OFFSHORE, OPERE
Con il termine inglese offshore (letteralmente "fuori costa") si indicano genericamente le opere realizzate dall'uomo in mare, lontano dalle coste. La branca dell'ingegneria che si occupa di tali opere viene analogamente detta offshore. La grande maggioranza delle o.o. è legata alla coltivazione dei giacimenti di prodotti petroliferi, scopo per il quale furono inizialmente concepite e realizzate. Successivamente si è verificato un notevole impulso nella progettazione ed esecuzione di opere non collegate all'attività predetta: si citano principalmente i progetti per lo sfruttamento dell'energia del moto ondoso e quelli per la creazione di isole galleggianti, destinate all'ubicazione di aeroporti civili, di impianti di produzione di energia, di industrie di trasformazione di materie prime, di centri turistico-ricreativi. Anche altre attività richiedono la presenza di opere ubicate in mare aperto. A tal riguardo è sufficiente considerare: le tubazioni per trasporto di prodotti di svariata natura (per es. gasdotti e oleodotti; tubazioni di scarico degli impianti di trattamento di acque reflue; acquedotti per il rifornimento di isole); le opere di presa e di restituzione di acqua marina per impianti di raffreddamento di centrali termoelettriche o di altri impianti industriali; le opere per la segnalazione di rotte o di canali e per la misura di parametri oceanografici. Vi è inoltre una valida prospettiva di coltivazione di fondali oceanici profondi per scopi diversi da quelli petroliferi (estrazione di noduli di minerali diversi, quali il nichel e il manganese, presenti in grande quantità in alcuni siti).
La ''lontananza'' delle o.o. dalle coste può essere anche notevole, a seconda dell'estensione della piattaforma continentale (convenzionalmente fino alla batimetrica −200÷−300), alla quale fino a pochi anni fa era limitato il campo delle applicazioni pratiche. Attualmente peraltro, in dipendenza sia del continuo incremento di richiesta dei prodotti petroliferi, sia della possibilità di estrazione dai fondali marini di prodotti diversi da quelli petroliferi, sono aumentate le profondità d'impianto delle o.o. e le difficoltà ambientali (per es. mare Artico), e ci si è proiettati verso strutture sempre più impegnative dal punto di vista tecnico ed economico.
Lo sviluppo delle o.o. è stato accompagnato da un notevole sviluppo della ricerca nel campo oceanografico-marittimo, data l'importanza che nella progettazione delle opere stesse riveste la conoscenza delle forze agenti, fondamentalmente legate al moto ondoso e ad aspetti di questo poco studiati in passato, come la natura aleatoria delle oscillazioni superficiali, la loro distribuzione in frequenza e in direzione, la presenza di raggruppamenti particolari di onde (grouping), la non linearità del fenomeno del moto ondoso e gli aspetti che ne conseguono. Tutto il settore delle opere marittime ha risentito favorevolmente degli impulsi derivanti dalle o.o., dal momento che esse hanno comportato un incremento delle conoscenze e un'approfondita utilizzazione degli strumenti matematici e fisici a disposizione degli studiosi e dei tecnici. Alcuni degli sviluppi più interessanti dell'ingegneria strutturale, geotecnica e dei materiali sono legati alla nascita delle o.o.; si citano come esempi: lo studio delle interazioni onde-strutture e delle oscillazioni conseguenti; l'insorgere di fenomeni particolari al contatto opera-terreno; i rilevanti aspetti di corrosione dei materiali, di sollecitazioni di fatica e così via.
In Italia il campo delle o.o. ha trovato fin dall'inizio applicazioni rilevanti e ha destato il più grande interesse. I contributi innovativi nel campo della concezione e della costruzione delle diverse strutture impiegate sono stati numerosi, con riguardo a realizzazioni sia all'estero che nella nostra nazione. Un esempio recente molto interessante è quello della piattaforma VEGA installata nel canale di Sicilia, destinata alla coltivazione di un importante giacimento di idrocarburi.
Nel campo dello sfruttamento dei prodotti petroliferi l'attività di esplorazione, estesa praticamente a tutte quante le acque costiere, ha portato a un progressivo aumento delle riserve accertate in giacimenti offshore. Si stima che dell'intera riserva mondiale di petrolio circa il 30% si trovi al di sotto dei fondali marini. Le zone più interessanti sono risultate il Mare del Nord, il Golfo del Messico, il Golfo Arabico, il Mar Caspio, le coste africane occidentali, quelle dell'Alaska e dell'Australia. In Italia vi sono giacimenti abbastanza importanti, pur se di difficile coltivazione, nel Mar Adriatico e nel Canale di Sicilia.
