Onore e vergogna
Sebbene il richiamo all'onore ritorni costantemente nella retorica pubblica, quando in occasione di competizioni sportive, di conflitti fra gruppi o di una guerra si fa appello alla morale collettiva, nelle società moderne il termine 'onore' designa principalmente una qualità della persona legata alla sua reputazione e alla sua pretesa di rispetto e considerazione. Tale pretesa trova forma oggettiva nei sistemi giuridici moderni, che considerano l'onore come un bene da tutelare.Le connotazioni più antiche del concetto rimandano a una stretta connessione tra 'onore' e 'vergogna'. In ogni società e in ogni cultura esistono azioni e circostanze che conferiscono e tolgono l'onore, che onorano e disonorano, che arrecano onta e vergogna. Nella misura in cui la vergogna costituisce la controparte negativa dell'onore, essa è strettamente legata al modo in cui le diverse culture interpretano e valutano l'onore, e quindi può essere specificata e analizzata solo in riferimento a quest'ultimo. Ma alla categoria dell'onore spetta la priorità anche per altre due ragioni. In primo luogo, il nesso con la vergogna riguarda solo una parte dei fenomeni storici che rientrano sotto il concetto di onore; in secondo luogo, questa caratteristica connessione tra onore e vergogna è circoscritta alle società premoderne o arcaiche. I fenomeni designati col concetto di onore, per contro, trovano riflesso in ogni epoca e in ogni cultura in particolari valori, norme di comportamento e forme simboliche. Tutte le epoche e tutte le culture, infatti, sviluppano il proprio specifico rapporto con le tre sfere collegate della vita sociale cui si riferisce l'onore: identità, morale e status. Cercheremo quindi di delineare alcune importanti forme storico-culturali di queste categorie generali, senza peraltro trascurare le differenze tra gli aspetti 'moderni' e quelli 'premoderni'. In particolare, poiché la cultura moderna tende a sottovalutare l'importanza dell'onore, marginalizzandone il ruolo nel presente e nel passato, sarà utile mettere in rilievo la ricchezza di valenze di tale concetto. Proprio perché in passato esso aveva connotazioni che appaiono in larga misura estranee alla mentalità moderna, la loro conoscenza può gettare luce sulla specificità storica del mutato contesto in cui vive l'uomo contemporaneo.
Come accade per altri elementi della cultura, anche per il moderno concetto di onore sia l'etnologia che la storia hanno messo in luce una stretta connessione con fenomeni magici e religiosi. Secondo Marcel Mauss (v., 1923-1924), ad esempio, il mana polinesiano simbolizza non solo la forza magica di ogni essere, ma anche il suo onore; l'antico alto tedesco era ('grazia', 'dono', 'onore') così come il corrispettivo italiano del primo Medioevo erus, aisis e la radice indogermanica ais ('provare timore reverenziale', 'venerare') derivano dalla sfera del culto (v. Kluge, 1975²¹, p. 153). Queste connotazioni religiose sono andate quasi completamente perdute nel corso dell'evoluzione che il concetto di onore ha conosciuto nella cultura europea (sebbene in alcuni ambiti se ne possa dimostrare la persistenza; v. in proposito Peristiany e Pitt-Rivers, 1991). Rispetto ai significati del concetto di onore oggi prevalenti nelle lingue europee - reputazione, prestigio, rispetto per sé e per gli altri, dignità - le connotazioni semantiche che esso aveva in passato appaiono assai più ricche e variegate. Sebbene manchi tuttora uno studio sistematico-comparativo delle lingue europee, tuttavia da alcune analisi specifiche (di particolare interesse per l'area linguistica tedesca è quella di Zunkel: v., 1979⁴) è possibile ricavare alcuni elementi generali. In primo luogo l'onore può essere un attributo sia di individui che di collettività (dalla famiglia sino alla nazione), e quindi può essere definito in riferimento all'individuo oppure alle collettività. L'onore può essere posseduto come un tutto, e come un tutto può essere perduto: è la comunità che stabilisce in base all'epoca storica e alla cultura in cui si colloca, se e in che modo ciò debba accadere. L'onore può essere visto come qualcosa di cui l'uomo non può disporre, come accade ad esempio nelle società arcaiche, oppure come un oggetto materiale o immateriale che può essere perduto, perseguito, conquistato, accresciuto, scambiato come un capitale, sminuito, attribuito o negato. Nell'onore vi sono elementi che rimandano a categorie sociali, e quindi alla vita 'esteriore' dell'individuo, e altri che rimandano invece alla sua interiorità. La cultura romana, ad esempio, distingueva tra existimatio e dignitas da un lato, e honestas e fides dall'altro; analogamente in molte culture esiste una contrapposizione tra un concetto 'oggettivo' e uno 'soggettivo' dell'onore. Secondo la definizione di Schopenhauer, l'onore "oggettivamente è l'opinione che gli altri hanno del nostro valore, soggettivamente è il nostro timore di tale opinione" (v. Schopenhauer, 1851; tr. it., p. 69).
