FERRERI, Onorato
Nacque ad Alassio (Savona) il 23 marzo 1756 da Luca Marcello e da Maria Prospera Grimaldi di Sauze. La famiglia paterna, ricca e nobile, era presente ad Alassio dalla metà del '500: imparentata con i marchesi d'Ormea, era erede del nome e dei feudi dei De Gubernatis di Baussone, in cui si era estinta la casata dei conti di Ventimiglia. Il 1º dic. 1767 fu ascritto alla nobiltà di Genova; ed il 15 maggio 1781 ottenne da Vittorio Amedeo III l'investitura del feudo di Baussone nella contea di Nizza, già concessa nel 1775 a suo padre. Il F., che in quegli anni aveva casa a Nizza e vi risiedeva con continuità, si trovò così ad essere contemporaneamente patrizio genovese e vassallo del re di Sardegna. Di nobile famiglia piemontese era anche sua moglie - Eleonora Canalis di Cumiana - che gli avrebbe dato sei figli, tre dei quali destinati alla carriera delle armi: Emanuele, capitano dei dragoni imperiali, caduto alla Beresina nel 1812; Marcello, capitano degli ussari nella Grande Armée, eroe decorato e beneficato da Napoleone e poi dai Savoia; Gioacchino, ufficiale dell'esercito sardo.
La presenza di due figli del F. nelle armate napoleoniche non fu il frutto di un tardivo ralliement, perché sin dalla prima invasione francese della Liguria, nel 1794, egli era entrato in buoni rapporti con i comandi rivoluzionari. Nel 1795, forte di queste amicizie, aveva persuaso il commissaire A. Chiappe a non usare le batterie alassine per sparare sulle fregate inglesi che incrociavano in quel mare, e in tal modo aveva risparmiato ai suoi concittadini spiacevoli rappresaglie. Due anni dopo, con l'avvento in Liguria di una Repubblica "giacobina", il F. aveva buone credenziali per iniziare una carriera politica. La Municipalità di Alassio lo designò suo "generalissimo procuratore", spedendolo a Genova con "ogni più ampio e illimitato pienpotere" (Del Como, p. 497); e nel gennaio 1798 venne eletto tra i seniori del Corpo legislativo della Repubblica Ligure.
Resistette in carica finché durò la prima Repubblica Ligure, cioè fino al dicembre 1799, senza segnalarsi per intraprendenza, ma badando a consolidare la propria posizione, forte anche dei fatto che suo fratello Pietro nel maggio 1799 era divenuto membro del Direttorio esecutivo. Dopo Marengo, allorché i Francesi impressero alla Repubblica Ligure un indirizzo assai più moderato, i fratelli Ferreri furono tenuti in particolare considerazione. Pietro venne nominato membro della Consulta legislativa e più tardi, a maggio 1801, il F. entrò nella commissione che, incaricata di preparare una nuova costituzione, finì per rimettere ogni decisione àl primo console. La sottomissione del F. fu premiata il 22 giugno 1802 con la nomina nel nuovo Senato ligure, dove Bonaparte e Cristoforo Saliceti lo avevano designato sapendo di poter contare su un uomo fedele alla Francia ed avverso al "partito" autonomista dei fratelli Gerolamo, Gian Carlo e Gian Battista Serra e di A. Pareto.
Poco dopo Talleyrand lo indicò come possibile ambasciatore ligure a Parigi, ma il Senato gli preferì G. C. Serra, il quale, appena giunto in Francia, si mise ad accusarlo senza fondamento di brigare con F. Marescalchi per riunire la Riviera di Levante alla Repubblica Italiana. Intervenne allora Bonaparte, che decise di sbarazzarsi del Serra spedendolo a Madrid e pretendendo che a rimpiazzarlo fosse proprio il F., da lui conosciuto ai tempi della prima campagna d'Italia.
La scelta del F. spiacque agli autonomisti genovesi i quali, secondo le parole del Saliceti, pensavano che si dovesse "resister aux insinuations du Premier Consul". Viceversa la videro di buon occhio i diplomatici "italiani", pensando che potesse preludere all'annessione di Genova da parte della Francia ed alla conseguente unione della Spezia a Milano.
Il F. - rimpiazzato al Senato dal fratello Pietro - giunse a Parigi il 6 nov. 1802, latore di istruzioni che invece lo impegnavano a salvaguardare "l'esistenza politica ed indipendente della Liguria ed il possibile ingrandimento del suo territorio", ad opporsi alle mire milanesi sulla Spezia, a "promuovere la perequazione dei confini col Piemonte" (Arch. di Stato di Genova, Rep. Ligure, 399).
