Abstract
Il rimedio dell'opposizione di terzo ordinaria "estraneo" alle originarie peculiarità del contenzioso amministrativo italiano è stato introdotto nel diritto amministrativo italiano nel 1995 da una sentenza additiva della Corte costituzionale. In occasione della codificazione del processo amministrativo è stata prevista una disciplina organica di questo rimedio. Con la novella del 2011 il legislatore ha ancorato la disciplina dell'opposizione di terzo ordinaria al rispetto della garanzia costituzionale del diritto di difesa.
Secondo l’art. 2909 c.c. l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Anche se ha origini antiche il principio secondo cui la cosa giudicata non ha valore che tra le parti e i terzi non ne debbano risentire influenza (Allorio, E., La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1992, 43), è pur vero che essa può dare luogo ad effetti pregiudizievoli per i terzi (Allorio, E., La cosa giudicata, cit., 65). In considerazione di questa eventualità il processo civile ha previsto da tempo un mezzo di impugnazione della sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra le parti e pregiudizievole per i diritti del terzo.
Nel processo amministrativo le origini e la perdurante concezione di questo processo come “processo all’atto” (Nigro, M., Processo amministrativo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 2 s.) hanno, invece, ostacolato a lungo il maturare di un orientamento dottrinale e giurisprudenziale che prendesse in considerazione un rimedio giurisdizionale per l’eventuale pregiudizio che, in seguito ad una sentenza inter alios, potesse subire un soggetto diverso dal destinatario dell’atto impugnato (Nigro, M., Processo, cit., 5).
Le difficoltà di una emersione di una nozione di controinteressato imperniata sugli effetti della sentenza si sono prolungate anche quando in dottrina si è affermata una concezione del processo amministrativo come “processo sul rapporto” con il progressivo coinvolgimento processuale, accanto ai controinteressati formali, deisoggetti non contemplati nell’atto, quali i controinteressati sostanziali. Eppure i casi di pronuncia costitutiva dell’annullamento dell’atto amministrativo avrebbero dovuto far prendere coscienza che l’estensione soggettiva della sentenza amministrativa andava ben oltre i destinatari dell’atto contestato (Benvenuti, F., Giudicato (dir.amm.), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 906. s; Nigro, M., Processo, cit., 5,), dal momento che i controinteressati sostanzialisubiscono egualmente un pregiudizio dall'annullamento dell'atto impugnato, pur senza essere previsti esplicitamente nell'atto (Benvenuti, F., Parte (dir. amm.), cit.,965). Fatto che, invece, fu del tutto evidente ai giudici amministrativi francesi. Questi sin dal 1912 avevano introdotto con l’ȃrret Boussuge la “tierce opposition” nel procès pour excès de pouvoir (Pacteau, B., Traité de contentieux administratif,Paris, 2008, 552). Si è perpetuato così a lungo un vulnus ad una regola di antica civiltà giuridica, secondo cui non si può giudicare e decidere su situazioni giuridiche senza che i titolari di queste situazioni siano messi in grado di difendere davanti al giudice le proprie ragioni (Comoglio, L.P., Contraddittorio (principio del), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 8; Corletto, D., Opposizione nel diritto processuale amministrativo,in Dig. pubb., XIV, Torino, 1999, 563).
Nella prospettiva di colmare questo “ritardo” deve essere letta la sentenza C. cost., 17.5.1955, n. 177. In questa pronuncia si prendeva atto che, nonostante la regola generale dell’art. 2909 c.c. sulla inefficacia della sentenza nei confronti di soggetti diversi dalle parti processuali, nel processo amministrativo fosse del tutto concreto il rischio che soggetti estranei al processo potessero subìre un pregiudizio delle loro situazioni giuridiche soggettive da una sentenza adottata a conclusione di un processo al quale essi non avevano partecipato. Secondo la Corte, questo poteva avvenire, sia nel caso in cui un controinteressato parte necessaria fosse stato pretermesso e non avesse potuto far valere le proprie ragioni, sia nel caso che il processo coinvolgesse altri soggetti che non dovevano o in alcuni casi non potevano partecipare al processo.
