CAETANI, Onorato
Figlio di Giacomo (IV) - signore di Sermoneica, viceré degli Abruzzi, nipote di Giacomo (II) - e di Giovannella Orsini, il C., terzo di questo nome, nacque intorno al 1421. Nel 1433 Giacomo (IV) morì senza aver fatto testamento, lasciando il C. e l'altra figlia Beatrice (poco dopo sposa di Berardo d'Aquino, marchese di Pescara) in una situazione oltremodo difficile. Per sei anni (1436-1442) il feudo di Sermoneta, che spettava al C., fu amministrato dallo zio Francesco Caetani, conte di Maenza, la cui tutela si rivelò disastrosa. Il C. riuscì alla fine a liberarsene grazie al sostegno degli abitanti di Sermoneta e di Bassiano, e dietro le sollecitazioni, più o meno esplicite, del cardinale Scarampo. I diritti che il C. vantava su Fondi, tuttora in mano dello zio Cristoforo e poi del figlio di costui Onorato, furono energicamente contrastati dalla regina Giovanna II negli ultimi tempi della sua vita, e poi da Alfonso d'Aragona.
Il C. era considerato dall'Aragonese un ribelle e come tale combattuto: più volte Alfonso minacciò Sermoneta e nel 1441 Occupò San Felice, deportandone gli abitanti a Terracina. Successivamente il contrasto si attenuò, grazie anche alla mediazione del duca di Milano; restò comunque immutato l'odio tra il C. e l'altro Onorato, signore di Fondi, sostenitore fedelissimo di re Alfonso.
Negli anni successivi il C. indirizzò verso le terre pontificie la sua attività. Sposato a Caterina Orsini, figlia del conte di Gravina, entrò a far parte, nel settembre del 1446, dell'esercito pontificio che marciava contro Francesco Sforza; qui ebbe modo di conoscere numerosi condottieri e fu sul punto di intraprendere la carriera delle armi. Ma soltanto più tardi, nel 1455, si pose al servizio di Sigismondo Pandolfo Malatesta, e tale condotta non sembra essere stata seguita da altre.
Nei primi tempi del pontificato di Niccolò V il C. trovava in Curia una forte opposizione, poiché le lotte baronali da lui condotte nel Lazio avevano provocato notevoli distruzioni. Inoltre nel tentativo, riuscito, di domare una rivolta dei suoi vassalli scoppiata a Ninfa aveva imprigionato parecchi ribelli, tra i quali un chierico, nella torre cittadina e poi aveva ordinato che gli stessi fossero fatti precipitare dall'alto di quella. Fu colpito dalla scomunica per tale sua azione, tuttavia gradualmente i suoi rapporti col pontefice migliorarono, grazie all'opera del cardinale Scarampo, che nutriva per lui viva amicizia.
Le lettere conservate nell'archivio Caetani sono molto utili per ricostruire i rapporti tra il C. e il cardinale: tra l'altro nel giugno 1451 quest'ultinio avvertì il C. che il suo rivale, il conte di Fondi, stava tramando contro di lui con numerosi baroni, e nel 1455 gli fornì il denaro necessario per l'acquisto del territorio di Torrecchia. Del prestigio del C. è sicuro indice il fatto che, quando l'imperatore Federico III giunse a Roma per ricevere l'incoronazione (1452), tra i pochi italiani che consacrò cavalieri è il primogenito del C., Nicola. Lo stesso C., il 25 marzo, ricevette la corte imperiale al castello di Sermoneta offrendo festeggiamenti sontuosi. Nei dieci anni precedenti egli aveva fatto eseguire grandi opere di restauro e di abbellimento. nel castello e nella città: di tali opere dette nel 1453 una colorita descrizione Michele da Prato nella sua relazione a Niccolò V che lo aveva lì inviato nel novembre. Inoltre il C. cercò di ridare un po' di vita a Ninfa, vi creò un lanificio e una fucina, fece costruire il muraglione del lago. Desideroso di prestigio (o perché era sinceramente pio: nel caso dei principi non è facile distinguere tra questi due motivi), era così generoso verso i frati minori che Giovanni di Capistrano in persona, il loro celebre generale, concesse nel maggio 1449 al C., a sua moglie e a uno dei loro figli lettere di affiliazione spirituale all'Ordine, procurando loro il privilegio della preghiera di tutti i frati secondo le loro intenzioni.
I buoni rapporti con la S. Sede continuarono anche dopo la morte di Niccolò V. Callisto III più volte intervenne in suo aiuto. Nello stesso periodo migliorarono le relazioni con la corte napoletana, specialmente dopo il riavvicinamento, nel 1454, tra il C. e il conte di Fondi. Alfonso gli concesse alcuni privilegi fiscali e lo convocò, come "consiliarius fidelis dilectus", nel Parlamento tenuto a Napoli per disporre la difesa contro i Turchi. Quando Ferrante fu incoronato nel 1458, il signore di Sermoneta, considerato suo amico, ricevette da lui diplomi di conferma dei suoi feudi.
La invasione del Regno ad opera del principe Giovanni d'Angiò capovolse completamente la situazione. Nell'ottobre del 1459, sull'esempio di molti altri ribelli, il C. si mise al servizio del pretendente contro Ferrante. Il motivo di tale mutamento è da rintracciare specialmente nel fatto che il C. in un primo momento aveva sperato nel sostegno di Ferrante per conquistare Fondi; quando capi che il re non intendeva privare il cugino dei suoi feudi, passòagli Angioini. Firmando il suo ingaggio (17 genn. 1460), pretese che il principe si impegnasse a non accogliere mai nelle proprie grazie il conte di Fondi.
