OPHELANDROS (᾿Οϕέλανδρος)
Nome di un personaggio itifallico che compare su un cratere mediocorinzio di provenienza cerite, ora al Museo del Louvre (VI sec. a. C.).
Su un lato del vaso sono rappresentati due personaggi con i piedi legati e la testa entro sgabelli, una donna che porta su un piatto degli oggetti rotondi e una doppia fila di grandi crateri, del tipo del nostro; sull'altro lato una figura maschile barbuta, con corto chitone (Eunous) danza, mentre un suo compagno suona un doppio flauto; vengono poi due uomini nudi che si sforzano di deporre o di sollevare un cratere da vino, reggendolo con tutte e due le mani (il personaggio di destra, imberbe, è itifallico come il suo compagno ed ha nome O.); all'estrema destra è un altro uomo nudo, con enorme fallo, che tiene due verghette in mano ed ha nome Om(b)rikos.
Il Dümmler, uno dei primi illustratori del vaso, riconosceva un episodio mitico di origine beotica nella prima scena, pur affermando il carattere comastico della seconda, in cui vedeva rappresentati sileni o satiri. Dopo che il Pottier e il Kunze riconobbero che il danzatore e il flautista portavano la maschera, è evidente che siamo in presenza di un'azione buffonesca teatrale; spetta alla Bieber il merito di aver dimostrato che entrambe le scene devono esser collegate: si tratterebbe della punizione di ladri di vino, sorpresi in cantina e perciò già visti con le teste dentro gli sgabelli; la seconda scena rappresenta altri protagonisti dell'azione farsesca, del tipo corrente nei Δεικηλισταί laconici, cui non disdicono, anzi sono congeniali la nudità e l'aspetto itifallico; il danzatore e il flautista evocherebbero il coro, abbandonantesi a un ballo licenzioso, lontano progenitore del kordax attico; i nomi dei personaggi fanno supporre che si tratti di dèmoni di aspetto benefico (salvo Ombrikos, il "portatore di pioggia"), incarnazione degli spiriti vegetali della fertilità, i quali hanno qui mutuato la loro iconografia dai seguaci di Dioniso, giacché, come quelli, recano il fallo visibile, la maschera dall'espressione astuta e beffarda.
Bibl.: Höfer in Roscher, III, i, 1897-1909, c. 922, s. v.; K. Scherling, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1939, c. 629, s. v., n. i; F. Dümmler, De amphor corinthia Caere reperta, in Ann. Inst., LVII, 1885, pp. 127-31, tav. d'agg. D; A. Körte, Archäologische Studien zur alten Komödie, in Jahrbuch, VIII, 1893, pp. 90-91, fig. 8; P. Kretschmer, Die griechischen Vaseninschriften, Gütersloh 1894, p. 23, n. 26; E. Pottier, Vases antiques du Louvre, I, Parigi 1897, p. 55, n. E. 632; Ch. Frankel, Korinthische Posse, in Rheinisches Museum für Philologie, LXVII, 1912, pp. 100-104, e fig.; H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931, pp. 122, 317, n. 1178; E. Kunze, recens. a A. Greifenhagen, Eine attische schwarzfigurige Vasenguttung und die Darstellung des Komos im 6. Jahrhundert, in Gnomon, VIII, 1932, p. 123; M. Bieber, The History of the Greek and Roman Theater, Princeton 1961, pp. 38-9, fig. 132.