MARINARI, Onorio.
– Figlio del pittore Gismondo e di Maddalena Guinterini, nacque a Firenze il 31 ott. 1627. Dopo avere appreso i primi rudimenti nella bottega del padre, modesto decoratore nell’oratorio di S. Niccolò del Ceppo, il M. fu introdotto nella prestigiosa scuola dell’amico e parente C. Dolci, all’interno della quale raggiunse, entro breve tempo, una posizione di rilievo, realizzando soprattutto opere esemplate su originali del maestro.
Significative risultano in tal senso due tele di difficile collocazione cronologica, forse databili agli anni Quaranta: il S. Michele Arcangelo nella collezione Amata a Roma (Bellesi, in La ricerca della natura…) e la S. Maria Maddalena in meditazione nella Pinacoteca nazionale di Parma (Gregori, 1961).
I biografi P.A. Orlandi e F.M.N. Gabburri menzionano un successivo alunnato del M. presso B. Franceschini (il Volterrano) e viaggi di studio effettuati a Roma e nell’Italia settentrionale, dove avrebbe avuto agio di conoscere e apprezzare l’arte antica e le opere di Raffaello, del Correggio (A. Allegri) e di Tiziano.
Al 1648 risale l’esecuzione del Cristo coronato di spine per l’oratorio di S. Niccolò del Ceppo.
L’opera, oggi perduta, doveva mostrare caratteri stilistici deferenti essenzialmente al linguaggio di Dolci, artista al quale fu assegnata all’inizio del Novecento da M. Marangoni (Bruscoli, 1986, p. 113). Per lo stesso oratorio, dove insieme con il padre appare citato come confratello, il M. risulta attivo anche nel decennio successivo, periodo a cui risale la coppia di ovati con S. Francesco e S. Girolamo. Le due opere, documentate al 1659, rivelano uniformità lessicali tipiche del repertorio devozionale fiorentino del tempo, con richiami diretti alle pitture di Dolci, F. Curradi e L. Lippi: caratteri riscontrabili anche in altre composizioni del M. come un S. Francesco in collezione privata fiorentina, pendant di un S. Antonio Abate di Dolci.
Citato per la prima volta nelle carte dell’Accademia del disegno nel 1648, il M. rivestì incarichi importanti all’interno di questa istituzione: eletto più volte console e consigliere, ottenne nel 1679 il titolo di accademico, privilegio concesso solo agli artisti noti e degni di stima (Zangheri).
In base alla firma e alla data è possibile fissare al 1660 la realizzazione della pala con la Fuga in Egitto nella chiesa dei Ss. Michele e Leopoldo a Tinaia, per la quale non è da escludere si tratti della stessa tela già nella prepositura di San Casciano in Val di Pesa.
Questa pala, definita con sapienza cromatica e con garbata attenzione formale, denota, oltre agli immancabili richiami alla lezione dolciana, affinità dirette con le tendenze neocorreggesche, molto apprezzate in quel tempo nel capoluogo toscano, e richiami stringenti alle formule stilistiche del Volterrano.
Databile tra il 1663 e il 1666, quando il M. aveva preso in affitto alcune stanze dai monaci della Badia fiorentina, risulta la pala con S. Mauro che risana gli storpi, commissionata dalla famiglia Covoni per il proprio altare nella stessa chiesa (Mosco).
La tela, che rappresenta la prima importante opera pubblica fiorentina, mostra, in modo significativo, la volontà di svincolarsi dagli esclusivi parametri referenziali dolciani; si segnala infatti per una nobiltà d’impianto d’impronta classicista, derivata sicuramente dalla conoscenza della pittura di V. Dandini, e per la resa morbida e sfumata degli incarnati delle figure, mutuati, oltre che da L. Mehus, dalle opere di S. Pignoni.
Databile tra il 1668 e il 1670 risulta la pala con il Transito di s. Giuseppe in S. Michele Arcangelo a Lucignano, opera della quale è nota una replica autografa con leggere varianti in S. Maria Assunta a Badia a Pacciana, nei pressi di Pistoia (Ciabattini).
Legate a un tema iconografico particolarmente apprezzato in età barocca, le due realizzazioni mostrano dati stilistici di discreta qualità nella struttura compositiva, che, in un ideale connubio tra terreno e divino, inquadra superbamente i singoli personaggi, quasi avvolti da una luce paradisiaca, bloccati in pose di eloquente e sacrale gestualità. Affini per certi aspetti a queste composizioni risultano, oltre a una raffinata tela con Cristo e la samaritana al pozzo (Arezzo, palazzo vescovile: Casciu), opere come i Ss. Giacomo e Filippo Neri in adorazione della Croce nella badia di San Godendo (Contini), Le anime del Purgatorio e il Redentore nella collegiata dei Ss. Pietro e Paolo a Castelfranco di Sotto (Baldinucci), la Madonna del Carmine in S. Bartolomeo a Cutigliano (Farinati Uberti), e il S. Girolamo e l’angelo nella chiesa dei Ss. Simone e Giuda a Firenze (Cantelli, 1983; Baldinucci, p. 54).
