POLIGONALE, OPERA
. Si chiama in questo modo, con nome convenzionale moderno, quel sistema antichissimo di costruzione, che consiste nel sovrapporre massi enormi gli uni sugli altri, senza calce e senza un taglio regolare del contorno, ma solo con una semplice squadratura nei punti di contatto fra i varî blocchi: questi perciò si presentano in facciata come tanti poligoni. Tale modo di costruire, che è il più antico che l'uomo abbia conosciuto, si chiama anche opera pelasgica, o ciclopica. Comincia nella civiltà cretese-micenea, dove trova la massima applicazione nelle mura di Tirinto e di Micene, e poi si espande per tutta la Grecia classica e per l'Italia, specialmente centrale. Fu usato di preferenza nei territorî dove esisteva un fondo naturale calcareo, più agevole a tagliarsi in questa maniera che non in forma di blocchi parallelepipedi, e fu adoperato per le mura e le torri di città, per le torri isolate (monopirgi), per i basamenti e i recinti dei templi, per grandi sepolcri, platee di ville e cisterne di notevoli proporzioni.
Per ciò che riguarda la tecnica dell'opera poligonale e il suo uso in Oriente e in Grecia, v. muro; qui si aggiungono alcune osservazioni particolari relative all'opera poligonale in Italia. Fino alla metà circa del secolo XIX si credeva che l'opera poligonale fosse il portato d'una stirpe antichissima, immigrata in Italia nel secondo millennio a. C., i mitici Pelasgi, e quindi le costruzioni fatte con questo sistema si datavano all'età del bronzo, se non pure ad età ancora più remota. La critica moderna ha ormai sfatato questa credenza, e ha riportato l'uso delle mura ciclopiche al periodo della formazione delle città italiche, dal sec. VII a. C. fino al IV e III a. C. Resta tuttavia molta incertezza per una cronologia più precisa, la quale non può essere fatta che caso per caso, ponendo in relazione le vicende storiche d'ogni città con la costruzione delle sue mura e dei suoi monumenti.
Giustamente osserva R. Fonte-a-Nive che, piuttosto che di epoche, è meglio parlare di forme e di maniere distinte, una successione per età essendo cosa molto incerta. Egualmente non dobbiamo ritenere che tutte le costruzioni di questo tipo siano città o templi, ma in molti casi è dimostrato che si tratta di basamenti di ville (Salissano e Monticchio presso Terracina, Colle degli Arci in Sabina, ecc.) o semplicemente di terrazze sostruttive per la coltivazione del terreno (Monte Croce nell'Agro Pontino, Monte Gennaro, Pisoniano, ecc.).
La poderosa platea artificiale di Grotte di Torri in Sabina mostra un legamento perfetto fra l'opera poligonale dell'esterno e l'opera incerta dell'interno, datando perciò ambedue all'età fra i Gracchi e Silla, cioè fra il 120 e l'80 a. C. L'acquedotto di Angizia sul Fucino, è dell'età di Claudio.
Per quanto riguarda l'opera di difesa delle città italiche, si possono distinguere tre periodi: un primo periodo più antico, fra il secolo VII e il VI a. C., in cui i blocchi sono lasciati grezzi in superficie e non combaciano esattamente fra loro, trovandosi fra gl'interstizî alcuni frammenti più piccoli e sassi informi; un secondo periodo intermedio (secolo V-IV) in cui le giunture divengono molto più esatte, le pareti esterne bene levigate, i blocchi più regolari e simmetrici; e infine un terzo periodo più recente, che tende all'opera quadrata, con filari spesso disposti a piani orizzontali, anche se questi non sono uniformi per tutto l'andamento del muro. Con questo terzo sistema si entra nell'età romana e si può arrivare in casi sporadici, e in territorî a fondo calcareo, fino all'impero di Augusto.
Bibl.: Della vasta bibliografia sull'argomento basterà citare le seguenti opere principali: J. I. Middleton, Grecian Remains in Italy, Londra 1812; W. Gell e J. Gerard, in Ann. Inst. Corrisp. Arch., 1831, p. 408 segg.; L. C. F. Petit-Radel, Recherches sur les monuments cyclopéens, Parigi 1841; E. Dodwell, Pelasgic Remains in Greece and Italy, Londra 1834; C. Promis, Le antichità di Alba Fucense, Roma 1836; R. Fonte-a-Nive, Avanzi detti ciclopici nella provincia di Roma, Roma 1887; G. B. Giovenale, in Diss. Pontif. Accad. Rom. d'Arch., 1899; T. Ashby, Mélanges École française de Rome, 1905, p. 181 segg.; L. Savignoni-R. Mengarelli, in Notizie Scavi, 1901, p. 514; 1903, p. 229 segg.