Opposizione all’esecuzione e vicende del titolo esecutivo
La cornice dell’argomento che si affronta è data dal sistema dei rapporti tra giudizio di cognizione con il suo sistema di impugnazioni, processo di esecuzione alla cui base è il titolo esecutivo che nel giudizio di cognizione si forma e opposizioni esecutive che traggono linfa dall’altalenante esito delle impugnazioni cognitorie. Il quadro che emerge dall’esame delle decisioni di legittimità intervenute tra il 2013 ed il 2014 mostra da un lato la riaffermazione costante di principi consolidati, dall’altro elementi di tensione, in particolare su un fronte: in discussione è l’incidenza che sull’esecuzione forzata ‒ o sul precetto che l’ha minacciata ‒ deriva dalla successiva cassazione con rinvio della sentenza di condanna, che ne aveva costituito il titolo esecutivo. L’interrogativo è se debba seguirne l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione, che sia stata intanto proposta, o se invece gli effetti del pignoramento o del precetto si prestino ad essere conservati, in funzione di un possibile esito del giudizio di rinvio che torni ad essere di condanna.
Conviene scandire la trattazione seguendo l’ordine temporale delle principali pronunce in argomento. È infatti venuto di recente in evidenza, a causa di prese di posizione che esigono una riflessione riassuntiva, il tema del rapporto tra sorte del titolo esecutivo ed esecuzione forzata.
1.1 La sentenza n. 2955 del 2013
La Cassazione, quando la pronuncia, si trova a dover decidere su un ricorso proposto, contro sentenza di secondo grado, con cui è stato confermato il rigetto di un’opposizione a precetto.
Il precetto era stato notificato sulla base di una sentenza pronunciata in primo grado, fatta valere come titolo esecutivo in relazione alla condanna al pagamento delle spese processuali in essa contenuta.
Questa sentenza era stata poi impugnata, l’appello era stato rigettato e contro questa seconda sentenza era stato proposto ricorso per cassazione.
Con uno dei motivi del ricorso proposto nel giudizio di opposizione al precetto, la parte opponente aveva dedotto che, pendente tale giudizio in secondo grado, la sentenza di appello pronunziata nel giudizio di merito era stata cassata con rinvio e il fatto era stato introdotto nel giudizio di opposizione ancora in corso in appello, al fine che fosse pronunciata una sentenza di accoglimento, per essere venuto meno il titolo esecutivo in base al quale con il precetto l’esecuzione era stata minacciata.
Resistendo all’accoglimento del motivo, la parte che aveva minacciato l’esecuzione, aveva dal canto suo allegato che, in pendenza della decisione di legittimità sull’opposizione al precetto, la Corte d’appello s’era intanto pronunciata nel giudizio dimerito in sede di rinvio ed era tornata a liquidare in suo favore, sia pure in misura inferiore, le spese del primo grado del giudizio, per il cui pagamento il precetto era stato intimato, sicché s’era formato il giudicato sul suo diritto a recuperarle. Aveva anche aggiunto che la sentenza di rinvio aveva fatto sorgere a suo favore un controcredito.
La Corte ha accolto il ricorso sulla base del motivo sopra riportato; ha cassato la sentenza impugnata e pronunciando nel merito ha accolto l’opposizione avverso l’atto di precetto, del quale ha dichiarato la nullità; nel provvedere sulle spese del giudizio di opposizione, ha tuttavia ritenuto che sussistessero giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio e questo in considerazione del fatto che la caducazione del titolo (per effetto della cassazione con rinvio della sentenza di condanna fatta valere come titolo esecutivo) era intervenuta in pendenza del giudizio di appello sulla opposizione all’esecuzione, dopo che l’opposizione era stata rigettata in primo grado.
Dunque, nel caso, in cui la parte non aveva dato inizio al processo esecutivo e in forza dell’art. 481, co. 2, c.p.c., il precetto aveva conservato la sua efficacia in pendenza dell’opposizione, questa è stata accolta in considerazione del fatto che, per effetto della cassazione con rinvio della sentenza di condanna, il diritto a procedere ad esecuzione era stato privato di base. È stato affermato che non potesse essere di ostacolo all’accoglimento dell’opposizione la circostanza che, nel giudizio di merito, in sede di rinvio, il diritto al pagamento delle spese del processo, costituente il credito già assistito dal titolo posto a base del precetto, fosse intanto tornato ad essere affermato.
Questa sentenza decide, ma in modo opposto, un caso analogo a quello che sarà commentato più avanti al punto 1.5, caso deciso con la sentenza dell’8.2.2013, n. 3074 Tesi sostenuta con il ricorso e accolta dalla Corte, con il richiamo di un principio, che è stato detto consolidato, è che «la sentenza di primo grado (sostituita, anche in ordine alla regolamentazione delle spese, dalla sentenza di appello, sia di conferma sia di riforma) non rivive, neppure nel capo relativo alle spese, per effetto della cassazione con rinvio della pronuncia di secondo grado, tant’è che spetta al giudice di rinvio, in esito all’esito finale della controversia, di provvedere sulle spese di tutti i gradi di giudizio, incluso il primo».