Risale al 1674 (ibid.) la tela con l’Apparizione di Cristo a s. Maria Maddalena de’ Pazzi in S. Maria Maggiore a Firenze (Cantelli, 1971), opera di notevole indipendenza, sebbene non sia esente da contatti con il linguaggio barocco romano di eco lanfranchiana.
Affini tipologicamente ad alcune figure presenti in questo dipinto, piuttosto ricorrenti nel repertorio del M., risultano, tra i vari esemplari, la Venere (Firenze, Uffizi), proveniente dalla collezione Feroni (Caneva), e la Sacra Famiglia apparsa nel 1997 a un’asta Pandolfini a Firenze.
Didascalica e altamente icastica appare, a differenza della tela di S. Maria Maggiore, la pala con la Madonna del Rosario e i ss. Domenico e Caterina da Siena in S. Maria del Fiore a Lapo (Cantelli, 1971), documentata al 1678 (Bruscoli, 1986, p. 114).
L’opera, nota anche attraverso una replica conservata nel Musée municipal a Brest (Cantelli, 1975), mostra un impianto strutturale tipico della tradizione seicentesca fiorentina, che, sull’esempio di opere con lo stesso tema iconografico, come la pala di Curradi in S. Lorenzo a Premilcuore (Forlì), propone le figure, disposte suggestivamente in assetto piramidale tra cielo e terra, contornate da eleganti medaglioni dorati nei quali compaiono i Misteri del Rosario.
Nello stesso anno di esecuzione della tela di Lapo il M., stando alle informazioni tramandate da Baldinucci (p. 54), avrebbe realizzato per un committente napoletano «il ritratto al naturale di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi […] con intera somiglianza e con tal finimento che fu di straordinaria soddisfazione di chi lo richiese». L’opera, non ancora identificata, esemplifica i buoni riconoscimenti tributati in quel tempo al M., attestati anche da commissioni oltre i confini toscani.
Dopo essere stato impegnato nel 1684 in alcune integrazioni pittoriche alla pala con la Vergine che dona una corona d’oro a s. Maria Maddalena de’ Pazzi di C. Ferri, appena giunta da Roma per essere collocata sull’altare maggiore della chiesa dedicata alla santa fiorentina (Baldinucci), il M. dovette dare inizio a un’intensa attività per la corte granducale toscana, soprattutto in seguito alla morte di Dolci, avvenuta nel 1686. Come erede e diretto seguace del pittore, il M. eseguì molte opere di destinazione medicea, oggi in gran parte non identificate, tra le quali va segnalata la coppia di tele raffiguranti S. Agata in ghirlanda di fiori, realizzate nel 1689 per la granduchessa madre Vittoria Della Rovere (Spinelli; Bellesi, in Fiori dei Medici…, 2005).
Contornate da splendidi inserti floreali di A. Scacciati, queste tele, oggi conservate nei depositi delle Gallerie fiorentine, mostrano la completa adesione ai precetti formativi di Dolci, evidenti, oltre che nella cura analitica di ogni dettaglio, nell’intensa spiritualità espressa dalle figure, emananti pio e devoto bigottismo.
Utili termini cronologici per seguire l’attività matura del pittore risultano il 1694, anno in cui dipinse per la «cappella privata di Cammillo Serristori, un ovato, entrovi il Mistero della gloriosa Assunzione di Nostra Donna» (Baldinucci, p. 55), opera al momento non rintracciata, e il 1699, tempo di realizzazione della pala con l’Annunciazione nella chiesa della Misericordia a Lucignano (Fornasari).
Eseguita in coppia con un’Assunzione della Vergine di A. Gherardini, quest’ultima mostra le doti migliori del M., evidenti nel poetico rapporto tra la Madonna e s. Gabriele Arcangelo, e nella spettacolare formulazione del Dio Padre, che assiste con devota attenzione all’evento. La credibilità dell’episodio, indagato con notevole rigore naturalistico, appare enfatizzata dal «realismo magico» della scena, ambientata entro un raffinato spazio domestico, dove Maria, già intenta alle sue attività quotidiane, assiste, quasi con consapevole premonizione, al sacro annuncio divino. Il felice connubio tra terreno e paradisiaco appare sottolineato magistralmente dalla semplicità dello schema compositivo, che pone in risalto la ponderata e armoniosa gestualità delle figure. La stretta dipendenza stilistica dai modelli di Dolci si rileva essenzialmente nelle sigle tipologiche dei singoli personaggi e nell’accurata definizione pittorica, giocata, soprattutto, su tinte smaltate e preziosamente sfumate.
