PALLAVICINO, Opizio
PALLAVICINO (Pallavicini), Opizio. – Nacque a Genova il 13 o il 15 ottobre 1632, da Gianfrancesco e da Aurelia di Lazzaro Spinola (così Weber-Becker, 1999, II, p. 705, ma lo stesso Weber, 1994, p. 818, riprendendo Litta, lo presenta invece quale figlio di Paolo Girolamo e di Maddalena d’Opizio Spinola). Il casato, comunque, era uno dei maggiori della città.
Dei primi decenni di vita si sa poco e spesso in modo impreciso. Presa la laurea in utroque iure a Bologna e assunti gli ordini sacri, si trasferì, durante il papato di Innocenzo X, a Roma, dove già erano attivi il gesuita Sforza Pallavicino, del ramo di Parma della famiglia, e soprattutto un altro influente consanguineo, Lazzaro Pallavicino (che fu creato cardinale nel 1669). Le protezioni di cui poté godere gli favorirono l’accesso in Curia, sancito dalla nomina a referendario delle due Segnature, databile forse al 1657.
Assunse poi incarichi di governo nelle città di San Severino Marche (1659), Rieti (1661), Fabriano (1662), Orvieto (1663), Montalto (1664), Ascoli Piceno (1665) e Fermo (1666). Il 27 febbraio 1668 fu nominato arcivescovo titolare di Efeso e dal 1° giugno successivo fu inviato nunzio in Toscana. Dal 29 novembre 1672 ricoprì la nunziatura di Colonia e dal 30 settembre 1680 quella di Polonia.
Neppure le sue corrispondenze da queste sedi diplomatiche consentono di entrare nella dimensione privata del prelato, che si mostrò sempre solerte e impegnato. Questo non tanto nella ‘comoda’ sede di Firenze – ove più che con il Granduca si adoperò, per conto della congregazione dei vescovi e regolari, a controllare e a cercare di risolvere dissidi tra ecclesiastici – ma soprattutto nei periodi passati a Colonia e in Polonia.
A Colonia giunse il 1° aprile 1673. La sua attività fu da un lato rivolta alle tradizionali esigenze legate a quella sede: problemi con l’elettore, questioni beneficiarie, disciplina ecclesiastica. Dall’altro gli fu chiesto di riferire sullo scacchiere europeo in generale: sulle guerre dei francesi, sulla difficile situazione in Inghilterra, sull’Olanda, dove si discutevano provvedimenti che avrebbero pregiudicato la libertà dei cattolici contravvenendo, diceva il nunzio, all’antico spirito di tolleranza vigente in quella terra (nel 1676 ottenne la licenza per girare per breve tempo in Fiandra). Sul piano della Chiesa tedesca si trovò, tra l’altro, a gestire le vacanze delle Chiese di Magonza, Spira e Worms. Qui, in particolare, nel 1677 il capitolo rischiava di eleggere un uomo che Pallavicini aveva scoperto dedito a vita «dissoluta et effemminata», convivente con una sua domestica da cui pure aveva avuto figli. Innocenzo XI non era disposto a confermare l’elezione: «Sua Santità si affatica tanto per ridurre in coteste parti a disciplina migliore la vita licentiosa e scorretta del clero il quale suol prendere le sue misure dall’esempio del pastore». Per Pallavicini il vero problema era la scarsa moralità dei capitoli, protagonisti delle elezioni dei vescovi, che procedevano a nomine non per scrutinio ma per «ispirazione», «ricoprendo col velo dell’afflato divino i trattati loro simoniaci» (Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Colonia, 52, cc. 31, 264). Grande attenzione riserbò alla questione dell’abito degli ecclesiastici. Innocenzo XI non voleva si derogasse più alla bolla di Sisto V, ma il nunzio sapeva che ridurre d’un tratto tutti gli ecclesiastici all’abito talare sarebbe stato impossibile. Chiedeva perciò che gli fosse concesso di accordare qualche dispensa per non passare da un estremo all’altro (ibid., 54, c. 94r-v). Le resistenze furono del resto vivacissime.
Il 1° settembre 1680 Pallavicini ricevette la nomina a nunzio in Polonia. Se ne dichiarò grato, pur lamentando, unico cenno al privato nell’intera corrispondenza diplomatica, alcuni disturbi di salute che lo travagliavano da 3-4 anni essendo afflitto «da flati originati dall’intemperie del ventriculo cagionato da quest’aria settentrionale e da questi cibi» (ibid., 56, c. 540). Partì entro la fine del mese e nelle prime corrispondenze dalla Polonia si soffermò sulla particolare natura delle istituzioni locali: «con gran lentezza si procede negl’affari che si trattano in Dieta e si consuma gran tempo in negotii di lieve momento prevalendo alla necessità publica la passione e l’interesse privato», il tutto in un quadro in cui bastava «la repugnanza d’un solo» a impedire ogni risoluzione. Concludeva che i polacchi «perderan tutto per voler conservare tutto e quello che è peggio perderanno colli beni della fortuna l’honore, la religione e la libertà e diveranno o essi o i loro posteri schiavi» (Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Polonia, 99, cc. 70, 104). Suo compito principale era quello di spingere il Regno polacco alla guerra contro il Turco, che conduceva allora in Europa la sua più grande offensiva. Motivatissimo in ciò, osservava allibito il 30 luglio 1681 come «l’opinione che il Turco sii per attaccare l’Ungheria ha così addormentato i polacchi che pochi sono quelli che pensino al fuoco che può incendiare la Polonia» (ibid., c. 485). Solo il 18 aprile 1683 poteva informare Roma della Lega tra la Polonia e l’Impero per cui si era tanto adoperato. Il suo operato, supportato da continui invii di denaro da parte di Innocenzo XI per via dei banchieri veneziani Rezzonico, fu premiato dalla notizia, che gli giunse il 17 settembre 1683, della vittoria sui turchi a Vienna.