La Corte ha considerato «che la cassazione della sentenza di secondo grado che abbia confermato quella di primo grado, posta a fondamento di un’azione esecutiva, produce effetti analoghi alla sentenza di secondo grado di riforma della prima, per come è normativamente sancito anche dall’equiparazione di cui all’art. 336, comma secondo, ultimo inciso. Non vi è dubbio che gli atti pre-esecutivi ed esecutivi che siano stati posti in essere dopo la pronuncia della sentenza d’appello cassata siano da questa dipendenti e vengano travolti dalla norma da ultimo citata, anche quando si tratti di cassazione con rinvio al giudice di appello, ai sensi dell’art. 383 c.p.c.».
Ha aggiunto la Corte: «Ma ad identica soluzione non può non pervenirsi nel caso in cui la sentenza di secondo grado, che sia stata cassata con rinvio allo stesso giudice, sia di conferma ed il processo esecutivo sia stato iniziato prima della sua pronuncia: solo formalmente gli atti esecutivi appaiono come «dipendenti» dalla sentenza di primo grado. Ed, invero, poiché è da ritenersi … che la sentenza di secondo grado si sia sostituita a quella di primo grado anche come titolo esecutivo, ed anche quando sia sopravvenuta nel corso del processo esecutivo, la sua cassazione con rinvio comporta la caducazione del titolo esecutivo, in ragione di quanto previsto dall’art. 336, comma secondo, ult. inciso, c.p.c.».
E la Corte ha conclusivamente osservato: «Distinguere le due ipotesi significherebbe non solo creare delle asimmetrie di sistema poco coerenti col disposto dell’art. 336, comma secondo, c.p.c.,ma far dipendere l’applicazione di questa norma nei singoli casi concreti dalla scelta del soggetto legittimato ad agire in executivis».
1.2 La sentenza n. 9161 del 2013
La Cassazione (12.3.2013, n. 9161), in questo caso, si pronuncia su ricorso proposto contro sentenza pronunciata in unico grado dal tribunale su opposizione all’esecuzione.
Un’esecuzione per espropriazione mobiliare era iniziata sulla base di sentenza di condanna pronunciata in primo grado e, proponendo opposizione, la parte aveva allegato che in sede di appello la sentenza era stata dichiarata nulla, perché il giudice di primo grado erroneamente aveva dichiarato la sua contumacia.
La Cassazione, sul presupposto che il giudizio di appello si fosse concluso non con una pronunzia di rimessione al primo giudice, in base all’art. 354 c.p.c., ma con una decisione sul fondo della domanda con la ripetizione della condanna già pronunziata in primo grado, ha rigettato il ricorso affermando il principio di diritto per cui in un caso di questo tipo, il processo esecutivo prosegue, senza soluzione di continuità, in forza delle statuizioni contenute nella prima sentenza, reiterate in appello ad opera della seconda, e gli atti esecutivi già compiuti sul supporto della prima conservano i loro effetti.
1.3 La sentenza n. 14048 del 2013
La Cassazione (3.4.2013, n. 14048), anche questa volta, si pronuncia su ricorso contro sentenza pronunziata in unico grado in giudizio di opposizione all’esecuzione.
Un Comune propone domanda, che il tribunale qualificherà come opposizione agli atti esecutivi;ma, nello stesso giudizio, essendo stata intanto disposta dal giudice di appello nel giudizio dimerito la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza fatta valere dal creditore come titolo esecutivo, il tribunale, da un lato dichiara inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi perché tardiva, dall’altro dichiara priva di efficacia l’azione esecutiva, considerando che nel giudizio di merito, proseguito intanto in sede di appello, l’efficacia esecutiva della sentenza fosse stata sospesa.
Il ricorso per cassazione proposto contro questa parte della sentenza è accolto.
La Corte considera che «…a differenza dalla caducazione del titolo esecutivo in sé considerato … e della c.d. trasformazione del titolo (ipotesi in cui ad un titolo esecutivo si sostituisce altro, per contenuto o quantità diversi, nello sviluppo del processo: sulla quale v., per tutte, Cass. 18 aprile 2012 n. 6072), la semplice sospensione della esecutività di quello, soprattutto quando è fisiologica estrinsecazione dei poteri dei giudici negli sviluppi dello stesso grado di giudizio o di quello di impugnazione, non determina il venir meno del titolo nella sua intrinseca natura e funzione di accertamento della sussistenza di un credito (certo, liquido ed esigibile, secondo la classica definizione dell’art. 474 cod. proc. civ.), ma incide esclusivamente sulla sua efficacia esecutiva, cioè sulla sua intrinseca idoneità a fondare ‒ nel concorso di requisiti praticamente formali ‒ un processo esecutivo».
