assalto di un gruppo di picchiatori. Si conoscono, si innamorano; poi Edie costringe Terry a confessare il suo ruolo nella morte del fratello e nei ranghi del 'sindacato', e fugge inorridita. Un portuale tenta di testimoniare, ma l'episodio si chiude con la morte 'accidentale' del delatore. Terry difende anche padre Barry da un'aggressione e si mette definitivamente contro la gang, che lo cerca per ucciderlo. Ma lui, che ha riconquistato l'affetto e la fiducia di Edie, decide di rendere una pubblica testimonianza, tramessa in televisione. Quindi, ormai isolato per aver infranto l'implicito patto d'omertà, sfida apertamente il boss e viene pestato dalle sue guardie del corpo; i portuali prima stanno a guardare, ma quando Edie e padre Barry raccolgono Terry ridotto a una maschera di sangue, sono loro stessi a dichiarare che non torneranno al lavoro senza di lui. Terry si rialza in piedi, tutti lo seguono. Ha vinto la sua battaglia.
Film ineguale e contraddittorio fino allo strazio, On the Waterfront fu il risultato d'uno straordinario concorso di talenti. Di grandissimo pregio la cruda fotografia invernale, firmata da Boris Kaufman; Leonard Bernstein, il futuro compositore di West Side Story, scrisse le musiche; gli attori erano le giovani stelle dell'Actors' Studio, primo fra tutti Marlon Brando; e alla regia Elia Kazan, il pioniere del nuovo teatro. Con l'energia sprigionata dall'incontro di tante personalità brillanti, nel film si confrontavano i campi di forza del realismo e della teatralità, l'evidenza più cruda e una straniata atmosfera di sogno. Tracce di molti generi compongono il tessuto scabro di On the Waterfront: è un film d'impegno civile, un film realista, un film intimista, un melodramma, un poliziesco, un gangster-movie, un racconto di gioventù bruciata (quella che Brando aveva appena incarnato nel film The Wild One ‒ Il selvaggio, Laszlo Benedek 1953). È un film d'esterni, girato nelle vere zone portuali di New York, nel quale la forza dell'aperto piega e stravolge le regole dell'impianto teatrale.
Il tema civile è la scoperta del gangsterismo interno ai sindacati: le tangenti, i ricatti, gli illeciti, i misfatti dei picchiatori e dei capigang, con relative drammatiche circostanze che gravano sulla vita di chi lavora al porto. L'idea è che l'abuso va denunciato, e il film si costruisce a giustificazione della denuncia. Fare i nomi dei mandanti, qui, diventa prova di maturità e responsabilità, confessione e terapia personale, chiave necessaria al funzionamento d'un rapporto positivo tra un uomo e una donna, via d'accesso alla soluzione dei conflitti sociali. Elia Kazan e Budd Schulberg, autore del racconto da cui il film trae origine, avevano 'fatto dei nomi' davanti alla commissione McCarthy: certamente il film fu per loro terapeutico, la ricerca di un'autoassoluzione (il fantasma di quella testimonianza resa al comitato per le attività antiamericane avrebbe abitato ancora a lungo l'ex comunista Kazan), ma proprio questo apre al centro del film, che aspira a un'etica altisonante, l'effetto opposto d'un vuoto morale.
Nelle immagini della periferia portuale fa così freddo e il vento è talmente tagliente che possiamo vedere chiaramente il tremore dei corpi, la condensa del respiro: partendo dai visi degli attori, si arriva qui a scoprire delle facce umane (Brando avrebbe poi dichiarato che durante le riprese "faceva un tale freddo che ogni eccesso nella recitazione diventava impossibile"). Il fine di Kazan era quello di produrre condizioni estreme che esponessero gli attori nella verità fisica e spirituale: ancora nelle parole di Brando, "il cinema è capace di ritrarre l'uomo che pensa e il suo pensiero: la cinepresa diventa un microscopio, uno strumento che attraversa le superfici e che permette di ritrarre l'esperienza interiore dell'essere umano". Il respiro autentico del dramma psicologico era poi facilitato dal fatto che numerosi personaggi del film avevano un loro esatto corrispondente nella realtà; le vicende investivano la realtà con tanto impeto che, durante la lavorazione in esterni, era stata necessaria la protezione della polizia. Anche questa atmosfera tesa e concreta alimentò la 'sete di realismo', e la paura che tutto perdesse senso se persone e luoghi davanti all'occhio della cinepresa non fossero risultati in tutto e per tutto 'autentici'. Dello straordinario affresco urbano creato da Boris Kaufman e dallo scenografo Richard Day vivranno perennemente gli orizzonti grigi, il giardinetto avvolto dai fumi nei pressi del porto, i tetti dove l'uomo, per un momento simile a un uccello, contempla la possibilità di una libertà illusoria, la scarna scenografia delle viuzze, delle finestre condannate dalle griglie, delle scale antincendio, dei cancelli di ferro. E l'interpretazione di Marlon Brando illumina l'intero film.
Interpreti e personaggi: Marlon Brando (Terry Malloy), Eva Marie Saint (Edie Doyle), Karl Malden (padre Barry), Lee J. Cobb (Johnny Friendly), Rod Steiger (Charlie Malloy), Martin Balsam (Gilette), Pat Henning ('Kayo' Dugan), Leif Erickson (Glover), Arthur Keegan (Jimmy), James Westerfield (Big Mac), Thomas Handley (Tom Collins), Pat Hingle (Kellner).
P. Brinson, On the Waterfront, in "Films and filming", n. 1, October 1954.
J. Doniol-Valcroze, En un combat douteux, in "Cahiers du cinéma", n. 44, février 1955.
L. Anderson, The last sequence of 'On the Waterfront', in "Sight & Sound", n. 3, January-March 1955.
R. Hughes, 'On the Waterfront': a defence, in "Sight & Sound", n. 4, Spring 1955.
J. Demeure, Le docker de Saint-Sulpice, in "Positif", n. 14-15, novembre 1955.
P. Kael, The glamour of delinquency, in I lost it at the movies, Boston-Toronto 1965.
P. Biskind, The politics of power in 'On the Waterfront', in "Film quarterly", n. 1, Fall 1975.
Sceneggiatura: On the Waterfront. A Screenplay, Edwardsville 1980.