In effetti lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi al di sotto dei fondali marini iniziò già verso la fine del 19° secolo (1897), allorquando lungo le coste della California vennero realizzati pontili sui quali s'installarono le attrezzature per l'estrazione. Si trattava allora del semplice estendimento a mare dello sfruttamento di alcuni giacimenti costieri, limitatamente a poche centinaia di metri di distanza dalla battigia. Verso il 1920 vennero installate, in lagune costiere o bracci di mare protetto, le prime piattaforme fisse (di legno); le profondità erano peraltro basse e la distanza dalla terraferma ridotta (lago di Maracaibo in Venezuela). La prima piattaforma vera e propria in mare aperto, in acciaio, venne realizzata nel 1947 nel Golfo del Messico, al largo delle coste della Louisiana, costituendo un prototipo che ha avuto notevole successo e numerosissime applicazioni successive, soprattutto nel campo dell'offshore messicano-statunitense.
Si tratta di piattaforme a traliccio (jackets), costituite da elementi tubolari d'acciaio, vincolate al fondale marino con pali inseriti nelle colonne principali (fig. 1). Nel corso del tempo si è avuto un progressivo aumento del diametro delle colonne e delle dimensioni dei controventi. Sono state ideate tipologie standard a 4, 6, 8 gambe, raggiungendo profondità d'acqua sempre più elevate. Il record di profondità (412 m), per le piattaforme a traliccio, spetta attualmente alla piattaforma Bullwinkle installata dalla Shell nel Golfo del Messico (1988).
Una progressiva evoluzione della tipologia strutturale si è avuta successivamente al 1970, con l'inizio dello sfruttamento di giacimenti nel Mare del Nord, in zone caratterizzate da condizioni meteo-marine particolarmente gravose (altezze d'onda di progetto superiori ai 20 m, velocità del vento superiori a 40 m/s). In un primo tempo si sono sviluppate piattaforme dette ''a gravità'', sia d'acciaio che di calcestruzzo, semplicemente appoggiate sul fondo marino e mantenute in equilibrio stabile per effetto del solo peso. Da alcune piattaforme di quel tipo si possono diramare numerosi pozzi di estrazione (oltre 20). Le strutture a gravità diventano eccessivamente grandi e onerose al crescere della profondità di posa (il costo cresce esponenzialmente con la profondità). Pertanto sono state ideate piattaforme ancorate in diversi modi (torri strallate; ad ancoraggi tesi verticali, ecc.; per una descrizione più dettagliata dei singoli tipi, v. oltre).
Si è soliti classificare le o.o. in base alle diverse utilizzazioni previste nel processo di sfruttamento dei giacimenti sottomarini: piattaforme o navi di esplorazione; piattaforme di produzione; serbatoi di accumulo; piattaforme di carico e scarico.
Piattaforme o navi di esplorazione (o di trivellazione). − Sono attrezzature in grado di spostarsi con i propri mezzi o con l'ausilio di rimorchiatori, rimanendo fisse nelle zone preventivamente individuate con indagini geofisiche e studi geologici. Attualmente si è in grado di raggiungere con gli strumenti d'indagine qualunque fondale.
Fino a profondità non troppo elevate (circa 100 m) si usano le piattaforme autoelevatrici (jack-up), costituite essenzialmente da tre colonne a traliccio, sulle quali può scorrere, con un sistema del tipo a cremagliera, il ponte che ospita gli impianti e le attrezzature di perforazione.
Sono anche usate, pervenendo fino a profondità molto elevate, le piattaforme sommergibili, ancorate nella zona da esplorare con catene di acciaio e ancore. A volte sono di dimensioni cospicue e possono essere impiegate anche per la messa in produzione anticipata, in attesa della messa in opera di piattaforme fisse. Nei campi ''marginali'', di modeste dimensioni, possono svolgere l'intera fase produttiva. Soprattutto in presenza di alti fondali la tendenza odierna è quella di abbinare le due funzioni, di esplorazione e di produzione.