«Tanto giustifica la persistenza ontologica dell’accertamento del credito, la quale, a sua volta, sorregge, finché sussiste, ogni atto esecutivo già compiuto; ma al contempo esige che il venir meno, anch’esso temporaneo e provvisorio e quale si ricollega alla sospensione appunto di essa, della sola efficacia esecutiva dell’accertamento stesso non possa avere gli effetti definitivi ed irreversibili di travolgimento ex tunc del processo esecutivo legittimamente iniziato e proseguito fino alla sospensione».
«Tali effetti sarebbero legittimamente collegati solo alla caducazione del titolo in sé considerato, quale effetto dello sviluppo del processo (come nel caso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che si concluda con l’integrale accoglimento dell’opposizione) o dei gradi di impugnazione (come nel caso di riforma totale o di cassazione della sentenza costituente titolo esecutivo)».
1.4 La sentenza n. 16934 del 2013
La Cassazione, qui (14.5.2013, n. 16934), si pronuncia su ricorso proposto contro sentenza pronunciata in grado di appello su opposizione all’esecuzione.
Un’esecuzione per espropriazione era stata promossa sulla base di sentenza di condanna pronunziata in primo grado e l’opposizione all’esecuzione era stata rigettata anch’essa in primo grado, ma era stata accolta in appello sul presupposto che la sentenza di condanna non poteva valere come titolo esecutivo, perché non avrebbe contenuto gli elementi necessari alla quantificazione del dovuto; su questo punto s’era incentrato il ricorso, dove era stato sostenuto che in quella sentenza erano invece presenti tutti gli elementi per tradurre in una cifra determinata l’oggetto della condanna.
La Cassazione non ha preso in esame il fondo del ricorso; lo ha giudicato inammissibile, perché intanto, nel giudizio sulla domanda di condanna, il giudice di appello era pervenuto a rigettarla.
La sentenza enuncia in questi termini le ragioni della decisione: «... nell’ipotesi di esecuzione fondata su titolo esecutivo costituito da una sentenza di primo grado, la riforma in appello di tale sentenza determina il venir meno del titolo esecutivo, atteso che l’appello ha carattere sostitutivo e, pertanto, la sentenza di secondo grado è destinata a pendere il posto della sentenza di primo grado; anche nell’ipotesi in cui la sentenza di appello fosse a sua volta cassata con rinvio, non si avrebbe una reviviscenza della sentenza di primo grado, posto che la sentenza di rinvio non si sostituisce ad altra pronuncia, riformandola o modificandola,ma statuisce direttamente sulle domande delle parti, con la conseguenza che non sarebbe mai più possibile procedere in executivis sulla base della sentenza di primo grado (riformata dalla sentenza d’appello cassata con rinvio) potendo una nuova esecuzione fondarsi, eventualmente, sulla sentenza del giudice di rinvio (cfr. Cass. 6911/2002)».
La stessa soluzione è attinta dalla Corte nella sentenza del 15.4.2014, n. 13249.
La Corte si è trovata a decidere di sentenza pronunziata in unico grado, in un giudizio di opposizione a precetto. Davanti alla Cassazione viene dedotto che, intanto, nel giudizio di merito, la sentenza di condanna pronunziata in primo grado è stata riformata.
Il ricorso è accolto e lo è sulla base del seguente argomento: «…il principio per il quale la sentenza di riforma resa in grado d’appello si sostituisce immediatamente, fin dalla sua pubblicazione, alla sentenza di primo grado, privandola della idoneità a legittimare l’instaurazione o la prosecuzione di una procedura esecutiva, va a maggior ragione affermato dopo la modifica apportata all’art. 336, comma secondo, cod. proc. civ. dall’art. 48 della legge n. 353 del 1990, che ha eliminato il collegamento necessario tra l’effetto rescindente della sentenza di riforma ed il suo passaggio in giudicato».
1.5 Le sentenze nn. 3074 e 3280 del 2013
Le due sentenze enunciano i medesimi principi di diritto; vi si sviluppa un’argomentazione già impostata nella sentenza 20.11.2012 n. 20315 in tema di cancellazione d’iscrizione ipotecaria1.
La prima sentenza (Cass., 8.2.2013, n. 3074)2 prende le mosse da un giudizio di opposizione a decreto d’ingiunzione. L’opposizione è rigettata in primo ed in secondo grado,ma la sentenza d’appello è cassata con rinvio per vizi di motivazione e nello stesso tempo per violazione di norme di diritto.
In pendenza del giudizio sul rapporto di credito, sulla base del decreto ingiuntivo dotato di provvisoria esecutorietà, si inizia un’esecuzione forzata, alla quale vengono contrapposte più opposizioni all’esecuzione poi riunite, sulle quali il tribunale, in unico grado, prima che intervenga la sentenza della cassazione cui si è fatto cenno prima, pronunzia una sentenza non definitiva che non risolve neppure parzialmente il merito e poi la sentenza definitiva, che rigetta l’opposizione. Questa sentenza è impugnata con ricorso per cassazione.
