PALUMBO, Onofrio
PALUMBO (Palomba), Onofrio. – Non si conoscono gli estremi anagrafici esatti di questo pittore, probabilmente identificabile con quell’«Honofrio f(igli)o di Tiberio Palomba, et Portia Greco» battezzato il 13 settembre 1606 in S. Maria della Carità a Napoli (Porzio, 2008, pp. 246 s., n. 3), parrocchia dove si concentrava la gran parte della comunità artistica cittadina.
La forma onomastica «Palomba», che ricorre con maggior frequenza nella restante documentazione, trova conferma anche nella lezione adottata da Bernardo De Dominici, cui si deve l’unico benché scarno profilo biografico sull’artista trasmesso dalle fonti. Lo storiografo, fissandone approssimativamente il floruit intorno al 1640, riferisce di un alunnato di Palumbo prima presso Battistello Caracciolo e poi presso Artemisia Gentileschi, in coincidenza con l’arrivo della pittrice a Napoli (1630 circa).
Tale notizia, valorizzata dalla critica solo tardivamente (Bologna, 1991, pp. 162, 164), ha trovato di recente un riscontro archivistico: due registrazioni di pagamento del 1653 e del 1654 (Pavone, 2012, pp. 110 s.) testimoniano in effetti una collaborazione tra i due artisti. In particolare, la causale del secondo versamento concerne l’esecuzione congiunta di tre quadri su esplicita richiesta del committente, secondo una pratica corrente nell’atelier napoletano della Gentileschi; per di più la chiusa, omessa dai primi editori del documento e perciò sfuggita agli studi, fa menzione di una lite in quel momento in corso tra il pittore e Artemisia (Archivio storico dell’Istituto Banco di Napoli-Fondazione [ASBNa], Banco dello Spirito Santo, giornale di cassa, matr. 426, p. 107), forse un’avvisaglia di quei problemi giudiziari che secondo De Dominici avrebbero segnato l’epilogo della vicenda umana di Palumbo.
In assenza di altre informazioni, gli esordi del maestro sono al momento ricostruibili solo per induzione stilistica; tuttavia sembrano costituire una solida partenza due rami, tra loro contigui per concezione e caratteri formali, con la Resurrezione di Cristo (Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister, inv. 2666) e la Crocifissione (Saragozza, collezione privata): quest’ultima, infatti, reca la sigla «NP», dove la prima lettera è da sciogliersi credibilmente in «Nufrio», comune variante dialettale di «Onofrio» (Porzio, 2012, p. 395). Già ascritti significativamente a Juan Bautista Maíno, i due dipinti mostrano in effetti un nitore ed una preziosità cromatica che richiamano addirittura gli stilemi di un Orazio Gentileschi.
Tale perno consente un attendibile termine di confronto per individuare la mano del pittore anche in alcune problematiche testimonianze del consueto lavoro d’équipe praticato nelle botteghe napoletane del Seicento, come il Trionfo di David di Sarasota (John and Mable Ringling Museum of Art), dove nel fondale è ben distinguibile l’intervento di Micco Spadaro (Causa, 2007, pp. 136-138), e il Giudizio di Paride di Vienna (Gemäldegalerie der Akademie der Bildenden Künste), uscito di sicuro dallo studio di Artemisia (Contini, 2011, p. 171, n. 45). Il ramo dresdano si apparenta invece palesemente con una spettacolare Liberazione di s. Pietro (Londra, Whitfield Fine Art), forse l’esito più alto della prima maturità del pittore (Porzio, 2008, p. 245).
Il valore professionale di Palumbo dovette giungere a una compiuta affermazione nel corso del quarto decennio, poiché un suo esteso contributo è distintamente riconoscibile in alcune delle opere più rappresentative della prima attività napoletana di Artemisia, come la Bethsabea al bagno del Columbus Museum of Art e, soprattutto, l’Adorazione dei Magi per la cattedrale di Pozzuoli, registrata per la prima volta in una relatio ad limina del 1640 (A. D’Ambrosio, Il duomo di Pozzuoli. Storia e documenti inediti, Pozzuoli 1973, pp. 29 s.). Questi due lavori, infatti, mostrano collegamenti palmari con le prime prove documentate di Palumbo, l’Annunciazione e la Natività di Gesù per la chiesa dei minori riformati di S. Maria della Salute a Napoli. Ora collocate ai lati del coro, le due notevoli tele furono eseguite tra il 1640 e il 1641, l’acme della carriera del pittore secondo la cronologia di De Dominici.