Queste differenze dipendono non da ultimo dal fatto che la semantica dell'onore si è sviluppata in tre distinte sfere: quella dell'identità, quella dello status e quella della morale, ed è quindi collegata ai tre interrogativi: chi siamo, quale posizione occupiamo in rapporto agli altri, come sono valutati i nostri comportamenti. Mentre l'individuo moderno tende a dare risposte separate a queste tre domande, nelle società in cui l'onore è inscindibilmente legato alla vergogna esse sono tipicamente interconnesse: la vergogna, che nasce da un atto sanzionatorio della collettività, comporta nello stesso tempo un danno, se non l'annullamento, dell'identità personale, e una diminuzione o la perdita di status. È evidente che ciò comporta l'intervento di valutazioni e quindi di valori. Attraverso l'onore l'individuo riceve il proprio valore specifico, una semplice posizione sociale diventa uno status di maggiore o minore prestigio, i comportamenti soggettivamente giusti o appropriati diventano azioni morali. Poiché i valori dipendono sempre da determinati sistemi culturali, il modo in cui viene concepito l'onore è legato sia a fattori sociali che a fattori culturali.
Se cerchiamo di ordinare le concezioni più diffuse dell'onore in una sequenza storico-evolutiva di possibilità polarmente contrapposte, otterremo le seguenti coppie di 'alternative'.
1. a) L'onore inteso in senso ascrittivo, ossia attraverso l'attribuzione di qualità statiche che possono essere concepite come innate o derivate automaticamente dall'appartenenza a un determinato gruppo; ovvero: b) l'onore come risultato delle azioni del soggetto che corrispondono alle aspettative normative del gruppo e vengono da questo 'onorate'.
2. a) L'onore come derivante da qualità o circostanze esteriori quali la reputazione, le cariche, le onorificenze; ovvero: b) l'onore come derivante da qualità interiori che sono interpretate e valutate dall'ambiente sociale in un determinato modo; in questo caso l'onore di un gruppo si fonda su determinate idee e sulle forme in cui queste vengono comunicate al mondo circostante.
3. a) L'onore come concezione del proprio valore e quindi come elemento dell'identità personale, che a sua volta dipende dalla valutazione collettiva della posizione sociale del soggetto e della condotta associata a tale posizione; ovvero: b) l'onore come concezione del proprio valore che scaturisce dalla moralità della persona fondata sulla coscienza.
4. a) L'onore come valore oggettivo della persona, fondato su una forma di vita superiore, rivendicata in modo esclusivo da determinate cerchie (gruppi, strati sociali) e utilizzata come strumento di distinzione dagli altri; ovvero: b) l'onore come 'dignità' attribuita universalmente a tutti gli uomini ('dignità umana').
Tutta la fenomenologia dell'onore si iscrive in questa gamma di alternative. Spesso si ha una combinazione di più elementi delle concezioni sub a) o una combinazione di vari elementi di quelle sub b). Ovviamente in una stessa cultura, in uno stesso gruppo e anche in uno stesso individuo possono insorgere dei conflitti dovuti al coesistere di elementi contrastanti. Come abbiamo accennato, la sequenza 1-4 designa una successione storico-evolutiva; nelle coppie di alternative le concezioni sub a) sono riferibili a contesti socioculturali più antichi e meno differenziati, laddove quelle sub b) sono proprie di società e culture moderne e più differenziate. Le concezioni sub 3b) e 4b) sono frutto degli sviluppi più recenti delle culture occidentali, mentre le altre sono da considerarsi diffuse universalmente. La contrapposizione tra 'culture della vergogna' e 'culture della colpa' postulata dall'antropologia culturale americana ('shame-' vs. 'guilt-cultures'; v. Piers e Singer, 1971; v. Neckel, 1991, pp. 47 ss.) corrisponde alla contrapposizione tra le definizioni sub a) e quelle sub b), ma al pari di essa non deve essere intesa come uno schema generale applicabile a tutti i fenomeni, bensì come una tipologia (nel senso di Max Weber) atta a caratterizzare singoli fenomeni storici. Nella realtà, le concezioni dell'onore sub a) spesso sono proprie di culture nei cui modelli di comportamento tradizionali il sentimento della vergogna è particolarmente spiccato. Va osservato peraltro che anche la vita morale delle società moderne è contraddistinta da una coesistenza e una mescolanza di sentimenti di colpa e di vergogna, in cui aspetti 'esteriori' e aspetti 'interiori' dominano in proporzioni diverse (su questo tema v. Heller, 1985).