Muovendo dalla sentenza di cassazione con rinvio della pronuncia di rigetto dell’opposizione al decreto d’ingiunzione, si deduce come motivo d’impugnazione, che, in applicazione dell’art. 336, co. 2, c.p.c., una volta cassata la sentenza d’appello di rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo in forza del quale l’esecuzione era stata iniziata e dovendosi rinvenire in tale sentenza il titolo che aveva fondato il potere di procedere ad esecuzione forzata, tutti gli atti da essa dipendenti e quindi l’intero processo esecutivo era rimasto travolto.
La vicenda che ha dato occasione alla seconda sentenza (Cass., 12.3.2013, n. 3280), presenta i medesimi caratteri.
Qui, sulla base di una condanna alle spese contenuta in una sentenza di primo grado di rigetto della domanda e per ottenerne il pagamento, postulata l’efficacia di titolo esecutivo quanto a tale condanna, è minacciata un’esecuzione forzata, cui è contrapposta un’opposizione all’esecuzione, che è rigettata in primo grado. La sentenza di primo grado resa nel giudizio di merito è confermata in appello e lo è parimenti l’appello proposto nel giudizio di opposizione all’esecuzione. Davanti alla Corte, in sede di ricorso contro la sentenza resa sull’opposizione all’esecuzione, si fa valere che nel frattempo la sentenza pronunziata nel giudizio di merito è stata cassata con rinvio. Il ricorso è dichiarato inammissibile, ma la Corte avverte che se fosse stato possibile esaminare il motivo, avrebbe dovuto costatarsene l’infondatezza «in quanto non si sarebbe potuto ritenere che la cassazione, nel giudizio avente ad oggetto la formazione del titolo esecutivo, della sentenza confermativa di quella di primo grado del tribunale … costituente il titolo esecutivo avesse determinato il venir meno della pretesa esecutiva minacciata a suo tempo con il precetto».
Ci si soffermerà di qui in poi sulla prima sentenza. La Cassazione ha accolto il ricorso «limitatamente agli atti di esecuzione compiuti successivamente alla pubblicazione della sentenza di appello» pronunciata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, mentre lo ha rigettato quanto al diritto di procedere ad esecuzione prima della pubblicazione della stessa sentenza.
Il principio di diritto enunciato in funzione di tale decisione è il seguente:
a) «La cassazione con rinvio della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado costituente titolo esecutivo, ove l’esecuzione abbia avuto inizio sulla base di quest’ultima e sia poi proseguita con atti successivi alla pronuncia della sentenza cassata, determina, a norma dell’art. 336, secondo comma, c.p.c., la caducazione soltanto di tali atti successivi, mentre restano fermi gli atti esecutivi pregressi e l’esecuzione può riprendere dall’ultimo di essi, salvo che, a norma dell’art. 283 c.p.c., il giudice del grado di appello in sede di rinvio non sospenda l’esecutività della sentenza di primo grado, delibando le ragioni della disposta cassazione». Specificazione di tale principio sono altri pure enunciati come tali nella sentenza e che conviene riportare:
b) «la cassazione con rinvio della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado esecutiva, ove sia stato intimato precetto sulla base di quest’ultima e l’esecuzione non abbia avuto ulteriore corso, non incide sull’efficacia del precetto, ferma restando la possibilità che l’esecutività della sentenza di primo grado (sia sospesa dal giudice di rinvio ai sensi dell’art. 283, co. 1, c.p.c.: n.d.a.)», in tal senso apparendo doversi correggere il testo della sentenza che reca la frase «con rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 283, terzo comma, c.p.c. sia sospesa dal giudice di rinvio»;
c) «la cassazione con rinvio della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado costituente titolo esecutivo, ove il precetto non seguito dall’esecuzione sia stato intimato sulla base della combinazione fra sentenza di primo grado e sentenza di appello oppure ove l’esecuzione abbia avuto inizio successivamente alla sentenza di appello, determina rispettivamente la caducazione del precetto e dell’esecuzione a norma dell’art. 336, secondo comma, c.p.c.»;
d) «la cassazione con rimessione al primo giudice della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado costituente titolo esecutivo, qualora sia stato intimato precetto non seguito dall’esecuzione, tanto sulla base della sentenza di primo grado quanto sulla base della combinazione fra essa e la sentenza di appello, determina in ogni caso la caducazione del precetto e, qualora l’esecuzione abbia avuto inizio, tanto sulla base della sentenza di primo grado quanto successivamente alla sentenza di appello, dell’esecuzione, a norma dell’art. 336, secondo comma, c.p.c.».
La sentenza enuncia di seguito un ulteriore principio di diritto e lo fa in questo senso: «il potere di cui all’art. 283 c.p.c., quanto alla sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, comprende anche la possibilità che il giudice dell’appello sospenda l’esecutività con effetti non solo de futuro, ma anche di rimozione dell’esecuzione già compiuta o per la parte già eseguita».
