GIANNONE, Onofrio
Nacque nel 1698 a Napoli da Francesco e da Orsola Abate.
Le informazioni sulla sua vita e sulla formazione artistica vennero fornite da B. De Dominici nelle Vite del 1742 e furono implicitamente confermate dal G. stesso che nelle Giunte del 1771 non apportò correzioni alle notizie che lo riguardavano. Dal De Dominici sappiamo che il padre del G., esattore delle entrate di S. Giacomo degli Spagnoli, avrebbe voluto avviare il figlio al suo stesso mestiere. Provvide pertanto a fornirgli un'istruzione adeguata iscrivendolo a una scuola di grammatica e aritmetica. Tuttavia, nel corso degli studi il ragazzo si distinse soprattutto per una notevole attitudine al disegno, che con gli anni divenne una vera e propria passione. Convinto il padre a lasciargli libertà di scelta, il G. prese a frequentare la scuola di C. Garofalo, un allievo di L. Giordano specializzato nella pittura su cristallo. Passò quindi alla scuola di P. De Matteis, artista eclettico di formazione classicistica, dove poté esercitarsi nella copia dell'antico sollecitato dal maestro che possedeva numerosi calchi di gesso di sculture classiche, quali l'Ercole Farnese e il Laocoonte. Nello stesso periodo si accendeva l'interesse del G. per lo studio dell'architettura e della prospettiva, cui fu incoraggiato dalla stima del De Matteis, che gli fece spesso eseguire disegni di architetture per i suoi quadri.
Sempre secondo il De Dominici, il giovane G., non avendo trovato un maestro per approfondire la conoscenza della prospettiva, entrò nella bottega di F. Solimena dove ebbe tra i suoi condiscepoli F. De Mura e N.M. Rossi. L'abilità acquisita nel disegno architettonico fu notata da Solimena che lo incaricò di "porre in misura e in polizia i pensieri" che egli "semplicemente su la carta disegnava" (p. 707).
Uscito dalla scuola del Solimena, il G. iniziò a lavorare in proprio senza abbandonare lo studio della prospettiva, cui si dedicò da autodidatta, conseguendo una conoscenza talmente profonda della materia che De Dominici gli attribuì la compilazione di un non meglio specificato trattato "con facilissime e pratiche regole […] pieno di buoni ammaestramenti", che però non vide mai la luce (p. 708).
Nel 1732 il G. sposò Nicoletta Corvisieri. La nascita di numerosi figli lo spinse a dedicarsi sia all'insegnamento della prospettiva sia a una produzione variegata di dipinti e di oggetti, quali miniature o cristalli di lanterne magiche.
Le originali creazioni del G. dovettero attrarre la curiosità di C.M. Calà, duca di Diana, che lo chiamò presso di sé a eseguire diversi lavori, tra cui un quadro per la cappella di famiglia e alcuni "dipinti su le pelli distese su tavolette, ove son rappresentate stampe, disegni, frontespizi di libri ed altre carte finte attaccate, che paiono così vere, che ingannano chiunque le mira" (De Dominici, p. 709).
Della produzione pittorica del G. non è rimasta traccia mentre si conserva il suo manoscritto con le Giunte sulle vite de' pittori napoletani (Napoli, Museo civico Gaetano Filangieri) alla cui stesura attese dal 1771. Il testo delle Giunte fu citato per la prima volta da N. Laviano in una nota dello scritto Cenni sulla vita di Antonio Solario detto lo Zingaro (Napoli 1842). Il Laviano, che era in possesso del manoscritto, ne fece dono al principe Gaetano Filangieri, il quale a sua volta ne pubblicò alcuni brani relativi a J. de Ribera, B. della Lama e A. Vaccaro nel catalogo del museo da lui fondato.
Le Giunte erano destinate alle stampe, ma vennero pubblicate solo nel XX secolo: innanzitutto La storia dell'arte napoletana di O. Giannone. Brani inediti, a cura G. Ceci, Napoli 1909; quindi, nella versione completa, con il titolo di Giunte sulle vite de' pittori napoletani, a cura di O. Morisani (Napoli 1941), da cui sono tratte le citazioni che seguono.
Nelle intenzioni dell'autore le Giunte avrebbero dovuto rettificare la ponderosa opera del De Dominici sulle Vite de' pittori, scultori ed architetti napoletani, data alle stampe nel 1742. Scritte in uno stile corrivo e scorretto, per lo più sotto forma di brevi note, le Giunte illustrano le vite degli artisti che operarono a Napoli a partire dall'XI secolo, interrompendosi al 1773.
