Opera all'ultimo atto
La vita delle fondazioni liriche è sempre più faticosa: un debito complessivo di 320 milioni di euro (e pochissimi sono gli enti virtuosi), ma anche l’incapacità di adeguarsi agli standard dei principali teatri europei. E alla Scala (che ha chiuso in pareggio) scoppia il caso Pereira.
«Lo Stato considera l’attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale, in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale». Così è scritto nell’art. 1 della legge 800 varata nel 1967 e che rimane ancora il testo regolatore della vita delle case dell’opera italiane, allora enti di diritto pubblico, oggi fondazioni di diritto privato. In questi 47 anni due dati rimangono costanti: i sindaci delle città che ospitano un teatro d’opera riconosciuto di «interesse generale» (Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma – Teatro dell’Opera e Accademia nazionale di Santa Cecilia –, Palermo, Torino, Trieste, Venezia, Verona) sono i loro presidenti e il budget assegnato dai contributi pubblici non è mai stato rispettato.
A oggi, il debito complessivo delle fondazioni liriche è di 320 milioni di euro: «La loro attività non genera un flusso di cassa positivo, anzi lo brucia; non hanno un patrimonio che le sostiene e hanno invece un importante debito storico. È un sistema fragile dal punto di vista patrimoniale e finanziario. La classe dirigente dei nostri teatri deve essere più forte», questa la fredda diagnosi di Pierfrancesco Pinelli, ingegnere, una carriera nell’industria privata, nominato ‘supercommissario’ dell’opera italiana con l’obiettivo di risanare i bilanci delle 8 fondazioni che hanno aderito al fondo speciale di 100 milioni di euro istituito nel 2013 dalla legge Valore cultura: «Un’occasione importante, forse l’ultima, per coniugare in modo strategico le capacità artistiche con una cultura gestionale e organizzativa più avanzata». Un ennesimo ripiano dei debiti, a condizioni di estremo favore, ma a un patto: preparare un credibile piano di risanamento.
Non tutti i teatri sono uguali: mentre Firenze e Roma hanno accumulato negli ultimi anni pesanti passivi, Torino e Venezia hanno saputo coniugare un attento governo dei conti con un’offerta significativa per quantità di spettacoli prodotti. La Fenice, inoltre, si è distinta per una programmazione più diversificata, dal barocco alla contemporaneità, un repertorio, quest’ultimo, in Italia trascuratissimo, a differenza di quanto accade in altri paesi. E se non metti in scena nuovi titoli, privilegiando esclusivamente quelli consegnati dalla tradizione, fatalmente ci si ritroverà sempre più spesso a discutere della regia di uno spettacolo. Dopo 100 Traviate cos’altro può fare Alfredo per attirare l’attenzione? Tagliare sedani e zucchine preparando un minestrone di verdure all’amata Violetta, come è accaduto nell’allestimento curato da Dmitri Tcherniakov che ha inaugurato la Scala il 7 dicembre 2013.
Molta attenzione, restando alla Scala (che anche nel 2014, per il decimo anno consecutivo, ha presentato il bilancio in pareggio), è rivolta ai primi passi del nuovo sovrintendente, Alexander Pereira, che, quando la sua nomina non era ancora operativa, ha siglato un contratto per la ‘coproduzione’ di spettacoli del Festival di Salisburgo, di cui era lui stesso direttore artistico. Un’operazione che alcuni membri del Consiglio di amministrazione della Scala hanno giudicato non autorizzata, chiedendo le dimissioni del neo sovrintendente. Pereira si è difeso ricordando che la programmazione artistica esige tempi rapidi, dunque l’accordo andava concluso al più presto, e che «a conti fatti l’affare lo ha fatto la Scala». Alcune sue affermazioni sono sembrate esagerate – «mi basta alzare il telefono per convincere gli sponsor a dare milioni di euro alla Scala» – e le cifre che ha fornito non comprendevano le spese artistiche per mettere in scena quei titoli, ma soltanto il costo del noleggio.
La querelle si è conclusa con la conferma dell’incarico a Pereira, però (per ora) a termine: soltanto fino a tutto il 2015, stagione nella quale la Scala dovrà presentare un’offerta degna delle aspettative di una città sede dell’Esposizione universale. In questo periodo il teatro prevede 270 alzate di sipario, di cui la metà concentrate tra maggio e ottobre, durante l’Expo.
Apertura ogni sera, come normalmente accade a Vienna, Berlino, Parigi, Londra, senza squilli di trombe, rispettando il patto che regola la vita delle principali istituzioni operistiche internazionali: ricevo soldi pubblici, svolgo un servizio pubblico.
Chi sostiene Pereira
Nato a Vienna nel 1947, dopo una lunga esperienza lavorativa presso la Olivetti (motivo per cui parla perfettamente italiano) nel 1984 Alexander Pereira divenne segretario generale della Konzerthaus di Vienna. Dal 1991 al 2012 è stato direttore dell’Opera di Zurigo, inaugurando la sua gestione con un memorabile Lohengrin per la regia di Robert Wilson; in questo periodo non solo ha commissionato numerose opere nuove per questo teatro, ma si è fatto promotore del Festival d’estate di Zurigo dal 1997. Nel 2012 è stato designato direttore artistico del Festival di Salisburgo per 5 anni: sua la creazione di Overture spirituelle, sorta di festival nel festival dedicato alla musica sacra e al dialogo musicale tra diverse religioni. La nomina nel 2013 a sovrintendente del Teatro alla Scala, in carica effettiva dall’ottobre 2014, lo ha portato a rescindere l’impegno con Salisburgo con 2 anni di anticipo e ad assumere un incarico di consulente a Milano, affiancando Stephane Lissner, il sovrintendente della Scala ancora in carica. Poi le polemiche per essersi impegnato, senza averne la delega, per conto della Scala ad acquistare da Salisburgo la produzione di Falstaff, Lucio Silla, Don Carlo e la coproduzione dei Maestri cantori di Norimberga per un totale di poco meno di 700.000 euro (a cui si aggiungerebbe un impegno informale per altre 3: il Finale di partita di Kurtag, Der Rosenkavalier e il Trovatore, per una somma quasi uguale): qualcuno insinua per ripianare i conti traballanti di Salisburgo.