La complessiva soluzione offerta dalla Corte in quest’ultima sentenza muove dunque dalla ricostruzione della vicenda cui dà luogo la successione, nei due gradi di merito, di sentenze che ambedue valgono a mettere il debitore in una situazione di soggezione all’azione esecutiva e considera che solo gli atti di aggressione del patrimonio del debitore, compiuti dopo e con il supporto della pronuncia di appello ‒ compresa la sola minaccia attraverso il precetto ‒ ne possano essere considerati dipendenti e soggetti a caducazione per effetto della cassazione di questa,mentre, quanto ai beni assoggettati ad esecuzione forzata sulla base della sentenza di primo grado, il processo possa proseguire, salvo che il giudice di rinvio non eserciti il potere, riveniente dall’art. 283 c.p.c., di disporre la sospensione dell’esecutività anche della sentenza di primo grado, con atti che possono estendere la loro portata sino alla rimozione dell’esecuzione già compiuta o per la parte già eseguita.
La Corte ‒ nella sentenza n. 3074/2013 ‒ si è trovata dunque a dover decidere a proposito d’una fattispecie caratterizzata dal fatto che l’esecuzione forzata era stata iniziata in base ad un decreto ingiuntivo e nel giudizio di opposizione all’esecuzione veniva in discussione l’incidenza della sopravvenuta cassazione con rinvio della sentenza poi pronunziata in appello nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo a conferma di quella di primo grado.
Ma, ai fini delle considerazioni che seguiranno, si può prescindere dalla circostanza che in quel caso la vicenda processuale sia iniziata col decreto d’ingiunzione, perché non è da questa circostanza che è dipesa la decisione, come si è già detto. In conclusione la situazione tipica cui si attaglia la decisione presa dalla Corte è quella di una successione di due pronunce, di primo grado e di appello, ambedue di condanna, la seconda in eventuale aumento rispetto alla precedente, seguita dalla cassazione con rinvio a giudice di appello.
2.1 Esecuzione forzata e giudizio di rinvio
La vicenda è dunque quella che si snoda sulla base di un’esecuzione forzata minacciata o iniziata in forza di precedente sentenza di condanna. La questione risolta dalla Corte riguarda l’incidenza su tale esecuzione della cassazione con rinvio della sentenza di secondo grado.
La soluzione prospettata dalla Corte è che ‒ fuori dei casi in cui il rinvio è disposto al giudice di primo grado (artt. 353 e 354 c.p.c.) ‒ la cassazione della sentenza di appello non incide sugli atti esecutivi posti in essere prima della pubblicazione di tale sentenza e giustificati dalla forza esecutiva della sentenza di primo grado, mentre incide sugli atti del processo esecutivo posti in essere dopo la pubblicazione della sentenza di appello, i quali, cesseranno di avere effetti e non potranno essere ripetuti; potranno tuttavia essere rinnovati se la sentenza di primo grado già lo consentiva, ma questo a patto che la sua efficacia esecutiva non venga sospesa. Quando invece l’esecuzione sia intervenuta dopo la sentenza di appello, la sua cassazione impedisce che essa prosegua.
Il principio che conduce a tale complessiva soluzione è che l’efficacia esecutiva va misurata sulla base delle sentenze che sono state pronunziate in favore della parte nel momento in cui l’esecuzione è promossa e che a questo scopo rilevano insieme le sentenze di primo e secondo grado. In quanto la sentenza di secondo grado abbia dovuto pronunciare sul fondo del diritto e non solo sul rito, il titolo dal quale l’esecuzione deve essere considerata dipendere è composito, perché comunque ambedue le sentenze rilevano ai fini della enucleazione di quanto è stato deciso; perciò stesso non dipende dalla sentenza di secondo grado,ma da quella di primo grado l’esecuzione iniziata in forza di questa.
È su questa base che si deve interpretare il co. 2 dell’art. 336 c.p.c., quando prevede che la riforma della sentenza di appello estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata.
Quanto alla conservata esecutività della sentenza di primo grado, siccome al giudice di rinvio spettano gli stessi poteri che al giudice di appello, il giudice di rinvio, in considerazione delle ragioni per cui la sentenza è stata cassata, potrà non solo sospenderne l’ulteriore esecuzione,ma anche farla definitivamente cessare.
Se si valuta la decisione alla luce dei suoi risultati si può osservare che preoccupazione della Corte è stata di mantenere salvo il principio per cui la misura dell’efficacia esecutiva della sentenza di condanna va ricercata congiuntamente nelle sentenze di primo e secondo grado, quando questa seconda è stata pronunziata, e d’altra parte di limitare l’incidenza della cassazione con rinvio della sentenza di appello, quante volte il processo esecutivo è iniziato prima della sua pronuncia, così da trovare fondamento già nella sentenza di condanna pronunziata in primo grado: tutto ciò nella prospettiva che la sentenza di rinvio possa rivelarsi dello stesso segno di quella cassata.