Dopo questa data non si hanno più notizie sul G.; ignoto è l'anno della sua morte.
Le biografie delle Giunte sono precedute da una "Lettera alli studiosi delle belle arti pittura, scultura e architettura" in cui il G. accusa De Dominici di ignoranza e negligenza per aver fornito notizie false servendosi di fonti non veritiere. Agli arbitri commessi da De Dominici, "solito a dir cose che non connettono né con la verità né con l'istoria" (p. 10), il G. contrappone il proprio metodo: "io sempre m'appiglio al verosimile e alla tradizione che si confà con l'istoria" (p. 2).
Le Giunte furono corredate dai ritratti di quarantacinque artisti (riprodotti nei Brani inediti pubblicati da Ceci) di cui sei ritagliati da incisioni precedenti e gli altri eseguiti a penna dal G., che li trasse da disegni, quadri e affreschi. Per il frontespizio del libro il G. disegnò due angeli sostenenti una lapide con il titolo dell'opera.
Tra le fonti consultate dal G. figurano E. d'Engenio Caracciolo, P. Summonte, C. Celano e gli autori delle guide di Napoli, tra cui G.C. Capaccio, G.A. Criscuolo, A. Parrino. Per le altre città il G. si servì delle guide locali: per Roma di F. Titi, per Bologna di A. Masini, per Parma di C. Ruta. Attinse inoltre agli scritti di G. Baglione, G.P. Lomazzo, C. Ridolfi, I. Sandrart, C.A. Dufresnoy. Fonte principale furono comunque le Vite di G. Vasari, la cui indiscussa autorità egli frequentemente oppose alle affermazioni del De Dominici. Non di rado il G. usa riportare brani estratti dalle sue fonti, mentre quando gli manca il loro sostegno, rimanda il lettore al De Dominici lasciandogli la libertà di accettarne o meno le indicazioni.
Tra i meriti da ascriversi al G. è l'aver confutato l'opinione del De Dominici circa le origini dell'architettura medioevale a Napoli, che questi aveva attribuito agli architetti locali e che correttamente le Giunte restituiscono ad artefici provenienti da altre regioni, quali Nicola e Giovanni Pisano. Con foga polemica il G. attacca il predecessore che con troppa disinvoltura riconobbe lo statuto di architetti ad artisti che non lo furono, poiché "a mio parere si deve il titolo d'architetto a quello che è ben fondato in tal arte e n'à dato saggio con l'opere, in disegno e in fabbriche, ma di vaglia, come tempj, palazzi e altro" (p. 90). Gli scarsi giudizi estetici formulati nelle Giunte rivelano da parte del G. una concezione dell'arte legata a un tempo alla tradizione e al realismo, tesa tra l'ammirazione degli antichi e l'osservazione del vero. Così le sue preferenze vanno ad artisti come Ribera (p. 102) e il suo allievo A. Falcone, pittore di battaglie (pp. 110 s.); apprezza per lo stesso motivo i ritratti di S. Pulzone, naturali al punto da sembrare vivi (p. 69); loda con ingenuo entusiasmo l'illusionismo dei pittori di nature morte come G.B. Ruoppolo (p. 151). Si rivela poi seguace di A. Pozzo che "fé quelle opere che saranno ammirate nelli secoli avvenire, e ingannano l'occhio a tal segno che paiono vere e non finte come si osserva nella chiesa di S. Ignazio e in tante altre parti di Roma" (p. 159). Quanto al Solimena, il G., pur riconoscendo che "fu assai buon pittore e molto fortunato" (p. 194), lo ritiene poco esperto di architettura e prospettiva al punto che "in ciò nemmeno seppe situar il punto orizzontale, né tampoco partire un pavimento, bensì si servì di Gennaro Greco, e all'ultimo di me, essendogli discepolo" (p. 192). Non gli risparmia altresì giudizi taglienti per il modo di trattare gli allievi, verso i quali nutriva sentimenti di gelosia e di disprezzo, e anche per l'avarizia che lo tormentava, compromettendone il talento.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de' pittori scultori ed architetti napoletani…, III, Napoli 1742, pp. 707-709; C.T. Dalbono, Storia della pittura in Napoli e in Sicilia, Napoli 1879, pp. 79 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 585 s.