onda verde
Ónda vérde. – Nome con il quale è conosciuto in Italia il movimento di protesta sceso in piazza in Iran nel giugno 2009 (noto anche come Green movement sulla stampa internazionale). Nelle elezioni presidenziali del 12 giugno 2009 Mir Hussein Moussavi (Mīr Husayn Mūsavī) e Mehdi Karrubi (Mahdī Karrūbī), due candidati del fronte riformista, scendevano in campo per sfidare il presidente in carica Maḥmūd Aḥmadīnejād, eletto nel 2005 per il suo primo mandato e simbolo di un regime sempre più illiberale, oscurantista e repressivo. Durante la campagna elettorale il consenso intorno alla figura di Moussavi, un riformatore moderato appoggiato da una larga coalizione di religiosi e laici e già primo ministro durante la guerra Iran-Iraq (1981-88), era andato via via crescendo portando nelle piazze migliaia di giovani donne e uomini che speravano in un cambiamento e inneggiavano alle riforme e alla libertà d’espressione sventolando bandiere e vessilli verdi. In Iran la popolazione sotto i trent’anni è di poco inferiore al 70% del totale e rappresenta da sempre, con una spiccata e significativa presenza femminile, la punta più avanzata dell’opposizione al regime: già nella seconda metà del 1999, infatti, fu la protesta di decine di migliaia di studenti dell'università di Teheran in favore della libertà di stampa e contro l'oppressione culturale a provocare una violenta reazione delle autorità politiche e religiose. Nel decennio successivo un forte malcontento continuava a serpeggiare tra i giovanissimi, la cui vita quotidiana appariva segnata dagli innumerevoli divieti imposti dalla moralità religiosa dominante: separazione in pubblico tra uomini e donne cui si vorrebbe impedire, in assenza di parentela stretta (per es. marito e moglie o padre e figlia), anche il minimo contatto fisico; divieto di ascoltare musica occidentale ‘blasfema’, per esempio il rock; rigide norme di abbigliamento e di decoro (per le donne, per es., vige l’obbligo di coprire i capelli). In privato, a rischio di venire multati, frustati o anche arrestati, molti giovani organizzano feste e incontri per entrambi i sessi cercando così di decidere, almeno nel segreto delle loro case, cosa fare nel loro tempo libero. In questo clima l’annuncio della vittoria elettorale di Aḥmadīnejād con oltre il 62% dei voti – solo il 33% dei consensi fu attribuito a Moussavi su un totale di 85% di votanti – fu immediatamente contestato dai due candidati sconfitti e dalle opposizioni che accusarono il governo di brogli e falsificazioni delle schede elettorali. Il 15 giugno un’imponente marcia di protesta silenziosa per le vie di Teheran, la più grande manifestazione dai giorni della rivoluzione islamica del 1979, chiese a gran voce la revisione del voto mentre nelle stesse ore la Guida suprema, l’āyatollāh ‛Alī Khāmeneī, ordinava un’inchiesta sulle presunte irregolarità. Nei giorni immediatamente successivi i manifestanti tornarono in piazza mentre il clima politico nel Paese andava infuocandosi e il presidente Aḥmadīnejād sceglieva la strada della repressione violenta della protesta. Il 19 giugno Khāmeneī dichiarava validi i risultati elettorali e ordinava la cessazione immediata delle manifestazioni, accusando le potenze occidentali di fomentare le proteste: in risposta centinaia di migliaia di cittadini si riversarono nelle piazze chiedendo la fine della dittatura e criticando esplicitamente per la prima volta anche la Guida suprema. Il 20 giugno una giovane donna di 26 anni, Neda Agha Soltan, venne colpita a morte da un cecchino nelle vie di Teheran mentre protestava pacificamente contro il regime: il video della sua morte, caricato su YouTube, fece il giro del mondo, mentre il regime cercava di impedire tutti i contatti telefonici con l’estero, allontanava la stampa straniera dal Paese, minacciava i blogger che avevano reso possibili tante mobilitazioni estemporanee nelle strade e rallentava quasi fino al collasso l’accesso a Internet. Nel mese di luglio, nonostante il clima di terrore avesse indebolito la protesta, l’opposizione continuava a contestare la validità dei risultati e numerose voci di dissenso contro Aḥmadīnejād si levarono anche tra i religiosi più conservatori: il 17 luglio l’ex presidente della Repubblica Rafsangiānī, nella preghiera del venerdì all’università di Teheran, si dissociava dalla politica repressiva del governo e dichiarava che molti cittadini avevano perso la loro fiducia nel regime. All’inizio del mese di agosto le udienze dei processi in massa contro i leader del movimento, i giornalisti e le migliaia di giovani dimostranti arrestati lasciavano trapelare notizie sugli abusi e le torture nelle prigioni e le pesanti intimidazioni contro i familiari dei manifestanti. Nel febbraio 2011, dopo un anno difficilissimo per gli attivisti del movimento ridotti al silenzio dalla repressione del regime, l’O. v. è tornata nelle piazze per sfidare Aḥmadīnejād e manifestare solidarietà alle rivolte scoppiate in Tunisia ed Egitto. Il 12 giugno 2011 una marcia silenziosa nelle vie di Teheran ha ricordato il secondo anniversario della nascita del movimento, mentre i leader carismatici della protesta Moussavi e Karrubi erano costretti agli arresti domiciliari.