Segnalata per la prima volta in situ solo nel tardo Ottocento come lavoro di Massimo Stanzione (C.T. Dalbono, Nuova guida di Napoli e dintorni, Napoli 1876, p. 348) e in seguito variamente riferita a Francesco Guarini, a Paolo Finoglio e, la sola Natività, finanche ad Antiveduto Gramatica (R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in Proporzioni, I [1943], p. 54, nota 70), la coppia è stata restituita all’allora malnoto Palumbo solo a metà del secolo scorso (F. Bologna, Opere d’arte nel salernitano dal XII al XVIII secolo [catal., Salerno], Napoli 1955, p. 64, n. 2). Le oscillazioni attributive danno conto non solo delle strette relazioni stilistiche intercorrenti nell’ambiente artistico locale ma anche di possibili interferenze, nel bagaglio linguistico del pittore, della cultura figurativa romana degli anni Venti, probabilmente mediata da Artemisia (Causa, 1993, p. 25), al punto che l’autografia (o quanto meno l’unità di mano) delle due tele è stata da ultimo messa di nuovo in discussione (Spinosa, 2009, pp. 159 s.; Contini, 2011, pp. 127 s.). Tali sospetti, tuttavia, hanno trovato spazio solo in ragione di un pregiudizio sulla reale statura di Palumbo e di una mancata verifica della bibliografia e delle carte d’archivio.
La genesi e i tempi di esecuzione del pendant, costato complessivamente settantaquattro ducati, sono chiari: l’onere della commissione rientrava nel legato testamentario per l’arredo della cappella intitolata a S. Mirocleto di patronato del quondam Bernardino Ramirez de Montalvo, marchese di S. Giuliano, reggente della Cancelleria e del Consiglio collaterale del Regno di Napoli. I primi due versamenti in acconto dell’11 dicembre 1640 e del 12 giugno 1641 (Pavone, 2012, p. 109) riguardano genericamente «un quadro […] da fare et pingere»; tuttavia il saldo del 9 settembre 1641 (Nappi, 2009) e un’integrazione di due ducati del 28 settembre per l’acquisto di oltremarino (ASBNa, Banco dello Spirito Santo, giornale di cassa, matr. 312, pp. 198 s.) si riferiscono esplicitamente al completamento di «due quadri uno della Natività del n(ost)ro Salvatore, l’altro della S(anti)s(si)ma Ann(unzia)ta».
Stando a un pagamento dell’ottobre 1650 (Pavone, 2012, p. 110), Palumbo dovette completare entro il dicembre dello stesso anno un impegnativo ciclo di tele per le monache agostiniane di S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone; si trattava di due pale, rispettivamente con la Sacra Famiglia con i ss. Anna e Gioacchino e i Sette arcangeli in adorazione della Trinità, destinate alle due cappelle della chiesa e di un «quatretto del Pad(r)e eterno» a coronamento della cona dell’altare maggiore raffigurante la Madonna della Purità tra i ss. Maria Egiziaca e Zosimo, a quella data già consegnata da Palumbo e tuttora in loco. Perduta la cimasa, dopo alterne vicende la Sacra Famiglia è ora in sacrestia mentre i Sette Arcangeli, già creduti dispersi, sono stati infine rintracciati in un andito dell’arciconfraternita di S. Giuseppe dei Nudi (Porzio, 2006, pp. 425 s.).
All’aprile 1651 risale una locatio servitiorum, ovvero la tipica forma di contratto disciplinante i rapporti tra un capomastro ed un lavorante, stipulata tra Palumbo e Giuseppe Trombatore (Pavone, 2012, p. 110), misconosciuto pittore annoverato da De Dominici tra gli epigoni locali di Mattia Preti. Il documento, seppur privo di rilevanti particolari biografici, apre però uno squarcio sull’esistenza di una bottega palumbiana ed offre una possibile chiave interpretativa per l’inquadramento di diversi prodotti di autografia borderline.
La notorietà di Palumbo è però certamente legata alla pala con S. Gennaro che intercede presso la Trinità per la città di Napoli sul primo altare a sinistra della chiesa napoletana dell’arciconfraternita della Ss. Trinità dei Pellegrini, probabilmente una delle icone più insigni ed evocative della devozione gennariana in età moderna, lodata già da De Dominici anche a motivo dell’eccezionale veduta a volo d’uccello della città inseritavi dallo specialista lorenese Didier Barra.
Secondo una memoria manoscritta del XVIII secolo conservata nell’Archivio storico della Congregazione (B/2 S23/3 [già 119/23], c. 74 v; trascrizione incompleta e imprecisa in Pavone, 2012, p. 110), l’opera fu realizzata a spese di Francesco De Luca, padre del più noto Tommaso, membro del Sacro regio consiglio, nel contesto del rinnovamento dell’edificio occasionato dall’elezione di s. Filippo Neri a patrono della confraternita, nel 1651. Documentata a Palumbo nello stesso anno (ibid.), a riprova del prestigio raggiunto, è del resto anche la prima pala eseguita per quell’evento, importante quanto finora sottovalutata, raffigurante appunto S. Filippo Neri che raccomanda la compagnia alla Trinità, sul secondo altare a destra della chiesa, eretto con il largo contributo finanziario del confratello Francesco Antonio Lombardo.