Dal punto di vista sociologico si possono definire meglio alcune caratteristiche della concezione premoderna dell'onore alla luce di una connessione funzionale fra la sfera della morale collettiva, quella dell'identità personale e quella dello status sociale. Attraverso l'onore l'individuo identifica se stesso come membro del gruppo, che a sua volta gli conferisce status e riconoscimento, attribuendogli un determinato valore nei rapporti sociali all'interno e all'esterno del gruppo; il 'prezzo' funzionale consiste nel controllo esercitato dalla morale attraverso uno specifico mezzo di comunicazione, l''opinione pubblica', e nelle relative sanzioni: dalla messa al bando mediante rituali infamanti, sino a forme più blande di boicottaggio sociale.
Un tratto caratteristico di questa connessione funzionale tipica della concezione premoderna dell'onore è costituito inoltre dal fatto che le norme dell'onore sono valide solo per determinati gruppi o istituzioni. In molti casi tale limitazione è espressamente prevista dalle norme stesse, che sono quindi orientate 'particolaristicamente', nel senso della teoria dei sistemi di Parsons. Solo con i processi di modernizzazione sociale si svilupperanno gli orientamenti universalistici descritti nei punti sub 3b) e 4b).
Sulla base di queste caratteristiche della concezione premoderna dell'onore si possono individuare alcuni elementi che, sebbene non universali, ricorrono nondimeno in una varietà di culture e di epoche storiche. Nel contesto dei rapporti di potere tradizionali, sia nelle società arcaiche che nelle civiltà più evolute, si osservano forme di comportamento rituali incentrate sull'onore - atti di scambio, di cessione e di offerta di 'onori', oggetti e gesti onorifici, ecc. Come è stato rilevato da più parti, peraltro, anche ai rapporti gerarchici del mondo moderno non sono estranei elementi analoghi (v. Goffman, 1967). In questi atti rituali il corpo svolge un ruolo essenziale. Spesso i rituali del potere rimandano a una dimensione più profonda del rapporto col corpo che contraddistingue le istituzioni di una determinata cultura o etnia. Così nella simbologia del corpo quale 'portatore' dell'onore di molte culture la preminenza viene attribuita alla testa, e in particolare ad alcune parti di essa, ad esempio la fronte (v. Mühlmann e Llaryora, 1973, p. 88), oppure il volto: si pensi all'espressione idiomatica 'salvare la faccia'. (Sull'importanza metaforica del volto in rapporto all'onore nella cultura cinese, attestata da venticinque locuzioni diverse, v. Hu, 1966). Poiché lo sviluppo dell'idea di identità personale include anche il rapporto con il proprio corpo, nella maggior parte delle culture evolute di norma assieme all'onore viene tematizzato il corpo nella sua totalità - intesa qui nel senso di 'integrità'. L'integrità è pertanto una categoria che viene trasposta tipicamente dal corpo all'onore. Non a caso Pareto, nel suo Trattato di sociologia generale (§§ 1310 ss.), attribuisce all'integrità quale carattere essenziale dell'onore un'importanza tale da farne (trascurando altri tratti) uno dei principali esempi di un residuo particolare, quello del "restauro dell'integrità alterata" (v. Pareto, 1916, ed. 1964, vol. I, pp. 798 ss.). Le violazioni dell'onore, gli 'attacchi' di cui è fatto oggetto, sono considerati come attacchi alla persona nella sua totalità, incluso quindi il corpo, e di conseguenza devono essere annullati in un confronto, per così dire, 'corpo a corpo', ossia attraverso una lotta. Particolarmente significative in relazione a questa connessione tra onore, identità e corpo sono certe forme di negazione dell'onore diffuse ovunque, che vanno dalle ingiurie verbali più o meno ritualizzate sino alla negazione dei diritti civili. Il diritto premoderno e i sistemi di sanzione preed extragiuridici prevedono ingiurie ritualizzate del corpo attraverso cui viene inscenata pubblicamente l'infamia o la perdita dell'onore. Le esecuzioni capitali pubbliche 'in effigie', in assenza del condannato, così come la profanazione del ritratto delle persone messe al bando assolvono la medesima funzione (per esempi relativi a Firenze nell'epoca rinascimentale v. Masi, 1931).
Diffuse in varie forme in numerose culture, e derivate da disposizioni che hanno chiare radici antropologiche, sono inoltre da un lato la ritualizzazione dell'onore 'agonale' - ossia del confronto ad armi pari per l'onore in gare e competizioni pubbliche - e dall'altro quella dell'offesa e della riparazione pubbliche dell'onore. La connessione tra questa forma di azione rituale e il gioco basato su regole quale fattore di sviluppo della civiltà è stata messa in evidenza dallo storico della cultura Johan Huizinga. Tale fattore assume un particolare rilievo nell'evoluzione della guerra. Secondo Huizinga nelle culture arcaiche i confini del lecito - le "regole del gioco" della guerra - sono rigidamente circoscritti ai membri del proprio gruppo, alla cerchia dei 'pari'. "Sinché si ha a che fare con i propri pari - afferma Huizinga - in via di principio ci si lascia guidare da un senso dell'onore cui si associano un'attitudine alla 'gara' e l'esigenza di una certa moderazione" (v. Huizinga, 1938, ed. 1956, p. 101; Giordano - v., 1994, p. 188 - indica accanto all'eguaglianza sociale anche la vicinanza spaziale quale presupposto dell'onore agonale). Per Huizinga questa linea evolutiva della civiltà arriva - attraverso la mediazione dell'ideale cavalleresco che imponeva il trattamento 'cortese' e onorevole del nemico, cui a volte veniva offerta cerimoniosamente la scelta del luogo e del momento del confronto - sino al moderno diritto internazionale concepito come insieme di 'regole tra pari'. La tecnologicizzazione delle armi, insieme allo sganciamento dai codici morali, ha segnato, come aveva previsto Huizinga, la fine di questa evoluzione.