In base a un’iscrizione presente sul telaio è possibile datare entro il 1699 la tela con il Matrimonio mistico di s. Caterina (collezione privata: Guidi), opera proveniente dalla collezione Migliorani e relazionabile a un dipinto con questo stesso soggetto, oggi non identificato, menzionato da Baldinucci (p. 56) in palazzo Sanminiati dove, stando alle informazioni fornite dallo stesso biografo, era conservato anche un dipinto con «Sant’Agnese con un agnellino in collo, molto bello», forse identificabile con una tela conservata nelle Bayerische Staatsgemäldesammlungen a Monaco (Baldassari, 1995) o con un altro esemplare in collezione privata (Cantelli, 1983).
L’inizio del Settecento vide impegnato il M. soprattutto nell’esecuzione di affreschi in palazzo Capponi a Firenze, cantiere nel quale erano occupati i più importanti pittori toscani della vecchia e della nuova generazione. Dalle indicazioni di Baldinucci (p. 56) risulta che il M., ormai più che ottantenne, fu scelto dal «Marchese Capponi per dipignere a buon fresco una volta d’una gran camera del suo palazzo: dove rappresentò il Giorno e la Notte, con far veder Febo, tirato in carro d’oro da quattro cavalli, in atto di tuffarsi in mare, mentre sorge la Notte con diverse figure rappresentanti l’Ore di essa, seguìte da’ Crepuscoli e dall’Aurora».
L’opera, oggi non identificata ma riconducibile a pagamenti effettuati tra il 1705 e il 1706, anticipò la realizzazione di un nuovo affresco eseguito dal M. nello stesso edificio. Nel febbraio 1707, tramite l’allievo G. Rendelli, ottenne il rimborso per un modello realizzato in relazione all’affresco da dipingersi nella «prima Galleria». Per motivi oggi sconosciuti, forse dovuti alla tarda età del M., l’esecuzione di questo affresco, dopo un acconto di poco più di 20 scudi, fu, comunque, interrotta entro breve tempo. La galleria in questione, identificabile con quella presente al piano nobile del palazzo dalla parte del giardino, fu poi ultimata da M. Bonechi probabilmente negli anni Venti, tempo nel quale questo artista risultava attivo anche in altri importanti ambienti dello stesso palazzo. Il riconoscimento dell’opera ha dato la possibilità di individuare vari modelli preparatori più o meno affini, uno dei quali in collezione privata con l’attribuzione al Volterrano, poi spostata a Pignoni (Painting in Florence…; Bellesi, Ricognizioni…, 1996).
Dopo aver dipinto nel 1709 il proprio Autoritratto per le collezioni Medicee (Firenze, Uffizi), e nel 1711 il ritratto di Giuseppe Salvetti nella Fondazione Cavallini Sgarbi a Ferrara (Baldassari, 2004), nel 1714 il M. dette inizio alla sua ultima importante commissione pubblica: la pala con la Visione di s. Filippo Neri durante la celebrazione della messa per la chiesa oratoriana di S. Firenze (Bruscoli, 1986, p. 114), che a causa di un incidente occorso al M. durante l’esecuzione del dipinto, fu terminata nel 1715 dall’allievo Rendelli; la modesta qualità stilistica e l’eccessiva severità formale indussero comunque a trasferire l’opera, nel 1724, nei locali interni dello stesso edificio ecclesiastico.
Il M. morì a Firenze il 4 genn. 1716 e fu sepolto nella sede della «Compagnia di San Benedetto Bianco» (Baldinucci, p. 57).
