GABRIELI (Gabriele, Gabrielli, Gabriello), Onofrio
Nacque il 2 apr. 1619 nel villaggio di Gesso, nei dintorni di Messina, da Giovanni, giurista e medico, e da Francesca Sardo.
A detta del Susinno - che nel Settecento gli dedicò una lunga e circostanziata biografia, arricchita di gustose notazioni aneddotiche - il G., "fanciulletto", venne prima affidato a Messina a uno zio materno per essere avviato agli studi letterari e fu poi indirizzato, secondo le intenzioni del padre, verso la carriera giuridica, ma con scarsi risultati. Mostrando invece una particolare inclinazione per la pittura, frequentò per sei anni la bottega di Antonino Alberti, detto il Barbalonga, che intorno al 1634 era tornato da Roma a Messina dopo una felice stagione di collaborazione con il Domenichino.
Poco prima del 1640 soggiornò a Sant'Eufemia, in Calabria, dove, grazie all'aiuto di un suo parente, eseguì un dipinto per la chiesa parrocchiale, oggi disperso. Successivamente, dopo una breve tappa a Napoli, si stabilì a Roma dove, sempre secondo il Susinno (1724, p. 263), conobbe N. Poussin ed "entrò nella famosa scuola di Pietro da Cortona". Benedetto Salvago, agente del Senato di Messina a Roma, gli commissionò una pala d'altare, perduta, raffigurante "la Vergine della sacra lettera, in gloria di molti santi e sante messinesi, che benedice la città di Messina dipinta al di sotto" (ibid., p. 264); l'opera, esposta per lungo tempo nella chiesa di S. Maria d'Itria, sede della comunità dei siciliani a Roma, fu poi collocata nel palazzo senatorio di Messina per volontà testamentaria dello stesso Salvago.
Dalle avare indicazioni delle fonti si evince che intorno al 1641 il G. si recò a Venezia. Qui incontrò un altro pittore messinese, Domenico Marolì, dal quale apprese "il cattivo metodo di colorire… ma non il suo stile" (Lanzi, 1808). Il G. si fermò nel Veneto per circa nove anni, a Venezia ma soprattutto a Padova, entrando al servizio del conte Antonio Maria Borromeo, in qualità di maestro di pittura dei suoi figli. Per ragioni stilistiche si fa risalire a questo periodo la tela con Elia fa scendere dal cielo il fuoco miracoloso alla presenza di Achab della chiesa di S. Maria del Carmine a Padova.
Tra il 1650 e il 1651 il G. tornò a Messina, dando inizio così a un lungo periodo di intensa attività. È curioso che il Susinno citi soltanto, con dovizia di particolari, lo Sposalizio mistico di s. Caterina - eseguito intorno al 1664 per la chiesa delle monache di S. Paolo (distrutto nel terremoto del 1908 e noto attraverso una fotografia) - e i numerosi dipinti realizzati per la chiesa di S. Francesco di Paola (perduti, a eccezione della Madonna del Soccorso, firmata e datata 1664, ora nei depositi del Museo regionale di Messina), senza menzionare tutte le altre opere del G., eseguite a Messina o per altri centri della Sicilia, che sono riferibili con certezza agli anni Sessanta e ai primi anni Settanta del Seicento.
Si tratta, in particolare, dei seguenti dipinti: il Martirio di s. Margherita nella chiesa parrocchiale Stella Maris di Minissale (Messina); la Madonna della Lettera nella chiesa del monastero di S. Maria di Siracusa; l'Assunzione della Vergine, S. Lucia e S. Caterina d'Alessandria, Dio Padre e La bottega di s. Giuseppe nella chiesa dei cappuccini di Milazzo; il S. Giorgio e il drago e il S. Francesco di Paola e gli angeli, rispettivamente nella chiesa madre e in quella di S. Francesco di Paola di Monforte San Giorgio. Infine, il nutrito gruppo di tele conservate a Randazzo: la Resurrezione di Lazzaro nella chiesa di S. Martino, dove era anche un Angelo custode oggi perduto; il Martirio di s. Lorenzo e il Martirio di s. Agata nella chiesa di S. Maria, con chiare derivazioni cortonesche e vaghe influenze della pittura veneta seicentesca, di cui sono noti i pagamenti negli anni 1669-70; l'Allegoria della Redenzione nella chiesa di S. Nicola; la Madonna del Rosario nella chiesa della Ss. Annunziata; il S. Antonio da Padova nella chiesa di Cristo Re a Montelaguardia.