Preso atto che in questi casi ricorresse una violazione dell’art. 24 Cost., che riconosce il diritto di difesa a tutti coloro che possono essere “toccati” dalla decisione processuale, e tenuto conto che nel processo civile la sentenza passata in giudicato o meramente esecutiva adottata in assenza del litisconsorte necessario o di un terzo titolare di una situazione giuridica connessa con l’oggetto della sentenza può essere contestata mediante il rimedio dell’opposizione di terzo ordinaria(art.404,1°co.c.p.c.), la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 177 dichiarava l'illegittimità costituzionale dell’art. 36 della l. n. 1034/ 1971 «nella parte in cui non prevede l’opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione avverso la sentenze del Consiglio di Stato». Si precisava che le medesime ragioni che hanno condotto all’accoglimento della questione valgono nei confronti delle sentenze del giudice amministrativo di primo grado, passate in giudicato perché non appellate, che possano egualmente recare un pregiudizio ad un terzo non evocato in giudizio, quale parte necessaria o che comunque abbiano disposto un assetto di interessi incompatibili con la situazione giuridica di cui il terzo vanti la titolarità. In base a questa premessa si dichiarava la illegittimità costituzionale dell’art. 28 della l. n. 1034/1971 nella parte in cui non prevedeva l’opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione delle sentenze del tribunale amministrativo regionale.
L’introduzione nel processo amministrativo del rimedio dell’opposizione di terzo mediante la citata “sentenza additiva” della Corte costituzionale pose ovviamente problemi di interpretazione e di definizione dei presupposti e delle condizioni secondo cui questo rimedio poteva trovare attuazione nel processo amministrativo.
Nonostante che fosse largamente condivisa opinione che nella ricostruzione della disciplina dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo i princìpi e le regole dell’opposizione di terzo del processo civile rappresentassero, in assenza di una normativa specifica, un momento imprescindibile di riferimento, non sfuggì alla giurisprudenza amministrativa la specificità dell'opposizione di terzo nel diritto amministrativo. Era del tutto evidente che nel diritto amministrativo sostanziale la posizione soggettiva del terzo potesse risentire delle modificazioni che subiscono altre situazioni sostanziali determinate da una sentenza o dalla sua attuazione. Inoltre, non sfuggiva che il pregiudizio a danno di un terzo potesse prodursi in sede di giudizio di ottemperanza. Questo perchè il giudice nell’esercizio della funzione sostitutiva della amministrazione può incidere sugli interessi di coloro che sono rimasti estranei al giudizio (Benvenuti, F., Parte, cit., 962 ss.; Nigro, M., Processo, cit., 4 s.).
Sulla base di queste e di altre riflessioni e in armonia con le indicazioni suggerite dalla citata sentenza della Corte costituzionale divenne dominante un orientamento giurisprudenziale che riteneva utilizzabile il rimedio dell’opposizione di terzo: a) nel caso che l’opponente lamentasse la violazione del proprio diritto (processuale) di difesa; b) nel caso che la sentenza opposta venisse ad incidere su una propria situazione giuridica autonoma e incompatibile rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa nella sentenza oggetto della opposizione (Cons. St., sez. IV, 20.5.1996, n. 655; Cons. St., A.P., 11.1.2007, n. 2; Cerulli Irelli, V.-Luciani, F., Opposizione di terzo,inQuaranta, A.-Lopilato, V., a cura di, Il processo amministrativo, Milano, 2011, 838 ss.). In armonia con quanto previsto nel diritto processuale tedesco (§65, VwGO, Verwaltungsgerichtsordnung), che, a tutela degli interessi giuridici dei soggetti che possono essere toccati dalla decisione, prevede una loro chiamata jussu iudicis in giudizio (Koppe, F.-Schenke, W.R., VwGO, München, 2012, 748 ss.), si sosteneva che affrontare il problema della tutela del terzo esclusivamente dall’angolo visuale della sentenza (quando il giudice ha già statuito in ordine alla situazione sostanziale controversa) fosse del tutto insufficiente. Si puntualizzava che, dopo la introduzione del rimedio della opposizionedi terzo, rientrasse nel potere-dovere del giudice amministrativo la chiamata in giudizio dei terzi ai quali la causa è comune, anche se non rivestono la qualità di controinteressato in senso tecnico (Cons. St., sez. IV, 16.6.1999, n. 1025). Questo avrebbe favorito la partecipazione al processo da parte di chi ne ignora la pendenza (Corletto, D., Opposizione, cit., 573 ) .
