SPINOLA, Opizzino
(Opicino, Obizzino, Obizo). – Nacque in data imprecisata (seconda metà del secolo XIII) da Corrado Spinola, capitano del Popolo a Genova (1296-99), e Argentina figlia di Opizzo Fieschi.
Membro di una delle famiglie aristocratiche più potenti della città, di orientamento ghibellino, apparteneva al ramo del casato che aveva residenza nel quartiere di Luccoli e come suo padre fu attivo a livello politico.
Le notizie circa i suoi primi anni di attività sono scarse. Era con tutta probabilità ancora molto giovane quando nel 1294 comparve assieme a suo padre in veste di testimone nell’atto di vendita del territorio di Calvi (Corsica) al Comune di Genova da parte di Oberto Doria. I riferimenti diventano più serrati verso gli inizi del secolo XIV, in concomitanza con la nuova ondata di conflitti interfamiliari che investì la città, quando Spinola occupò un ruolo di assoluto rilievo nella sfera politica cittadina.
Nei primi anni del Trecento, dopo l’esperienza della diarchia retta dagli Spinola e dai Doria maturata nel corso degli ultimi decenni del secolo XIII, non sopportando le tensioni fra le due famiglie, la città tornò a essere governata dal podestà forestiero e dal Consiglio degli anziani. Il nuovo assetto del governo non ebbe esito nella sperata pacificazione interna. Nel 1306, una proposta degli Spinola relativa a non meglio precisati statuti acuì le tensioni con i Doria, l’altra famiglia di vertice, spingendoli ad attaccare gli Spinola, e specialmente il ramo di Luccoli, che godeva dell’appoggio dei popolari. Il grave conflitto che ne scaturì coinvolse le cosiddette tutte quatuor gentes (Doria e Spinola, Fieschi e Grimaldi, le più importanti famiglie genovesi del Duecento) ed ebbe esito nel ritorno alla diarchia Doria-Spinola, come estremo tentativo di sedare gli animi. Così proprio nel 1306, Opizzino Spinola fu eletto capitano del Popolo con Bernabò Doria, con un mandato in teoria quinquennale.
Fin dai primi mesi successivi alla nuova instaurazione del doppio capitanato del Popolo, Spinola si impose come personalità dominante e prese le redini dell’attività di governo, oscurando il suo consocio Bernabò Doria e agendo a nome suo (Caro, 1974-1975, II, p. 327). È evidente quindi che Spinola coltivava sin dagli inizi ambizioni che andavano al di là del capitanato.
Intanto però si attivò per consolidare la politica di alleanze matrimoniali della sua famiglia. Ancora nel 1306 Opizzino diede in sposa la figlia Argentina a Teodoro Paleologo (figlio dell’imperatore Andronico II) – che era in procinto di arrivare in Italia per rivendicare il titolo di marchese del Monferrato dopo la morte di suo zio Giovanni –, appoggiandolo contro le forze locali contrarie all’acquisizione del titolo da parte di Teodoro. L’anno dopo (1307), a sua volta Bernabò maritò la figlia a Manfredo IV marchese di Saluzzo, rivale di Teodoro nelle pretese sui possedimenti in Piemonte, riaccendendo in questo modo i malumori fra i due capitani.
Negli stessi anni Spinola riuscì a intrecciare legami con Carlo II d’Angiò, da cui ottenne molti favori personali. Nel 1307, il Comune di Genova stipulò infatti un accordo con il sovrano angioino, tramite il quale i genovesi acconsentirono a concedere al re una flotta per riconquistare la Sicilia, in cambio di protezione e di alcuni vantaggi commerciali. Il trattato conteneva anche clausole in relazione alla contesa sul Monferrato che tornavano a vantaggio di Opizzino: in cambio dell’aiuto dei genovesi, Carlo II prometteva di impegnarsi affinché si arrivasse a una pace fra Teodoro e il marchese di Saluzzo. Inoltre, il sovrano angioino di Napoli si impegnò a recedere da una convenzione che aveva stipulato con Filippo di Savoia circa la spartizione del Monferrato, e a fare in modo che i castelli di Moncalvo e Vignale fossero consegnati a Opizzino.
La diarchia non ebbe lunga durata: due anni dopo la restaurazione del doppio capitanato, Spinola tentò di ottenere il controllo assoluto sulla città, con l’intento di stabilire una sorta di signoria personale (Caro, 1974-1975, II, p. 344). Forte dell’appoggio della compagine popolare e delle alleanze che aveva stretto con le forze sovralocali, Opizzino fece imprigionare Bernabò Doria e pilotando un consiglio cittadino si fece proclamare capitano perpetuo del Comune e del Popolo di Genova (22 novembre 1308). Ma il tentativo di dominio sulla città di Spinola fu subito contrastato: le forze avversarie a Opizzino si erano nel frattempo rafforzate nella Riviera di Ponente, riuscendo a occupare Porto Maurizio, Andora e Albenga; Bernabò riuscì a fuggire e, qualche mese più tardi, un gruppo compatto di fuoriusciti composto da esponenti delle casate dei Doria, Fieschi, Grimaldi, a cui si aggiunsero anche alcuni Spinola e popolari, riuscirono a rientrare a Genova e a porre un freno alle ambizioni del capitano del Popolo. L’esercito schierato da Spinola nei pressi del monastero di S. Andrea di Sestri fu sconfitto (9-10 giugno 1309), ma egli riuscì a fuggire, trovando rifugio a Gavi.