Sin dalla prima udienza col primo console espose "la critica situazione della Repubblica e i suoi pressanti bisogni", secondo un copione che avrebbe molte volte replicato. Si trattava anzitutto di richiamare l'attenzione di Bonaparte sui problemi della navigazione e del commercio, "oggetti i più essenziali all'esistenza nazionale", eppure in gravissima crisi "a caosa de' corsari barbareschi e delle disposizioni daziarie che hanno luogo in Piemonte" (Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 2270). I Liguri volevano facilitazioni doganali, sistemazioni di confini e soprattutto tutela della loro bandiera sui mari; su quest'ultimo punto, però, Bonaparte era categorico: avrebbe imposto alle reggenze barbaresche il rispetto dei legni genovesi, ma solo se la Repubblica Ligure fosse riuscita a dotarsi di una piccola flotta da guerra. In linea generale, infatti, il primo console era allora favorevole alla conservazione dello Stato genovese, a patto che esso si dimostrasse utile agli interessi politico-militari della Francia armando uomini e navi. Da parte ligure, viceversa, si mirava a ridurre l'impegno militare e finanziario, senza capire che Bonaparte non avrebbe tollerato a lungo l'indipendenza di un governo per lui inutile, anzi malfidato perché propenso ad intendersela con l'Inghilterra.
Il F. si trovò dunque a gestire una situazione difficile ed anche grottesca, visto che, come rappresentante di uno staterello insignificante, doveva chiedere favori all'uomo più potente d'Europa senza offrirgli qualcosa in cambio. D'accordo col proprio governo cercava di far credere che ci si adoprasse per l'armamento marittimo, mentre in realtà non si faceva nulla. Intanto continuava a suggerire "l'uso di qualche sagrifizio pecuniario presso alcune delle persone più influenti negli affari del gabinetto di Parigi" per raggiungere gli scopi desiderati (Arch. di Stato di Genova, Rep. Ligure; 400). Ma non era con questi mezzi che si potevano parare le richieste francesi, divenute più pressanti dopo la ripresa delle ostilità con l'Inghilterra: a partire dall'agosto 1803 si pensò di imporre alla Repubblica Ligure un formale trattato di alleanza che, in cambio di vaghe promesse, assoggettava alla Francia le risorse umane e materiali della Liguria. La trattativa era giudicata così importante che i normali canali diplomatici vennero saltati: sul finire del 1803 giunse a Genova il Saliceti e negoziò direttamente col governo ligure. Il F. venne in pratica esautorato, e il 12 genn. 1804 scrisse a Bonaparte lamentandosi di esser caduto in disgrazia presso il proprio governo, e di aspettarsi il richiamo in patria. Rimase invece in carica sino al 23 apr. 1805, ma sempre più inutile nel suo ruolo di rappresentante d'uno Stato che non aveva più il potere di decidere alcunché.Nel maggio 1805 si recò a Milano, dove incontrò gli altri notabili genovesi giunti per assistere all'incoronazione di Napoleone re d'Italia; e il mese dopo fu tra coloro che recarono all'imperatore, a Brescia, i risultati del plebiscito col quale i Liguri chiedevano (o meglio, accettavano) l'annessione alla Francia. Con l'annessione i meriti del F. - nobile, ricco, di provata fedeltà - non potevano che essere premiati. L'architrésorier C.-F. Lebrun lo nominò subito, il 25 giugno 1805, nel consiglio di arrondissement di Porto Maurizio. L'anno dopo, nelle "statistiche personali" della prefettura, la sua fortuna personale era stimata a 800.000 franchi ed egli era indicato come uno degli uomini più ricchi del dipartimento di Montenotte, oltreché politicamente "recommandable". Il 12 marzo i 808, in una nota confidenziale dei prefetto G. Chabrol de Volvic, fu proposto per il Senato imperiale con la seguente motivazione: "Il a montrè dans des tems difficiles un grand attachement à la cause de la France. Il a exercé à , l'égard des généraux français l'hospitalité la plus généreuse et même la plus périlleuse en diverses circonstances" (Paris, Arch. nationales, F1 C III Montenotte1).
Era quanto bastava perché fosse elevato alla prestigiosa quanto vacua dignità senatoria, dopo che già aveva ottenuto il nastrino della Legion d'onore. Se ne tornò dunque a Parigi, dove mori il 27 sett. 1809.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 1957 D, F, G, H; 2270-2272;Ibid., Rep. Ligure, 52-55, 399-403;Arch. di Stato di Milano, Arch. Marescalchi, 186; Ibid., Arch. Testi, 244, 273;Parigi, Archives du Ministère des Affaires étrangères, Correspondance politique-Gênes, 178-179;Ibid., Archives nationales, AF IV 1681A ;F1B II Gênes1;F1C III Montenotte1; E. Codignola. Carteggi di giansenisti liguri, III, Firenze 1942, p. 657 (ma con gravi inesattezze); Icarteggi di Francesco Melzi d'Eril, a cura di C. Zaghi, III, Milano 1959, pp. 143, 356; I. R. Gallo, Storia della città di Alassio dalle origini al 1815, Chiavari 1890, III, pp. 8, 87 ss., 101; V. Del Como, Imarchesi Ferreri d'Alassio patrizi genovesi ed i conti De Gubernatis, Torino 1890, pp. 21-24, 492-497e tav. III di fronte a p. 309; V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LIX (1932), pp. 128, 156, 160, 164, 211;Id., Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, ibid., LXIII (1934), pp. 157, 312.