In Europa, nella fattispecie nell'Europa centrale e nordoccidentale, determinati sistemi di onore-moralità sono correlati alla struttura sociale divisa in ceti. Nella storia sociale e giuridica dell'area tedesca il concetto di ceto (Stand) ha un duplice significato. Il primo ha una connotazione politico-giuridica ed è riferibile al processo di divisione dei poteri tra i ceti, sviluppatosi nell'età moderna nell'Europa centro-occidentale, e quindi alla storia del conflitto - che ha conosciuto varie forme e molteplici fasi - tra i ceti quali detentori di privilegi tradizionali, da un lato, e i precursori dello Stato moderno, che miravano al monopolio della violenza legittima e all'unificazione amministrativa, dall'altro. Il secondo significato del concetto, di particolare rilevanza per l'analisi dell'onore, è più ristretto ed è definibile, seguendo l'analisi di Max Weber, in termini di 'sociologia della cultura'. Per Weber la 'situazione di ceto', "in contrapposizione alla 'situazione di classe' determinata in modo puramente economico", designa "ogni componente tipica del destino di un gruppo di uomini, la quale sia condizionata da una specifica valutazione sociale, positiva o negativa, dell''onore', che è legato a qualche qualità comune di una pluralità di uomini" (v. Weber, 1922; tr. it., vol. IV, p. 34). Per quanto riguarda il contenuto essenziale dell'onore di ceto, questo "si esprime normalmente soprattutto nell'esigere una condotta di vita particolare da tutti coloro che vogliono appartenere a una data cerchia" (ibid., pp. 34-35). Un tipico epifenomeno strutturale della stratificazione sociale che si realizza alla luce di questo criterio è la monopolizzazione di beni o di possibilità ideali e materiali, nonché una regolamentazione dei rapporti sociali basata sull'esclusività, che oltre alle sfere del "connubium, convivium et commercium" può investire tutti gli ambiti della vita, come accade nel sistema castale indiano. Secondo Weber, "l'importanza decisiva che la condotta di vita assume per l''onore di ceto' fa sì che i ceti siano i portatori specifici di tutte le 'convenzioni': ogni 'stilizzazione' della vita, in qualsiasi forma si manifesti, ha un'origine di ceto, o viene comunque mantenuta in vita su base di ceto" (ibid., p. 38).
Tutti gli elementi di questo rapporto tra situazione di ceto e cultura dell'onore messi in luce dalle analisi weberiane rimandano a una particolare configurazione storico-culturale e al suo strato sociale dominante. Il sistema normativo dell'onore storicamente più significativo si è sviluppato con gli ideali di vita della nobiltà europea - e non già di altri ceti (tanto meno del clero, per ragioni che considereremo più avanti) - nell'epoca che va dagli inizi del feudalesimo sino alla massima fioritura della cultura cortese-cavalleresca. Si tratta del sistema normativo dell'onore storicamente più significativo in quanto nelle epoche successive, sino alle soglie del XX secolo, costituì il modello per i sistemi di altri strati e ceti sociali; anche la struttura di ceto in quanto tale, nella forma che eserciterà un influsso durevole sullo sviluppo del diritto e dello Stato europei, si viene a costituire in quest'epoca, nell'ambito degli strati feudali-cavallereschi.I conflitti politici, sociali e culturali del feudalesimo sono dunque la culla della concezione europea dell'onore - certo non in tutte le sue forme (poiché altre precedono, accompagnano e seguono quelle feudali-cavalleresche), ma senza dubbio nella sua variante più significativa. Forse la particolare pregnanza di questa concezione dell'onore dipende dal fatto che essa contiene tutti gli elementi delle alternative delineate nello schema presentato in precedenza - fatta eccezione per quelli 'moderni' 3b) e 4b): dagli aspetti più esteriori, legati allo status, agli aspetti interiori di ordine morale; in virtù dell'accento posto sulla condotta di vita ideale, 'virtuosa', questa concezione riesce a fondere tali elementi in modo così compiuto (nella 'teoria' come nella stilizzazione pratica di tutti gli ambiti della vita) che