onestà (onestade; onestate)
Secondo le edizioni più recenti, quasi sempre nella forma ‛ onestade ' (ma onestà in Rime LXXXVI 4, e onestate in Cv I VIII 8). E al plurale, e in rima, onestadi, in Pd XXXI 51. Per il corrispondente latino, vedi Ep XIII 5.
Come ‛ onesto ' (v.) designa un decoro di portamento, che è degno di onore o di rispetto e allieta lo spirito non meno degli occhi, per le qualità interiori che lascia intravvedere; oppure queste stesse qualità interiori di alta e composta moralità o spiritualità. Ma è anche un concetto filosofico, l'honestum, ossia il " per se bonum ".
In senso fisico, l'indicazione più nota è quella suggerita al poeta, per contrasto, dall'insolita scompostezza di Virgilio, dovuta alla sua corsa precipitosa, a la fretta, / che l'onestade ad ogn'atto dismaga (Pg III 11); l'indicazione più felice è nelle onestadi che adornano la figura di tutti i beati (Pd XXXI 51): il plurale è la soluzione liricamente precisa della polivalenza semantica, del ‛ campo lungo ' di suggestioni che o. tende sempre a creare nel linguaggio dantesco. Anche la donna allegorica del Convivio, la Filosofia, è ornata d'onestade (II XV 3, dove forse il poeta volle riecheggiare l'elogio biblico della Sapienza: Sap. 7, 13 " honestatem illius non abscondo ").
In senso etico-spirituale, con diverse sfumature di significato, è presente in Vn XXVI 1 (una nuova disposizione dello spirito, più alta e più consapevole, suscitata dalla presenza e dal saluto di Beatrice: quando ella fosse presso d'alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia di levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto); Cv IV I 4 (la saggezza, l'equilibrio spirituale che ha la sua principale fonte nella Filosofia: in lei è fontalemente l'onestade; e perciò può essere un ente astratto, se non proprio personificato, che il poeta vede in compagnia di altre virtù, Rime LXXXVI 4); Cv III IV 8 (l'aspirazione al bene e all'onore che deve guidare la nostra condotta: la quale dee essere tutta con onestade); II X 8 (le virtù e le belle costumanze che ornavano la vita delle antiche corti e da cui nacque il concetto di ‛ cortesia ', inseparabile da quello di ‛ onestà ': perciò cortesia e onestade è tutt'uno). In Ep XIII 5 (viros fortuna obscuros, honestate praeclaros) è contrapposto a fortuna: i beni dell'animo da una parte, e dall'altra i beni materiali.
In termini razionali o. è il bene in assoluto, contrapposto all'utile e al piacevole, alla cui acquisizione il poeta arriva nel Convivio attraverso una lunga tradizione che parte da Aristotele e passa per Cicerone e s. Tommaso. Con parole, appunto, di Cicerone è definita la rigida onestade degli stoici (Cv IV VI 9: cfr. Fin. II XIV 45), e da concetti di Aristotele (Eth. Nic. VIII) e del suo commentatore prende le mosse tutta una serie di considerazioni sull'amicizia, la quale non può essere che o per utilitade, o per diletto, o per onestade; ma di questi tre tipi solo l'amistà per onestade fatta è vera e perfetta e perpetua, ed è l'unica che meriti questo nome; ne deriva che, significando il termine ‛ filosofo ' amatore di sapienza ed essendo perciò la filosofia una forma di amicizia, la filosofia è vera e perfetta che è generata per onestade solamente (Cv III XI 5-11). Da queste affermazioni D. trae una conclusione polemica: non essere vero filosofo chi aspira al sapere per ricavarne un utile, sì come sono li legisti, [li] medici e quasi tutti li religiosi, che non per sapere studiano ma per acquistare moneta o dignitate (§ 10); prima consapevole affermazione del distacco dalle piccole ambizioni terrene per la gioia disinteressata della scienza pura, che maturerà nel prologo di Pd XI: il piacere oblioso che dà l'honestum, depurato dagli schemi concettuali e trasferito sul piano di un'esperienza celeste, si trasfigura in beatitudine, cui faranno da sfondo negativo le stesse basse avidità, rappresentate ancora dagli iura, dagli amforismi, dal sacerdozio. Parafrasando in senso diverso un altro passo del Convivio, dove si parla di un particolare tipo di o. (il bene morale che si acquista nel donare agli altri), possiamo dire che ora veramente il poeta ha raggiunto l'utilitade de l'onestate, ch'è sopra ogni utilitade (I VIII 8). È da segnalare infine la bellezza che il poeta vede nell'o., su suggerimento di Cicerone (Cv IV VIII 2, due volte; cfr. Off. I XXVII-XXVIII); di tale bellezza d'onestade partecipa anche la reverenza, il giusto tributo all'eccellenza degli uomini superiori, al quale D. qui e altrove attribuisce valore sommo.