Uomo dai molteplici interessi, oltre che alla pittura si dedicò in particolare allo studio degli strumenti musicali, e divenne apprezzato suonatore soprattutto di viola. Fu autore, inoltre, di un trattato di gnomonica, dal titolo Fabbrica et uso dell’annullo astronomico, in strumento universale per delineare Orivoli solari, illustrato con diciannove incisioni, dedicato al cardinale Leopoldo de’ Medici, insigne collezionista ed erudito del tempo, pubblicato a Firenze nel 1674.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Pal., E.B.9.5, IV: F.M.B. Gaburri, Vite di pittori, cc. 1878-1879; P.A. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1704, p. 299; F.S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII (1725-30), a cura di A. Matteoli, Roma 1975, pp. 53-61; A. Farinati Uberti, Notizie della terra di Cutigliano e di altri antichi luoghi del Pistoiese…, Lucca 1739, p. 129; F. Moucke, Serie di ritratti degli eccellenti pittori dipinti di propria mano…, III, Firenze 1756, pp. 201-206; M. Gregori, Postilla ritardata a due mostre, in Boll. dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato, n.s., XXXIII (1961), 23, p. 105; G. Cantelli, Precisazioni sulla pittura fiorentina del Seicento: i furiniani, in Antichità viva, X (1971), 4, pp. 9, 11, 13-16; F. Guidi, Pitture fiorentine del Seicento ritrovate, in Paragone, XXV (1974), 297, pp. 60-62; M. Mosco, Itinerario di Firenze barocca, Firenze 1974, pp. 19, 60, 69, 87; G. Cantelli, Una precisazione per O. M. e il Volterrano, in Antichità viva, XIV (1975), 2, pp. 22 s.; S. Meloni Trkulja, La collezione Pazzi (autoritratti per gli Uffizi)…, in Paragone, XXIX (1978), 343, p. 107; Painting in Florence: 1600-1700 (catal.), a cura di C. McCorquodale, London 1979, pp. 104 s.; G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Fiesole 1983, pp. 105 s.; M. Chiarini, in Disegni e incisioni della raccolta Marucelli… (catal.), a cura di G. Brunetti - M. Chiarini - M. Sframeli, Firenze 1984, p. 73; L. Sebregondi Fiorentini, La Compagnia e l’oratorio di S. Niccolò del Ceppo, Firenze 1985, pp. 13, 39; P. Bruscoli, in Il Seicento fiorentino… (catal.), Firenze 1986, I, p. 466; III, pp. 112-114; Id., in Pitture fiorentine del Seicento (catal.), a cura di G. Pratesi, Firenze 1987, pp. 85-87; R. Contini, Un apice «caravaggesco» fiorentino, in Paradigma, VIII (1988), p. 144; M. Gregori, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, I, pp. 315-321; P. Bruscoli, ibid., ibid. 1989, II, pp. 802 s.; S. Casciu, Inediti del Seicento fiorentino in Arezzo, in Paragone, XLV (1994), 529-533, p. 259; F. Baldassari, Carlo Dolci, Torino 1995, ad ind. (cfr. recensione di S. Bellesi, in Antichità viva, XXXV [1996], 2-3, pp. 73 s.); Id., Repêchage di O. M., in Paradigma, XI (1996), pp. 59-62; S. Bellesi, Ricognizioni sull’attività di Francesco Botti, in Boll. dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato, LXXVII (1996), 63, pp. 80 s.; La collezione Feroni. Dalle Province Unite agli Uffizi (catal.), a cura di C. Caneva, Firenze 1998, pp. 39, 126; R. Spinelli, in La natura morta a palazzo e in villa: le collezioni dei Medici e dei Lorena (catal., Firenze), a cura di M. Chiarini, Livorno 1998, pp. 164 s.; B. Bitossi, in Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato (catal., San Miniato), a cura di R.P. Ciardi, Pisa 2000, I, pp. 86 s.; II, pp. 74-76; L. Zangheri, Gli accademici del disegno. Elenco alfabetico, Firenze 2000, p. 200; L. Fornasari, Arezzo e provincia tra Firenze e Roma, in Storia delle arti in Toscana. Il Seicento, a cura di M. Gregori, Firenze 2001, pp. 249 s.; S. Bellesi, in La Pinacoteca dell’Accademia di belle arti di Carrara, a cura di A.V. Laghi, Milano 2002, p. 61; Id., Vincenzo Dandini e la pittura a Firenze alla metà del Seicento, Ospedaletto 2003, p. 36; R. Maffeis, in Arte in terra d’Arezzo. Il Seicento, a cura di L. Fornasari - A. Giannotti, Firenze 2003, pp. 94, 96-98; F. Baldassari, La collezione P. ed E. Bigongiari, Milano 2004, pp. 57-59, 146-149; S. Bellesi, in La ricerca della natura. La collezione P.L. Amata (catal.), a cura di C. Strinati, Roma 2005, pp. 70 s.; Id., Tendenze e orientamenti naturalistici nella pittura fiorentina della prima metà del Seicento, in Luce e ombra: caravaggismo e naturalismo nella pittura toscana del Seicento (catal., Pontedera), a cura di P. Carofano, Ospedaletto 2005, pp. CXVII, CXIX; Id., in Fiori dei Medici. Dipinti dagli Uffizi e dai Musei fiorentini (catal., Terlizzi), a cura di M.L. Strocchi, Cinisello Balsamo 2005, pp. 48 s.; R. Ciabattini, in Badia a Pacciana. Chiesa di S. Maria Assunta: storia e arte, a cura di O. Melani - R. Ciabattini, Ospedaletto 2005, pp. 60-63; C. Monbeig Goguel, Musée du Louvre… Dessins toscans XVIe-XVIIIe siècles, II, 1620-1800, Paris-Milano 2005, p. 299; F. Baldassari - F. Gheri, in Florence 1600-1780… (catal.), a cura di E. di Robilant - M. Voena, London 2006, pp. 24-27; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 103.