appare perfettamente legittimo parlare a questo proposito di un vero e proprio 'ethos dell'onore', vale a dire di un ethos peculiare, distinto da tutti gli altri. Tale ethos unisce in sé contraddizioni profondamente radicate nella storia, senza peraltro risolvere i conflitti che ne scaturiscono: innanzitutto il contrasto tra i valori militari dei Germani (Weber a proposito del feudalesimo parla addirittura di un orientamento verso "concetti d'onore [...] militare": v. Weber, 1922; tr. it., vol. I, pp. 230-231) e quelli pacifisti e civilizzatori del cristianesimo; ma anche il conflitto tra i valori 'orizzontali' di una concezione 'comunitaria' che ha le sue radici nell'organizzazione tribale germanica (la quale implica eguale partecipazione all'onore ed eguaglianza di fronte ai principî di tutela dell'onore), e i valori 'verticali' della concezione 'signorile' derivata dall'antichità greco-romana (che rende possibili gli 'onori', ossia i titoli, nei rapporti gerarchici dell'ordinamento feudale). Tra le caratteristiche distintive dell'ethos dell'onore rientrano non da ultimo l'idea e la prassi della lotta - nelle gare, come ad esempio le giostre e i tornei, nelle guerre, nelle faide e nel combattimento ad armi pari tra due contendenti. In questo contesto nasce in particolare quel tipo di 'difesa dell'onore', di reazione attiva alle offese rivolte all'onore, che nell'epoca moderna assumerà la forma del 'duello'. Nella mitizzazione del Medioevo compiuta dalla letteratura moderna il duello viene presentato come un correlato immancabile, spesso addirittura come l'elemento chiave dell'idea di onore cavalleresco. Si tratta di una connessione che viene fatta spesso anche al di fuori della letteratura, ma che è del tutto antistorica, in quanto proietta nel passato sviluppi propri di un'epoca successiva. Se è vero che nella cultura cavalleresca vanno ricercati alcuni presupposti essenziali per la nascita del duello, nel periodo della sua massima fioritura erano però presenti almeno tre elementi affini che devono essere distinti dalla forma più tarda del duello: oltre al combattimento 'privato' ad armi pari tra due contendenti, ancora relativamente poco formalizzato rispetto al duello, il confronto 'agonale' in pubblico (come la giostra), strettamente collegato alla tradizione del ceto, e infine il duello giudiziario, derivato dall'arcaico 'giudizio di Dio', che venne via via posto fuori legge (per un'analisi storica e sociologica del duello: v. Kiernan, 1989; v. Frevert, 1991; v. Guttandin, 1993).
Nonostante la stretta connessione che sussiste tra l'idea dell'onore e la situazione di ceto, in particolare quello nobiliare, la nascita di una specifica concezione dell'onore nella storia dell'Occidente non è legata solo all'organizzazione sociale basata sui ceti. In primo luogo, le concezioni dell'onore dei gruppi cetuali 'rielaborano', ognuna in forma diversa, ciò che sussisteva già prima della loro nascita in certe tradizioni arcaiche (ad esempio quelle delle tribù germaniche), tradizioni che si conservarono in Europa tra i contadini anche molto dopo il Medioevo. In secondo luogo, le strutture di ceto quale substrato di una tipica mentalità dell'onore non furono altrettanto sviluppate nell'area mediterranea quanto lo furono nell'Europa centrale e occidentale; sotto questo aspetto sembra esservi una 'frattura' tra le due zone del continente europeo. In terzo luogo, a tale diversità si ricollega anche il fatto che sin dall'antichità si affermò nell'area mediterranea un modello 'familistico' di organizzazione dei rapporti sociali, sicché per quanto attiene all'idea di onore i gruppi familiari svolsero (e in parte svolgono tuttora) il ruolo che nell'Europa centrale e nordoccidentale era assunto dai ceti. Le strutture familiari sono più refrattarie alla modernizzazione sociale di quanto non lo siano le strutture di ceto, e ciò potrebbe spiegare perché nei paesi mediterranei, soprattutto alla periferia della società moderna, si siano conservati quei valori dell'onore legati al comportamento dei due sessi nella sfera domestica.