Spesso sono impiegate le navi di trivellazione (drill ships), che possono operare fino a 600 m di profondità e che talvolta possono essere mantenute nella posizione prefissata per mezzo di un sistema di eliche regolate in base ai comandi trasmessi da sofisticati sistemi di posizionamento.
Piattaforme di produzione. - In generale vengono installate in una posizione opportuna del giacimento per il suo sfruttamento completo. A volte le piattaforme (se di tipo galleggiante) possono essere reimpiegate in diversi giacimenti. Le piattaforme possono essere classificate in base al tipo di materiale utilizzato per la loro costruzione. Si distinguono: piattaforme di acciaio (con le tre sottocategorie delle piattaforme fisse su pali, a gravità, semisommergibili) e piattaforme di calcestruzzo, tutte del tipo a gravità. I due materiali presentano numerosi vantaggi e svantaggi relativamente alle caratteristiche fisiche e chimiche; la scelta fra le diverse soluzioni strutturali deriva da una serie di fattori, fra i quali la profondità d'installazione, la natura del terreno di fondazione, il costo, il tempo di realizzazione, la necessità o meno di stoccaggio, ecc.
Già si è accennato alla tipologia costruttiva delle piattaforme a traliccio. Nella fig. 2, A e B, sono messi in evidenza gli elementi che compongono un tradizionale jacket: lo scheletro portante a traliccio, i pali di fondazione inseriti nelle colonne principali e il ponte attrezzato (deck). Il diametro dei tubi costituenti le colonne può superare i 2 m: i tubi vengono ottenuti per piegatura a caldo di lamiera di conveniente spessore e saldatura lungo la generatrice. I vari elementi di tubo sono collegati fra di loro in modo che le saldature longitudinali siano sfalsate di un angolo uguale o superiore a 90°.
La costruzione avviene generalmente in posizione ''coricata'' (cioè secondo il lato di maggiore lunghezza): a fine costruzione i jackets vengono caricati a bordo di chiatte facendoli strisciare su tubi-binari (skid) saldati alla struttura metallica. La chiatta viene rimorchiata nella località prescelta e, con opportuni sistemi di allagamento, è fatta inclinare in modo da permettere lo scivolamento a mare del jacket che viene poi posizionato verticalmente sul fondo (fig. 3). Altre volte i jackets sono costruiti in un apposito bacino e muniti di galleggianti che vengono rimossi dopo il trasporto e il posizionamento. Al termine di questo si procede alla battitura dei pali e quindi all'installazione del deck, costituito in generale da moduli prefabbricati.
Per le piattaforme più alte si è talora utilizzata la tecnica di costruirle in più pezzi, ciascuno trasportato in galleggiamento e giuntato in sito al precedente già posizionato. Inoltre in taluni casi è stato necessario sagomare opportunamente la base delle torri in modo da poter inserire pali in numero superiore a quello che sarebbe possibile utilizzando solo l'interno delle torri stesse.
Un tipo particolare di piattaforma a jacket è quella cosiddetta a tripode, costituita da un deck sostenuto da tre gambe a traliccio unite a una profondità sotto il livello marino coincidente con il punto di applicazione della spinta massima esercitata dall'onda.
Le piattaforme a gravità (gravity platforms), a parte l'uso di materiali diversi, presentano notevoli differenze di concezione e di caratteristiche strutturali, a seconda della profondità e della geomorfologia dei terreni d'imposta. Nel caso d'impiego dell'acciaio, normalmente l'opera è composta da una struttura reticolare collegata a cilindri d'acciaio di grande diametro, che hanno la funzione di galleggianti in fase di trasporto e che successivamente consentono, con il loro progressivo allagamento, l'affondamento e il posizionamento (fig. 4). Il completo riempimento dei cilindri con acqua marina assicura la necessaria stabilità in fase di esercizio.
Le strutture a gravità sono spesso più economiche di quelle su pali e d'installazione più rapida (fattore molto importante in mare aperto specie se tempestoso), ma richiedono la presenza di terreni di fondazione di sufficiente resistenza per sopportare il peso della struttura. Le strutture stesse, nonché quelle su pali, non possono raggiungere profondità troppo elevate (oltre 500 m), per l'insorgere di problemi di stabilità a causa dell'interazione con il moto ondoso. Un aspetto interessante delle piattaforme a gravità è la possibilità d'immagazzinare nei cilindri di zavorra il greggio estratto, espellendo l'acqua contenuta, evitando così la costruzione di separate e costose opere di accumulo.