Lo strumento processuale per attingere questo risultato è stato rinvenuto nella coppia costituita dall’escludere in linea di principio che l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado risulti incisa dalla cassazione con rinvio della sentenza di appello, in tal modo escludendo che il giudice dell’esecuzione abbia il potere di dichiarare improseguibile o tenere in stato di sospensione il processo e per converso di attrarre al giudice del rinvio il potere di sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sulla base di una valutazione prospettica di un esito del giudizio favorevole al soggetto passivo dell’esecuzione forzata in atto, che è la parte che con il ricorso accolto ha reagito contro la sentenza che regge l’esecuzione in atto.
Come si è visto, la costruzione elaborata dalla Corte nella sentenza, lo è stata da un lato per una sequenza processuale, in cui alla sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva in base all’art. 282 c.p.c. segua sulla sua base almeno il precetto, e da altro lato sul presupposto che lo svolgimento di tale sequenza processuale nella fase delle impugnazioni si strutturi in modo che la definitiva decisione della fase ascendente, quella della cassazione, venga a incidere direttamente non sulla sentenza di primo grado, ma su quella di appello, che almeno in parte abbia conservato alla prima la sua forza esecutiva.
A un quadro di riferimento così composto non si prestano invece ad essere ricondotti almeno il caso della sentenza di condanna pronunciata in unico grado, poi cassata con rinvio e quello in cui la sentenza di primo grado sia stata di rigetto e su di essa sia poi venuta a sovrapporsi la sentenza di secondo grado ‒ a sua volta tuttavia cassata con rinvio – che in accoglimento dell’appello aveva pronunciato la condanna mancata in primo grado: in questi casi, infatti, il punto di appoggio della soluzione elaborata dalla Corte non c’è, perché riforma o cassazione si trovano ad incidere appunto sull’unica sentenza che nel corso del processo è risultata avere efficacia di titolo esecutivo.
Queste situazioni processuali, però, si possono per altro verso presentare come omologhe rispetto a quella scandagliata dalla Corte, e ciò sotto il diverso profilo che è sulla base di una sentenza di condanna suscettibile di sostenere un’esecuzione forzata, che questa è stata concretamente minacciata od anche avviata.
Merita allora interrogarsi su questo punto: se, per essere caratterizzate dalla comune situazione processuale, che un’esecuzione forzata è stata minacciata o intrapresa in base ad una statuizione di condanna atta a qualificare il provvedimento giurisdizionale come titolo esecutivo, questa situazione processuale possa trovare, come tale, una protezione interinale, affidata ad una valutazione prospettica del possibile esito finale del giudizio sull’impugnazione di quel provvedimento di condanna, che ha potuto legittimamente essere fatto valere come titolo esecutivo.
In sostanza ci si deve chiedere se il potere in senso lato cautelare, qual è quello che gli artt. 283 e 373 c.p.c. attribuiscono rispettivamente al giudice cui è proposto appello ed a quello che ha pronunciato la sentenza impugnata con ricorso per cassazione ‒ potere il primo di «sospendere in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione» ed il secondo di disporre «che l’esecuzione sia sospesa o sia prestata congrua cauzione» ‒ sia un potere che possa spettare al giudice davanti al quale la causa sulla domanda di condanna può ancora proseguire perché è rinviata a seguito della cassazione della sentenza di merito e quale ne possa però essere la direzione, considerato che, in questi casi, non si tratterebbe di paralizzare effetti favorevoli che altrimenti scaturirebbero dall’accoglimento della domanda, ma gli effetti sfavorevoli che l’art. 336 c.p.c. fa scaturire dalla cassazione della sentenza che la domanda aveva accolto.
Se la risposta potesse essere affermativa, la via aperta dalla più recente decisione della Corte andrebbe ancora battuta; diversamente resterebbe il dubbio se l’interpretazione del secondo comma dell’art. 336 c.p.c. sin qui seguita dalla giurisprudenza della Corte, come risulta dalle altre sentenze precedenti riportate più sopra, compatibile sul piano letterale con la disposizione ed anche con la sua origine storica, non sia da mantenere.
Si tratta allora di vedere se l’ordinamento processuale consenta di pervenire a tale più estesa, soluzione del problema presentatosi in occasione della decisione della Corte che si è venuta considerando.
3.1 Alcune considerazioni preliminari
La prima: la costruzione prospettata dalla Corte, dovesse trovare conferma per il caso considerato, ma non per altri ‒ come è stato notato dalla sentenza n. 2955/2013 ‒ suggerirebbe alla parte favorita l’opportunità di non attendere l’esito di un eventuale appello, prima di determinarsi ad iniziare l’esecuzione o quantomeno a minacciarla, ché altrimenti una decisione opposta impedirebbe di prenotare gli effetti di un’azione esecutiva possibilmente destinata a proseguire sulla base di un esito del rinvio, che fosse invece ancora una volta di rigetto dell’appello.