Tipica di questo particolare complesso di norme dell'onore è una divisione socio-morale del lavoro tra uomini e donne (v. Pitt-Rivers, 1977, p. 78): l'onore maschile dipende dalla capacità di salvaguardare la reputazione della famiglia, o di difenderla qualora sia offesa; tale reputazione si fonda a sua volta su una determinata concezione dell'onore femminile, il cui valore supremo è la verginità prematrimoniale. Gli atti di violenza per difendere l'onore della famiglia erano ampiamente tollerati dalla legge, sino a tempi relativamente recenti. Ad esempio, dal Codice penale italiano è stata eliminata con notevole ritardo rispetto ad altri paesi la 'causa d'onore' come circostanza attenuante di una serie di reati, tra cui l'omicidio (con la legge del 5/8/1981, n. 442, che ha abolito gli artt. 544, 587 e 592; v. Guerrini, 1982). A questo particolare rilievo assunto dalle norme della morale sessuale si accompagnano in genere una particolare sensibilità per le questioni relative all'onore e un senso della vergogna molto forte, tanto che alcuni autori tendono a caratterizzare le società mediterranee nel loro complesso attraverso il binomio 'onore e vergogna' (v. in particolare Peristiany, 1965). Si tratta di una generalizzazione alla quale peraltro sono state mosse varie critiche. Alcune di esse riguardano la metodologia dell'etnologia (v. Herzfeld, 1980; v. Giordano, 1994) e mettono in questione la possibilità di postulare uno 'spazio mediterraneo' comune (v. Stewart, 1994), altre attengono alle caratteristiche sociostrutturali dei contesti geografici in questione. In Strummula siciliana, ad esempio, Mühlmann e Llaryora (v., 1973) hanno analizzato l'area socioculturale siciliana, mettendo in luce la complessità e la ricchezza di elementi di una mentalità che sarebbe del tutto inadeguato caratterizzare attraverso lo schema 'onore/vergogna'. Lo stesso vale per molte altre regioni dell'area mediterranea. Solo per i contesti sociostrutturali più semplici e toccati marginalmente dal processo di modernizzazione lo schema suddetto sembra conservare una certa validità. Soprattutto nelle aree agricolo-pastorali più povere, sembra che si siano conservate strategie matrimoniali in cui la verginità assume il ruolo di un 'capitale simbolico', di un mezzo di scambio che consente di accedere a condizioni economiche migliori (v. Schneider, 1971; v. Giordano, 1994, pp. 186 ss.).
La discussione sul 'tipo mediterraneo' non dovrebbe far trascurare il fatto che in quest'area culturale il concetto di onore, a prescindere dalle sue radici nel gruppo familiare, presenta anche altre caratteristiche; lo stesso discorso vale peraltro per tutte le società premoderne. Le norme dell'onore, differenziate a seconda dei ceti, avevano un raggio d'azione di estensione variabile; spesso non andavano al di là dei confini di un villaggio, mentre in altri casi erano valide per un intero 'gruppo etnico'.
Gli ambiti entro i quali il sistema normativo dell'onore aveva validità erano, nella loro straordinaria complessità, unità di autoregolazione e autocontrollo che rispetto all'unità normativa rappresentata dallo Stato moderno possono essere considerate pre- o substatali e pre- o extragiuridiche. Questa funzione normativa dell'onore è di particolare interesse per la storia del diritto; non sorprende, pertanto, che il sistema della vendetta barbaricina sia stato considerato un vero e proprio ordinamento giuridico (v. Pigliaru, 1959). Per meglio chiarire il rapporto tra 'onore' e 'diritto' in quanto sistemi normativi sui generis sarà utile far riferimento alle teorie di Georg Simmel, che ci consentiranno inoltre di spiegare le caratteristiche del processo di modernizzazione che ha portato alla trasformazione dell'onore come sistema di controllo sociale.Nell'ottavo capitolo della sua Soziologie, dedicato alla 'autoconservazione del gruppo sociale', Simmel (v., 1908) analizza l'onore nell'ambito di una tipologia di 'forme normative' finalizzate all'autoconservazione dei gruppi sociali; l'onore in questa tipologia ha una posizione intermedia tra il 'diritto' e la 'moralità'. Simmel distingue i tipi di norme in base a tre criteri. Dal punto di vista della funzione di conservazione il diritto (Simmel pensava soprattutto al diritto penale) è finalizzato all'autoconservazione del 'grande gruppo' (la società intera), la moralità (o, come anche la definisce Simmel in termini kantiani, la "morale imperativa") è finalizzata all'autoconservazione interiore dell'individuo nonché all'identità della 'persona' (morale). L'onore, per contro, è finalizzato all'autoconservazione dei 'gruppi particolari', che si collocano a metà strada tra la società e l'individuo, e il cui tipico esempio è il ceto. Simmel classifica poi i tipi di norme in base all'estensione degli ambiti da esse regolati. La sfera della moralità include quella dell'onore, e questa a sua volta quella del diritto. Il terzo criterio è quello delle sanzioni. Nel diritto la violazione delle norme è punita attraverso una coercizione esterna; nel sistema normativo dell'onore la violazione delle norme ha conseguenze in parte interiori (soggettive), in parte esteriori (sociali-oggettive); nella sfera della moralità invece l'unica istanza di controllo è data dalla coscienza. Come sottolinea Simmel, nel sistema normativo dell'onore i controlli interiori e quelli esteriori sono funzionalmente interrelati. Il compito specifico dell'onore è l'interiorizzazione da parte dell'individuo delle norme del gruppo. Per il fatto di essere riferito a un gruppo particolare, il sistema normativo dell'onore spesso prescrive forme di comportamento che sono vietate da un lato dal diritto, la forma di autoconservazione della società, dall'altro dalla morale, la forma di autoconservazione interiore dell'individuo: l'esempio più vistoso è il duello. E tuttavia ciò non crea alcuna scissione nel soggetto, poiché attraverso l'onore il gruppo riesce a inculcare nell'individuo l'idea che la difesa del proprio onore rappresenta il suo interesse più autentico, profondo e personale. Forse in nessun altro campo, osserva Simmel, si realizza una completa fusione tra interesse individuale e interesse sociale.
