ONEIROS (῎Ονειρος)
Personificazione della divinità del sonno, la quale è menzionata per la prima volta in Omero e poi nella Teogonia esiodea.
Nell'Iliade (ii, 6) O. vien detto messaggero di Zeus, e riceve l'epiteto di οὖλος, che è stato variamente inteso (= rovinoso, ovvero ricciuto, secondo una tendenza ad accentuare le particolarità fisiche che è tipica nelle personificazioni omeriche). Nella tradizione letteraria successiva, da Alcmane a Virgilio, da Euripide ad Apollonio Rodio e a Nonno, O. vien detto figlio della Notte e di Erebo, o della Terra. Ma accanto al filone epico e poetico, esistono in Grecia, specialmente nel più tardo periodo alessandrino, delle correnti popolari che moltiplicano gli O., accentuandone il carattere magico. Con facile passaggio di significato, la divinità del sogno viene ad assumere attributi oracolari, e ad essa ci si rivolge di notte nei santuari, col rito dell'enkòimesis (incubatio).
La personalità alquanto vaga e sfuggente di O., insieme alla mancanza di connessione con qualche mito diffuso, spiega l'assenza pressoché totale di rappresentazioni figurate. Una statua di O., secondo Pausania (Perieg., ii, 10, 2) esisteva nella stoà del tempio di Asklepios, a Sicione, accanto a una statua di Hypnos. Filostrato (Imag., i, 27), ricorda le raffigurazioni di Aletheia ed O. nella pittura avente a soggetto Anfiarao: ivi il dio aveva atteggiamento tranquillo, un mantello bianco su un abito oscuro (probabilmente, afferma Filostrato, per simboleggiare la sua venuta sia di giorno che di notte) e un corno in mano, da cui invia i sogni agli uomini (è la ὀνείρων πύλη ricordata da molte fonti letterarie). Per il resto, si può pensare che O. fosse rappresentato in un iconografia assai simile a quella di Hypnos (v.), cioè come una figura giovanile dalle lunghe ali.
Bibl.: Türk, in Roscher, III, 1897-909, c. 900-910, s. v., n. i; L. Deubner, ibid., c. 2089, 2091, 2112, 2124, passim, s. v. Personifikationen; H. Kenner, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1939, c. 448-459, s. v.