In seguito a un laborioso accordo fra le due famiglie che avevano monopolizzato i vertici di governo (Doria e Spinola), Spinola fu messo a bando da Genova, dove fu instaurato un governo retto dal podestà, l’abate del Popolo e dodici governatori; ma nonostante l’esilio Opizzino non abbandonò le sue ambizioni sulla città. Riuscì a trovare una sponda con la discesa di Enrico VII in Italia. L’annullamento dei bandi proclamato dall’imperatore gli diede l’occasione di trovare un appoggio forte ed estraneo alle forze interne alla città, perennemente in lotta fra loro (Petti Balbi, 2014, p. 11), che gli poteva potenzialmente permettere di estendere di nuovo il suo dominio su Genova. Dopo essere stato fra i testimoni del giuramento di fedeltà (1310) di suo genero Teodoro all’imperatore, nel 1311 Spinola riuscì a rientrare a Genova al fianco di Enrico VII e a porsi a capo degli Spinola di Luccoli. Fu subito fra i fautori dell’imperatore, tanto che assieme a Guglielmo Grimaldi sostenne la proposta di dedizione (14 novembre 1311) della città a Enrico VII. Presentandosi come pacificatore, forte di un riconoscimento da parte delle compagini popolari e rappresentando al contempo un argine alle ambizioni personali proprio di Opizzino, l’imperatore accettò la dedizione pochi giorni dopo (22 novembre).
Benché costretto ad abbandonare, anche in questa circostanza, i suoi progetti di signoria sulla città, Spinola non rinunciò ad avanzare all’imperatore richieste di concessioni per sé e i suoi familiari. Pretese Voltaggio e Stazzano (oggi in provincia di Alessandria), e inoltre chiese il vicariato di Valenza e Casale per suo genero Teodoro, che nel frattempo era riuscito a ottenere il titolo di marchese del Monferrato; inoltre, chiese Corvara e Monaco per un suo parente, Rinaldo Spinola. Queste istanze, e altre simili rivendicazioni fatte dalle altre famiglie aristocratiche in competizione, fecero riemergere lo stato di tensione mai sopito, indebolendo la posizione di Enrico VII nella città. Spinola continuò ciononostante a ottenere vantaggi: nel 1312 ebbe il permesso di aumentare i dazi e i pedaggi nei suoi territori, e l’imperatore gli concesse anche i castelli e i borghi che gli Spinola avevano acquistato in valle Scrivia che con la dedizione di Genova erano passati sotto controllo imperiale. In questo modo Opizzino ottenne il controllo di importanti vie nonché di un vasto territorio di grande importanza economica. Infine, pochi mesi più tardi, nel 1313, fu nominato vicario imperiale nell’Oltregiogo, costituendo, tramite questa investitura, quello che fu poi noto come «lo stato spinolino» (Petti Balbi, 1995, p. 314), e mettendo così pressione sulla val Polcevera, l’area a ridosso della città, che nel frattempo, dopo il fallimento della signoria di Enrico VII, era ritornata sotto il controllo di un podestà forestiero.
Il pericolo posto dalla poderosa espansione territoriale di Spinola spinse Domenico Doria a organizzare una spedizione contro gli Spinola nella valle Scrivia. La battaglia che ne seguì nei pressi di Gavi nel 1315 risultò fatale per Opizzino che morì combattendo a Serravalle Scrivia. Scompare con lui un tipico aristocratico d’alto profilo politico, incline alle ambizioni personali piuttosto che al bonum commune della città.
Fonti e Bibl.: Georgii et Iohannis Stellae Annales genuenses, a cura di G. Petti Balbi, Bologna 1975, pp. 72-77, 81 s.; I libri iurium della Repubblica di Genova, a cura di E. Pallavicino, I, 7, Genova 2001, doc. 1169, I, 8, 2002, doc. 1254.
M. Deza, Istoria della famiglia S. decritta dalla sua origine fino al XVI secolo, Piacenza 1694, pp. 8, 165-178, 183-186; A. Giustiniani, Annali della repubblica di Genova, a cura di G.B. Spotorno, II, Genova 1854, pp. 6-12, 16; M. Camera, Annali delle due Sicilie. Dall’origine e fondazione della monarchia fino a tutto il regno dell’augusto sovrano Carlo III Borbone, II, Napoli 1860, pp. 131 s.; T. Ossian de Negri, Storia di Genova, Milano 1968, pp. 407 s., 435 s., 438; G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XIV-XV (1974-1975), II, pp. 318-322, 327-352; G. Petti Balbi, Simon Boccanegra e la Genova del ’300, Napoli 1995, p. 314; S.A. Epstein, Genoa and the Genoese, 958-1528, Chapel Hill 1996, pp. 183 s., 194 s.; G. Petti Balbi, Tra dogato e principato: il Tre e il Quattrocento, in Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico, a cura di D. Puncuh, Genova 2003, pp. 234 s.; Ead., Magnati e popolani in area ligure, in Ead. Governare la città. Pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale, Firenze 2007, p. 112; P. Guglielmotti, Genova, Spoleto 2013, pp. 76-78; G. Petti Balbi, Uno dei fallimenti di Enrico VII: la signoria di Genova (1311-1313), in Atti della Società ligure di storia patria, n.s. LIV (2014), 2, pp. 5 s., 9-11, 13 s., 16, 25-27, 29 s., 33 s.