Le piattaforme di calcestruzzo armato (fig. 5), spesso comprendenti membrature precompresse, generalmente sono costruite fino a una determinata altezza in un bacino allagabile; in seguito sono trasportate in galleggiamento in un bacino naturale di conveniente profondità e ivi completate, dopo di che vengono trasportate nella zona d'installazione e affondate. La base è costituita da una serie di celle (di sezione rettangolare o circolare) fra loro affiancate; sulla base sono incastrati i piloni, normalmente quattro, che sopportano la sovrastruttura (deck). Spesso l'insieme dei piloni è circondato da un muro perimetrale forato avente lo scopo di dissipare l'energia del moto ondoso incidente (parete tipo Jarlan).
Le piattaforme semisommergibili, alle quali si è già accennato trattando delle opere adibite alla perforazione dei pozzi (v. idrocarburi, App. IV, ii, p. 147), rappresentano attualmente il mezzo più diffuso per operare in grande profondità: vengono collegate alle teste di pozzo mediante montanti-guida (risers). Il materiale generalmente usato per la costruzione è l'acciaio, ma non mancano esempi di applicazione del calcestruzzo armato (per la parte sommersa che fornisce la spinta di galleggiamento). Il livello di affondamento può essere variato agendo sul grado di riempimento della parte sommersa. Problema fondamentale delle piattaforme semisommergibili è quello della valutazione delle azioni in gioco, alle quali commisurare i dispositivi di ancoraggio (di solito del tipo a catenaria) e tutte le strutture portanti. Regola generale è quella di evitare per quanto possibile che i tre periodi propri di oscillazione della struttura ricadano nell'intervallo prevalente dei periodi propri delle onde di mare (4÷20 s). Altro rilevante problema è costituito dalla presenza di inevitabili movimenti che rendono complesso il collegamento permanente con i pozzi di produzione.
Oltre ai tipi di piattaforma sinteticamente descritti, che sono i più diffusi, ne sono stati ideati, e in parte realizzati, numerosi altri, soprattutto in vista delle applicazioni per profondità superiori ai 200÷300 m.
In via puramente indicativa possono elencarsi le seguenti.
Piattaforma galleggiante ad ancoraggi tesi (TLP, Tension Leg Platform), di struttura simile alle semisommergibili, ma collegata a strutture a gravità o a pali infissi nel fondo marino da linee di ancoraggio verticali (in pratica tubi d'acciaio saldati di notevole spessore) mantenute in tensione dall'eccesso di spinta della piattaforma, forzata al di sotto del normale livello di galleggiamento da un temporaneo riempimento con acqua (fig. 6). La struttura così vincolata può subire solo moti orizzontali, essendo impediti i moti di rollio, beccheggio e sussulto. Questo tipo di piattaforma risulta costoso soprattutto per gli oneri derivanti dall'installazione e manutenzione degli ormeggi e dei risers. È stata già installata una TLP su un fondale di 150 m, ma ne è prevista l'applicazione su profondità anche superiori a 1000 m.
Piattaforme strallate, facenti parte del gruppo denominato delle compliant platforms ("cedevoli"), in quanto non si oppongono rigidamente alle azioni esterne (vento, onde, correnti, ecc.). In generale il deck è sostenuto da una struttura reticolare di acciaio di sezione costante, praticamente incernierata in corrispondenza del fondale (in realtà il collegamento al fondale è assicurato da una serie di pali collegati alla torre in testa e disposti molto vicini fra loro). La stabilità è garantita (fig. 7) da una serie di cavi di ancoraggio facenti capo a una zavorra appoggiata sul fondale marino, in prosecuzione della quale si sviluppa il vero e proprio ancoraggio (catene e corpi morti). Fino a una determinata tensione negli stralli le zavorre (clump weight) restano appoggiate sul fondale. Per tensioni superiori le zavorre vengono sollevate, parzialmente o totalmente, funzionando da smorzatori delle oscillazioni.
Torri a gravità, adatte per profondità fino a 350÷400 m, di concezione simile a quella delle piattaforme strallate, ma con stabilità laterale assicurata dalla presenza di grandi celle di galleggiamento di calcestruzzo disposte dalla superficie fino a conveniente profondità. La base è zavorrata per mantenere una forza verticale diretta verso il basso sul giunto-cerniera di base.