Nel settimo decennio il G. lavorò come ingegnere per il Senato di Messina, elaborando un sofisticato progetto per la deviazione dei torrenti Boccetta e Portalegni, pubblicato in un raro opuscolo dal titolo Breve discorso sopra il vero modo d'ovviare al danno notabilissimo, che riceve il meraviglioso porto della nobilissima ed esemplare città di Messina dal torrente della Bozzetta, stampato nel 1668 a Monteleone (Messina, Biblioteca regionale). Tali lavori furono interrotti a causa della rivolta antispagnola di Messina del 1674-78. Negli stessi anni al G. venne pure affidato l'incarico di fortificare il bastione di S. Giacomo, detto porta Reale, e di rendere inaccessibili i passaggi attraverso i colli di S. Rizzo.
A causa della dura repressione spagnola seguita alle guerre civili, il G., che era dichiaratamente filofrancese, fu costretto a lasciare Messina (il suo nome compare infatti nelle liste degli esuli del 1678-79); fuggito nel 1678 affrontò una dura stagione di ininterrotte peregrinazioni che dalla Francia lo condussero in Italia, con varie tappe ad Ancona, Padova, Mantova, Venezia e Roma, "lasciando da per tutto… memorie del suo pennello" (Susinno, 1724, p. 272).
Allo stato attuale delle ricerche, le uniche tracce di un così lungo periodo sono una lettera del 1687 di Margherita d'Este, duchessa vedova di Guastalla, e un'altra del 1694 di Anna Isabella Gonzaga sua figlia, duchessa di Mantova, entrambe indirizzate al G. e trascritte integralmente dal Susinno, e alcuni dipinti a Padova e a Montagnana che sono certamente da assegnare a questo suo secondo soggiorno veneto.
A questi anni possono essere riferite la Merlettaia con la maestra (Padova, Museo civico); la grande tela con S. Tommaso di Canterbury dinanzi a Cristo nella chiesa padovana di S. Tommaso dei Filippini (che presenta larghe aggiunte settecentesche di Francesco Zanoni di Cittadella); il Giuseppe ebreo che abbraccia il padre Giacobbe eseguito per il duomo di Montagnana; gli affreschi con Storie di Giuseppe ebreo nella villa Borromeo di Sarmeola, nei pressi di Padova.
Nel 1701, grazie all'indulto di Filippo V, il G. rientrò a Messina. Ormai vecchio e del tutto estraneo all'ambiente artistico locale, lavorò ancora qualche anno: si fa risalire alla sua tarda attività la tela con Gesù, Maria e le anime del purgatorio della chiesa madre di Gesso, mentre l'ultima sua opera citata dal Susinno è la perduta pala d'altare raffigurante S. Anna, la Vergine col Bambino, s. Giuseppe e s. Gioacchino per la parrocchia di S. Leonardo.
Il G. morì a Gesso il 26 sett. 1706 e fu sepolto nella chiesa del convento di S. Francesco di Paola.