La seconda: non è l’accoglimento del ricorso per cassazione a determinare da sé l’effetto descritto dall’art. 336 c.p.c.,ma l’accoglimento del ricorso, cui segua la statuizione di cassazione della sentenza, senza o con rinvio. Di tal che, quante volte la Corte si trovi nella condizione di poter esercitare il diverso potere di decidere la causa nel merito (giacché nel caso previsto dall’art. 384, co. 2, c.p.c. la Cassazione pronuncia appunto nel merito), lo faccia e la decisione suoni conferma della sentenza di condanna impugnata, la vicenda di caducazione degli atti che ne sono dipesi non avrebbe modo di determinarsi.
La terza: nell’ottica della ragionevole durata del processo (art. 111, co. 1, Cost.), che non esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del giudizio di cognizione, ma è valore che riguarda l’intera vicenda della concreta realizzazione del diritto attraverso il processo, la Corte dovrebbe fare costantemente esercizio del potere di decidere nel merito ‒ quale previsto dal co. 2 dell’art. 384 c.p.c. ed entro il limite segnato dalla disposizione appena richiamata, che si presta ad essere interpretata nel senso che resta sottratto a tale potere solo il caso che nel precedente grado di giudizio non sia stata ammessa l’acquisizione dei mezzi di prova pur dedotti dalle parti e non anche in quello che dei mezzi di prova dedotti ed acquisiti sia solo mancata la valutazione e, comunque, certamente nel senso che alla Corte spetti di rendere esplicito e tradurre in cifre a fini di condanna i fatti accertati, quando i parametri da applicarsi siano normativi ovvero acquisiti al processo.
3.2 I poteri del giudice di rinvio
Dunque, rinviata che sia la causa a seguito di cassazione per motivi diversi da quelli indicati agli artt. 382, co. 1 e 2, e 383, co. 2, c.p.c., se lo sia a seguito di cassazione della sentenza di condanna pronunciata in unico grado o per la prima volta in appello, si tratta di stabilire se, una volta che sia adito, il giudice del rinvio abbia il potere di dichiarare sospesa l’operatività degli effetti che per sé l’art. 336, co. 2, c.p.c. ricollega alla cassazione della sentenza e che si riverbera sugli atti di esecuzione da essa dipendenti.
Riconoscere al giudice del rinvio ‒ anche in questi casi, come in quello in cui è stata pronunciata la sentenza n. 3074/2013 ‒ il potere di sospendere la produzione dell’effetto caducante della sentenza di cassazione sancito dal secondo comma dell’art. 366 c.p.c. lo si potrebbe giustificare con una duplice considerazione: sul piano degli effetti, risulterebbero posti in parallelo da un lato l’interesse del supposto debitore a non subire l’esecuzione forzata sulla base di una sentenza bensì munita per legge di forza esecutiva, ma esposta a probabile cassazione e dall’altro l’interesse del supposto creditore a non vedere vanificata la possibilità di realizzazione del suo diritto, quante volte dovesse apparire per contro probabile un esito del giudizio in sede di rinvio a lui favorevole; sul piano degli strumenti processuali destinati ad essere messi in campo, si tratterebbe di estendere il campo di applicazione di un mezzo conosciuto dall’ordinamento, quello di contrapporre ad un effetto legale tipico, l’esecutività o la sua caducazione, un temporaneo e risolubile effetto contrario alla loro esplicazione.
Si può del resto ritenere, che trovi rispondenza nella disciplina del processo cautelare, ridurre l’attitudine della sentenza a fondare attualmente l’esecuzione forzata, a quella diversa, propria appunto di una misura cautelare, preservandone la futura possibile eseguibilità coattiva, nel caso che il diritto fatto valere torni ad essere dichiarato esistente nel contesto del medesimo giudizio.
Si consideri, invero, la disposizione dettata ‒ in tema di inefficacia del provvedimento cautelare ‒ dal terzo comma dell’art. 669 novies c.p.c., che in parte riprendendo e in parte modificando il secondo comma dell’abrogato art. 683 c.p.c. dettato in materia di sequestro, stabilisce che il provvedimento perde efficacia «se con sentenza, anche non passata in giudicato, è dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso», formula che è ripresa nella disposizione contenuta nel n. 2) del quarto comma dello stesso articolo, secondo la quale, se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice estero o ad arbitrato italiano od estero, il provvedimento cautelare perde altresì efficacia, «se sono pronunciati sentenza straniera, anche non passata in giudicato, o lodo arbitrale che dichiarino inesistente il diritto per il quale il provvedimento era stato concesso».
Ora, la sentenza di cassazione con rinvio non dichiara inesistente il diritto, ma incide sull’accertamento in positivo, senza tuttavia escludere che questo torni ad essere ancora possibile se il processo sia tempestivamente ripreso davanti al giudice indicato: così la disposizione dettata dall’art. 669 novies è interpretata dalla dottrina, che qualifica la sentenza di cui è parola nei commi terzo e quarto dell’art. 669 novies come sentenza di merito3. Come del resto, a proposito del caso, non contemplato dall’art. 669 novies, del giudizio di merito che si conclude con pronuncia in rito, a proposito del quale si è considerato in dottrina, che l’effetto caducante collegato alla sentenza che dichiara inesistente il diritto si determina anche nei casi in cui il giudizio si chiude con una pronuncia in rito, ma non in quelli in cui, sulla base della domanda originaria, il processo può essere ripreso e proseguire davanti al giudice, diverso da quello adito in origine, che abbia sulla domanda giurisdizione o competenza4.