Simmel sottolinea il carattere particolaristico del ceto allorché interpreta l'onore di ceto, in quanto prototipo dell''onore', come forma di vita funzionale dei piccoli gruppi inseriti in un gruppo più ampio. La compattezza del gruppo, secondo Simmel, determinerebbe la specificità del concetto di onore, non solo dei ceti veri e propri (ad esempio quello degli ufficiali), ma di tutti gli altri gruppi: abbiamo così l'onore della famiglia, l'onore del commerciante, l'onore del furfante, ecc. Per contro 'diritto' e 'moralità' sarebbero sfere di validità universale, chiaramente legate alla cultura e alla società moderne. Se ciò è evidente nel caso del diritto proprio dello Stato moderno, non lo è altrettanto nel caso della 'moralità', intesa da Simmel nel significato che tale concetto ha assunto nella filosofia tedesca a partire da Kant, come espressione di una moralità superiore in quanto obbedisce a leggi 'interiori'. Poiché per la sua posizione intermedia l'onore ha una funzione 'mediatrice' - nella misura in cui in esso non vi è separazione tra la dimensione giuridica (il controllo attraverso mezzi 'esterni') e quella morale (i controlli 'interiori') - Simmel propone di intepretare nel modo seguente l'evoluzione dei sistemi normativi: dall'onore quale amalgama compatto di idee tradizionali e regolamentazioni istituzionali, caratterizzato da una compresenza di sistemi morali particolari e forme primitive di moralità universale, di controlli collettivi e forme di autocontrollo, si sarebbero in seguito differenziati da un lato il sistema giuridico, dall'altro la moralità soggettiva; in termini semplificati, la funzione di controllo dell'onore viene da un lato 'ricondotta' al diritto, dall'altro interiorizzata, ma anche soggettivizzata. Un fattore importante in questo processo è stato l'abbandono dei valori esclusivi delle forme di vita cetuali in favore del valore universale della 'dignità umana', cui si è aggiunta una banalizzazione degli aspetti dell'onore di ceto legati alla stratificazione sociale, ridotti a mero 'prestigio sociale' moralmente neutro.
L'interpretazione simmeliana dell'onore si può ricollegare ad altri due aspetti essenziali della modernizzazione sociale, che in questa sede peraltro potranno essere solo accennati. Il primo riguarda il processo di universalizzazione delle norme e dei valori, in cui la teologia e l'etica cristiane hanno avuto un ruolo fondamentale. Non è un caso che nell'Europa premoderna la Chiesa, nella cui pastorale medievale trova le sue radici la moderna cultura della 'coscienza', sembra essere stata l'unica potenza culturale a opporsi strenuamente al valore mondano dell'onore, sia trasponendolo nell'aldilà (solo a Dio, affermano costantemente i testi religiosi, va tributato onore), sia abolendo tutte le barriere sociali in quanto minacciavano di relativizzare i comandamenti cristiani, validi allo stesso modo per tutte le creature. Il secondo aspetto riguarda la differenziazione istituzionale del diritto. Nello schema evolutivo simmeliano, alla fase contraddistinta dal sistema normativo dell'onore corrisponde, sul piano istituzionale, una regolamentazione prestatale, sub- o extra-amministrativa dei conflitti, con le relative forme di sanzione per i comportamenti devianti. La concezione moderna del duello, che pone l'accento sulla 'autonomia' della difesa dell'onore (di ceto) rispetto all'autorità giudiziaria (autonomia definita anche, ad esempio da Hegel, come "essenza" dell'onore), si inserisce in questo contesto, così come la progressiva messa fuori legge dell'istituzione dei 'giurì d'onore'. Quest'ultimo fatto è da mettere in relazione con il processo, particolarmente accelerato nel XIX secolo, di de-corporativizzazione della società organizzata in ceti, a seguito del quale le comunità premoderne (oltre ai ceti, le comunità di villaggio, le gilde, ecc.) cedono allo Stato le loro funzioni normative.
