ONATAS (᾿Ονάτας)
1°. - Bronzista di Egina, figlio e probabilmente allievo di un Mikon (o Smikon). Attivo nella prima metà del V sec. a. C., nel Peloponneso, e in particolare ad Olimpia, a Delfi e ad Atene, deve essere considerato uno dei principali rappresentanti di quella scuola eginetica, che ebbe in questa sua ultima fase (prima del crollo politico e conseguentemente artistico della città nel 456) un periodo di intensa fioritura.
Dell'opera di O. non ci è rimasta alcuna testimonianza monumentale. Le fonti letterarie si limitano sostanzialmente a Pausania e ad un epigramma di Antipatro nell'Anthologia Palatina (ix, 238), in cui si fa menzione di un colossale Apollo (ricordato anche da Pausania, viii, 42, 7), esistente a Pergamo. Si ritiene che la statua, alla quale forse si riferisce una base iscritta rinvenuta appunto a Pergamo (M. Fränkel, Inschr. von Perg., i, p. 41, n. 48), sia stata qui trasportata dal Peloponneso o dalla stessa Egina, come bottino di guerra dopo la conquista del 210 a. C.
Le altre opere di cui Pausania parla sono: 1) a Delfi, il monumento votivo che i Tarentini dedicarono nel santuario di Apollo dopo una vittoria riportata sui Peucezi. O. lo avrebbe eseguito in collaborazione con un altro scultore, il cui nome, attestato con qualche incertezza, sembra essere Kalynthos. Rappresentava (Paus., x, 13, 10) un gruppo di guerrieri combattenti, a piedi e a cavallo, intorno al corpo di Opis, re dei Peucezi, ucciso da Taras e dallo spartano Falanto. Si conserva, forse, parte del basamento: alcuni blocchi con una dedica dei Tarentini ad Apollo. Il Raubitschek, senza argomenti decisivi, ritiene che l'opera debba considerarsi anteriore al 480. Ma ragioni di carattere storico, topografico ed architettonico fanno preferire una datazione intorno al 465: infatti la vittoria commemorata è riferibile, con ogni probabilità, al 467; inoltre l'ex voto fu posto a fianco del tripode di Platea (al quale era anche strettamente collegato dal punto di vista ideologico), e sembra dimostrabile che non possa essere stato innalzato anteriormente a questo.
2) A Figalia, in Arcadia, una strana statua bronzea di Demetra Mèlaina, fatta ispirandosi al primitivo xòanon di culto della dea, che era andato distrutto, e che O. avrebbe conosciuto o attraverso un dipinto o a una qualche riproduzione oppure attraverso un sogno. Lo xòanon raffigurava Demetra con testa equina da cui si ergevano altre forme animali. La dea, avvolta in un lungo chitone nero, sedeva sulle rocce in una grotta sacra, recando una colomba in una mano e un delfino nell'altra. Già all'epoca di Pausania la statua di O. non esisteva più, perché distrutta da un crollo nella caverna, avvenuto al tempo di Traiano.
Il passo in cui il periegeta (viii, 42) dà una cronologia dell'opera è corrotto e forse lacunoso, e non risulta chiaro se questa sia stata eseguita una o due generazioni dopo l'invasione persiana. In ogni caso, però, le generazioni cui Pausania si riferisce sono i regni di Gelone e di lerone, che, dopo il 480, durano in tutto venti anni.
Ad Olimpia O. eseguì: 3) in collaborazione con Kalliteles, una statua di Hermes crioforo, anàthema degli Arcadi del Feneo (Paus., v, 27, 8). 4) Per incarico dei Thasi, un colossale Eracle stante, con clava nella destra ed arco nella sinistra (Paus., v, 25, 12). Gli avvenimenti storici di quel periodo consentirebbero una datazione della statua anteriore al 492, tuttavia molto improbabile per varî motivi; oppure, come è più verosimile, posteriore al 478. L'opera in ogni modo deve essere stata compiuta prima della disfatta di Thasos (463 a. C.). 5) Come dono votivo degli Achei (Paus., v, 25, 8) un gruppo costituito da dieci figure di eroi greci dell'epopea troiana: nove disposti paratatticamente su di un basamento semicircolare, armati di lancia e scudo; Nestore su di una base singola, raffigurato nell'atto di deporre entro l'elmo i nomi dei guerrieri per sorteggiare chi di essi avrebbe sfidato Ettore.
6) Un gruppo votivo dedicato da Ierone di Siracusa per ricordare la sua vittoria nella corsa dei carri conseguita nella Olimpiade del 468. Il gruppo era composto da una quadriga bronzea con auriga, opera di O., ai lati della quale erano due cavalli da corsa montati da fanciulli, opera di Kalamis. Il monumento è databile con sicurezza fra il 466 e il 464, in quanto sappiamo che, morto Ierone nel 466, fu portato a termine a cura del figlio Deinomene (Paus., vi, 12, 1; viii, 42, 9, 10).
L'unica diretta testimonianza dell'attività di O. è fornita da una lunga iscrizione in cui compare il suo nome, incisa su un pilastrino marmoreo (che sembra dovesse sorreggere un cavallino bronzeo) rinvenuto sull'acropoli di Atene.