In occasione della redazione del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) la lacuna dell'assenza di una disciplina normativa relativa all’opposizione di terzo è stata colmata. L’art. 108 c.p.a. ha sancito: «1. Un terzo, titolare di una posizione autonoma e incompatibile, può fare opposizione contro una sentenza del tribunale amministrativo o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorchè passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi. 2. Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando questa sia effetto di dolo o collusione a loro danno». L'art. 109 c.p.a. ha poi sancito:
«1. L’opposizione di terzo è proposta davanti al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, salvo il caso di cui al comma 2. 2. Se è proposto appello contro la sentenza di primo grado, il terzo deve introdurre la domanda di cui all’articolo 108 intervenendo nel giudizio di appello. Se l’opposizione di terzo è già stata proposta al giudice di primo grado, questi la dichiara improcedibile e, se l’opponente non vi ha ancora provveduto, fissa un termine per l’intervento nel giudizio di appello ai sensi del periodo precedente».
Nell'esame di questa normativa la dottrina più avvertita rilevò subito che per la legittimazione a proporre l’opposizione di terzo ordinaria fosse stata prevista una "disciplina restrittiva”. Nonostante che nella citata sentenza della Corte costituzionale e da parte della stessa giurisprudenza amministrativa (di cui prima) fosse stato ampiamente condiviso che la mera violazione del diritto di difesa a danno del litisconsorte necessario legittimasse questi ipso jure a proporre il rimedio dell’opposizione, nella disciplina normativa in oggetto si subordinava, invece, siffatta legittimazione alla titolarità da parte del litisconsorte necessario di una situazione autonoma e incompatibile (Cerulli Irelli, V.-Luciani, F., Opposizione, cit., 844). Non solo si disattendeva l'orientamento giurisprudenziale dominante, ma non si teneva in nessun conto quanto era stato sancito nell’art. 24 Cost. a proposito del diritto di difesa e nell’art. 111, co. 2, Cost. relativo al principio del contraddittorio (Tarullo, S., Giusto processo (dir. proc. amm.), in Enc. dir., Annali, II, t. I, Milano, 2008, 379).
Questa ingiustificata "restrizione" della legittimazione del litisconsorte necessario pretermesso è stata prontamente corretta con il decreto correttivo del 2011 (d.lgs. 15.11.2011, n. 195). La disciplina del co. 1 del citato art. 108 è stata così riformulata: "1. Un terzo può fare opposizione contro una sentenza del tribunale amministrativo o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorchè passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi".
La menzionata soppressione dell’inciso «titolare di una posizione autonoma e incompatibile» non solo ha fatto venir meno per la legittimazione a ricorrere del litisconsorte necessario pretermesso la “condizione” della titolarità di una situazione soggettiva autonoma e incompatibile, ma ha ampliato la schiera dei soggetti legittimati ad esercitare l’opposizione di terzo ordinaria (de Pretis, D., Gli altri rimedi, in Sandulli, A., Diritto processuale amministrativo, Milano, 2013, 279).Ha permesso un più facile accesso alla tutela giurisdizionale delle situazioni di interesse legittimo, che più frequentemente, rispetto a quelle di diritto soggettivo, coinvolgono figure soggettive non espressamente evocate nella formalità degli atti (Cons. St., sez. V, 13.3.2014, n. 1178; Cons. St., sez. IV, 11.9.2012, n. 4829; Cons. St., sez. IV, 19.11.2012, n. 5855). Inoltre ha consentito un'estensione dell'area dei soggetti legittimati ad esperire il rimedio dell'opposizione di terzo nel caso di violazione delle regole processuali. Si afferma,infatti, che la legittimazione alla proposizione del rimedio oppositivo risulta estesa a tutti i soggetti non intervenuti nel processo, quando tale assenza non sia dipesa da una loro decisione, ma sia conseguenza di un’omissione comunque rilevante, sia essa dovuta alla controparte, come pure alla mancata attivazione dei poteri di integrazione del contraddittorio da parte del giudice o addirittura derivante dai vizi del procedimento amministrativo a monte, per mancata corretta individuazione dei soggetti di cui al capo III della l. n. 241/90 (Cons. St., sez. IV, 11.9.2012, n. 4829). In piena armonia con l'art. 24 Cost., secondo cui una sentenza non deve produrre effetti pregiudizievoli nei confronti dei soggetti che non abbiano avuto la possibilità di difendersi, è stato, dunque, previsto un "contraddittorio riparatore" quando gli ordinari strumenti processuali volti ad instaurare in modo corretto il contraddittorio non abbiano funzionato.