La guerra fu molto dura e si protrasse per quattro anni. Il C., fedele dall'inizio alla fine al suo signore, vi conobbe più sconfitte che vittorie. Non ebbe neppure la gioia di partecipare alla vittoria di Giovanni a Sarno, poiché le sue truppe giunsero troppo tardi sul campo di battaglia (luglio 1460). Essendo assai mal pagato da Giovanni di Calabria, rapidamente s'indebitò. La sua corrispondenza, fortunatamente conservata, è piena di lagnanze talvolta assai amare; con buone parole il re Renato, Giovanni, nonché Palamede di Forbin lo invitarono a pazientare; talvolta gli venne versato un piccolo acconto, ma la mancanza di guadagno era molto mal compensata dalle onorificenze che il principe gli conferiva, ad esempio dalla sua nomina a logoteta di un regno da conquistare. Inutilmente il Piccinino, cercò di convincerlo a passare agli Aragonesi. Niente riuscì a piegarlo, né i richiami allettanti, né la perdita di Aquino, né i violenti assalti subiti da Sermoneta, difesa in assenza del C. da Caterina Orsini. Neppure la cattura da parte di Ferrante, fin dall'inizio delle ostilità, di suo figlio Nicola costituì un mezzo di pressione che riuscisse a piegarlo. Con lo Scarampo la diplomazia pontificia si adoperava presso il re di Napoli per cercare di liberare Nicola; ma Pio II non ottenne nulla. Francesco Sforza intervenne presso il C. assicurandolo che il solo mezzo per ottenere la liberazione di Nicola era la sottomissione, che d'altro canto, soprattutto dopo la schiacciante disfatta degli Angioini a Troia (agosto 1462), appariva come l'unica soluzione ragionevole. Ma il C. non prese alcuna decisione fino a che Giovanni fu in Italia. Caterina mise insieme a fatica il prezzo del riscatto del figlio, chiedendo a prestito 2.000 ducati dallo Scarampo.
Il 26 nov. 1462 il C. firmò una condotta al servizio del suo complice principale nella ribellione, Marino Marsano, principe di Rossano. Costui fece atto di sottomissione a Ferrante nel settembre successivo; verso Pasqua del 1464 Giovanni d'Angiò lasciò l'Italia. Immediatamente intermediari fecero sapere al C. che Ferrante era pronto a riceverlo nelle sue grazie. Ultimo di tutti i ribelli egli si sottomise il 7 maggio 1464, e Nicola fu liberato grazie al gravoso riscatto, le cui ultime scadenze furono versate nel gennaio successivo.
Tutti questi avvenimenti avevano esaurito le finanze del Caetani. Nello stesso periodo, da Nancy, Giovanni di Calabria gli scriveva assicurandogli eterna gratitudine e promettendo di indennizzarlo delle perdite subite. Ma le azioni non seguirono mai alle parole. E per di più nel marzo del 1465 scomparve lo Scarampo, l'amico potente che lo aveva sempre aiutato. Il C. continuò a vivere di prestiti: alcuni dal cardinale d'Estouteville, altri addirittura dal suo antico nemico, il conte di Fondi. Conclusa la pace con i Colonna, per il resto continuò ad attaccare le città vicine: Carpineto, Sezze soprattutto, la sua nemica ereditaria, e parecchie altre. Acquapuzza e San Felice, che dopo lungo tempo le truppe pontificie avevano occupato, gli furono restituite, ma sotto condizione, da Sisto IV. L'abbazia di Grottaferrata, infine, stanca delle usurpazioni che il C. continuamente operava sul suo dominio temporale, finì per vendergli ciò che essa conservava ancora dei diritti di pesca nei famosi stagni di Fogliano, fonte di rendite considerevoli per i loro possessori.
Gli ultimi anni della vita del C. videro la sistemazione dei suoi figli. Nicola, tentato anche lui, per un momento dal mestiere di condottiero, al servizio dei Colleoni, si sposò con Eleonora di Napoleone Orsini. Intorno al 1464 la figlia Giovannella sposò Pier Luigi Farnese (matrimonio combinato dallo Scarampo); da lei nacque il futuro papa Paolo III. Giacomo, altro figlio del C., fu protonotario apostolico. Fu il minore dei figli, Guglielmo, nato soltanto verso il 1465, che assicurò la discendenza maschile della famiglia.
Pochi giorni dopo il testamento del 26 dic. 1477 il C. si spegneva, a circa 56 anni; fu sepolto a Sermoneta, a S. Pietro in Corte.
Fonti e Bibl.: Epist. Honorati Caetani…, a cura di G. Caetani, San Casciano Val di Pesa 1926; G. Caetani, Regesta chartarum, IV, ibid. 1929, ad Indicem;V, ibid. 1930, ad Indicem;E. Nunziante, Iprimi anni di Ferdinando d'Aragona e l'invasione di Giovanni d'Angiò, in Archivio storico per le provincie napoletane, XVII(1892), p. 339; G. Caetani, Domus Caietana, II, San Casciano Val di Pesa 1927, ad Indicem.