D'ANDREA, Onofrio
Scarse le notizie biografiche: zio paterno di Francesco e Gennaro D'Andrea, il D. nacque a Napoli nel 1608 da famiglia nobile. Il Tutini ne individua i genitori in Gio. Antonio - discendente da una famiglia di origine francese (probabilmente di Marsiglia), ma presente nel Napoletano già dal XIII sec. - ed Emilia Farao, sua seconda moglie. A Napoli fece parte dell'Accademia degli Oziosi; la data della morte non è certa, ma probabilmente morì dopo il 1647.
La produzione del D. - che copre un arco di circa venti anni (dal 1626 al 1647) e testimonia la complessità della situazione letteraria napoletana - si inserisce nell'ambito del classicismo (ancora vivo a Napoli in pieno Seicento) soprattutto attraverso il mantenimento dei canoni lirici di tipo petrarchistico-bembesco; nella produzione più tarda tuttavia si avverte l'assimilazione, anche se non totale, delle esperienze barocche.
È ilD. stesso a mettere in risalto la sua scelta classicistica affermando, nella premessa all'edizione di Poesie, di avere costantemente tenuto presente come modello soprattutto la lirica latina, e il Crescimbeni, seguito dal Quadrio, pur rilevando nelle rime elementi tipici del marinismo, riconosce al D. una formazione di tipo classico e lo annovera tra i migliori rimatori del suo tempo.
Nella prima raccolta di poesie, Rime (2ed., Napoli 1626) - in maggior parte sonetti - ilD. sviluppa la tematica amorosa (oltre ad una serie di sonetti celebrativi dedicati a cardinali, principi e poeti come Marino e Manso) rielaborando temi tradizionali (usando spesso versi di Petrarca e Tasso) quali il dolore per la lontananza della donna, il lamento per la sua eccessiva crudeltà, le lodi della sua bellezza (occhi, fronte). Pur se nella descrizione della bellezza femminile è presente un largo uso di metafore, le situazioni artificiose ed appariscenti sono in realtà limitate soltanto ai titoli dei sonetti ("Donna offesa dal sole ne' calori estivi", "Donna che muore di notte", "Bella Donna che perde giocando a' tarocchi", "Donna sommersa in un fiume" ecc.).
La scelta della struttura lirica fondamentalmente classica viene mantenuta anche in Poesie (Napoli 1631e ibid. 1634, con le esposizioni dello stesso D.), dove troviamo ancora una elaborazione di temi tradizionali e in cui la dichiarata scelta classicistica, ricollegandosi all'esperienza del petrarchismo del Cinquecento, si manifesta soprattutto grazie alla compostezza e alla regolarità dei sonetti.
La favola boschereccia Elpino (Napoli 1629), in margine alla quale sono stampate le ottave Contrarietà di pensieri amorosi, si inserisce tra le edizioni delle Rime e delle Poesie. Imodelli dichiarati di questa favola sono Tasso e Guarini, lo stile si mantiene piuttosto equilibrato sebbene la rappresentazione degli stati d'animo sia spesso troppo solenne. Nella prosa "Lo stampatore a' i lettori" si ricostruiscono le intenzioni del D.: creare una favola che presenti due storie intrecciate, una necessaria all'altra, per non trascurare la regola dell'unità, mediando tra i modelli del Tasso (una sola storia) e del Guarini (più storie separate).
La storia d'amore tra il pastore Elpino e Fille (che finge indifferenza per tener fede all'amicizia verso Licori) si intreccia con quella tra Tirsi e Licori, innamorata a sua volta di Elpino, e giunge allo scioglimento finale senza presentare situazioni troppo artificiose, ma attraverso una duplice presa di coscienza della realtà sentimentale favorita dalle false notizie della morte di Licori e del suicidio di Elpino.
