onomatopeia
. Consiste nella formazione di una parola o di una frase che, nel rappresentare un oggetto o un'azione, ne evocano il suono.
Quintiliano faceva risalire tale operazione all'origine del linguaggio e notava la libertà con la quale si rinnovava la lingua greca, a differenza della latina, attraverso l'o. (Instit. VIII III 30). Così nel Medioevo Gervasio di Melkley osservava che tale genere d'invenzione, che aveva presieduto all'origine di molti nomi, era divenuto raro presso i moderni. Isidoro (Etym. I XXXVII 14), tacendo la funzione dell'o. nella costituzione originaria del linguaggio, la considerava piuttosto come un accorgimento per imitare il suono di un rumore non definito (" nomen adfictum ad imitandum sonum vocis confusae "); e cita infatti " stridor ", " hinnitus ", " mugitus ", " belatus ", due dei quali (" stridor ", " mugitus "), assai diffusi, si ritrovano con funzione onomatopeica anche in D.: cfr. loco / che mugghia come fa mar per tempesta (If V 29); Come 'l bue cicilian che mugghiò prima /.., mugghiava con la voce de l'afflitto (XXVII 7-10); le strida, il compianto, il lamento (V 35, dove anche gli altri due vocaboli concorrono a evocare con l'allitterazione e l'assonanza il doloroso suono); e infine cfr. l'uso di strida in rima (I 115, XII 102), che mette in risalto l'origine onomatopeica del nome.
In realtà D., che ricorre spesso nella Commedia all'espediente di evocare le immagini sonore attraverso il suono delle parole (v. ALLITTERAZIONE), ci offre rarissimi casi d'invenzioni onomatopeiche, di cui sono isolati e notevoli esempi il cricchi di If XXXII 30 e il tin tin di Pd X 143. Quest'ultimo tuttavia è suggerito dalla voce onomatopeica tintinno (XIV 119), che ha origine latina e che D. usa in un contesto, in cui la scelta delle rime e dei vocaboli è tutta in funzione evocativa della musica celeste. Si può aggiungere uhi! di Pg XVI 64, che intende riprodurre l'espressione di dolore che conclude un profondo sospiro, quantunque esso corrisponda a un'esclamazione latina. Analogamente in Pg V 27 (mutar lor canto in un " oh! " lungo e roco) il poeta mira dichiaratamente, e con l'ausilio dell'accentuazione ritmica, a riprodurre il suono di meraviglia pronunciato dalle anime.
Numerose sono invece appunto le voci di origine onomatopeica che il poeta adopera per rendere più sensibile l'immagine: tali schiante (If XIII 33), picchia (XVIII 105), pispiglia (Pg XI 111), ringhia (If V 4), scroscio (XVII 119), guai, guaio (III 22, V 3), tutti, come si vede, nella posizione evidente data loro dalla rima. Ma si veda anche gorgoglian in un verso ricercatamente sonoro (gorgoglian ne la strozza, If VII 125) e balbuzïendo (Pd XXVII 130), il cui effetto onomatopeico è accentuato dalla dieresi.
All'o. va ricollegato anche, se pure non propriamente, il famoso verso di If VII 1 (Pape Satàn, pape Satàn aleppe!) per il fatto che esso, quantunque possa ricondursi alla lingua ebraica, intende soprattutto riprodurre l'effetto della voce chioccia di Pluto; e così il ‛ pappo ' e 'l ‛ dindi ' di Pg XI 105 riproducono il balbettio infantile, quantunque l'espressione sia assunta per designare in generale il linguaggio semplice dei fanciulli e non in senso conforme alla funzione più consueta dell'onomatopeia. Secondo una discutibile interpretazione, in If VI 52-53 D. chiarirebbe il significato del nome Ciacco (Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: / per la dannosa colpa de la gola) alludendo appunto all'origine onomatopeica del soprannome designante il " porco ".
Alle voci di origine onomatopeica bisogna naturalmente aggiungere quelle la cui scelta dipende dalla capacità che hanno di contribuire col loro suono a evocare l'azione che designano.
Cfr. s'accascia (If XXIV 54), latra (VI 14; cfr. Pd VI 74, dove l'uso del verbo è metaforico), squilli (Pd XX 18), si lagna (If XXIV 10). La ricerca di voci come graffi, raffi, in rima (If XXI 50 ss.), è suggerita anche dallo sgradevole suono che il poeta intende evocare in quel luogo.
Più notevoli sono quelle ricerche sonore che comprendono un'intera frase, generalmente racchiusa nel verso e sigillata dalla rima. Il fruscio del serpente è evocato in Pg VIII 100 (venìa la mala striscia; cfr. per lo serpente che verrà vie via, Pg VIII 39); le sibilanti di If XIII 114 (ch'ode le bestie, e le frasche stormire) richiamano il rumore del cinghiale che passa nella boscaglia; si dileguò come da corda cocca; come balestro frange, quando scocca (If XVII 136, Pg XXXI 16) evocano lo scatto del dardo, e all'effetto sonoro concorre l'allitterazione accanto all'uso accorto dell'accento e del verbo (dileguò, frange); non rugghiò sì né si mostrò sì acra (Pg IX 136) evoca lo scricchiolio della vecchia e pesante porta; in basso batter l'ali (Pd XI 3) e si batte l'anca (If XXIV 9) intendono riprodurre i rumori cui rispettivamente si riferiscono; più ricercatamente il ripercuotersi di un rumore simile è reso in suon di man con elle (If III 27), e il sibilo sottile del tizzone è riprodotto in cigola per vento che va via (If XIII 42). Un complesso concorrere di sibilanti e di doppie in Pg XXIV 72 mira certamente a rendere sensibile l'immagine del respiro affannoso (fin che si sfoghi l'affollar del casso), mentre in If VI 18 (graffia gli spirti ed iscoia ed isquatra) il cumulo vario di suoni striduli arricchisce l'immagine dello sbranamento dei dannati con l'allusione al suo effetto sonoro.
Se nell'Inferno predomina l'o. di sapore comico o realistico, nel Paradiso è frequente la ricerca imitativa riguardante il diffuso tema musicale, naturalmente rivolta a un effetto di dolcezza. Basti citare un solo esempio fra i tanti: ‛ Ave, / Maria ', cantando, e cantando vanio (Pd III 122). Ma tale ricerca si complica allorquando il poeta confonde il piano visivo con quello musicale traducendo l'immagine luminosa nel corrispondente tono sonoro.
Per altre osservazioni e altri esempi di o. nella Commedia, v. T. Wlassics, Sulla rima e sull'o. nella Commedia, in " Forum Italicum " V (1971) 400-415.