Da siffatti raggiungimenti si comprende bene anche il senso dello svolgimento finale di Palumbo, allineato al raddolcito gusto stanzionesco di metà secolo, misto a temperate inflessioni riberiane.
Sono da aggiungere al catalogo degli ultimi anni del maestro una Presentazione di Gesù al tempio in S. Maria delle Grazie a S. Giovanni Rotondo, scambiata per Antonio Verrio (R. De Giorgi, «Couleur, couleur!» Antonio Verrio: un pittore in Europa tra Seicento e Settecento, Firenze 2009, p. 197, n. 7), e – forse già con la partecipazione di aiuti – una Maria Vergine bambina con i ss. Anna e Gioacchino in S. Barbara a Corleto Monforte, già sotto il nome di Agostino Beltrano (S. Saccone, in Il Cilento ritrovato. La produzione artistica nell’antica diocesi diCapaccio [catal., Padula], a cura di F. Abbate, Napoli 1990, p. 156, n. 41).
A eccezione di poche voci inventariali, una delle quali ricorda il pittore come già morto nel 1672 (cfr. The Getty Provenance Index® Databases, doc. I-355, n. 0090), non sono al momento note successive attestazioni dell’attività di Palumbo, verosimilmente deceduto a Napoli nella peste del 1656.
A giudicare dalle impressionanti somiglianze stilistiche, è probabilmente un creato del pittore l’oscuro Giuseppe Di Franco, che firma per esteso un’Adorazione dei Magi ora presso il Mount Holyoke College Art Museum (già Sotheby’s, New York, 13 gennaio 1978, lotto 96), cui si connettono una Carità, riferita a Palumbo medesimo (Christie’s, Roma, 16 giugno 2004, lotto 508) e una Madonna del Rosario tra i ss. Francesco d’Assisi, Domenico, Anna e Caterina da Siena in S. Arcangelo degli Armieri a Napoli, firmata e datata 1663, ma assegnata per un travisamento dell’iscrizione a Giuseppe Marullo (F. Di Spirito, in Napoli e il territorio tra tutela e restauro, Napoli 2009, p. 36) e in precedenza, non a caso, allo stesso Palumbo (Causa, 1993, p. 40 n. 54). Si riferisce all’artista anche un pagamento del 1670 per un Trionfo di David non ancora identificato (E. Nappi, Documenti inediti…, in Istituto Banco di Napoli - Fondazione, Quaderni dell’Archivio storico, 2005-06, Napoli [2007], p. 326, doc. 354).
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, II, Napoli 1743, p. 241 (ed. a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, I, Napoli 2003, pp. 895 s.); O. Giannone, Giunte sulle vite de’ pittori napoletani (1771-73), ed. a cura di O. Morisani, Napoli 1941, p. 48. I documenti editi su P., qui ricontrollati e citati dagli originali, sono raccolti in appendice al saggio di M.A. Pavone, O. P. e Francesco Guarini: due percorsi paralleli, in Francesco Guarini. Nuovi contributi 1, Atti del Convegno… 2011, a cura di M.A. Pavone, Napoli 2012, pp. 107-120, da integrare con E. Nappi, Materdei. Edifici sacri. Notizie, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2008, Napoli 2009, p. 78. Altri contributi critici essenziali: M. Pasculli Ferrara, Precisazioni cronologiche su O. P., in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti per la storia dell’arte, Milano 1990, pp. 201-203; F. Bologna, Battistello e gli altri. Il primo tempo della pittura caravaggesca a Napoli, in Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli (catal.), Napoli 1991, pp. 115-180; S. Causa, Risarcimento di O. P., in Paragone, XLIV (1993), 515-517, pp. 21-40; G. Porzio, Appunti sul catalogo di O. P., in Ottant’anni di un maestro. Omaggio a Ferdinando Bologna, a cura di F. Abbate, II, Napoli 2006, pp. 425-433; S. Causa, La strategia dell’attenzione. Pittori a Napoli nel primo Seicento, Napoli 2007, ad ind.; G. Porzio, Un rame di O. P. a Dresda, in Percorsi di conoscenza e tutela. Studi in onore di Michele D’Elia, a cura di F. Abbate, Napoli 2008, pp. 245-251 (da integrare con Id., Pittori spagnoli nella Roma caravaggesca. Un bilancio, in Roma al tempo di Caravaggio [catal., Roma], a cura di R. Vodret, II, Saggi, Milano 2012, pp. 395, 403, nota 17); N. Spinosa, in Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (catal.), I, Napoli 2009, pp. 158-161. Osservazioni e spunti d’approfondimento su P. sono sparsi anche nell’abbondante letteratura artemisiana; si segnalano da ultimo gli interventi di R. Contini, in Artemisia 1593-1654. Gloire, pouvoir et passions d’une femme peintre (catal.), a cura di Id. - F. Solinas, Paris 2011, pp. 127 s., 171.