Sicché ‒ in tema di provvedimenti cautelari ‒ si afferma la sopravvivenza della misura cautelare alla sentenza di cassazione con rinvio, se a seguito della sentenza di cassazione l’accertamento, compiuto in positivo dal giudice di merito, debba essere rinnovato in sede di rinvio, ma non sia rimasto escluso; questo non significa, peraltro, che il giudice del rinvio, provvedendo in base all’art. 669 decies c.p.c., non ne possa modulare in modo diverso l’attuazione.
In linea di principio, perciò, potrebbe dunque essere seguita un’interpretazione dell’art. 336, co. 2, c.p.c. per cui la cassazione della sentenza di condanna, di unico o secondo grado, incide bensì sull’esercizio attuale del diritto a procedere ad esecuzione forzata, ma non esclude che il giudice del rinvio abbia il potere di modulare tale effetto nel senso di limitarlo alla sospensione del processo esecutivo in corso (se questo non sia in grado di procedere oltre sul supporto di altro titolo).
3.3 Un’ultima considerazione
Nelle sentenze prese in esame, dal più al meno, sembra che il ragionamento muova dall’esigenza di stabilire, quale ruolo, nella prospettiva dell’esecuzione forzata, vada riconosciuto alla sentenza di appello, una volta che questa segua ad una decisone di primo grado per sé esecutiva, sia stata o no già iniziata l’esecuzione sulla base di quest’ultima.
Questo però interessa in modo specifico l’individuazione del documento che deve essere notificato come titolo esecutivo prima di poter dare inizio all’esecuzione (secondo quanto prevede l’art. 479, co. 1, c.p.c.), cioè le sue ramificazioni quanto ai casi in cui, sopravvenuta la sentenza di appello, questa non neghi il diritto accertato.
E però, uno è il problema che consiste nello stabilire quale documento vada notificato come titolo esecutivo per assolvere l’onere, di natura procedimentale, imposto dall’art. 479 c.p.c., onere che non assolto giustifica la reazione dell’opposizione agli atti; altro è il problema che consiste nello stabilire se, quando l’esecuzione è iniziata o anche solo minacciata, il diritto di cui è chiesta la realizzazione coattiva è stato accertato e l’accertamento sia stato consegnato ad una decisione dotata di efficacia esecutiva, aspetto questo che si presta a contestazione mediante l’opposizione all’esecuzione,ma anche a rilievo di ufficio in sede di processo esecutivo. Ed è a questa seconda area che afferisce la valutazione della incidenza della cassazione della sentenza di secondo grado, che ha rigettato l’appello proposto contro quella di primo grado, sulla cui base l’esecuzione è stata promossa o anche solo minacciata.
Parrebbe allora che, promossa in base a sentenza di primo grado esecutiva e proseguita in costanza di sentenza di secondo grado che rigetti l’appello, l’ulteriore possibilità che tale esecuzione non si chiuda per il solo fatto che la sentenza di secondo grado è riformata, potrebbe bene essere postulata in base ad una valutazione di ordine cautelare espressa dal giudice del rinvio, secondo quanto considerato al punto precedente, se lo si accetti.
Lo potrebbe essere, invece, ma con maggiore difficoltà, in base alla considerazione che l’esecuzione che si sta conducendo dipende dalla sentenza di primo grado e non da quella di appello: ed invero, la cassazione della sentenza di secondo grado che ha rigettato l’appello ed il rinvio a giudice di grado pari a quello che avrebbe dovuto deciderne, postula sul piano logico che nel giudizio di primo grado è mancato su un punto decisivo un accertamento invece necessario ‒ in positivo o in negativo ‒ per l’affermazione del diritto di cui si è richiesta l’attuazione coattiva: non si tratta dunque di continuare ad ancorare l’esecutività all’accertamento di un diritto, che in ogni caso c’è stato,ma di dover negare esecutività alla pretesa di realizzare coattivamente un diritto, di cui è stato constatato che, seppure possibile, l’accertamento ne è ancora mancato.
1 Con nota di Conte, R., Ipoteca giudiziale e alterne vicende processuali: a proposito di una sentenza della suprema Corte sugli artt. 2884 c.c., e 336 e 393 c.p.c., in Giur. it., 2013, 1146
2 Pubblicata in Foro it., 2013, I, 2900 e 2915, con annotazione di N. Minafra.
3 Così Consolo, C.-Luiso, F.P.-Sassani, B., Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 656.
4 Così Luiso, F.P., Diritto processuale civile, IV, I processi speciali, Milano, 1997, 166.