In prosecuzione di questo indirizzo giurisprudenziale recenti decisioni del Consiglio di Stato hanno poi puntualizzato (quanto già indicato nella decisione dell'A.P. 11.1.2007, n. 2) che la legittimazione a proporre opposizione di terzo ordinaria nei confronti di una decisione resa inter alios spetta:
a) ai controinteressati necessari pretermessi. Nel processo amministrativo per controinteressato necessario pretermesso deve intendersi il soggetto individuato nell’atto stesso o facilmente individuabile portatore di un interesse alla conservazione dell’atto o alla mancata adozione dello stesso (Cons. St.,sez. V, 16.4.2014, n. 1862). In concreto,si tratta dei soggetti ai quali non è stato notificato, ai sensi dell’art.41,co.2, c.p.a, il ricorso di primo grado (Cons. St. sez.V, 11,2.2014, n.652 );
b) ai controinteressati non facilmente identificabili nell’atto amministrativo (cd. occulti). Per controinteressato occulto deve essere inteso colui che sostanzialmente è un controinteressato in quanto la sentenza di accoglimento del ricorso, al pari dell’ipotesi precedente, lede in via immediata l’interesse che egli nutre alla conservazione del provvedimento amministrativo impugnato o alla sua mancata adozione (Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652). La differenza con l’ipotesi precedente si risolve nel fatto che l’utilità giuridica in discussione non trova esplicito riscontro nominativo nel provvedimento ovvero l’immediata attribuzione non è facilmente individuabile dalla lettura dell’atto impugnato (Troise Mangoni, W., L'opposizione ordinaria del terzo nel processo amministrativo, Milano, 2004, 95). In effetti, i controinteressati occulti (o controinteressati sostanziali) sarebbero quei controinteressati non identificati o non identificabili alla stregua dell’atto amministrativo (Travi, A., Lezioni, cit., 231);
c) ai controinteressati sopravvenuti. Per controinteressato sopravvenuto deve intendersi un soggetto la cui posizione qualificata antitetica rispetto a quella del ricorrente emerge in seguito alla adozione della sentenza opposta, che crea una situazione di incompatibilità con la sua situazione soggettiva (Troise Mangoni, W., L'opposizione, cit. 159). Si pensi a colui che abbia un titolo abilitativo, un beneficio o uno status derivante da un provvedimento divenuto invalido in seguito al fatto che l’atto amministrativo presupposto è stato annullato nel giudizio al quale egli è rimasto estraneo (Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652, cit.). In questo caso il terzo (beneficiario di una utilità derivante dall’atto consequenziale) risente nella propria sfera giuridica di ripercussioni pregiudizievoli in seguito e a causa di un giudicato intervenuto inter alios. Non si tratta di un effetto ulteriore della decisione, ma della ripercussione di essa, secondo relazioni logico-giuridiche, su situazioni soggettive e rapporti appartenenti a terzi(Cons. St. sez.V,11.2.2014,cit.).Diversamente dai casi a) e b) prima citati, in questo caso la legittimazione ad esercitare il rimedio dell’opposizione di terzo non deriva dal mancato rispetto del principio del contraddittorio, bensì dalla sopravvenienza di nuovi atti fondativi di posizioni giuridiche (Cons. St., sez. IV, 27.1.2014, n. 360);
d) in generale, ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma e incompatibile rispetto a quella riferibile alla parte vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione.