Il processo di trasformazione del ruolo e delle funzioni dell'onore analizzato nei capitoli precedenti può essere considerato anche da un altro punto di vista. Il posto occupato in passato dall'onore è rimasto vuoto, ma non è scomparso, perché le sue funzioni istituzionali non sono trapassate interamente nel 'diritto' e nella 'moralità'. Ciò vale in particolare per quella funzione dell'onore che contribuisce allo sviluppo e alla difesa dell'identità personale. Si tratta di una funzione legata a determinati contesti sociali istituzionalizzati, in particolare ai ruoli in quanto aspetti istituzionali della persona. Nel passato avevano la preminenza i ruoli fortemente improntati a modelli normativi, attraverso i quali, come dimostra chiaramente il modello del 'cavaliere', il comportamento veniva integrato in sfere molto diverse. Nell'epoca moderna, per contro, hanno assunto un'importanza crescente i ruoli professionali, soprattutto quelli inseriti in complessi istituzionali (l'amministrazione della giustizia, la medicina, la Chiesa, l'esercito, la scienza, ecc.). Come abbiamo già accennato, peraltro, la funzione di formazione dell'identità esercitata dall'onore, in virtù della quale l'Io e la realtà sociale vengono mediati per via istituzionale, non si esplica solo attraverso i ruoli, come attestano chiaramente i rituali e i cerimoniali delle istituzioni di potere nel passato. Tuttavia, sino a buona parte del XX secolo, questa funzione dell'onore poté svolgersi principalmente attraverso ruoli istituzionalizzati in quanto e fintantoché questi erano collegati in modo permanente allo status della persona - e ciò anche quando la funzione di controllo esercitata dall'onore aveva cominciato già da tempo a dissolversi nella diastasi menzionata di 'diritto' e 'moralità'. Tuttavia, nel corso di un lungo processo che ha investito tutti gli ambiti sociali, l'onore ha dovuto cedere anche questa funzione, lasciando così un vuoto. A seguito della profonda trasformazione dell'immagine di sé dell'uomo moderno - alimentata soprattutto, a partire dalla metà di questo secolo, da determinate correnti culturali della società industriale occidentale - la funzione di identità dell'idea di 'onore' è stata ora assunta dalla nozione moderna di 'dignità' (v. Berger, 1970). Essa peraltro non è in grado di colmare il vuoto istituzionale che si è creato, poiché a differenza del concetto di onore presuppone distanziamento e indipendenza. Mutuando un'espressione usata da Weber a proposito del potere, si potrebbe dire che la categoria della 'dignità', svincolata dalla dimensione istituzionale, è "sociologicamente amorfa". Poiché - a differenza di quanto accade per l'onore - vi è un costante conflitto tra il significato oggettivo e quello soggettivo di dignità, l'identità a essa legata è meta di una ricerca spesso difficile e incerta.
Il superamento dei sistemi morali particolaristici dell'onore attraverso l'universalismo della dignità è stato quindi ottenuto a prezzo di una incertezza sotto il profilo istituzionale. Per il concetto di dignità vale ciò che Tocqueville osservava in generale a proposito dei valori universalistici connessi all'onore: si tratta di valori semplici, ma non per questo chiari (cfr. De la démocratie en Amérique, 1840, parte II, vol. III, cap. XVIII). Sorge di fatto l'interrogativo, chi e in che modo interpreti tali valori. Entro certi limiti il concetto di dignità è istituzionalizzabile nell'ambito di problemi di ordine morale e giuridico, mentre ciò appare assai più difficile in rapporto al problema dell'identità personale.
Non è facile immaginare in quale modo possa avvenire una reintegrazione globale dell'identità personale attraverso la nozione di onore. Secondo Berger (v., 1970), la natura stessa dell'uomo comporta inevitabilmente, prima o poi, il ritorno alle istituzioni e quindi, ipso facto, un ritorno all'onore. Ciò però non può accadere al prezzo di sacrificare la dignità, una delle fondamentali conquiste dell'uomo moderno; un criterio etico di legittimazione delle nuove formazioni istituzionali e delle loro concezioni dell'onore sarà allora, sempre secondo Berger, quello di valutare se e in che misura esse saranno in grado di ricomprendere in sé e di consolidare il valore universalistico della dignità.Nelle moderne società occidentali si è già arrivati a nuove formazioni istituzionali dotate di tali caratteri, soprattutto nell'ambito di quei ruoli professionali che si collocano all'interno di sistemi funzionali altamente istituzionalizzati della società - la scienza, la medicina, la tecnologia e l'economia. Gli sviluppi avvenuti in questi sistemi portano a problemi decisionali che non possono essere risolti con mezzi 'interni' al sistema, e che determinano effetti esterni a esso di cui l'individuo è ritenuto responsabile (ad esempio nel campo della fisica nucleare e nella biogenetica). In questo modo, oltre ai problemi di tipo etico, emergono problemi attinenti al carattere istituzionale dei ruoli, tanto che si è iniziato a creare nuovi 'codici d'onore' nelle professioni in questione. Forse per questa via sarà realmente possibile riallacciarsi al 'vecchio' medium di identità rappresentato dall'onore, senza che a ciò si accompagni, come è avvenuto più volte nella prima metà del nostro secolo, una ripresa ideologica di concezioni corporativistiche basate sul ceto. In ogni singolo caso si tratterà comunque di unificare senza contraddizioni il nomos particolaristico dei sistemi differenziati con un ethos universale. (V. anche Controllo sociale; Norme e sanzioni sociali).
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