Per quel che riguarda l’impegno negli affari ecclesiastici, Pallavicino mostrò forte sintonia con Innocenzo XI, intenzionato a imporre al clero una rigorosa disciplina e a selezionare con cura i titolari dei benefici. Si adoperò «nell’intento di svellere l’abuso della pluralità de’ benefici» (ibid., 100, c. 189), cercò di reprimere comportamenti sbagliati, per esempio quello del vescovo di Poznań, che risultava essersi fatto pagare per assistere a un matrimonio (ibid., 102, c. 341). Tale ordinario, definito da Pallavicino uomo assai popolare, leggero e violento (ibid., c. 243), si proponeva tra l’altro di impadronirsi, in un modo o nell’altro, dell’arcivescovato di Gniezno e sembrava a tal fine disposto a invaderne il «temporale» (ibid., c. 254).
Anche per il concorso negativo di tale prelato, si rivelò spinosissima la questione riguardante il potentissimo maresciallo di corte Hieronim Augustyn Lubomirski. La prima notizia fornita dal nunzio a suo riguardo era in realtà positiva. Il nobile polacco aveva rinunciato a favore di un nipote di 10 anni (che Lubomirski presentava però quale quindicenne) a una abbazia di cui era titolare. Pallavicini definiva opportuna la decisione essendo quello «il solo in questo regno che senza portare l’habito clericale anzi facendo una professione contraria militando et essendo maresciallo di corte godesse d’un’abbadia» (ibid., 104, c. 236). Poco dopo Pallavicino scoprì però che il maresciallo aveva avuto «commercio carnale con prole» con Costanza Bokum che aveva poi segretamente sposata con un rito officiato dal vescovo di Poznań. Cercò pertanto di bloccare la relazione, interrompendo la coabitazione all’interno della stessa corte regia dove Costanza veniva definita la «marescialla» (ibid., 105, cc. 7-9 e passim). La questione fu aggravata dalla decisione del re di traslare il vescovo di Poznań alla sede di Gniezno col che sarebbe divenuto primate di Polonia.
Mentre era alle prese con questo affare, divenuto un’ossessione, Pallavicino ricevette il 23 settembre 1686 la notizia della sua promozione alla porpora. Poco era cambiato quando, nel 1688, fu affiancato dal nunzio straordinario Giacomo Cantelmi e poté tornare in Italia, ove il 12 luglio era stato nominato legato pontificio a Urbino.
Partecipò al conclave che nel 1689 nominò papa Alessandro VIII e il 28 novembre di quell’anno fu creato vescovo di Spoleto. Due anni dopo, l’8 agosto 1691, fu destinato alla diocesi di Osimo. Nel 1692 partecipò all’elezione di Innocenzo XII. I biografi riportano la notizia che, cadendo questi malato, Pallavicino giungesse improvvisamente in Roma per favorirsi così nella corsa alla successione. Si narrò che il papa l’avesse per ciò rimproverato duramente.
La grave accusa ne avrebbe favorito la morte, che avvenne a Roma l’11 settembre 1700 presso la sua abitazione di Palazzo Buratti. Fu sepolto in S. Martino ai Monti.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Archivio Concistoriale, Acta Camerarii, 21, cc. 189v-190; Dataria Apostolica, Processus Datariae, 46, cc. 51-57; Segreteria di Stato, Firenze, 53-56; ibid., Colonia, 49-56; ibid., Polonia, 99-107; Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 10715, c. 533; 10716, cc. 1095, 1160; 10720, c. 2093; 10856, c. 252; 10859, cc. 376-377v; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, VII, Roma 1793, p. 265 s.; G. Moroni, Dizionario d’erudizione storico-ecclesiastica, LI, Venezia 1851, p. 51; LIX, ibid. 1852, p. 137; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae a Martino V ad Clementem IX, Città del Vaticano 1931, p. 326; Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Roma 1994, pp. 125, 225, 247, 299, 323, 381; Ch. Weber-M. Becker, Genealogien zur Papstgeshichte, II, Stuttgart 1999, p. 705; P. Litta, Famiglie celebri italiane, V.