In conformità con quanto tradizionalmente affermato nel processo civile (Luiso, F.P., Opposizione di terzo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 2 s.)e nella citata sentenza della Corte costituzionale, il rimedio dell’opposizione di terzo spetta anche ai soggetti terzi titolari di una situazione giuridica autonoma ed anche incompatibile con quella riconosciuta nella sentenza che si oppone(Police, A., L'opposizione di terzo nel processo amministrativo. La Corte Costituzionale anticipa il legislatore, in Giur .it.,1995, 527; Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652; Cons. St., sez. V, 13.3.2014, n. 1178). Questa situazione giuridica non si identifica soltanto con la lesione dei diritti del terzo, come prevede l’art. 404, co.1 c.p.c., ma può riguardare anche la lesione di interessi legittimi (Cons. St. sez. V, 13.3.2014, n.1178; Travi, A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2013, 335).
Il presupposto dell' autonomia della situazione giuridicasi riscontra quando la posizione giuridica del terzo opponente «è una situazione soggettiva ed autonoma, ossia non direttamente incisa dalla sentenza opposta, né in posizione di derivazione o dipendenza rispetto a quella oggetto di accertamento giudiziale» (Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652). Non deve trattarsi, quindi, di una posizione giuridica dipendente rispetto a quella di una delle parti del giudizio. Il terzo deve essere estraneo rispetto ad eventuali posizione di riflessione dell’efficacia della sentenza dalla quale deriva la situazione di incompatibilità (Travi, A., Lezioni, cit., 334). In breve, la posizione di autonomia del terzo ricorre quando egli non è sottoposto alla efficacia della sentenza, né in via diretta, né in via riflessa. Risultano di conseguenza esclusi dalla legittimazione ad esperire il rimedio della opposizione di terzo ordinaria i successori delle parti a titolo universale o particolare ovvero i creditori o aventi causa (Cons. St., sez. V, 13.3.2014, n. 1178). Al riguardo è stato precisato che nel processo amministrativo il titolare di una posizione secondaria, accessoria e riflessa (ad es., per avere stipulato un contratto con una delle parti necessarie), pur potendo intervenire nel giudizio di opposizione, presentare domande di fissazione di udienza e proporre regolamento preventivo di giurisdizione, non è legittimato a proporre opposizione avverso la sentenza di primo o di secondo grado lesiva per il titolare della posizione principale (Cons. St., sez. V, 16.4.2014, n. 1862).
Il presupposto della incompatibilità della situazione giuridica si riscontra, invece, quando la tutela di questa situazione giuridica sia incompatibile con quella risultante dalla sentenza opposta (Cons. St., sez. IV, 11.9.2012, n. 4829). In giurisprudenza si puntualizza che questo può verificarsi quando l’accertamento giudiziale ha prodotto la contemporanea esistenza di poteri e facoltà su di un bene della vita che non possono coesistere, sotto forma di convergenza di interessi ovvero di divergenza di interessi (Cons. St., sez. V, 13.3.2014, n. 1178) o quando un bene della vita di un terzo viene inciso negativamente, nella sua integrità o nel suo valore dalla sentenza opposta (Cons. St., sez. V, 28.9.2011, n. 5391). In tutti questi casi spetterà al giudice dell’opposizione dirimere la questione circa la prevalenza tra le posizioni giuridiche incompatibili (Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652). Questo perché la situazione giuridica incompatibile del terzo non opera come regola di giudizio di prevalenza, ma come mero fatto di legittimazione (Cons. St.. sez. IV, 20.5.1996, n. 655, cit.; Troise Mangoni, W., L'opposizione, cit., 232 s.).
L’art. 108, co. 1, c.p.a., nell’indicare i presupposti per la legittimazione del terzo ad esperire il rimedio dell’opposizione di terzo ordinaria fa esplicito riferimento al pregiudizio di una posizione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo di cui l’opponente sia titolare. La stessa giurisprudenza ha ribadito più volte che il pregiudizio di una posizione giuridica di cui l’opponente sia titolare è un presupposto per esperire il rimedio dell’opposizione di terzo (Cons. St., sez. V, 13.3.2014, n. 1178, cit.; Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652, cit.). Questo perché il rimedio dell’opposizione ordinaria di terzo non è un giudizio a tutela della mera legalità, ma un rimedio per rimuovere un pregiudizio contra jus. A conferma si rileva che nella dottrina francese è stato giustamente puntualizzato che il presupposto secondo cui la sentenza opposta deve pregiudicare la situazione soggettiva del terzo che esperisce il rimedio della opposizione non deve essere inteso come una sorta di «intérêt à agir» (Broyelle, C.,Contentieux administratif, Paris, 2013,354), ma come «un droit lésé» (Gohin, O., Contentieux administratif, Paris, 2014, 475).