Ragioni di ordine topografico e, soprattutto, i caratteri epigrafici della iscrizione stessa, portano concordemente all'inizio del V sec. a. C. Il piccolo ex voto è dunque l'unica opera di O. databile con sicurezza agli anni anteriori al 480 e rappresenta perciò la più antica testimonianza della sua attività. L'esistenza in Atene di una scultura di O., appartenente con molta probabilità alla fase giovanile della sua produzione, ha indotto qualche studioso ad avanzare la supposizione, peraltro assai ipotetica, che il soggiorno ad Atene possa essere stato determinante per la sua formazione artistica.
In realtà non è possibile stabilire con esattezza il periodo della sua attività; soprattutto incerto ne è il limite cronologico inferiore, anche se gli elementi di cui disponiamo non sembrano portarci oltre il 460. Pausania (viii, 42, 10), ci dà soltanto una cronologia molto generica dell'artista, dicendo che era contemporaneo dell'ateniese Hegias e dell'argivo Hageladas, ma, per varî motivi, questi termini di confronto debbono essere intesi in senso piuttosto lato. In base ai riferimenti cronologici che possediamo per alcune sue opere, sembra si possa dedurre, con un certo margine di sicurezza, che il periodo di maggior fioritura dell'artista corrisponda al decennio 470-460. Non si sbaglierà dunque di molto ponendo la sua acmé intorno al 465.
Se così incerti sono questi dati esterni, relativi alla sua produzione, praticamente nulla conosciamo dello stile e della personalità di Onatas.
Poiché era uno degli artisti più rappresentativi del suo tempo, si può logicamente supporre che da un lato le sue caratteristiche corrispondano in pratica a quelle che conosciamo dalle sculture eginetiche dell'inizio del V sec., dall'altro che la sua problematica artistica fosse giunta al livello di quella del Maestro di Olimpia. È questa l'opinione del Lippold, il quale inoltre ritiene si possano riportare ad O. opere come la Sfinge di Egina, l'Apollo dell'Omphalòs, la cosiddetta Aspasia, connesse, peraltro, più frequentemente e con maggiore verosimiglianza, con il nome di Kalamis. A nessuna conclusione accettabile hanno condotto anche gli altri numerosi tentativi di identificare copie di opere di O. nel vasto repertorio delle sculture romane derivate da prototipi greci di questo periodo. Così ad esempio secondo lo Homann Wedeking, una statua acefala di Palazzo Mocenigo a Venezia, che rappresenta una figura femminile con accanto una protome equina, potrebbe essere una rielaborazione della Demetra Mélaina di Figalia. Ipotetica anche l'attribuzione dell'Hafner di una testa barbata del Vaticano.
Ancora più insostenibile si è rivelata l'attribuzione di alcuni originali greci, come quella delle sculture del frontone orientale del tempio di Aphaia, ad Egina, avanzate in passato da vari studiosi, o quella del famoso bronzo di Capo Artemision, proposta dallo Homann Wedeking. In conclusione, se è certo che, nel complesso, le sculture di Egina ci possono dare, molto vagamente, una idea della sensibilità artistica di O., attribuzioni specifiche non risultano possibili, allo stato attuale delle nostre conoscenze.
Infine neppure i tentativi di rintracciare nelle arti minori un riflesso della sua arte e delle sue creazioni (come ad esempio lo studio del Thiersch per l'identificazione dell'Apollo nella monetazione eginetica) hanno dato risultati migliori. Soltanto dell'Hermes crioforo si arriva a cogliere un eco iconografica in bronzetti e terrecotte, ma, trattandosi di un tipo statuario piuttosto diffuso nel mondo greco, sono concordanze troppo generiche, che non possono avere un valore determinante neppure per l'iconografia, e, in ogni caso, non sono in grado di dirci niente sulla sua figura di artista.
Bibl.: G. Lippold, Charles Walston Notes on the Greek Sculpture, in Berl. Phil. Wochens., 1928, c. 402; id., recensione a Langlotz, Frühgriechische Bildhauerschulen, in Gnomon, 1928, pp. 417 e 420; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXVI, 1932, p. 18, s. v.; C. Albizzati, in Enc. Ital., XXV, p. 354, s. v.; G. Welter, Aigina, Berlino 1938, p. 123; P. H. Wuilleumier, Tarente, des origines à la conquête romaine, Parigi 1939, p. 57 ss.; C. Picard, Manuel d'archéologie grecque; La Sculpture, II, Parigi 1939, p. 71 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XVIII, i, 1939, col. 408, s. v., n. i; E. Homann Wedeking, Zu meisterwerken des strengen Stils, in Röm. Mitt., LV, 1940, p. 196 ss.; A. E. Raubitschek, Dedications of the Athenian Akropolis, Cambridge 1949, p. 272, n. 236; p. 287, n. 257; p. 520 ss.; P. Amandry, Notes de topographie et d'architecture delphique, II, Le monument des Tarentis du Haut, in Bull. Corr. Hell., LXXIII, 1949; J. Poulloux, Recherches sur l'Histoire et les Cultes de Thasos, in Études Thasiennes, III, Parigi 1954, p. 358 ss.; G. Hafner, in Θεωρὶα, Festschrift W. H. Schuchhardt, Baden Baden 1960, p. 79 ss.
(S. De Marinis)