Perduta ogni traccia della prima attività, con l'eccezione del quadro in S. Maria del Carmine di Padova, le opere note si presentano con caratteri stilistici ben definiti, codificati in una cifra espressiva personalissima che si mantiene pressoché immutata nel corso della sua vicenda artistica. Nei dipinti del G. affiorano reminiscenze dello stile dell'Alberti, con accenti di vago sapore classicista, e soluzioni formali di generica matrice cortonesca. Tali riferimenti vengono tuttavia superati, e per certi versi stravolti, da quel suo stile "tutto soavità, tutto leggiadria, tutto bizzarria di accessori, nastri, gioielli, merletti" (Susinno, 1724), che risolve tutto in formule decorative rese attraverso una materia pittorica liquida e vaporosa, sino a raggiungere in molti casi effetti di grande eleganza.
Perduti i quadri di genere (l'unica prova superstite, di buon livello qualitativo, è la Merlettaia con la maestra), come anche i ritratti e i dipinti satirici e allegorici citati dalle fonti (Ritratto della figlia del conte Borromeo fra i diavoli; Ritratto della famiglia del conte Borromeo con autoritratto del pittore; La Virtù con la Fama, la Fortuna, l'Invidia, il Volgo e la Nobiltà), la conoscenza del G. resta affidata esclusivamente alle opere di soggetto religioso, in gran parte databili tra il 1660 e il 1674. Per l'attenzione costante agli elementi decorativi e per certe morbidezze coloristiche, lo stile del G., considerati gli scarsi agganci con la cultura artistica locale di quei decenni, in qualche modo costituisce un precedente del filone arcadico della pittura messinese di primo Settecento, quale anticipo delle aggraziate figure di Giovanni Tuccari e delle vaporosità dorate dei fratelli Filocamo.
Fonti e Bibl.: F. Susinno, Le vite de' pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 262-274; G.B. Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture e architetture di Padova, Padova 1776, pp. 270, 325; F. Hackert - G. Grano, Memorie de' pittori messinesi (1792), a cura di S. Bottari, Messina 1932, p. 30; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1808), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 468 n. 2; G. Grosso Cacopardo, Memorie de' pittori messinesi…, Messina 1821, pp. 136-138; C. La Farina, Si corregge da talune mende la biografia di O. G. pittore da Messina, in Il Faro, I (1836), pp. 37-49; V. Raciti Romeo, Randazzo. Origine e monumenti, in Memorie dellaclasse di lettere della R. Accademia degli Zelanti (Acireale), s. 3, VII (1908-09), pp. 123-148; G. Grossato, Il Museo civico di Padova, Venezia 1957, p. 61; C. Donzelli - G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 43, 192 s. (figg. 199 s.); R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano 1981, pp. 274, 290, 318, 338 s. (figg. 972, 1119); O. G. (catal.), a cura di G. Barbera, Messina 1983 (con bibl.); G. Barbera, Sul trattatello di O. G. "ritrovato", in Cultura, arte e società a Messina nel Seicento, Messina 1984, pp. 167-187; T. Pugliatti, Riflessi della cultura artistica del continente nella pittura messinese del Seicento, ibid., p. 77; A. Brejon de Lavergnée - N. Volle, Musée de France. Répertoire des peintures italiennes du XVIIe siècle, Paris 1988, p. 155; Un'antologia di frammenti. Dipinti secenteschi inediti o poco noti delle collezioni del Museo di Messina (catal.), a cura di F. Campagna Cicala, Messina 1990, pp. 74-77; S. Di Bella, Un'aggiunta al catalogo di O. G. (1619-1706), in Quaderni dell'Istituto di storia dell'arte medievale e moderna. Facoltà di lettere e filosofia. Università di Messina, XIII (1989), pp. 45-48; L. Giacobbe, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, p. 750; G. Barbera, in Da Antonello a Paladino. Pittori messinesi nel Siracusano dal XV al XVIII secolo (catal., Siracusa), Palermo 1996, pp. 82 s.; G. Molonia, ibid., pp. 118 s.; L. Borsatti, in Da Padovanino a Tiepolo. Dipinti dei Musei civici di Padova del Seicento e del Settecento (catal., Padova), Milano 1997, pp. 180 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 21.