In giurisprudenza e in dottrina si ritiene che per il (solo) litisconsorte necessario pretermesso sia sufficiente per esperire il rimedio dell’opposizione di terzo ordinaria far valere siffatta qualità, dal momento che questi non fa valere una situazione giuridica di diritto sostanziale, ma lamenta la mera violazione di un proprio diritto processuale ovvero il mancato “coinvolgimento” in un processo in cui ex art 41, co. 2, c.p.a. era parte necessaria (Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652; Cons. St., sez. IV, 16.4.2014, n. 1862; Travi, A., Lezioni, cit., 336). Negli altri casi nei quali non si fa valere la qualità di litisconsorte necessario pretermesso, il controinteressato(non parte necessaria),oltre ad allegare la propria situazione di controinteressato pretermesso, deve denunciare anche l’ingiustizia della sentenza opposta (Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652). Si puntualizza che in questi casi i soggetti in questione, non avendo la qualità di parte necessaria pretermessa ovvero di controinteressato cui andava notificato il ricorso originario, per proporre l’opposizione di terzo devono risultare titolari di una posizione giuridica autonoma e incompatibile, come in tutte le altre ipotesi nelle quali un terzo pretenda di proporre opposizione (Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652). È da precisare che ove l’opponente faccia valere una situazione giuridica autonoma e incompatibile non è sufficiente, come si riscontra nel processo civile, la denuncia della ingiustizia della sentenza, ma è necessario non solo allegare la propria situazione e farne valere la prevalenza, ma denunciare l’ingiustizia intrinseca della sentenza nella parte in cui accerta la situazione di vantaggio del vincitore, incompatibile con quella del terzo (Cons. St., sez. IV, 20.5.1996, n. 665).
L'art. 108 c.p.a. ha introdotto anche la cd. opposizione revocatoria, già prevista nel processo civile (Nicoletti, C.A., Opposizione di terzo,in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, 507).
Diversamente da quanto previsto per l'opposizione di terzo ordinaria, nel caso della opposizione revocatoria sono legittimati ad esperire il ricorso i soggetti che, ai sensi dell'articolo 2905 c.c., sono titolari di rapporti ai quali si estende l'efficacia del giudicato, quali gli aventi causa e i creditori (Travi, A., Lezioni, cit., 337). In effetti, il co. 2 dell’art. 108 c.p.a. è rivolto specificamente ad eliminare il pregiudizio che la sentenza può generare nella sfera giuridica degli aventi causa o dei creditori di una delle parti quando la stessa è affetta da dolo o collusione delle parti. In concreto, il vizio può consistere, sia nel concerto fraudatorio delle parti, sia nel dolo di una delle parti rivolto a determinare la decisione pregiudizievole per il "terzo". Gli opponenti devono ovviamente fornire la prova che la sentenza sia effetto di dolo o collusione a loro danno (Cons. St., sez. IV, 11.9.2012, n. 4829, cit.; Cons. St., sez. IV, 19.11.2012, n. 5855).
Secondo il citato art. 108, co. 1, c.p.a., oggetto del rimedio dell'opposizione di terzo possono essere le sentenza del Tribunale amministrativo regionale e del Consiglio di Stato pronunciate tra altri soggetti, ancorchè passate in giudicato, quando pregiudicano diritti o interessi legittimi del terzo (Cons.St., sez.V, 13.3.2014, n. 1178).