Piattaforma articolata oscillante, simile alla precedente come schema funzionale, ma costituita da un'unica colonna a sezione circolare di calcestruzzo armato, collegata alla base con un giunto cardanico universale (fig. 8). Le profondità ottimali d'impiego vanno dai 70 ai 350 m.
Piattaforma telescopica ''Arcolpod'', variante del precedente schema, ma con innovazioni interessanti riguardanti la scelta di una colonna telescopica, che consente in condizioni di minima estensione un agevole trasporto anche con deck montato, e la presenza di uno snodo non meccanico, costituito da un fascio di cavi flessibili di materiale sintetico ad alta resistenza.
Torre tetraedrica ''ATT'', concepita per bassi fondali in alternativa ai tralicci tradizionali, e basata sul concetto di ridurre i costi e i tempi di costruzione e installazione a mezzo di una struttura modulare (moduli spaziali tetraedrici) caratterizzata da aste cilindriche tutte portanti e di uguale diametro (anche se con spessori diversi) e da nodi identici per forma e grandezza.
Sistema SWOPS (Single Well Offshore Production System), usato per lo sfruttamento di piccoli giacimenti e costituito da una petroliera attrezzata per l'estrazione, il trattamento e lo stoccaggio degli idrocarburi. Terminato il carico, la petroliera ritira il riser e va a scaricare al terminale più vicino, per poi tornare al pozzo. Ovviamente molto curato è il dispositivo di collegamento fra riser e testa del pozzo, che deve consentire la massima facilità di sgancio e riaggancio. Si ricorda che un tempo si considerava che il limite minimo di convenienza per lo sfruttamento di un giacimento consistesse nella disponibilità di 40÷50 milioni di barili, mentre con i sistemi moderni, fra i quali è compreso lo SWOPS, il limite è sceso a 3÷4 milioni di barili.
In conclusione, pur senza ritenere esaustiva l'elencazione effettuata, esiste una grande varietà di concezione per le piattaforme di produzione offshore. Si è tentato d'individuare un campo ottimale di applicazione per ciascuno dei tipi fondamentali, ma le indicazioni che vengono talvolta fornite sotto forma di grafici vanno intese solo come indicative. È infatti vero che a parità di prestazioni sono le condizioni economiche a prevalere, ma è anche vero che a sfavore di soluzioni innovative gioca la necessità di acquisire notizie sicure sul loro comportamento nel tempo, nonché un grande sforzo progettuale per cercare d'individuare tutti i punti critici delle strutture. Ciò spiega perché si siano adottate soluzioni tradizionali come i jackets ben al di là di quelli che vengono ritenuti i limiti di convenienza applicativa.
Comunque, in linea di massima, fino a profondità dell'ordine di 200 m sono ritenute più vantaggiose le piattaforme fisse convenzionali, su pali o a gravità; fra i 200 e i 400 m le piattaforme ''cedevoli'', tipo le torri strallate, oppure strutture a tripode; oltre i 400 m le piattaforme galleggianti ad ancoraggi tesi. Per profondità molto elevate, fino a 3000 m e oltre, si ritiene che prenderanno piede i cosiddetti ''sistemi satelliti'', completamente sottomarini, utilizzanti strutture emergenti molto leggere, solo al fine di accesso agli impianti e di caricamento del prodotto su petroliere.
Serbatoi sottomarini. - Si sono sviluppati progressivamente fino ad assumere dimensioni sempre più grandi, in alternativa e come integrazione al trasporto diretto fino alla terraferma mediante condotte sottomarine (sea-lines). Schematicamente le tipologie possono essere distinte in serbatoi integrati con la piattaforma di produzione, serbatoi galleggianti o serbatoi fissi sottomarini. Il primo tipo, cui si è già fatto cenno, trova la sua più frequente applicazione nelle piattaforme a gravità. Il punto di carico e scarico dei prodotti immagazzinati è situato a circa un miglio marino di distanza dalla piattaforma, con la quale è collegato a mezzo di sea-line. I serbatoi galleggianti possono essere costituiti o da una vera e propria nave vincolata a una boa, o da una struttura del tipo boa di grandi dimensioni opportunamente ancorata al fondale marino. I serbatoi fissi sono costituiti da veri e propri serbatoi sottomarini associati a una torre per le operazioni di attracco e di scarico delle navi.