Dopo La vana gelosia, commedia in versi (Napoli 1635), le Prose (ibid. 1636), dieci in tutto, riprendono i temi classici della trattatistica del Cinquecento (nella dedica al cardinale Boncompagni il D. pone come proprio modello Tasso). Presentandole "A' lettori" G. B. Della Bella, oltre ad attribuire all'attività letteraria del D. finalità del tutto personali - senza tralasciare la consueta polemica per lo scarso riconoscimento che la società tributa al poeta - afferma che l'autore "...ha voluto comporle in modo che vi risplenda la purità della toscana favella, e ha cercato d'imitare gli scrittori chiamati del buon secolo" mentre "alcuni si compiacciono dello scriver de' moderni tutto pieno di sentenze".
Dopo un inizio descrittivo, in ogni prosa ("Della bellezza", "Dell'amicizia", "Dell'amore", "Della musica", "Della nobiltà e della cortesia", "Della virtù heroica", "Dell'amor matrimoniale", "De' principi delle cose naturali", "Della fortuna", "Della felicità") si riportano e si discutono i pareri di vari filosofi sull'argomento (Platone, Aristotele, a volte Tasso) e si esprime infine il proprio pensiero. Nel complesso l'opera non ha grande originalità, limitandosi il D. a riportare e discutere pareri altrui, prendendo spesso una posizione di mediazione tra il pensiero di Platone e quello di Aristotele.
Notevolmente più vicina all'esperienza barocca è l'Italia liberata (Napoli 1646 fino al c. XII, e ibid. 1647 completa), poema eroico in venti canti e in ottave (in precedenza aveva scritto Aci - Napoli 1628 - poema in ottave e in otto canti in cui, narrando l'amore tra Aci e Galatea, riportava le teorie platoniche sull'amore).
L'Italialiberata narra la distruzione del regno longobardo ad opera di Carlo Magno grazie all'aiuto divino (le forze infernali sostengono i Longobardi). Le vicende belliche (solo i canti XV, assalto a Pavia, XVIII e XX, battaglie tra Franchi e Longobardi, sono quasi interamente dedicati alla guerra) sono contornate dalle imprese di Rinaldo ed Everardo, dalla storia d'amore tra Ormindo e Olenia, dall'intervento della maga Armenia che trattiene alcuni franchi, dalla rivelazione del futuro ad Everardo da parte del mago Soliero, dalla conversione al cristianesimo di Oronte. Infine l'intervento di Dio determina la vittoria di Carlo.
Evidente tentativo di imitazione del poema del Tasso, l'Italia liberata - che è preceduta da una "Disposizione e Allegoria" in cui il D.; citando Aristotele, esalta il poema eroico in quanto "... imitatione d'attione perfetta de' migliori", da cui, tra l'altro, deriva la meraviglia - lascia trasparire l'avvicinamento al barocco soprattutto grazie al notevole numero di metafore (e seriazioni metaforiche) usate in particolare nella descrizione della bellezza femminile.
Bibl.: C. Tutini, Della varietà della fortuna…, Napoli 1643, p. 35, in: Id., Dell'origine e fundation de seggi di Napoli..., Del supplimento al Terminio..., Della varietà della fortuna...,Napoli 1644; N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli huomini illustri..., Napoli 1678, I, p. 181; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia. Terza impressione unitamente co i Comentari, IV,Venezia 1730, p. 179; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, Bologna 1739, II, p. 306; V, pp. 76, 415; VI, p. 685; C. Minieri-Riccio, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori napoletani fioriti nel secolo XVIIº, Milano 1875, pp. 31 s.; Id., Cenno storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli, in Arch. stor. per le prov. napol., V (1880), p. 151; A. Belloni, Gli epigoni della Gerusalemme liberata, Padova 1893, pp. 40 s.; F. Foffano, Il poema cavalleresco, Milano 1904, pp. 221 s.; A. Belloni, Il poema epico e mitologico, Milano 1912, p. 289; F. Nicolini, Saggio d'un repertorio biobibliografico di scrittori nati o vissuti nell'antico Regno di Napoli, Napoli 1966, p, 657; C. Jannaco, Il Seicento, in Storia letteraria d'Italia, Milano 1973, p. 310; A. Quondam, La parola nel labirinto. Società e scrittura del manierismo a Napoli, Roma1975, pp. 288-292.