Superando le indicazioni della citata sentenza della Corte Costituzionale che per le sentenze del TAR limitavano il rimedio dell’opposizione di terzo alle (sole) sentenze passate in giudicato, questo rimedio è stato esteso nella normativa in oggetto anche alle sentenze di primo grado ancora appellabili. Questo si giustifica sulla base della loro immediata esecutività e della loro potenziale lesività (D’Orsogna, M., Le impugnazioni straordinarie contro le decisioni del giudice amministrativo,in Scoca, F.G., a cura di, Giustizia amministrativa, Torino, 2014, 454). Tra le sentenze opponibili è da annoverare anche la decisione pronunciata in sede di ottemperanza. Non vi sono motivi per escludere l’esperibilità dell’opposizione di terzo avverso provvedimenti, quali le decisioni pronunciate in sede di ottemperanza, dal momento che questi provvedimenti hanno natura di sentenza (Cons. St., sez. IV, 3.3.2001, n. 1999; Troise Mangoni, W., L'opposizione, cit.,281). A questo bisogna aggiungere che il giudice amministrativo in sede di ottemperanza può adottare provvedimenti che risultano concretamente lesivi anche della sfera giuridica dei terzi rimasti estranei al processo (Garofoli, R.- Ferrari, G., Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2015, 2428). In giurisprudenza si ritiene ammissibile anche l’impugnabilità mediante opposizione di terzo delle ordinanze cautelari, quando l’ordinanza non è impugnabile in appello (Cons. St., sez.VI, ord. 9.4.2010, n. 115). Secondo la giurisprudenza (Cons. St., A.P., 8.5.1996, n. 2) è, invece, da escludere l’opposizione di terzo avverso le sentenze relative ad atti generali o regolamentari (Garofoli, R.- Ferrari, G., Manuale, cit., 2426, s.).
Secondo l'art. 109, co. 1, c.p.a. per l’opposizione di terzo è competente il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Per giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata si intende lo stesso ufficio giudiziario. Nulla impedisce che l’opposizione possa essere conosciuta dallo stesso collegio, non operando per l’opposizione di terzo il motivo di incompatibilità previsto dall’art. 51, n. 4, c.p.c. Secondo l’orientamento dominante la competenza del giudice dell'opposizione è una competenza funzionale che non ammette deroghe o eccezioni neppure per motivi di connessione. Il giudice dell’opposizione rimarrebbe quello di secondo grado anche quando la sentenza opposta sia meramente confermativa di quella di primo grado (D’Orsogna, M., Le impugnazioni, cit., 454).
In ordine al discusso tema dei rapporti tra il rimedio di opposizione e il rimedio dell’appello, questo dibattito ha trovato nel sopracitato art. 109, co. 2, una sua soluzione esplicita. Nel caso di impugnazione di una sentenza del giudice amministrativo di primo grado non passata in giudicato il rimedio ordinario dell’appello prevale su quello straordinario dell’opposizione. Se è stato presentato l’appello, allora il terzo non può proporre opposizione, ma deve introdurre la domanda di cui all’art. 108, intervenendo nel giudizio di appello. Se è stata presentata l’opposizione prima dell’appello, allora il giudice dell’opposizione deve fissare un termine al terzo perché intervenga in appello e l’opposizione diventa improcedibile (art. 109, co. 2, c.p.a.). Nel caso di concorrenza tra revocazione e opposizione di terzo si ritiene che debba prevalere la tesi dello svolgimento separato dei due rimedi. Questa soluzione sembra trovare giustificazione nel fatto che i ricorsi riguardano motivi diversi (D’Orsogna, M., Le impugnazioni, cit., 454,s).
In analogia con quanto sancito dall’art. 406 c.p.c., secondo cui nello svolgimento del giudizio di opposizione trovano applicazione le norme previste per il procedimento dinanzi al giudice adito in quanto non espressamente derogato, si ritiene che la forma dell’atto introduttivo dell'opposizione di terzo sia quella del ricorso, che deve indicare la decisione giudiziale opposta ed essere notificato a tutti i soggetti che hanno partecipato al precedente giudizio (Cons. St., sez. V, 2.12.1998, n. 1725).
Nel proporre il rimedio oppositorio al terzo non è opponibile il precedente giudicato. Questo vale, sia per quanto riguarda i motivi di censura sollevati, sia per quanto riguarda i mezzi istruttori (Troise Mangoni, W., L'opposizione, cit., 320).
Il codice del processo amministrativo nulla prevede sui termini per proporre l’opposizione di terzo.