I serbatoi sottomarini sono meno vulnerabili degli altri, con riferimento sia alle perturbazioni ambientali sia all'urto delle navi; sono sempre pieni di liquido, sia esso il prodotto petrolifero o l'acqua marina che lo ''spiazza''. Ovviamente molto curati sono i dispositivi per la separazione dei due liquidi, al fine di evitare fenomeni d'inquinamento. Particolarmente delicate sono per i serbatoi sottomarini le operazioni di trasporto e di collocamento in opera, che costituiscono in generale le fasi più delicate nel corso della vita delle strutture.
Piattaforme di carico. - Sono generalmente strutture di dimensioni contenute (talvolta semplici boe attrezzate) destinate soltanto all'ormeggio e al rifornimento delle navi adibite al trasporto dei prodotti estratti. Sono stati spesso usati in passato i ''campi di boe'' (sistemi di boe che consentono l'ormeggio nella direzione dei venti, delle onde e delle correnti prevalenti) e le cosiddette torri di ormeggio, strutture rigide con limitazioni di profondità e di costo elevato. I campi di boe richiedono condizioni particolari per il loro impiego (non si adattano a condizioni molto variabili in direzione di vento e di mare), le torri costituiscono un ostacolo per la navigazione; pertanto i due sistemi sono stati sostituiti quasi ovunque da strutture di tipo ''cedevole'', quali le monoboe e le colonne articolate (fig. 1), vincolate al fondo con speciali snodi di collegamento, costituenti cerniera e in grado di consentire il passaggio delle tubazioni.
Per quanto riguarda le o.o. adibite a usi diversi da quelli petroliferi, i progetti per lo sfruttamento dell'energia del moto ondoso sono numerosi e basati su apparecchiature ingegnose (si ricordano i cilindri oscillanti, le colonne d'acqua oscillanti, ecc.). Si tratta tuttavia di sistemi costosi e la cui produzione di energia è comunque variabile e discontinua. Realizzazioni di qualche interesse sono limitate a poche zone del globo.
Le isole galleggianti sono state ideate soprattutto per risolvere problemi d'inquinamento e di congestione delle aree terrestri. Ciò spiega il fatto che gli studi più avanzati per la realizzazione di tali isole abbiano riguardato l'installazione di aeroporti civili, o di impianti di produzione di energia potenzialmente pericolosi (soprattutto centrali termoelettriche a carbone o nucleari); più rare, e relative soprattutto a zone sovraffollate, sono le proposte per scopi turistico-ricreativi. Problema importante da risolvere in questo tipo di opere è quello dei collegamenti con la terraferma, che possono essere aerei, navali o terrestri (anche sottomarini). Relativamente alle configurazioni strutturali principali, le isole galleggianti possono suddividersi in strutture galleggianti (cassoni rettangolari o poligonali) e semisommergibili (cassoni immersi che sostengono la piattaforma emersa con colonne). Le prime sono più sensibili alle azioni marine. Ambedue i tipi presentano problemi cospicui di ancoraggio al fondale. I sistemi più in uso sono quelli a cavi tesi (usati per bassi fondali e richiedenti l'uso di apparecchiature di compenso delle oscillazioni di marea) e a catenaria. Vedi tav. f.t.
Bibl.: B.J. Muga, J.F.Wilson, Dynamic analysis of Ocean structures, New York 1970; J.P. Hooft, Advanced dynamics of marine structures, ivi 1982; P.D. Spanos, Probabilistic offshore mechanics, Carmel Valley (California) 1985. Si vedano inoltre gli atti dei congressi periodici specializzati: Offshore technology conference; Design and construction of offshore structures; Behavior of offshore structures; Offshore mechanics and Artic engineering; Associazione ingegneria offshore e marina, e le riviste specializzate: Offshore. The Journal of Ocean Business, Marine Engineering, Offshore Engineering. Utili le normative seguenti: American Petroleum Institute, Recommended practice for planning, designing and constructing fixed offshore platforms; Department of Energy (Londra), Offshore installations: guidance on design and construction; Registro Navale Italiano, Guida per la progettazione, la costruzione e l'installazione di piattaforme marine fisse in acciaio.