In mancanza di una apposita previsione dovrebbero valere le norme generali, che sottopongono le impugnazioni delle sentenze ad un termine di decadenza decorrente dalla notifica o dalla loro pubblicazione (art. 92, co. 1 e 3 c.p.a.). Questa soluzione si scontra con l’obiezione che spesso il terzo viene a conoscenza della sentenza successivamente alla decadenza dei termini di impugnazione. Al fine di contemperare il principio della stabilità del giudicato e la concreta esperibilità del ricorso in opposizione da parte del terzo la giurisprudenza è orientata a confermare una scelta maturata negli anni precedenti alla codificazione dell’opposizione di terzo, secondo cui il ricorso per opposizione è soggetto all’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dal giorno nel quale l’opponente ha avuto legale o comunque piena conoscenza della sentenza ritenuta pregiudizievole del suo interesse (Cons. St., sez. VI, 26.9.2011, n. 5367).
La proposizione dell’opposizione non determina la sospensione dell'esecutività della sentenza pronunciata inter alios. Ai sensi dell’art. 98 c.p.a.,co.1, la sospensione può essere richiesta su istanza di parte. La sua concessione è subordinata alla valutazione da parte del giudice che l’esecuzione della sentenza possa determinare danni gravi e irreparabili. Si ritiene che la sospensione sia subordinata, ex co. 9, art. 55, c.p.a., anche al fumus boni juris (Sandulli, M.A., Misure cautelari collegiali, in Il processo amministrativo, cit., 504 s.). Possono essere adottate anche altre opportune misure cautelari con ordinanza pronunciata in Camera di Consiglio. Al procedimento si applicano l’art. 55, co. da 2 a 10, e gli artt. 56 e 57 del Codice (D’Orsogna, M., Le impugnazioni, cit., 456). Non vi sono motivi per escludere la riproposizione della domanda cautelare al collegio o la richiesta di revoca o di modifica della misura cautelare (art. 58, c.p.a.).
Il ricorso in opposizione può essere dichiarato inammissibile o improcedibile e può essere rigettato per infondatezza dei motivi. In caso di accoglimento del ricorso quando ricorre l’ipotesi del litisconsorte necessario pretermesso, il giudice dell’opposizione dispone la rimessione delle parti davanti al giudice di prime cure per l’esame del merito (Cons. St., sez. IV, 20.4.2000, n. 2459). In questo caso l’opposizione di terzo ha un marcato carattere rescindente, dal momento che tende alla demolizione della sentenza ed alla ripetizione del giudizio (Cons. St., sez. V, 11.2.2014, n. 652). Se l’accoglimento del ricorso non è basato sulla assenza del litisconsorte necessario, allora il giudice dell’opposizione può decidere anche nel merito. Egli è chiamato a riesaminare il merito secondo i motivi sollevati dall’opponente. In questo caso l'opposizione ha natura rescindente e rescissoria, poiché mira anche all'accertamento di una pretesa in conflitto con quella accertata giudizialmente (Cons. St., sez. V, 14.2.2014, n. 652).
Nel caso di sentenza emessa dal Consiglio di Stato in sede di giudizio di opposizione la sentenza può essere impugnata davanti allo stesso giudice. Nel caso che il giudizio di ottemperanza sia arrivato a conclusione, l’eventuale accoglimento del ricorso su opposizione travolge le attività esecutive poste in essere dal giudice o dal commissario (D’Orsogna, M., Le impugnazioni, cit., 456).
Il c.p.a. tace sui mezzi di impugnazione della sentenza che decide sull’opposizione . Applicando princìpi e regole del processo civile , può ritenersi che la sentenza che decide sull’opposizione sia impugnabile con gli stessi mezzi con i quali era impugnabile la sentenza opposta. Compresa l’opposizione di terzo ad opera di altri terzi (Luiso, F.P., Diritto processuale civile, Milano, 2013, II, 534).
Art. 36, co. 2 t.u. Cons. St.; art. 2909 c.c.; art. 404 c.p.c.; artt. 24 e 111 Cost.; artt. 28 e 36, l. 6.12.1971, n. 1034; artt. 108, 109, d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (Codice processo amministrativo); d.lgs. 15.11.2011, n. 195; § 65, VwGO (Verwaltungsgerichtsordnung), nella versione 9.3.1991 (BGBL, I, 686), modificata dalla l. 22.12.2001 (BGBL I. 3044); R. 832-1 CJA (Code de justice administrative).
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